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GR: Governo, nuovo carcere da 150 posti a Realta

Un nuovo penitenziario da 150 posti a regime chiuso dovrebbe sorgere a Realta, nel comune di Cazis (GR). Il Governo grigionese ha commissionato all’Ufficio edile cantonale un concorso per la realizzazione della struttura, che costerebbe circa 107 milioni di franchi, 33 dei quali coperti dalla Confederazione. Una decisione definitiva da parte del Gran Consiglio è attesa entro il 2014.

Demolizione_di_un_edificioIl Governo cantonale si è mosso in questo senso dopo aver preso atto dei risultati di un rapporto strategico pubblicato recentemente, dal quale emerge che nelle carceri della Svizzera orientale mancano circa 140 posti.

In una nota odierna, l’esecutivo sottolinea che i contribuiti alle spese di vitto e alloggio per i detenuti dei cantoni della Svizzera orientale aderenti al Concordato sull’esecuzione delle pene finanzierebbero l’esercizio e permetterebbero il finanziamento degli investimenti edilizi effettuati. Inoltre, continua, a Realta sono attesi almeno 80 nuovi posti di lavoro.

Secondo il Governo, l’ubicazione risulta estremamente vantaggiosa per via del legame con la clinica psichiatrica Beverin, nonché con l’esistente penitenziario in regime aperto Realta. Grazie alla nuova costruzione il penitenziario Sennhof di Coira – inadeguato e lacunoso dal punto di vista della sicurezza – potrà essere abbandonato e l’edificio utilizzato in altro modo.

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BASTA LAGER! NON COSTRUIRE MA DISTRUGGERE!


Centri di identificazione ed espulsione: i dati nazionali del 2012

carcereSecondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione (CIE) operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54%. Si conferma dunque la sostanziale inutilità dell’estensione della durata massima del trattenimento da 6 a 18 mesi (giugno 2011) ai fini di un miglioramento nell’efficacia delle espulsioni, dal momento che il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei CIE è incrementato di appena il 2,3% rispetto al 2010, anno in cui il limite massimo per la detenzione amministrativa era ancora di sei mesi. Rispetto al 2011, poi, l’incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3%). Per di più, se si compara il numero effettivo di rimpatri effettuati nel 2008 (anno in cui i termini massimi di trattenimento erano ancora di 60 giorni) con quello del 2012, si registra una flessione da 4.320 a 4.015 (si veda grafico rendimento CIE). Il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i CIE nel 2012 risulta essere l’1,2% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità presenti sul territorio italiano (326.000 secondo le stime dell’ISMU al primo gennaio 2012).

Se dal punto di vista della rilevanza dei numeri e dell’efficacia, la detenzione amministrativa si conferma essere uno strumento sostanzialmente fallimentare nel contrasto dell’immigrazione irregolare, il prolungamento del tempo massimo di detenzione nei CIE ha invece drammaticamente peggiorato le condizioni di vita dei migranti all’interno di queste strutture. Tale evidenza è stata sistematicamente riscontrata dai team di Medici per i Diritti Umani (MEDU) durante le viste effettuate in tutti i CIE nel corso dell’ultimo anno e confermata dagli stessi enti gestori e, sovente, anche dai rappresentanti delle Prefetture. In effetti per quanto concerne il prolungamento dei tempi massimi di trattenimento è pressoché unanime il giudizio negativo espresso dai responsabili degli enti gestori dei 10 CIE monitorati da MEDU nel corso degli ultimi 12 mesi. Tale misura ha infatti seriamente compromesso la gestione complessiva dei centri causando gravi problemi organizzativi, logistici e sanitari. A conferma dell’aggravamento del clima di tensione e dell’ulteriore deterioramento delle condizioni di vivibilità all’interno dei centri di identificazione ed espulsione, vi sono le numerose rivolte e fughe che si sono verificate nel corso dell’anno appena trascorso: nel 2012 sono stati 1.049 i migranti fuggiti dai CIE, vale a dire il 33% in più rispetto al 2011.

Alla luce delle ulteriori evidenze acquisite in un anno di monitoraggio, Medici per i Diritti Umani ritiene necessario riportare la questione del superamento dei CIE nel dibattito elettorale delle prossime elezioni politiche. Le gravi e ripetute violazioni dei diritti umani dei migranti – ancor più dell’evidente inefficacia dei centri di identificazione ed espulsione – impongono una radicale revisione dell’attuale sistema di detenzione amministrativa. Tale revisione non può che avvenire nell’ambito di una profonda riforma della legge “Bossi-Fini” che porti a politiche migratorie atte a garantire reali possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale. Su questi argomenti è quanto mai urgente che le forze che si candidano a governare l’Italia si esprimano con la dovuta chiarezza.

Roma, 30 gennaio 2013

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Tabella con i dati nazionali 2012 e 2011 sui CIE
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Grafico rendimento CIE

fonte: Medici per i Diritti Umani


Malato e trattenuto in un CIE dal 2011. Il caso di M.

soloM., giovane migrante, è rinchiuso in un CIE dal 2011, è affetto da una grave forma di depressione e da una settimana rifiuta cibo, acqua e farmaci. Contrariamente a quanto recentemente annunciato dal Ministro Cancellieri (“limiteremo la durata massima per il tempo di riconoscimento a 12 mesi” audizione presso la Commissione Diritti Umani del Senato, 27 novembre 2012), M. è in stato di detenzione amministrativa da quasi quattordici mesi, prima presso il CIE di Gradisca d’Isonzo, poi nel centro di identificazione ed espulsione di Trapani e infine di nuovo a Gradisca. M. ha già compiuto un grave atto di autolesionismo e dal suo ultimo ingresso nel CIE friulano, a maggio del 2012, ha perso 10 chili di peso. Medici per i Diritti umani (MEDU), che segue il caso da diverse settimane, ritiene le condizioni psico-fisiche di M. incompatibili con il trattenimento all’interno del CIE e chiede che il paziente sia urgentemente rilasciato dalla struttura in modo da poter accedere alle adeguate cure specialistiche.

E’ M. stesso a rendere pubblica la sua drammatica storia. Arriva per la prima volta in Italia, a Lampedusa, nell’ottobre del 2010. Nel dicembre del 2011 viene internato nel CIE di Gradisca, poi successivamente è trasferito a Trapani e poi ancora riportato al centro di identificazione ed espulsione di Gradisca senza che si possa procedere al suo rimpatrio. Ai primi di dicembre, dopo che il Giudice di pace decreta l’ennesima proroga di due mesi del suo trattenimento, M. viene trasferito d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale di Gorizia dopo aver ingerito numerosi farmaci e innumerevoli monete. Gli viene praticata la lavanda gastrica e successivamente viene ricondotto al CIE. Il giorno seguente viene sottoposto presso lo stesso nosocomio a visita psichiatrica con diagnosi di reazione da stress ambientale, calo ponderale importante in sindrome depressiva reattiva. Lo psichiatra, nel prescrivere la terapia farmacologica per l’insonnia e l’ansia, ritiene “assolutamente urgente” velocizzare il più possibile l’uscita dal CIE ritenendo che la situazione ambientale possa peggiorare ulteriormente il quadro. Nonostante ciò il trattenimento nel CIE prosegue. Alla fine di dicembre una nuova visita psichiatrica riscontra un peggioramento del quadro (“grave sindrome depressiva con importante dimagrimento”), specificando che “la situazione psico-patologica è sicuramente reattiva al trattenimento nel CIE”.

Il primo di gennaio M. comincia a rifiutare acqua, farmaci e cibo. In otto giorni perde sette chili. Il tre gennaio compie un ulteriore atto di autolesionismo riportando una ferita superficiale al gomito sinistro. Viene chiamato il 118 ma il paziente rifiuta il trasporto in ospedale. Una relazione dello psicologo del CIE sottolinea le buone condizioni generali di salute di M. all’ingresso nel CIE e un atteggiamento collaborativo e positivo del paziente nei confronti degli operatori del centro e degli altri migranti. La relazione prosegue evidenziando un progressivo peggioramento dello stato psico-fisico nel corso del tempo e la graduale comparsa di una sintomatologia ansioso-depressiva con conseguente e significativo calo ponderale. Lo psicologo riscontra inoltre la compatibilità dei sintomi di M. con i criteri propri del disturbo depressivo maggiore. Il giorno otto gennaio, i sanitari del centro, certificandone lo “stato cachettico” e l’evidente condizione di disidratazione, inviano nuovamente il paziente al pronto soccorso per accertamenti.

Dopo nove giorni dall’inizio del digiuno, la direzione sanitaria del centro annota che “l’ospite ha ripreso ad alimentarsi e a reidratarsi per cui tenendo presente la compatibilità dei parametri vitali e soprattutto la volontà di riprendere a mangiare e bere, si ritiene attualmente compatibile dal punto di vista organico il suo trattenimento presso il CIE Gradisca salvo ulteriori ripensamenti autolesionistici”. Il 12 gennaio M. è nuovamente ricondotto ai servizi psichiatrici territoriali dove un’ulteriore consulenza specialistica conferma il quadro di grave sindrome depressiva reattiva e chiede, per la terza volta, l’urgente rilascio dal CIE. Il paziente rifiuta di assumere la terapia psichiatrica prescrittagli. Il 22 gennaio il paziente comincia di nuovo a rifiutare alimenti e bevande andando incontro ad un nuovo calo ponderale. M. chiede di poter essere visitato da un medico di MEDU di sua fiducia. Il colloquio viene concesso ma, da regolamento, per soli venti minuti, attraverso una barriera di plexiglass e in presenza di due agenti di pubblica sicurezza. Al momento dell’incontro, il medico riscontra lo stato di notevole sofferenza del paziente e, dopo aver a lungo interloquito con gli agenti, ottiene unicamente un breve tempo supplementare per il colloquio.

Il provvedimento di detenzione amministrativa in un CIE, che secondo la normativa europea e la legge italiana dovrebbe essere finalizzato esclusivamente ad effettuare il rimpatrio del cittadino straniero, appare essere stato protratto in questo caso oltre ogni ragionevolezza, ledendo gravemente valori fondamentali come la salute e la dignità umana.

Come riscontrato da un suo team in una recente visita (ottobre 2012), Medici per i Diritti Umani ritiene le condizioni di vita all’interno del CIE di Gradisca, estremamente afflittive e del tutto inadeguate a garantire i fondamentali diritti della persona e pertanto non compatibili con il trattenimento di un paziente sofferente come M. MEDU richiede pertanto che M. sia urgentemente rilasciato in modo tale da evitare ulteriori e imprevedibili aggravamenti e da potergli assicurare le adeguate cure specialistiche.

a cura di medici per i diritti umani, Roma, 30 gennaio 2013


Olanda – Si chiudono le carceri per mancanza di criminali

closedLEGALIZZARE ALCUNE DROGHE ha portato di fatto ad un minor numero di criminali in Olanda, paese che oggi e’ in procinto di chiudere otto carceri. Un’altra notizia dopo quella della chiusura della McDonald’s in Bolivia che fara’ morire di invidia gli italiani.L’Olanda chiudera’ otto carceri perche’ non riesce a riempire la capacita’ di 14 mila persone del suo sistema carcerario. Attualmente sono 12 mila i detenuti in questo paese che negli anni novanta aveva il problema del sovraffollamento. Una delle ragioni per cui si e’ avuto un calo del tasso di criminalita’, sembra essere correlato alla legalizzazione di alcune droghe (probabilmente accompagnato da una politica educativa rispetto ai suoi usi ed effetti).Il ministro della Giustizia Nebahat Albayrak ha annunciato che otto prigioni verranno chiuse a breve e che 1200 posti di lavoro andranno persi, anche se stanno valutando l’ipotesi di ospitare i detenuti del Belgio.Negli Stati Uniti, il paese con l’incarcerazione media piu’ alta e un totale di oltre 2,3 milioni di detenuti, una delle obiezioni che sono state fatte prima della legalizzazione della marijuana, e’ che questo avrebbe generato piu’ reati e aumentato il consumo, ma quello che e’ successo in Portogallo e Olanda smentisce queste teorie.L’Olanda ha una popolazione di 16,6 milioni di abitanti e solo 12 mila detenuti, la sola California invece, per esempio, ha una popolazione di 36,7 milioni con 171 mila detenuti nelle carceri, molti dei quali in prigione solo per fumare o vendere marijuana. Ma evidentemente qualcuno negli States preferisce riempire le carceri di giovani piuttosto che lasciarli nelle strade.

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Carcere di Capodimonte: detenuto somalo tenta il suicidio con una corda rudimentale

Tentato suicidio nella serata di ieri alla Casa circondariale di contrada Capodimonte. Per cause ancora in corso di accertamento, un uomo di nazionalità somala, detenuto per presunti reati di pirateria, avrebbe tentato di impiccarsi nella sua cella. A darne notizia è la segreteria locale del Sinappe, il Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria.

suicideIl fatto sarebbe accaduto verso le 19:30 nel reparto autonomo del carcere beneventano. L’uomo, detenuto in una cella singola, avrebbe costruito una corda rudimentale sottilissima, formata da elastici e pezzi di plastica, e l’avrebbe legata alle sbarre della finestra prima di compiere l’insano gesto.

Da qui il tentativo, aiutato anche da uno sgabello. Tempestivo è stato però l’intervento di un agente della polizia penitenziaria, D.M., che ha soccorso l’uomo, già in stato di sofferenza, evitando il peggio.

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Colpiscono sorvegliante con un martello e evadono da carcere minorile, presi

E’ successo all’istituto penale di Casal del Marmo. A tentar la fuga due romeni, entrambi arrestati poco dopo. La vittima ha riportato un trauma cranico alla nuca e una profonda ferita al volto

thorSono evasi dall’istituto penale minorile di Casal del Marmo dopo aver colpito un educatore alla testa con un martello, ma sono stati bloccati poco dopo dalla polizia penitenziaria con l’aiuto di un carabiniere fuori dal servizio. A tentare la fuga sono stati due giovani romeni, entrambi maggiorenni (negli istituti penali minorili sono presenti detenuti fino a 21 anni di età).

I due sono stati arrestati per evasione e lesioni, ma l’accusa potrebbe aggravarsi per tentato omicidio dopo il referto medico dell’educatore ferito. La vittima ha perso conoscenza per diversi minuti ed è poi rinvenuto nel pronto soccorso dell’ospedale San Filippo Neri. Ha riportato un trauma cranico alla nuca e una profonda ferita al volto, sotto lo zigomo.

I due giovani romeni sono scappati intorno alle 12, mentre erano impegnati all’interno del carcere in un’attività rieducativa: dopo aver ferito alla testa l’educatore con un martello, hanno scavalcato un muro. Gli evasi sono stati bloccati in due diversi momenti nei pressi della stazione Monte Mario, poco distante dal luogo della fuga. Probabilmente, erano intenzionati a salire su un treno. Decisivo ai fini dell’arresto, l’aiuto di un carabiniere in borghese che si trovava sul posto.

Fonte: repubblica.it

 

 


Aldrovandi, carcere per tre dei quattro agenti condannati

GIUSTIZIA NON è STATA FATTA! ASSASSINI!

Il tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta del pg. Ora Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto passeranno i prossimi 6 mesi dietro le sbarre invece che ai servizi sociali come richiesto dai loro difensori. Per il quarto poliziotto, Enzo Pontani, sentenza prevista a fine febbraio. La madre di Aldro: “Ora la radiazione dalla polizia”

processo-aldrovandi-ferrara-11Sconteranno i sei mesi residui della condanna in carcere tre dei quattro  poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Il tribunale di sorveglianza di Bologna ha accolto oggi la richiesta del procuratore generale Mirella Bambace per Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto che verranno raggiunti adesso dall’avviso di carcerazione. Della condanna a tre anni e mezzo per i fatti del 25 settembre 2005, grazie all’indulto, devono scontare solo sei mesi. Ma quei sei saranno sotto forma di arresto e non, come richiesto dalle difese, in affidamento ai servizi socialmente utili. Per il quarto agente, Enzo Pontani, la sentenza arriverà a fine febbraio, sempre dalTribunale di Sorveglianza, per un vizio di notifica.

Una sentenza, quella del tribunale felsineo, che segna un precedente nella giurisprudenza italiana. “Dal 1975 ad oggi non si è mai registrato un caso di arresto per un delitto colposo”, argomentava prima della diffusione della notizia l’avvocato Gabriele Bordoni, difensore di Forlani. Una decisione insomma che fa scuola ma che non chiude ancora del tutto la battaglia per ottenere giustizia portata avanti dai genitori di Federico. Che ora attendono il pronunciamento del ministero a livello disciplinare, che potrebbe portare alla sospensione o addirittura alla destituzione dei quattro agenti dal corpo di Polizia dello Stato.

E infatti questa “è la prossima tappa della nostra battaglia per aggiungere un altro tassello, quello definitivo, verso la verità e la giustizia”, conferma il padre di Federico, Lino Aldrovandi. Per lui, che da quel 25 settembre ha iniziato a contare letteralmente i giorni da quando è orfano del figlio, “quella di oggi è una notizia che non mi rende felice, come in molti mi han chiesto, ma è quantomeno un segnale verso il cielo. Federico non tornerà, ma chi lo ha ucciso pagherà quaggiù per quello che ha fatto. Davanti a me rimangono le immagini del suo corpo martoriato e delle sue urla di aiuto, quei “basta!” rimasti inascoltati”.

Per Fabio Anselmo, l’avvocato che ha seguito la vicenda fin dai suoi inizi, “oggi è stato dato un segnale di speranza anche a chi sta portando avanti identiche battaglia, come Ilaria, Lucia e Domenica (rispettivamente sorelle e figlia di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e Michele Ferrulli,vittime di casi simili a quello di Aldrovandi); una speranza che la giustizia sia uguale per tutti”.

“È la condanna massima che il tribunale di sorveglianza poteva esprimere e l’ha espressa”, spiega la madre del ragazzo ucciso, Patrizia Moretti, “Una decisione che acquista un alto valore simbolico, non tanto per il carcere in sé, ma per chi vi è condotto. Premesso che chi uccide una persona merita di entrare in una cella, questo verdetto si allinea a una condanna sociale. Spero che sia il preludio alla loro radiazione dalla polizia. Le forze dell’ordine non devono ammettere né tollerare forme di violenza verso le persone. Questa è la condizione necessaria perché quello accaduto a Federico e ad altri come lui non accada mai più”.

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Condanna Italia per detenuto Foggia

europaSTRASBURGO, 29 GEN – L’amministrazione penitenziaria del carcere di Foggia non ha fornito cure adeguate a un detenuto, Bruno Cirillo, affetto da una paralisi parziale del braccio sinistro. La Corte dei diritti dell’uomo ha quindi condannato oggi l’Italia per trattamento inumano e degradante del detenuto riconoscendogli un risarcimento per danni morali di diecimila euro.


Siria: battaglia nel carcere di Idlib con almeno 10 morti, i ribelli liberano più di 100 detenuti

Medio Oriente, addestramento di ribelli siriani

I ribelli siriani hanno liberato più di cento detenuti nel corso di una battaglia contro le truppe del regime in un carcere alla periferia di Idlib, nel nordovest del Paese. Lo ha annunciato l’Osdh, l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Almeno dieci ribelli sono stati uccisi nei combattimenti all’interno del carcere, ha indicato l’Osdh, che si basa su una rete di attivisti e medici per le sue ricostruzioni. “I ribelli sono riusciti a liberare più di cento prigionieri dalla scoppio dei combattimenti, ma non hanno assunto il controllo della prigione”, ha spiegato il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman.
I video pubblicati dagli attivisti hanno mostrato i ribelli all’interno del penitenziario, che si trova all’ingresso ovest della capitale provinciale. La città resta sotto il controllo del regime, mentre la provincia di Idlib è in larga parte nelle mani dell’opposizione. Decine di prigionieri sono state mostrate uscire dal carcere – sotto la protezione dei ribelli – mentre alle loro spalle si avvertivano raffiche di arma da fuoco ed esplosioni. La battaglia in carcere segue una giornata in cui 168 persone – 63 soldati, 60 ribelli e 45 civili – sono state uccise in tutta la Siria.

Fonte:  Tm News, 27 gennaio 2013


Catania: agente di polizia penitenziaria ferito in rissa tra detenuti nell’Ipm di Acireale

009 testa a testa comicoUn agente di polizia penitenziaria è rimasto ferito durante una rissa tra detenuti dell’istituto per minorenni di Acireale. Lo rende noto la Fns-Cisl di Catania. “Oggi poteva scapparci il morto – afferma il segretario del sindacato, Antonio Sasso – i pochi uomini rimasti sono allo stremo delle forze sia fisica che psicologica, per i continui turni massacranti scaturiti da tale carenza. O si invia subito un folto contingente di agenti – osserva il sindacalista – oppure l’Istituto penitenziario per minorenni di Acireale deve essere accorpato urgentemente con la struttura di Bicocca, a Catania”.

ANSA


Spagna: Sul caso della prigioniera in lotta Noelia Cotelo Riveiro

Noelia Cotelo Riveiro è una giovane donna da A Coruña, Spagna nordoccidentale, la sua condanna a servire è stata fissata ad un anno e mezzo, dopo aver rubato una macchina per acquistare della droga. All’interno della prigione, la situazione si è complicata, ed essa si è difesa dai carcerieri. Ora, 5 anni dopo, si trova ancora in carcere.

Noelia-noIl 23 Ottobre 2012, Noelia stava parlando con la sua madre al telefono, spiegando che cosa stava succedendo all’interno del carcere di Brieva (Ávila, Spagna centrale). Ad un certo punto, una guardia femmina l’ha invitata brutalmente a finire la conversazione, urlando verso di lei: “BRUTTA BASTARDA, METTI GIÙ IL TELEFONO”, ma lei ha rifiutato. Dopo una lite con la guardia umana, cinque altri carcerieri l’hanno costretto di lasciare il telefono afferrando il suo polso con forza e rompendolo. L’hanno spostato nella sua cella e l’hanno lasciata ammanettata al letto fino al giorno successivo, senza alcuna assistenza medica. Il giorno dopo, su suggerimento del medico del carcere, è stata trasferita in un ospedale per essere trattata. Le lesioni e le cure prescritte sono dettagliate nella relazione medica.

Durante la notte del 23 Ottobre fino alla mattina del 24, Noelia dormiva ammanettata al letto nella sua cella. Si svegliò ed ha colsi una guardia con il nome di Jesús (il quale avevano partecipato all’aggressione di sopra) che toccava il suo seno e il petto. Preso alla sprovvista e al tentativo di nascondere la propria identità, il carceriere ha gettato il contenuto di una bottiglia d’acqua in faccia di Noelia. Le detenute nelle celle adiacenti sono state svegliate dalla risa e dalla fuga del carceriere.

Inoltre, sembra che una delle valigie di Noelia (con i suoi vestiti invernali) è stata rubata dal magazzino della struttura carceraria. A quanto pare, i suoi vestiti sono stati distribuiti al resto delle prigioniere, dal momento che una di loro, Maria Luisa, ha restituito a Noelia alcuni dei suoi vestiti.

Come tutti sappiamo, questo non è una ricorrenza isolata; vogliamo segnalare la situazione di Noelia, così come quella di molte altre donne e uomini imprigionati che vengono sistematicamente aggrediti. Noelia è stata appena trasferita dalla prigione di Picassent (Valencia), dove aveva presentato una denuncia per maltrattamento.

Dopo questo e la presentazione di una nuova denuncia, Noelia ha iniziato uno sciopero della fame come mezzo di protesta, segnalando e ribellandosi contro la sua situazione, rendendo visibili gli atti i silenzi del sistema. Tuttavia, ha dovuto abbandonare dopo solo 5 giorni perché le guardie della prigione hanno usato il diritto della visita di sua madre per ricattarla e farle pressione per abbandonare la sua protesta.

Durante il mese di Novembre, una guardia femmina ha sbattuto la porta della cella sulla mano rotta di Noelia; le sono state negate le cure mediche; è stata costretta a fare la doccia con acqua fredda; le sue comunicazioni sono state intercettate, e, al fine di isolarla, le sono state negate le visite o le sue ore di visita sono state ridotte. Nei primi di Dicembre, i pasti di Noelia venivano serviti su vassoi preparati da prima, mentre il resto dei prigionieri poteva guardare il loro cibo mentre veniva servito; subito dopo aver mangiato, Noelia dormiva fino la sera, che non era la sua abitudine. Non le è stato permesso di controllare il suo cibo.

Il 9 Dicembre, una marcia è stata richiamata verso la prigione di Brieva a sostegno di Noelia e contro le torture quotidiane e gli abusi subiti in carcere. Decine di persone si presentarono per mostrare il sostegno e la solidarietà con la nostra compagna. Nonostante la forte presenza della Guardia Civile (polizia militare), è stata un’esperienza positiva. Non sono stati in grado di rompere i legami creati dalle grida di sostegno da parte delle donne dall’interno che abbiamo potuto sentire attraverso le mura della prigione.

Il 14 Dicembre, il prigioniero anarchico, Juan Carlos Rico Rodríguez, ha mostrato la sua solidarietà con Noelia attraverso il seguente comunicato.

Oggi, ho saputo attraverso alcuni amici che una compagna nel carcere-macello femminile di Brieva, è stata torturata, e che le guardie carcerarie hanno anche cercato di molestarla sessualmente (cosa che non è “anormale” per niente nelle carceri-macelli Spagnoli) . La nostra compagna si chiama Noelia Cotelo. Mia figlia Noelia (12 anni) e la mia altra figlia Selena (16 anni) sono imprigionate; Noelia si trova a Valladolid (Via Pajarillos 1) e Selena si trova ad Ávila, un altro centro di detenzione giovanile, come sono eufemisticamente chiamate le prigioni per i bambini. Sono stato in prigione per 14 anni. Eppure, sono perfettamente consapevole del fatto che in una società patriarcale come la nostra, le donne imprigionate portano un doppio fardello: il loro status come prigioniere, e come DONNE. Non riesco a eliminare i responsabili diretti di questa violenza contro le donne nelle istituzioni dello STATO OMICIDA con le mie mani (che è ciò che questi tiranni meritano). Perciò, voglio esprimere la mia SOLIDARIETÀ, non solo con Noelia e le mie figlie, ma estenderla anche a tutte le donne del mondo che soffrono la TORTURA della prigione. Dovremmo tenere a mente che qualsiasi tipo di sistema che infligge questo tipo di trattamento sulla popolazione “femminile” all’interno del carcere-macello, così come coloro che lo sostengono, è un sistema/persona malato. E tale “malattia” deve essere estratta dalle radici, qualsiasi sia il costo. In risposta a questa crudeltà, scendo in digiuno simbolicamente il 24 Dicembre, 25 e 31, 2012 e il 1 e 6 Gennaio, 2013.

ELIMINARE UNA VOLTA PER SEMPRE TUTTE QUESTE PRATICHE E LORO CHE LE PRATICANO!

Questo è anche un richiamo alla “società libera”: VENDETTA!

Juan Carlos Rico Rodríguez. Prigione-macello di Aranjuez (Braccio 1, Madrid, Spagna)

neliaIl 14 Gennaio 2013, siamo stati informati che, dopo i disordini del fine Dicembre nel carcere di Brieva, l’orario di aria aperta di Noelia Orario è stato ridotto dalle 3 ore a 1 ora al giorno – o talvolta solo mezz’ora. Oltretutto, la guardia carceraria che l’aveva aggredito sessualmente ha presentato una contro-denuncia contro Noelia, dicendo che era lei l’aggressore; ora lei è quella che soffre le conseguenze, trascorrendo 28 giorni in isolamento.

Dopo tutto questo la nostra compagna non è ancora disposta a contribuire al proprio silenzio ed accettare questi termini. Noelia ha deciso di iniziare uno sciopero della fame a tempo indeterminato l’8 Gennaio, con il sostegno de* suo* compagn* prigionier* in lotta. Le sue richieste sono:

* La fine dei maltrattamenti, delle torture, dei trattamenti degradanti, dei pestaggi, e degli abusi verbali in tutte le carceri;

* La fine della collusione tra medici e giudici;

* Non più un episodio di violenza sessista contro le donne, non più nonnismo e non più un assalto sessuale. Nessun carceriere di sesso maschile negli bracci e le carceri femminili;

* Che nessuna legge o sentenza possa separare una famiglia. No alla dispersione di quelli in prigione. Ogni persona deve rimanere nel suo luogo di residenza. che non ci siano più costanti trasferimenti da un carcere all’altro;

* Che tutte le persone in carcere sono trattate con dignità, che sono forniti con i loro trattamenti, che sono frequentati dal personale medico necessario. Che tale servizio sanitario, qualcosa di così universale, raggiunga tutti. Che non ci siano più MORTI in carcere. Basta con i casi di mallasanità;

* Che non ci vengono dette più bugie – la riabilitazione non è umiliazione. Non abbiamo bisogno di essere assimilati da nessuna parte, abbiamo bisogno di rispetto. L’odio e la violenza generano solo più odio la violenza;

* Che la cosiddetta trasparenza raggiunga le istituzioni penitenziarie e qualsiasi cosa a loro riguardo. Fine all’impunità. Non più insabbiamenti degli omicidi di Stato;

* Che questa farsa volge al termine. Che la povertà non sia punita con la reclusione, che le prigioni traggono profitto dalla povera gente. Che questo sistema mercantilista finisca. Siamo persone, non monete.

Il 16 Gennaio, Noelia ha chiesto di visitare il medico perché aveva un’infezione all’orecchio che si era diffusa alla bocca, diventando molto infiammata. Ma le guardie della prigione hanno risposto che nessun medico l’avrebbe ricevuta, ma se voleva, un carceriere chiamato Adelardo l’avrebbe assistita. Un po’ prima, questo stesso carceriere le ha dato un dosaggio sbagliato di metadone e quasi la fece morire di overdose. Quando arrivò, Noelia gli chiese se poteva andare da un medico, e lui rispose che non aveva bisogno di un medico, perché sarebbe morta lì. Dopo questo incidente con il carceriere Adelardo, Noelia è stata spostata in un’altra cella con una finestra aperta… perfetta per la sua infezione all’orecchio. Si noti che non c’è il riscaldamento nel carcere di Brieva (dove le temperature massime sono 10°C) e che la maggior parte dei suoi abiti invernali sono stati rubati.

Il 25 Gennaio, c’è stato un raduno in piazza Paeria (Lleida) a sostegno di Noelia, che è ancora in sciopero della fame.

Noelia non è sola!
Abbasso le prigioni! Non più prigionieri!

Se volete scrivere e mostrare il vostro sostegno:
Noelia Cotelo Riveiro
CP. Brieva
Ctra. de Vicolozano; 05194
Brieva – (Ávila)
Spain

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Valdivia, Cile: protesta detenuti repressa con botte e cani!

abuso_di_potere_largeDai compagni di PublicacionRefractario si viene a sapere che i prigionieri del modulo 31,  del carcere -impresa (Concessionada) di Llancahue, il 5 gennaio scorso hanno protestato contro gli abusi nei loro confronti. I secondini e il personale anti-sommossa hanno represso la protesta assalendo con i cani e picchiando i prigionieri. I detenuti hanno contattato vari gruppi di media e praticamente hanno fatto sapere che un detenuto è sul punto di perdere un rene a causa delle percosse.

I 16 prigionieri del modulo hanno detto, inoltre, che i carcerieri hanno rotto loro gli oggetti di igiene personale di rompere la loro igiene personale e spruzzato sul loro cibo un gas-pepe, oltre alla furiosa  aggressione.

Secondo l’ospedale della prigione il detenuto ferito non aveva lesioni di ogni tipo, poi uno dei paramedici ha rivelato con una spiegazione imbarazzante che “questo era dovuto al fatto che l’uomo era nero, così non gli è stato possibile vedere le ferite “.

L’Istituto Nazionale dei Diritti Umani ha lanciato un appello contro le guardie con l’accusa di tortura, ha nominato un procuratore speciale della corte di appello (Dario Carreta), ha arrestatoo  il ministro della giustizia (Patricia Perez) ed il capo della gendarmeria(Luis Masferrer) determinando l’avvio di una indagine sui fatti accaduti.

Fonte


Carceri in GB, donne, minori e adulti, violati i diritti

Ragazzini nel carcere con gli adulti: choc in Inghilterra

jail 4Minorenni trasferiti nelle strutture penitenziarie ordinarie, in violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite: nel Regno Unito si grida allo scandalo.

Minorenni nelle galere per adulti. Una eventualità che viola gli accordi internazionali sul tema dei diritti dei minori. Il fatto scrive il quotidiano Independent, è avvenuto in Inghilterra e il ministro britannico della Giustizia Minorile, Jeremy Wright, ha ammesso che nel 2011 alcuni minorenni sarebbero stati trasferiti dalla custodia minorile, alle carceri. La questione era già all’attenzione della politica inglese da qualche tempo e, come già detto, vìola l’articolo 37 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite, che obbliga “la separazione carceraria tra adulti e minori, a meno sia necessario per il minore rimanere in costante presenza di adulti”.

Dopo essere stata dibattuta per la prima volta in Parlamento lo scorso 10 gennaio, la questione dovrà essere affrontata con grande rapidità per non incorrere nelle sanzioni delle Nazioni Unite.

Gb non rispetta condizioni carcere donne

teen-faces-sexual-exposing.nIgnorati standard dettati da Onu, centinaia i casi

La Gran Bretagna e’ lontana anni luce dagli standard delle Nazioni Unite sulla detenzione carceraria femminile e secondo uno studio le condizioni in cui le donne sono tenute in prigione sono in un gran numero di casi “ingiuste, sbagliate, non rispettose dei diritti umani”. Lo studio, condotto da Rachel Halford, direttrice del gruppo ‘Donne in carcere’, sostiene che il Regno Unito pur avendo firmato 2 anni fa un protocollo sui nuovi standard dell’Onu non ha finora ottemperato a tali direttive.

Fonte 1 e 2


Palermo, agente penitenziario riceve pacco bomba

Bomba-Food-280x280Sembrava la solita agenda-regalo, ma si trattava di un ordigno esplosivo. Paura al carcere di Pagliarelli di Palermo dove un pacco bomba è stato consegnato a un sovrintendente di polizia penitenziaria in servizio. Pensando, dal mittente, che si trattasse di un’agenda spedita da un sindacato di polizia, l’ha portato a casa, dove l’ha aperto, rendendosi conto poi dell’ordigno, che fortunatamente non è esploso: le batterie si sarebbero scaricate per via del tempo troppo lungo trascorso tra la spedizione e la sua apertura.

Il fatto, che risale al 22 gennaio scorso, è stato reso noto dal vice segretario generale dell’Osapp, sindacato degli agenti di custodia, Mimmo Nicotra. «Il sovrintendente al quale era destinato – ha detto Nicotra – stava trascorrendo un periodo di ferie. Quando è tornato in servizio, pensando che il sindacato, al quale peraltro non è iscritto, gli avesse spedito un’agenda, l’ha portato a casa. Quando si è accorto dell’ordigno ha chiamato gli artificieri». «Fortunatamente – ha aggiunto Nicotra – il lasso di tempo tra la spedizione dell’ordigno e la sua apertura è stato abbastanza lungo da favorire l’azzeramento delle batterie che presumibilmente avrebbero dovuto garantire prima l’innesco e poi l’esplosione del pacco bomba».

«Questo episodio è molto grave – chiosa Nicotra – e prima che in Sicilia si torni indietro di decenni lo Stato deve porre in essere immediati correttivi al sistema penitenziario prevedendo da subito l’incremento di personale di polizia penitenziaria ed un progressivo sfollamento delle strutture penitenziarie. Questa volta si può parlare fortunatamente di un pacco bomba inesploso, ma fino a quando si potrà contare solo sulla buona sorte?».

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“Fuga” da casa: dal centro di cura al carcere

MODICA – 28/01/2013 – I poliziotti erano andati a prelevarlo ma l´uomo se l´era filata da una porta secondaria

old-boyFugge da casa, dov’era ai domiciliari, per non farsi trovare dai poliziotti che avevano bussato alla porta per condurlo in una casa di cura e custodia del centro Italia. Adesso si ritrova di nuovo rinchiuso nel carcere di Piano del Gesù a Modica Alta. Quest’ultimo colpo di testa è costato caro al modicano Salvatore Cataldi, 46 anni, di recente finito in manette per aver picchiato un´avvocatessa 40enne a Ragusa dopo che quest’ultima si era rifiutata di difenderlo in un’aula di tribunale. Proprio a seguito di questo episodio, gli agenti si erano presentati ieri mattina al domicilio dell’uomo per notificargli il provvedimento di custodia emesso dal tribunale di Messina, che, come accennato, disponeva il ricovero in un centro specializzato.

Cataldi, invece di aprire ai poliziotti, se l’è filata da una porta secondaria sul retro, di cui gli agenti ignoravano l’esistenza. C’è voluto poco per scoprire la fuga del modicano, che, poche ore dopo, si è convinto a far rientro a casa, dove i poliziotti lo stavano ancora attendendo. A causa di questo ennesimo colpo di testa, però, la destinazione è cambiata: non più la casa di cura, ma la cella del carcere. Salvatore Cataldi non è nuovo ad episodi del genere: oltre a picchiare l’avvocatessa di Ragusa, l’uomo aveva tempo fa danneggiato il portone dello studio di un altro avvocato di Modica, spingendosi addirittura a minacciare un giudice nel corso di un’udienza al tribunale di Ragusa.

Era stato il gip del tribunale modicano a concedere i domiciliari a Cataldi, dopo che questi, nell’interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere sull’episodio delle botte all’avvocatessa.

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Regno Unito: Rilasciato Gavin Medd-Hall

Dopo 4 anni è stato finalmente rilasciato anche l’attivista contro la vivisezione Gavin Medd-Hall, che si trovava in carcere dal Gennaio del 2009 con accuse di “cospirazione” in riferimento alla campagna SHAC, contro il laboratorio inglese di sperimentazione Huntingdon Life Sciences.

libertàLa pesante repressione scatenatasi negli ultimi anni, specialmente in Inghilterra e Usa, contro gli attivisti della campagna SHAC è nota. È degli ultimi giorni la notizia di ulteriori arresti in Inghilterra.

Il 25 Ottobre 2010 sei attivisti di liberazione animale (Alfie Fitzpatrick, Tom Harris, Jason Mullen, Nicola Tapping, Nicole Vosper, Sarah Whitehead) sono stati condannati per il loro coinvolgimento nella campagna SHAC (Stop Huntingdon Animal Cruelty). Gli attivisti avevano patteggiato riguardo ad accuse di “cospirazione ad interferire nelle relazioni contrattuali di un’organizzazione che fa ricerca su animali” o “cospirazione al ricatto” verso compagnie legate al noto laboratorio di sperimentazione animale Huntingdon Life Sciences.

Sette altri attivisti (Dan Amos, Gregg Avery, Natasha Avery, Gavin Medd-Hall, Heather Nicholson, Gerrah Selby, Dan Wadham) sono stati incarcerati nel Gennaio 2009 in seguito a condanne su accuse simili.

La persecuzione puramente politica e le condanne dure e ingiuste sono un tentativo del governo inglese di distruggere il dissenso e di fermare chiunque tenti di opporsi alla vivisezione.

Dan Amos
Dopo aver scontato 2 anni di carcere, Dan è stato rilasciato nel Luglio 2010.
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Gregg Avery
Gregg è stato rilasciato in Ottobre 2011 dopo aver completato la sua sentenza di 9 anni.
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Natasha Avery
Natasha è stata rilasciata in Ottobre 2011 dopo aver completato la sua sentenza di 9 anni.
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Alfie Fitzpatrick
Sentenza: 1 anno con pena sospesa.
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Tom Harris
Sentenza: 5 anni.
In Gennaio 2011, alla sentenza originaria di Tom (4 anni) è stato aggiunto 1 anno dopo che è stato riconosciuto colpevole di coinvolgimento in vandalismo contro compagnie legate ad Huntingdon Life Sciences nel 2008.
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Gavin Medd-Hall
Gavin è stato rilasciato in Gennaio 2013 dopo aver scontato 4 anni su una sentenza di 8 anni.
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Jason Mullen
Jason è stato rilasciato in Ottobre 2011 dopo aver completato la sua sentenza di 3 anni.
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Heather Nicholson
Heather è stata rilasciata in Novembre 2012 dopo aver completato la sua sentenza di 11 anni.
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Gerrah Selby
Gerrah è stata rilasciata nel Gennaio 2011.
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Nicola Tapping
Nicola è stata rilasciata in Marzo 2011 dopo aver completato la sua sentenza di 1 anno e 3 mesi.
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Nicole Vosper
Dopo aver scontato 21 mesi in prigione, Nicole è stata rilasciata nel Dicembre 2010.
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Dan Wadham
Dan è stato rilasciato in Luglio 2011 dopo aver completato la sua sentenza di 5 anni.
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Sarah Whitehead
Sarah è stata rilasciata dal carcere in Giugno 2012 dopo aver completato la sua sentenza di 6 anni.

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Turchia: ergastolo per ‘terrorismo’ a sociologa Pinar Selek

ANKARA, 24 GEN – La nota sociologa turca in esilio in Francia Pinar Selek e’ stata condannata oggi all’ergastolo per ‘terrorismo” da un tribunale di Istanbul.

pinarLa sociologa e’ stata giudicata per la quarta volta per complicita’ in un’esplosione che fece sette morti nel 1988 nel Bazar delle Spezie di Istanbul, di cui e’ pero’ contestata la matrice terroristica. Era stata assolta nei tre precedenti giudizi.

Selek, che oggi vive a Strasburgo, non e’ rientrata in Turchia per il processo. La sentenza ha provocato reazioni di sgomento e di indignazione fra i suoi numerosi sostenitori presenti nell’aula. Ci sono state grida ”fascisti! fascisti!” da parte di alcune attiviste straniere. La decisione di sottoporla a un nuovo processo presa alla fine dell’anno scorso dalla Corte di cassazione aveva gia’ provocato forti polemiche in Turchia e nel mondo. Numerosi intellettuali e artisti turchi si sono mobilitati in sua difesa. L’attrice Deniz Turkali ha parlato di un ‘processo farsa’. Il sindaco di Strasburgo, il socialista Roland Ries, si e’ schierato a fianco della sociologa turca denunciando ”l’accanimento giudiziario di alcuni magistrati, per motivi politici”.

Selek, allora giovane sociologa di 28 anni nota per le sue ricerche sulla minoranza curda, era stata arrestata nel 1998 e accusata di complicita’ con i ribelli separatisti del Pkk sospettati di essere responsabili dell’esplosione del bazar delle Spezie. Una nuova perizia nel 2000 aveva pero’ concluso che l’esplosione era dovuta ad una fuga di gas. Sulla base di questa perizia Selek era stata precedentemente assolta.

Fonte:  ANSAmed


Bergamo – Il carcere miete l’ennesima vittima (aggiornato)

da informa-azione

Nella giornata del 24 gennaio 2013, un detenuto nel carcere di Bergamo si è tolto la vita.

lacrime-di-rabbia-e-dolore-L-5YQOHNDei suoi compagni di prigionia si erano accorti che nell’aria c’era qualcosa che non andava e hanno dato subito l’allarme, ma le guardie accorse non hanno voluto aprire le sbarre immediatamente. Quando lo hanno fatto, ormai era troppo tardi. Non sappiamo ancora quale era il suo nome, sappiamo solamente che era originario della Colombia. L’informazione ci è pervenuta dalla moglie di un detenuto rinchiuso in quella sezione.

Aggiornamento

Il gesto estremo è avvenuto giovedì 24 gennaio, quando un ragazzo di 23 anni  ha atteso di restare da solo in cella e si è impiccato. Il giovane era stato detenuto per aver violato gli obblighi previsti dagli arresti domiciliari. Indagato per una rapina, il magistrato aveva scelto comunque di imporrgli la misura cautelare, nonostante fosse incensurato e avesse sempre professato la propria innocenza . il giorno prima del suicidio, il detenuto aveva saputo in carcere di essere stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione.  Era davvero necessario sottoporre agli arresti domiciliari un giovane incensurato in attesa di giudizio? Secondo i dati di Ristretti Orizzonti questo è l’ottavo suicidio che avviene nel carcere di Bergamo negli ultimi 10 anni.

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Evasione di massa dal carcere in Brasile

27gennaio2013 – Circa 30 detenuti del penitenziario Profesor Anníbal Bruno, nella città di Recife,
(Brasile nord-orientale) son riusciti ad evadere dalla prigionia dopo una rivolta,
così riferisce la polizia.

liberiI fatti sono avvenuti questa mattina, quando i prigionieri approfittando delle visite
dei familiari, hanno preso in ostaggio mogli e fidanzate per fuggire dal centro, ubicato
nella zona ovest di Recife.

La polizia militare riferisce che la sommossa ha portato ad un bilancio di 5 detenuti
e di due guardie, feriti da proiettili, e che sedici fuggiaschi sono stati catturati poche
ore dopo nelle vicinanze della prigione.

Qualche testimone riferisce che colpi di arma da fuoco abbiano anche ucciso, ma questo
non è stato ancora confermato dalle autorità.

“I prigionieri hanno approfittato della visita dei familiari per fuggire, la polizia
penitenziaria, per garantire la sicurezza, non ha reagito per evitare che potesse accadere
qualcosa ai parenti dei detenuti, proteggerne la vita ed evitare qualsiasi tipo di scontro”
ha detto ai media il colonnello Romero Ribeiro.

Secondo il funzionario, i prigionieri hanno preso in ostaggio poliziotti, sequestrato
le armi e usato alcuni parenti come scudi, uscendo dalla porta della prigione.

La polizia sta contando i prigionieri all’interno del carcere per sapere con
esattezza quanti evasi ci sono, che secondo i media locali, possono arrivare a 40.

Inoltre i controlli nelle vicinanze del lager sono state intensificate, molti detenuti
sono stati catturati mentre si nascondevano in case della zona.

La prigione rinchiude circa 1400 detenuti, tre volte la sua capacità. Il gruppo degli
evasi riusciti a scampare alla cattura, è formato dai criminali più pericolosi.

Fonte

Traduzione by CordaTesa


Mineo. Una discarica per richiedenti asilo

africa1Era la primavera del 2011. Migliaia di tunisini presero la via del mare per cercarsi un’altra vita in Europa. La rivolta che aveva scosso il paese, contagiando quelli vicini, aveva reso meno chiuse le frontiere. Il ministro dell’Interno, il leghista Maroni, affrontò l’ondata di sbarchi da par suo, trasformando Lampedusa in un gigantesco carcere a cielo aperto, nella vana speranza di scaricare la patata bollente agli altri Stati Europei. Quando la situazione divenne incandescente decise di aprire campi-tenda e vecchie caserme per rinchiudere gente che voleva solo proseguire il proprio viaggio.
Finì all’italiana. Quelli arrivati entro il 5 aprile ottennero un permesso di sei mesi, quelli sbarcati dopo erano clandestini.
In questo caos in cui la criminalità del governo era pari solo alla sua cialtroneria i CIE si riempirono all’inverosimile di gente più che disponibile ad animare rivolte su rivolte. L’intero sistema concentrazionario italiano andò in crisi. In questo clima maturò l’affare Mineo.
A Mineo, 35 chilometri dalla base militare di Sigonella, la ditta della famiglia Pizzarotti aveva costruito un residence per le famiglie dei militari statunitensi. Nella primavera del 2011 il residence è vuoto, perché gli americani hanno optato per soluzioni più comode ed economiche.
Pizzarotti si ritrova una patata bollente che non riesce a piazzare in nessun modo, finché un governo amico non decise di togliergli le castagne dal fuoco trasformando il residence in CARA, ossia un centro per richiedenti asilo. Lì vennero deportati richiedenti asilo da ogni angolo di’Italia, interrompendo le pratiche già in atto, spezzando le relazioni con la gente del luogo. In questo modo i CARA si potevano trasformare in CIE e la famiglia Pizzarotti non ci rimetteva un euro. 
Due anni dopo il CARA di Mineo è strapieno, luogo di proteste e rivolte da parte di profughi e rifugiati, dimenticati in questa prigione nel deserto. Le pratiche, tutte concentrate a Catania, si sono allungate all’infinito, le risposte tardano, Mineo è diventata una polveriera.

Anarres ne ha parlato con Antonio Mazzeo. Ascolta l’intervista a radio blackout

Fonte


Pestaggi a San Sebastiano, interviene l’Europa

SASSARI. «San Sebastiano, una Guantanamo ante litteram». Dove nel 2000 la violenza di agenti della Penitenziaria contro una trentina di detenuti – in quella che i giudici hanno ribattezzato «galleria degli orrori» – «fu un vero e proprio atto di tortura».

omicidioSono passati tredici anni da quegli abusi, otto trascorsi in un’aula di Tribunale per arrivare a una sentenza di prescrizione. Ma solo ora, per uno dei reclusi che subì umiliazioni da chi doveva prendersene cura, botte con pezze bagnate, manganellate sui genitali, ora forse si apre lo spiraglio della giustizia europea. La Corte di Strasburgo ha avviato l’istruttoria per l’allora detenuto V.S., originario del Sassarese, che si è rivolto ai magistrati garanti della Convenzione sui diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 3, che vieta la tortura e «pene o trattamenti inumani o degradanti». Il ragionamento del suo avvocato, Giuseppe Onorato, è semplice. V.S., come tantissimi altri “ospiti” del carcere sassarese, in quel 3 aprile 2000 era affidato all’amministrazione penitenziaria. Eppure, è la stessa sentenza di primo grado (2009) a riconoscere come «la Repubblica italiana non sia stata in grado di garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione». Dunque, chiede alla Corte di condannare il nostro Paese, così come l’8 gennaio Strasburgo ha fatto con la sentenza che ci bacchetta per la stessa violazione – trattamento inumano e degradante – ma per il sovraffollamento nelle galere di Stato. Un verdetto che ha riaperto il dibattito sulla necessità di codificare il reato di tortura, che avrebbe potuto evitare, ad esempio, la prescrizione delle lesioni inflitte dagli agenti di polizia alla Diaz, durante il G8, in qualche modo simili a quelle di San Sebastiano. Perché quello di tortura sarebbe un reato che il tempo non può scalfire. V.S. non ha ottenuto alcun risarcimento per essere passato attraverso la «galleria degli orrori», caso che sollevò un’onda di indignazione in tutta Italia. Anche per la freddezza con la quale sarebbe stata portata avanti. Quella esplosa tra le mura dell’istituto sembrò violenza su commissione dell’allora amministrazione penitenziaria regionale, con agenti chiamati da altri penitenziari. Ma la verità processuale sconfessa in parte questa ricostruzione. Dopo le botte molti detenuti vennero trasferiti per evitare contatti con i parenti e denunce. Forse proprio per l’unicità del caso, a tre anni dal ricorso, la Camera – così si chiama il collegio composto da 7 giudici – sta valutando il merito delle richieste e ha informato la parte convenuta, cioè il Governo italiano. Lo ha comunicato all’avvocato del ricorrente con una lettera datata 8 gennaio.

Alla rappresentanza nostrana a Strasburgo si impone di rispondere a sei quesiti entro il prossimo 30 aprile, poi potrebbe essere fissata la data di udienza e sentenza. All’Italia si chiede, ad esempio, se chi è stato processato per quei fatti sia poi stato oggetto di procedimenti disciplinari e quali sanzioni, eventualmente, abbia subito. E poi se il ricorrente abbia la possibilità di ottenere una “compensazione” economica in altri modi; se l’inchiesta penale, alla luce della tutela processuale, abbia soddisfatto i criteri della Convenzione, oppure se il detenuto non abbia già ottenuto un ristoro per quei fatti. Ma non potrebbe mai averlo avuto, proprio perché non si può chiedere il risarcimento per un reato che non esiste, la tortura.

All’inaugurazione dell’Anno giudiziario il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha ricordato come sull’introduzione di questa fattispecie nel nostro ordinamento, l’Italia sia «in notevole ritardo».

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Avellino: il carcere di Bellizzi Irpino… come quello iracheno di Abu Ghraib?

Nel carcere Bellizzi Irpino di Avellino ci sono dieci celle di isolamento. Dieci celle piccole, sporche, buie e rovinate, dove pare che accada di tutto. Maltrattamenti, violenze, abusi.

jailDieci piccole celle che ricordano, e non poco, ciò che accadeva nel carcere di Abu Ghraib…

“Nelle celle di isolamento del carcere di Avellino – racconta Paolo nell’ultima puntata di Radio Carcere su Radio Radicale – le persone vengono sistematicamente maltrattate. I detenuti vengono spogliati, picchiati e poi lasciati nudi su materassi bagnati, con addosso una coperta bagnata e vengono lasciati lì con la finestrella della cella spalancata. Ho passato un mese in quelle celle di isolamento e ne ho visti tanti trattati così”.

Ma perché una persona detenuta subisce questi maltrattamenti nel carcere di Avellino?

Secondo Paolo i motivi sono spesso banali. O perché si chiede pacificamente un trasferimento o perché si chiede di essere curati. “Ricordo un signore che chiedeva solo dei medicinali per essere curato – precisa Paolo – ebbene quel signore, è stato spogliato, picchiato e poi messo in una cella di isolamento con altri detenuti. Io l’ho visto quel signore con gli atri detenuti in quella cella ed è stato terribile. Erano in tre, nudi, infreddoliti e rannicchiati uno vicino all’altro sullo stesso materasso (ovviamente bagnato) sembravano tre cagnolini maltrattati. È stato agghiacciante!”.

Già agghiacciante. E non solo per il racconto di Paolo, ma soprattutto per la sistematicità, per il metodo che pare caratterizzare tali maltrattamenti.

“È vero – risponde Paolo – nelle celle di isolamento del carcere di Avellino c’è un metodo, un metodo ai maltrattamenti. Un metodo che viene attuato sistematicamente sempre dagli stessi agenti. Agenti che abbiamo ribattezzato “il clan”, proprio perché sono sempre gli stessi. Sono gli esperti delle torture che si consumano nel carcere di Avellino”.

Ora è lecito domandarsi: ma perché nessuno nel carcere di Avellino denuncia questi maltrattamenti?

Secondo Paolo, perché regna una grande omertà, e non solo tra gli agenti.

“Anche i medici – precisa Paolo – conoscono queste realtà, ma non fanno nulla per fermare le torture. Si limitano a passare davanti a quelle celle e a darci le gocce per farci dormire”.

E la direttrice del carcere?

“C’ero anche io quando la direttrice è passata davanti a quelle celle di isolamento – risponde Paolo – ha visto quei detenuti spogliati, ma nulla è stato fatto. Eppure, tempo fa un ragazzo è morto in quelle maledette celle di isolamento, o meglio, non ce l’ha fatta più e si è impiccato”.

Dunque, la prigione di Avellino come quella di Abu Ghraib?

Nell’impossibilità di verificare la veridicità del racconto di Paolo, si spera che la magistratura risponda a questa domanda.


Lazio: troppo arsenico nell’acqua erogata in quattro carceri, salute a rischio per 1.600 detenuti

Gli istituti penitenziari coinvolti sono il Mammagialla di Viterbo, quello di Latina e le due strutture di Civitavecchia. Il Garante: “I reclusi sono attualmente costretti o a bere l’acqua dei rubinetti o a pagare di tasca propria bottiglie di acqua minerale”.
arsenicoArsenico nell’acqua anche nelle carceri. Lo denuncia il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: “Quattro carceri interessate in tre diverse città, con oltre 1.600 detenuti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria e a tutte le altre figure che vivono e lavorano in carcere, alle prese con il drammatico problema dell’acqua all’arsenico. È una vera e propria emergenza”.
Un problema irrisolto nonostante la scadenza della deroga accordata alla Regione Lazio dall’Unione Europea. Le carceri interessate dall’emergenza sono il ‘Mammagiallà di Viterbo (719 detenuti), quello di Latina (158 reclusi, fra cui 32 donne), le due strutture di Civitavecchia, il “G. Passerini” (118 detenuti) e il “Nuovo Complesso” (627 presenti, fra cui 42 donne).
“Mentre all’esterno le autorità si stanno organizzando con distributori di acqua depurata, in carcere questo ancora non avviene – ha detto il Garante – e i liberi cittadini, rispetto ai detenuti, hanno anche l’opportunità di spostarsi per prelevare acqua non contaminata. I reclusi sono attualmente costretti o a bere l’acqua dei rubinetti o a pagare, di tasca propria, bottiglie di acqua minerale per bere, cucinare e per la cura personale”.
“La salute dei cittadini è un diritto inviolabile, e la sua tutela ci impone di assumere ogni tipo di cautela – continua Marroni – un principio che vale a maggior ragione quando si parla di chi lavora nel carcere e delle persone private della libertà che spesso non possono, anche per motivazioni di carattere economico, scegliere l’alternativa più sicura”.
A Viterbo la direzione del carcere ha chiesto urgentemente l’installazione di un potabilizzatore per tutelare la salute dei detenuti e degli operatori e l’ordine e la sicurezza all’interno dei reparti detentivi. E già due anni fa il Garante fu protagonista di una polemica con il locale gestore idrico sui livello di arsenico riscontrati nell’acqua utilizzata nel carcere.
La struttura, che attualmente ospita 719 detenuti a fronte dei 444 posti disponibili, “ha un fabbisogno di almeno 400 mc di acqua al giorno – si legge nel comunicato – l’urgenza inderogabile del potabilizzatore è legata al fatto che l’invio di acqua potabile garantita dal gestore idrico, è vanificata dal fatto che il serbatoio del carcere, dove questa confluisce, è unico, e dunque l’acqua potabile si mischia con quella contaminata, vanificando la fornitura stessa”.
“Inoltre l’impianto del carcere non è frazionabile e fornisce acqua a tutte le strutture, comprese le cucine dei detenuti e quella degli agenti, il bar, le sezioni detentive per l’utilizzo diretto (bere, cottura, reidratazione e ricostituzione alimenti, uso personale, docce etc.) – prosegue la nota – a Civitavecchia, a seguito della scadenza della deroga, il sindaco Pietro Tidei, con ordinanza del 31 dicembre scorso, ha vietato l’acqua contaminata per uso potabile, per la cura dell’igiene personale e per la preparazione degli alimenti ordinando, contestualmente, al gestore idrico di garantire, fino al termine dell’emergenza, un adeguato rifornimento di acqua potabile (5/6 litri al giorno) ad ogni cittadino, compresi quelli detenuti nelle due carceri cittadine, dove ancora non è stato risolto il problema dell’installazione di potabilizzatori”.
Analoghe problematiche si riscontrano nel carcere di Latina dove, nonostante l’emergenza, i detenuti continuano ad utilizzare l’acqua che esce dai rubinetti. Al fine di sollecitare un intervento urgente nelle carceri interessate, il Garante ha inviato una lettera ai sindaci di Viterbo, Civitavecchia e Latina e ai Prefetti di Viterbo, Roma e Latina”.
“Le mie prerogative istituzionali – ha scritto Marroni – mi impongono per legge, d’intervenire di fronte a seri rischi che possono ledere i diritti dei detenuti. Uno dei più importanti è il diritto alla salute, alle cure e alla prevenzione sanitaria. Quello che sta accadendo rispetto al problema arsenico, è una lesione grave a questo diritto per tutti i cittadini liberi; a maggior ragione per i cittadini detenuti, costretti ad utilizzare solo l’acqua inquinata del carcere, non potendo approvvigionarsi altrove. Le chiedo di intervenire presso gli Enti gestori del Servizio idrico, per assicurare, con qualsiasi mezzo approvvigionamenti idrici sani al carcere. Questo, oltre che per garantire il diritto alla salute, anche per assicurare ordine e sicurezza negli istituti”.

Fonte: paesesera.it, 25 gennaio 2013


Padova: Evade il primo giorno di permesso premio

EvasoPADOVA, 26 GEN – E’ stata attivata l’Interpol per rintracciare un moldavo condannato per omicidio evaso dal carcere di Padova grazie al primo giorno di permesso concessogli dal giudice di sorveglianza. Il permesso gli era stato concesso il 18 gennaio scorso, ma Sergi Vitale, 28 anni da 6 detenuto a Padova, in carcere non è più rientrato. Condannato a 19 anni, deve scontare una pena che scade nel 2020. Era stato arrestato nel 2004 con altri due connazionali per aver ucciso a colpi d’ascia un romeno. (ANSA).


Carcere Per Gli Hacker Del Team Anonymous!

In data odierna, il giudice della Southwark Crown Court di Londra, ha emesso la sentenza ai danni degli hacker del team Anonymous che hanno colpito aziende comePyapal, Mastercard e Visa.

anonymous6Christopher Weartherhead è stato condannato a 18 mesi di carcere, se non lo sapete, è il capo del noto gruppo Anonymous, accusato di aver organizzato numerosi attacchi. Christopher analizzava i mass media per ideare dei piani futuri via chat con gli altri membri del noto gruppo.

Altri hacker condannati sono :

Ashley Rods, ragazzo di 22 anni noto con il nickname nerdo che dovrà scontare 7 mesi di carcere. Rods è stato accusato di aver installato sul proprio PC un software per attaccare computer connessi alla rete

Peter Gibson uno dei membri che prese parte all’operazione Payback, condannato a 6 mesi di carcere e a 100 ore di servizi sociali.

Jake Burchall, minorenne, sconterà la sua pena a inizio Febbraio, accusato di aver reso inaccessibili diversi siti web come Ministry of Sound, International Federation of the Phonographic Industry e il British Recorded Music.

Paypal a causa del team Anonymous ha subito danni pari a 5,5 milioni di dollari! Cosa ne pensate di queste sentenze? Credete che siano troppo severe o lievi?  Siamo curiosi di conoscere una vostra considerazione personale, per cui vi invitiamo a lasciare un commento.

Che siano colpevoli non vi sono dubbi in quanto gli stessi hacker hanno ammesso la loro colpa al tribunale di fronte al giudice e alla corte, quindi dovranno pagare per i crimini commessi.  Complessivamente agli hacker è andata anche troppo bene non trovate? 11 mesi sono 11 mesi questo è vero ma non è un tempo paragonabile a 22 anni di carcere che dovranno scontare alcuni membri di NinjaVideo per aver condiviso file protetti da copyright.

Inutile dire che le pene possono essere lievi o pesanti in base al paese in cui si trova.

SOLIDARIETA’ per gli attivisti! LIBERI SUBITO!


Bologna, suicidio sfiorato al carcere Pratello

napoli-fantasma-impiccato

BOLOGNA, 26 GENNAIO – Ieri mattina a Bologna, all’interno del carcere minorile Pratello, un giovane detenuto straniero di 19 anni ha tentato il suicidio tramite impiccagione. Si trovava in cella da solo.

Gli agenti della polizia penitenziaria, accorgendosi in tempo dell’accaduto, sono riusciti a salvare la vita al ragazzo, che ora è ricoverato all’ospedale Maggiore per controlli e accertamenti.

Elogio di Maurizio Serra, sindacalista della Cgil: “Una vita è stata salvata. Il personale di polpenitenziaria ha dimostrato di essere pronto ed efficiente”.

Fonte


Strage Port Said, chieste 21 condanne a morte. Scoppiano scontri fuori dal carcere: 27 vittime

La corte d’assise di Port Said ha chiesto la condanna a morte per 21 dei 73 imputati nel processo per il massacro allo stato di Port Said nel quale vennero uccisi 74 supporter dell’Ahly del Cairo . La sentenza ha scatenato un’ondata di violenza tra i familiari degli imputati e negli scontri scoppiati all’esterno del carcere sono morte almeno 27 persone, mentre altre 150 sono rimaste ferite. Tra le vittime anche due calciatori: Tamer el Fahla, ex portiere del Masri, la squadra locale di Port Said coinvolta nel massacro, e Mohamed el Dezwi, del Marikh.

egitto_scontriScontri e slogan. «Port Said è uno stato indipendente» e «abbasso Morsi e Fratelli musulmani» scandiscono i manifestanti che hanno incendiato copertoni di auto. La polizia ha lanciato lacrimogeni per contenere l’assalto.

Il processo. 
La sentenza definitiva per i 21 imputati condannati a morte deve attendere, secondo la legge egiziana, il via libera da parte della massima autorità religiosa del paese, il gran mufti. La condanna a morte riguarda le accuse di omicidio premeditato. Rimane in sospeso la sentenza dei nove ufficiali di polizia e dei tre manager della squadra avversaria, el Masri, accusati di avere permesso la peggiore strage della storia del calcio egiziano. Il verdetto per gli altri 52 imputati sarà pronunciato il 9 marzo.

26gennaio2013


Venezuela. Violenta rivolta nelle carceri soppressa nel sangue

Ieri mattina, nel carcere di Uribana, a ovest del Venezuela, è scoppiata una violenta rivolta che è terminata in un bagno di sangue. I detenuti hanno manifestato contro i militari, agenti della Guardia Nazionale e del Gruppo di pronto impiego, inviati per perquisire il carcere in cerca di armi, così ha riferito il Primo Ministro Iris Varela.

venezInizialmente, la perquisizione è avvenuta senza problemi, ma dopo che un gruppo di detenuti si è rifiutato di fare come i militari chiedevano sono cominciati i primi spari. Probabilmente, questo ha scaldato gli animi di entrambi e alla fine ci sono stati ben 54 morti, tra detenuti , militari e personale di servizio al carcere, oltre 80 feriti, di cui almeno 30 in modo grave.

Secondo Ruy Medina, direttore dell’ Emergency Central Hospital “Antonio Maria Pineda de Barquisimeto”, i primi 20 detenuti feriti sono arrivati in ambulanza a metà mattinata ed hanno ricevuto le cure necessarie ed alcuni sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. Il direttore dell’Ospedale ha anche aggiunto che molti feriti sono in condizioni delicate. “Alle 08:00 abbiamo avuto una stima provvisoria di quasi 90 feriti, la maggior parte da armi da fuoco, mentre un numero davvero allarmante di almeno 50 morti giaceva in ospedale“.

In breve, il pronto soccorso è stato preso letteralmente d’assalto dai parenti che si sono recati in ospedale per verificare le condizioni di salute dei propri familiari. Medici e infermieri hanno minacciato i parenti ed è intervenuta la polizia.

Poi i familiari hanno circondato il carcere e sono dovute intervenire le autorità per calmare la folla e dare loro spiegazione sulla situazione. Nel pomeriggio alcuni prigionieri sono stati trasferiti in altre carceri e si ritiene che nella confusione un pericoloso prigioniero sia fuggito dall’ospedale. Le forze militari sono rimaste a presidiare il penitenziario fino a tarda notte.

L’operazione è stata ordinata dal Procuratore Generale ed ha avuto inizio alle ore 7.00 di ieri mattina, ma già da giovedì notte, la Guardia Nazionale aveva installato postazioni in prossimità dell’edificio penitenziario. Il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha condannato la violenza e “il comportamento incompetente ed irresponsabile del governo”.

Le carceri Venezuelane sono tristemente famose per il sovraffollamento e la proliferazioni di armi e di droga. Il carcere di Uribana, in particolare, ospita 2.498 uomini e 143 donne.

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Presidio al CIE di Torino

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Siracusa – Aggressione in carcere

Aggressione al carcere di Siracusa. Un detenuto se l’è presa con gli assistenti che hanno fatto ricorso alle cure del medico.

quinto-potere-howard-bealeEnnesima aggressione subita dal personale di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Siracusa”, a dichiararlo è il vice segretario Generale dell’Osapp, Mimmo Nicotra che rende noto come l’episodio, questa volta, è stato causato da un detenuto che in passato apparteneva al circuito Alta sicurezza ed affiliato ad un clan mafioso catanese.

“Il primo ad essere stato aggredito è stato l’assistente in servizio nella sezione detentiva ove era ristretto il detenuto; subito è accorso un altro assistente ed anch’esso ha subito l’aggressione sempre dal medesimo detenuto. I due assistenti sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche e fortunatamente non hanno subito danni eccessivi.”

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