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Prigioniere | Cagliari – Maddalena Calore incarcerata a Uta

In attesa di maggiori informazioni, apprendiamo dalle veline riportate spettacolarmente dai media locali dell’arresto della compagna anarchica Maddalena Calore.

Da quanto si può intendere, durante la notifica e l’esecuzione di misure cautelari in carcere per una precedente condanna, perquisendo l’abitazione dove si trovava, i segugi della polizia avrebbero ritrovato materiale da utilizzare per condirne l’arresto.

Poco importa se la compagna avesse a casa materiale più o meno utile per attaccare questo mondo, ma è difficile fare luce tra le roboanti costruzioni di questurini e pennivendoli, dove in preda a frenesia cazzara, una pistola giocattolo per il softair diventa “una pistola”, mentre 5 petardi possono trasformarsi da bombe carta fino a “5 candelotti in grado di fare saltare in aria una macchina”.

Invitiamo chiunque avesse aggiornamenti e maggiori informazioni a scrivere a informa-a@autistici.org

Per scrivere alla compagna:

Maddalena Calore
Casa Circondariale di Uta
Strada II Ovest – 09010 Uta (Cagliari)

qua sotto l’articolo Continue reading


Cagliari, alta tensione a Buoncammino I detenuti: “Noi, trattati come bestie”

WELD_CO_K9_JAILNotte di tensione nel carcere di Buoncammino. Su uno striscione era scritto: “Non siamo bestie. Questa non è una rivolta, è un segno di protesta”.

C’è chi vuole andare nella colonia penale, chi chiede il permesso di uscire per lavorare e chi si lamenta per il sovraffollamento e le condizioni del carcere. Sarebbero queste le ragioni che hanno spinto ieri cinque detenuti della cella 72 del carcere di Buoncammino a protestare. Proprio nel giorno in cui il ministro della Giustizia Cancellieri si trovava in Sardegna per inaugurare il nuovo carcere di Sassari.

ALTA TENSIONE – Pentole e suppellettili contro le Continue reading


Tempio Pausania: detenuti in sciopero della fame contro l’aumento di posti.

cordatesaI tempi delle proteste rumorose, con le gavette battute contro le inferriate che richiamavano l’attenzione dei cittadini, sono tramontati. Oggi nel modernissimo, asettico e isolatissimo supercarcere As3 di Nuchis il “disappunto” dei 148 boss della Camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra contro le decisioni dell’amministrazione penitenziaria – che intende portare da 150 a 204 posti letto la struttura appena inaugurata – lo stanno attuando facendo (e imponendolo all’intera popolazione carceraria) lo sciopero bianco della fame.
Ovvero rifiutandosi di ritirare, da ormai tre giorni, quanto passa loro il “convento”: abbondante colazione, pranzo e cena preparate, con tanto di variazione giornaliera del menù, nelle cucine del penitenziario gallurese da cuochi professionisti e detenuti. Tanto costoso ben di Dio, per evitare che Continue reading


A Buoncammino detenuti in sciopero della fame. Nel carcere è allarme

cordatesaCAGLIARI – I principali problemi sono dovuti al sovraffollamento e all’insufficienza di operatori, “il personale è sottodimensionato sia per quanto riguarda il settore sanitario sia per la polizia penitenziaria, la pianta organica del carcere non viene aggiornata dagli anni 90 – afferma Loddo – i detenuti, che negli ultimi giorni hanno messo in atto uno sciopero della fame, chiedono le misure alternative al carcere, l’abolizione delle leggi criminogene come la Fini-Giovanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sulla gestione degli immigrati. La speranza è quella che la politica attui dei provvedimenti legislativi che siano compatibili con le richieste della Corte di Giustizia europea per i diritti umani, come l’abrogazione del 41 bis e l’inserimento del reato di tortura nel codice penale”.

Nessuna buona notizia nemmeno sul fronte Continue reading


Sardegna: negli appalti per le nuove carceri gli stessi nomi del G8 fallito alla Maddalena

anticarc_ACAssegnati in piena emergenza, i lavori per la realizzazione delle strutture finiscono alle società poi impegnate nei lavori del mancato vertice. La loro gestione in mano dell’allora presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, Angelo Balducci, oggi sotto processo a Perugia.
Appalti assegnati in piena emergenza, con inviti ad aziende “di fiducia” e sotto lo scudo del segreto di Stato: nessuno che vada a sbirciare in cantiere e progetti top secret. È il 2003 quando un decreto dei ministri della Giustizia Castelli e delle Infrastrutture Lunardi, stabilisce la costruzione di quattro carceri in Sardegna, oltre a Rieti, Marsala, Savona, Rovigo, Forlì, alcune delle quali mai realizzate per mancanza di fondi o revisione dei requisiti. Per l’isola, invece, Roma affida i lavori in gran fretta. La torta è gustosa, in ballo ci sono Continue reading


Carceri: detenuto suicida a Macomer

BloodMoon(ANSA) – CAGLIARI, 20 APR – Un detenuto marocchino si e’ tolto la vita durante la notte nel carcere di Macomer con l’uso di gas. Lo denuncia il deputato Pdl, Mauro Pili, che ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. ”Mancanza di personale e precarieta’ del sistema sanitario nelle carceri sono ormai una costante – ha detto Pili – che sta mettendo a serio rischio l’intero sistema carcerario sardo”. Il suicidio e’ avvenuto intorno a mezzanotte e sarebbe stato riscontrato solo alla conta dei detenuti.


Quattro nuove carceri in Sardegna al posto di due in chiusura: il punto dei detenuti nell’isola

aPer quattro carceri che aprono, due chiudono i battenti. E alle proteste sulla realizzazioni dei grandi istituti si contrappongono proteste, invece, contro la soppressione dei piccoli. Sembra un paradosso, ma i distinguo sono d’obbligo. Altre polemiche sono piovute sul Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria quando, il 21 marzo, ha confermato le indiscrezioni circolate sull’addio alle sezioni di Iglesias e Macomer, il primo dedicato ai sex offender, l’altro con estremisti islamici.

La voce più critica che si è levata appartiene a Claudia Lombardo, presidente del Consiglio regionale nata proprio nel Sulcis-Iglesiente. “È incredibile che il Dap tolga alla Sardegna realtà funzionanti come quelle di Iglesias e Macomer, e invece realizzi grandi carceri di massima sicurezza. Siamo di fronte al solito Stato patrigno”. Non era la sola a ritenere infausta questa scelta. In una cittadina come Iglesias, il carcere era quasi una risorsa, nonostante le difficoltà che il provveditorato ha incontrato, talvolta, per far lavorare in quel territorio i detenuti, tutti reclusi per reati legati alla violenza sessuale su donne o minori. Per la criminologa Cristina Cabras, professore associato alla facoltà di Scienze politiche di Cagliari, la decisione invece rispetta un ovvio criterio di razionalizzazione.

“L’Italia ha il triplo di carceri della Spagna con il minor numero di detenuti”, spiega riferendosi ai 223 istituti nostrani per 67mila detenuti, contro gli 82 edifici destinati ai 70mila prigionieri spagnoli. “Com’è possibile lasciare aperto un carcere come Lanusei, ad esempio, che ha soli 31 posti? Si tratta di un costo troppo elevato”. Cristina Cabras sta effettuando uno studio per conto del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) sulla recidiva dei detenuti sardi. In pratica, il provveditorato vuole capire cosa fanno gli ex reclusi una volta in libertà e se qui si raggiungano i livelli italiani, dove tornano a delinquere sette detenuti su dieci, una enormità. A piano carceri completato, la Sardegna sarà una regione ad “autarchia detentiva”, nel senso che ospiterà tutte le tipologie di reclusi, forse caso unico in Italia.

Basti pensare che qui hanno sede tre delle quattro colonie penali del Paese – Isili, Mamone, Is Arenas – che invece sono sotto utilizzate, anche perché i detenuti lavorano e vanno retribuiti. Poi ci saranno le due (forse tre) sezioni per i 41 bis a Uta e Bancali e i due bracci speciali a Massama e Nuchis per detenuti altrettanto pericolosi, quelli soggetti al regime di Alta sicurezza. Si tratta di affiliati alle cosche o comunque condannati per reati legati alla criminalità organizzata. Oppure, capimafia per i quali il regime di carcere duro non viene rinnovato e allora è “declassato” in Alta sicurezza. Ma il piano prevede anche la costruzione di un istituto per madri detenute con i loro figli a Senorbì: sarebbe il secondo in Italia, dopo quello di Milano.

Fonte: La Nuova Sardegna


Privilegi ai detenuti, indagine al carcere di Iglesias

12383_7774_church_ImageIGLESIAS. Tra i detenuti del carcere di Iglesias c’era chi godeva di libertà non dovute e chi, invece, era considerato un ospite di serie B. Questo lo spaccato che sembra emergere dall’inchiesta della procura di Cagliari in cui sono indagati il direttore dell’istituto di pena, Marco Porcu (difeso dall’avvocato Massimiliano Ravenna) e l’allora capo della polizia penitenziaria Gesuela Pullara (difesa dall’avvocato Guido Manca Bitti) poi trasferita in Sicilia.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, tra i detenuti che godevano di qualche privilegio c’era Mario Sanna, ex agente di polizia penitenziaria accusato di concorso nell’omicidio di Marco Erittu detenuto assassinato nel 2007 nel carcere di San Sebastiano di Sassari, un delitto mascherato da suicidio e scoperto solo dopo la confessione di Giuseppe Bigella oggi super teste d’accusa. A Sanna era permesso di aggirarsi in zone che dovrebbero essere accessibili solo al personale dell’istituto. Tra i privilegiati, c’era anche Massimo Sebastiano Messina che non venne denunciato nonostante – sempre stando alle accuse – avesse pesantemente minacciato alcune educatrici del carcere. Per contro, c’era chi riceveva un trattamento meno favorevole come il detenuto straniero preso a pugni e trascinato dalla sua cella in un’altra, un episodio per cui è indagato un agente di polizia penitenziaria dell’istituto penitenziario.

Il direttore dell’istituto penitenziario (che regge anche quelli di Lanusei e Isili) è indagato per abuso d’ufficio: nel settembre 2012 avrebbe disposto una perquisizione alla ricerca di droga, nell’ufficio ragioneria della prigione senza informare gli interessati, nè redigere il verbale e senza informare le autorità competenti. Porcu sentito ai primi di marzo dagli inquirenti, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Per lo stesso fatto è indagata anche Pullara, che avrebbe eseguito la perquisizione. Alla comandante delle guardie vengono contestati anche i reati di omessa denuncia e rifiuto d’atti d’ufficio per non aver segnalato alle autorità competenti nè preso provvedimenti contro le violazioni compiute da alcuni detenuti, uno dei quali avrebbe minacciato il personale del carcere.

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Buoncammino, guasto alle fogne del carcere: “Disagi per trenta detenuti”

pronto_intervento_fognature“Un improvviso guasto al sistema fognario ha comportato disagi per una trentina di detenuti della Casa Circondariale di Buoncammino. E’ la conferma che la struttura ha necessità di urgenti interventi di ristrutturazione”. A dare la notizia è Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando “le difficoltà quotidiane di chi deve assicurare servizi efficienti e la sicurezza dei detenuti”.

CAGLIARI – “L’intervento della Direzione del carcere – ha sottolineato – è stato provvidenziale. E’ stata infatti disposta l’immediata chiusura di 6 celle e chiesto l’intervento di una ditta specializzata che, attraverso delle telecamere, dovrà individuare il punto esatto del problema. I primi sondaggi non hanno purtroppo dato esito positivo rivelando però la presenza di calcinacci e pietre”.

“L’episodio critico si è verificato con 486 presenze di cittadini privati della libertà, sarà quindi necessario – conclude la presidente di SdR – alleggerire il numero dei detenuti con trasferimenti in modo da evitare un aggravio di sovraffollamento nelle altre celle”.

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Carcere di Uta, salta l’accordo: cantiere lumaca, operai in agitazione

fotoCostruzioniBig1É saltato l’accordo tra l’impresa Opere pubbliche che sta realizzando il nuovo istituto penitenziario di Uta e il Commissario straordinario con delega al carcere, il prefetto Angelo Sinesio. Non è stata pagata la mensilità di febbraio e la Cassa edile arretrata. “Non sono stati rispettati gli impegni firmati a Roma – lamenta il segretario regionale della Fillea Cgl,  Chicco Cordeddu – lunedì mattina scriveremo al prefetto di Roma perché si sostituisca all’impresa. Almeno in questo modo gli impegni saranno onorati. Gli operai attendono il saldo delle retribuzioni  di febbraio e la Cassa edile. Non si può andare avanti con questo continuo tira e molla. Non accetteremo ulteriori ritardi”.
Nel cantiere di Macchiareddu, da tempo, purtroppo, a mesi alterni sventolano le bandiere dei sindacati che proclamano lo sciopero. Fuori a protestare i lavoratori. La precarietà e l’incertezza della busta paga che forse non arriverà strema i quaranta operai. Sono disperati.  Se  poi l’azienda non versa le rate alla Cassa edile, non spetta loro neppure il premio di anzianità di aprile. In parecchi hanno paura perché le rate da pagare non  concedono slittamenti.
Intanto, ieri gli operai hanno pulito per bene il reparto dove si terranno i colloqui con i detenuti e l’ala della parte maschile. Con la nave proveniente da Civitavecchia arriveranno gli articolati pieni di mobili. Arredamenti per le zone  già ultimate. Il mese scorso erano arrivati i letti e li hanno  scaricati e sistemati gli operai. Domani no, restano a casa. I lavoratori hanno chiesto al geometra chi domani avrebbe scaricato la mobilia. Non è arrivata risposta. Allora le voci hanno iniziato a circolare. La struttura carceraria è costruita per conto del Ministero delle Infrastrutture mentre l’arredamento riguarda il Ministero di Grazia e Giustizia. Per questo probabilmente, se ne occuperà la struttura penitenziaria. Ecco allora che le voci corrono veloci: chi scaricherà i camion e sistemerà gli arredi  nella sala colloqui e nelle celle maschili?

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Iglesias, direttore carcere e comandante sotto inchiesta per perquisizioni abusive

perquisizioni1Il direttore e l’ex comandante della polizia penitenziaria del carcere di Iglesias sono finiti sotto inchiesta per abuso d’ufficio. Avrebbero omesso di segnalare alle autorità competenti la denuncia di un detenuto che rivelava la presenza di droga all’interno del penitenziario e avrebbero svolto delle perquisizioni “abusive”.

Marco Porcu, direttore della struttura e Gesuela Pullara, comandante degli agenti di polizia all’epoca dei fatti contestati, lunedì e martedì scorso sono stati invitati a comparire davanti al pm. Attraverso i loro legali hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti gli agenti della polizia penitenziaria avviarono delle perquisizioni nelle celle e negli uffici del carcere per avere riscontro di quanto segnalato da un detenuto: “Qui gira droga”. Un provvedimento che sarebbe stato svolto senza ottemperare agli obblighi del caso: informare gli interessati della perquisizione, redigere il verbale e segnalare l’accaduto alle autorità competenti.

I dettagli dell’indagine sono riferiti nell’articolo di Marco Noce sull’Unione Sarda in edicola.

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Via i letti a castello da Buoncammino

carcereAlghero – “Si avvia verso la normalità la degenza nel Centro Diagnostico Terapeutico del carcere di Buoncammino. Mentre si attendono i lavori di ristrutturazione, in questi ultimi giorni sono stati rimossi i letti a castello.

L’iniziativa si era resa necessaria a causa dell’eccessivo numero di pazienti ricoverati”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che in più occasioni aveva segnalato “il disagio per il sovraffollamento della casa Circondariale e per la presenza di letti a castello nell’area in cui sono assistiti i detenuti in precarie condizioni di salute”.

“Resta però irrisolto – ricorda Caligaris – il problema della presenza di un eccessivo numero di persone ammalate nella struttura penitenziaria cagliaritana. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dovrebbe infatti individuare strutture alternative alla detenzione nei conclamati casi di persone sofferenti e anziane.

E’ assurdo che si trovino nel Centro Clinico cittadini impossibilitati a deambulare autonomamente o costretti a rifiutare i colloqui con i volontari per i dolori che li affliggono. Sono ricoverate inoltre persone con il morbo di Parkinson incapaci perfino di infilarsi le calze o tenere in mano una forchetta”.

“La rimozione della doppia branda a castello – conclude la presidente di SdR – è comunque un segnale positivo. In questo modo si riduce drasticamente il rischio di cadute con conseguenti traumi. L’auspicio è tuttavia che le persone malate siano ricoverate nelle strutture ospedaliere con tutti i necessari supporti”.

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Pestaggi a San Sebastiano, interviene l’Europa

SASSARI. «San Sebastiano, una Guantanamo ante litteram». Dove nel 2000 la violenza di agenti della Penitenziaria contro una trentina di detenuti – in quella che i giudici hanno ribattezzato «galleria degli orrori» – «fu un vero e proprio atto di tortura».

omicidioSono passati tredici anni da quegli abusi, otto trascorsi in un’aula di Tribunale per arrivare a una sentenza di prescrizione. Ma solo ora, per uno dei reclusi che subì umiliazioni da chi doveva prendersene cura, botte con pezze bagnate, manganellate sui genitali, ora forse si apre lo spiraglio della giustizia europea. La Corte di Strasburgo ha avviato l’istruttoria per l’allora detenuto V.S., originario del Sassarese, che si è rivolto ai magistrati garanti della Convenzione sui diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 3, che vieta la tortura e «pene o trattamenti inumani o degradanti». Il ragionamento del suo avvocato, Giuseppe Onorato, è semplice. V.S., come tantissimi altri “ospiti” del carcere sassarese, in quel 3 aprile 2000 era affidato all’amministrazione penitenziaria. Eppure, è la stessa sentenza di primo grado (2009) a riconoscere come «la Repubblica italiana non sia stata in grado di garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione». Dunque, chiede alla Corte di condannare il nostro Paese, così come l’8 gennaio Strasburgo ha fatto con la sentenza che ci bacchetta per la stessa violazione – trattamento inumano e degradante – ma per il sovraffollamento nelle galere di Stato. Un verdetto che ha riaperto il dibattito sulla necessità di codificare il reato di tortura, che avrebbe potuto evitare, ad esempio, la prescrizione delle lesioni inflitte dagli agenti di polizia alla Diaz, durante il G8, in qualche modo simili a quelle di San Sebastiano. Perché quello di tortura sarebbe un reato che il tempo non può scalfire. V.S. non ha ottenuto alcun risarcimento per essere passato attraverso la «galleria degli orrori», caso che sollevò un’onda di indignazione in tutta Italia. Anche per la freddezza con la quale sarebbe stata portata avanti. Quella esplosa tra le mura dell’istituto sembrò violenza su commissione dell’allora amministrazione penitenziaria regionale, con agenti chiamati da altri penitenziari. Ma la verità processuale sconfessa in parte questa ricostruzione. Dopo le botte molti detenuti vennero trasferiti per evitare contatti con i parenti e denunce. Forse proprio per l’unicità del caso, a tre anni dal ricorso, la Camera – così si chiama il collegio composto da 7 giudici – sta valutando il merito delle richieste e ha informato la parte convenuta, cioè il Governo italiano. Lo ha comunicato all’avvocato del ricorrente con una lettera datata 8 gennaio.

Alla rappresentanza nostrana a Strasburgo si impone di rispondere a sei quesiti entro il prossimo 30 aprile, poi potrebbe essere fissata la data di udienza e sentenza. All’Italia si chiede, ad esempio, se chi è stato processato per quei fatti sia poi stato oggetto di procedimenti disciplinari e quali sanzioni, eventualmente, abbia subito. E poi se il ricorrente abbia la possibilità di ottenere una “compensazione” economica in altri modi; se l’inchiesta penale, alla luce della tutela processuale, abbia soddisfatto i criteri della Convenzione, oppure se il detenuto non abbia già ottenuto un ristoro per quei fatti. Ma non potrebbe mai averlo avuto, proprio perché non si può chiedere il risarcimento per un reato che non esiste, la tortura.

All’inaugurazione dell’Anno giudiziario il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha ricordato come sull’introduzione di questa fattispecie nel nostro ordinamento, l’Italia sia «in notevole ritardo».

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Oristano: lettera di un detenuto; il carcere di Massama è nuovo di zecca, ma sembra un lager

fabbricato-inagibileUn carcere nuovo di zecca dove piove dal tetto, il cibo è scarso, le porte delle celle rimangono sempre chiuse e la palestra è inagibile. A pochissimi giorni dalla condanna di Strasburgo che definisce “inumane e degradanti” le condizioni dei detenuti nei penitenziari italiani, la lettera di 35 condannati descrive la situazione nel carcere “Salvatore Soro”, inaugurato da una manciata di settimane nella frazione Massama di Oristano, descritto sulla carta come “carcere modello” e invece già sottoposto a interventi di ristrutturazione.
Il taglio del nastro è avvenuto negli ultimi giorni di novembre 2012, in fretta e furia per rimediare al sovraffollamento degli altri istituti sardi. Eppure sembra andare quasi tutto storto. Così un gruppo di detenuti ha preso carta e penna per descrivere quello che succede: “Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli”.
Costretti e rimanere dietro le sbarre, senza alcun programma di rieducazione, i firmatari sono preda della depressione: “Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento”. La fretta con la quale il ministero della Giustizia ha voluto aprire il nuovo edificio carcerario, accusano anche i sindacati di polizia penitenziaria, è la ragione del malfunzionamento degli impianti tecnologici che dovrebbero aprire e chiudere automaticamente le celle – senza dunque l’intervento degli agenti.
La missiva è arrivata nelle mani di Maria Grazia Caligaris, ex consigliera regionale della Sardegna e presidente dell’associazione Socialismo Diritti e Riforme: “Sappiamo che quando apre un nuovo penitenziario ci vogliono tempi lunghi per mettere in funzione i servizi, ma questo disagio è scandaloso”.
Per il provveditore regionale del Dap, Gianfranco De Gesu, le condizioni del carcere di Oristano-Massima sono invece “quasi alberghiere”: “Ogni cella ospita due detenuti e se l’acqua calda è erogata secondo fasce orarie è per risparmiare”. Non nega, De Gesu, che la struttura abbia dovuto essere parzialmente rifatta a causa di difetti di costruzione: la ditta non aveva previsto una guaina di impermeabilizzazione nelle docce e sotto il tetto e così, dopo nemmeno 24 ore, si sono verificate vistose infiltrazioni nelle celle. Un assurdo difetto di progettazione, ancora più grave visto il costo della costruzione del penitenziario: 40 milioni di euro.
Delle quattro nuove case circondariali volute dall’allora ministro della giustizia Roberto Castelli, oltre a Oristano-Massama è stata aperta una struttura a Tempio Pausania mentre attendono quella di Uta (Cagliari) e Sassari.
Quello che preoccupa maggiormente i detenuti – coloro che hanno firmato la lettera sono 35 su 161 presenti – è comunque la qualità della vita. Pessima. Alcuni di loro provengono dal carcere che sorgeva nel centro di Oristano, ospitato da un edificio di origine medievale e fatiscente dove topi e scarafaggi erano ormai abituali compagni di cella. Con il trasferimento nella nuova struttura avevano sperato di trovare un sistema migliore: “Non possiamo nemmeno acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvivere allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.

di Laura Eduati

Huffington Post, 21 gennaio 2013


Alghero – in tre tentano evasione dal carcere

Uno dei tre albanesi che all’alba di lunedì hanno tentato la fuga dal carcere di San Giovanni di Alghero, lavorava in una officina all’interno della casa di reclusione,

fugaNon è stato difficile per lui procurarsi alcuni seghetti con i quali nella notte tra venerdì e sabato hanno concluso il lavoro di segare le sbarre.

Poi con una corda realizzata unendo diverse lenzuola arrotolate, sono usciti dalla finestra della cella fino al cortile sottostante che si trova a una decina di metri di altezza .

Uno di loro è riuscito a salire sul tetto della direzione del carcere ma in quel momento è stato subito inquadrato dalle telecamere della sala di regia.

Da quell’istante ogni mossa dei tre albanesi è stata controllata. Il sottufficiale di servizio ha allertato gli uomini in turno notturno, tre agenti per 130 detenuti. Dopo un primo tentativo di saltare il muro di via Catalogna , oltre 15 metri, un’impresa a rischio di rompersi l’osso del collo, uno dei tre ha raggiunto il muro di cinta dalla parte di via Vittorio Emanuele, in corrispondenza del del passo carraio, dove l’altezza è inferiore.

Ma proprio sul muro è stato raggiunto da un agente di Polizia Penitenziaria che gli ha puntato la pistola d’ordinanza. L’albanese, e gli altri due compagni di fuga, hanno a quel punto capito che l’evasione era fallita.

Nel frattempo nel carcere di San Giovanni erano già arrivati gli uomini del Commissariato di Polizia e subito dopo i Vigili del Fuoco, allertati sempre dalla cabina di regia .

Nel giro di un’ora gli agenti del carcere, in collaborazione con i poliziotti, avevano rimesso le manette ai polsi dei tre e li avevano rinchiusi nuovamente in cella a disposizione della Procura della Repubblica per i reati commessi nel tentativo di evasione.

I tre stavano scontando condanne per reati di droga, contro il patrimonio ed estorsione. Uno di loro aveva soltanto qualche mese da scontare, gli altri due diversi anni. Nel corso della perquisizione personale a uno dei tre sarebbe stato trovato addosso un telefonino . Secondo gli agenti della Polizia Penitenziaria e gli uomini del Commissariato, i tre avevano dei complici all’esterno, si parla anche di una donna, che avrebbero dovuto accoglierli e proteggerne la fuga.

La mancata evasione dei tre detenuti dal carcere di San Giovanni testimonia l’efficienza del servizio di vigilanza interna nonostante una situazione a dir poco tragica per quanto riguarda l’organico in servizio attivo.

Fonte: buongiornoalghero.it


Sardegna – In arrivo nell’isola 188 i detenuti con il 41 bis

Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha previsto 94 reclusi pericolosissimi a Sassari e altri 94 a Uta, mentre nella struttura di Badu ’e Carros ne resterà solo uno: il boss Antonio Iovine

boetti_aereiSASSARI. Saranno 189 i detenuti di altissima pericolosità, quelli reclusi con il rigido regime del 41 bis, che arriveranno in Sardegna durante l’anno. A ospitarli saranno le nuove carceri di Sassari-Bancali e Cagliari-Uta e anche il vecchio ma ristrutturato penitenziario nuorese di Badu ’e Carros. Per i reclusi in regime di 41 bis sono infatti in fase di ultimazione 94 celle singole a Bancali e altre 94 a Uta. Celle molto particolari e superattrezzate, realizzate rispettando tutti i requisiti di sicurezza previsti per quel tipo di detenzione dura riservata ai criminali più pericolosi: soprattutto mafiosi e camorristi.

Il detenuto numero 189, ma sarebbe più logico definirlo numero 1 vista la sua altissima pericolosità, è il boss dei Casalesi Antonio Iovine: é l’unico recluso con il 41 bis a Badu ’e Carros da due anni.

Nelle due carceri di Bancali e Uta dove saranno reclusi i 41 bis non sono invece previsti detenuti identificati con il regime di alta sicurezza: questa è una misura preventiva fondamentale predisposta dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per evitare che i boss possano entrare in contatto con più facilità con la loro manovalanza e quindi mantenere rapporti con l’esterno. Una condizione necessaria anche per garantire la sicurezza del territorio sul quale gravita tutta l’attività legata ai penitenziari.

Il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata è il rischio maggiore di un carcere che ospita tanti detenuti di altissimo spessore criminale, ma il Dap e il ministero della Giustizia hanno sempre escluso, per quanto riguarda la Sardegna, questa possibilità con la spiegazione che la Sardegna sarebbe assolutamente impermeabile a eventuali collegamenti con questo genere di criminalità. Una valutazione confermata dagli studi fatti proprio in funzione della nuova dislocazione della popolazione carceraria sul territorio nazionale e su quello regionale.

Il ministero della Giustizia ha previsto per i detenuti con il 41 bis, che in tutta Italia sono oltre 600, l’isolamento. Un termine che però è molto più ampio di come viene solitamente inteso: isolamento per il ministero e per il Dipartimento carcerario significherebbe anche portare più criminali pericolosi possibili in penitenziari dai quali sia quasi impossibile la fuga e ancora più difficili i collegamenti con l’esterno. Quindi, quale posto migliore di una terra con il mare intorno come la Sardegna?

Proprio partendo da questa idea-base, era stata prospettata dal ministro della Giustizia, Paola Severino, la possibile riapertura del carcere nell’isola-parco dell’Asinara. Un penitenziario di altissima sicurezza, comunque inserito nell’isola-parco. Idea morta sul nascere, ma non sepolta visto che il progetto sarebbe comunque in cima alla lista delle misure da adottare in caso di inasprimento dell’attività della criminalità organizzata. Nel frattempo, in Sardegna stanno continuando ad arrivare detenuti dalla penisola. Anche durante il periodo natalizio ne sono stati trasferiti alcune centinaia, immediatamente accompagnati nei due nuovi penitenziari appena entrati in attività: quello di Nuchis, in Gallura, che ha sostituito la vecchia “Rotonda” di Tempio e quello di Massama, nell’Oristanese, che ha sostituito la fatiscente struttura di “Piazza Mannu”.

Tra i nuovi arrivati non ci sarebbero sardi, neppure quelli considerati di alta pericolosità, e sarebbero pochissimi quelli riportati in questi mesi nell’isola per scontare le loro pene. Nonostante le richieste dei reclusi e dei familiari, costretti a lunghe trasferte e ad affrontare spese sempre più impegnative per potere vedere anche solo per pochi minuti i loro cari. Una scelta che risulta inspiegabile, quella del Dap, che non avrebbe finora fornito alcuna spiegazione ufficiale sul mancato trasferimento di sardi in Sardegna, trascurando così anche la petizione con migliaia di firme a sostegno della cosiddetta “territorialità della pena”: cioè che i detenuti debbano scontare le condanne all’interno della loro terra di origine.

Sul futuro delle carceri isolane la situazione sarebbe comunque ancora in fase di studio da parte del ministero della Giustizia e del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. L’unica certezza, almeno per il momento, è soltanto sul numero dei detenuti con il 41 bis visto che nei due nuovi penitenziari di Bancali e Uta sono in fase di ultimazione le 188 (94+94) celle singole nei quali dovranno trascorrere i loro giorni fino all’espiazione della pena. Per il resto della popolazione carceraria ci sono soltanto ipotesi, ma senza numeri precisi. Sembra comunque certo che a Massama-Oristano e a Nuchis-Tempio saranno destinati in gran numero reclusi di alta-altissima sicurezza. Nuchis è stato infatti classificato dal Dap come As3, che significa alta sicurezza. A regime può ospitare 150 detenuti e la metà di loro (già arrivati) sono criminali molto pericolosi: mafiosi e camorristi di notevole spessore criminale, alcuni dei quali ergastolani. A Massama sono invece previsti 250 detenuti, oltre la metà dei quali dovrebbero essere di altissima sicurezza.

Ma i penitenziari isolani, nuovi e vecchi, oltre che ai detenuti sardi sembrano vietati anche alle guardie carcerarie. Nonostante l’inizio dell’attivita di due nuove strutture e l’imminente apertura di Sassari e Uta, sono stati pochissimi gli agenti sardi riportati a casa a fronte di oltre 650 richieste presentate e le carenze di personale un po’ ovunque.

 Fonte: lanuovasardegna.gelocal.it

Oristano. Lettera choc dei detenuti: “Il carcere di Massama è un lager meglio la pena di morte”

“Questo non è un carcere ma un lager creato per spersonalizzare il detenuto non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società. Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi”. Sono le parole di trentacinque detenuti del carcere di Oristano – Massama “Salvatore Soro” che hanno fatto pervenire una lettera all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” rappresentando la realtà nella struttura penitenziaria inaugurata alla fine di novembre e già sottoposta a pesanti lavori di restauro.

carceri3CAGLIARI – “Qui – viene precisato dai firmatari della missiva – si trovano persone che devono scontare 10 giorni, alcuni mesi o qualche anno insieme ad altre che hanno alle spalle oltre 35 anni di reclusione. Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli. Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento. Insomma è vero che il carcere è aperto da poco tempo ma noi non abbiamo colpa e non abbiamo chiesto noi il trasferimento a Oristano. E’ assurdo infine – conclude la lettera – che non si possano acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvive allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.

“Le nuove strutture penitenziarie hanno necessità – osserva la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris – di un opportuno periodo di rodaggio durante il quale testare i dispositivi di sicurezza e quelli relativi alla vita comune come le cucine, le docce, i servizi igienici, i dispositivi elettrici e l’organizzazione interna con un numero adeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria e di operatori. Per mettere in moto e gestire una struttura così complessa e delicata sono necessarie progettualità e gradualità che poco si conciliano con un’assurda approssimazione che crea soltanto gravi difficoltà. La pretesa urgenza di aprire la struttura per rimediare ai danni del sovraffollamento e della vetustà del carcere di piazza Mannu ha determinato gravi disagi non solo ai detenuti e a tutti gli operatori ma anche ai familiari dei ristretti doppiamente penalizzati dalle difficoltà per raggiungere un carcere costruito volutamente in una zona isolata. La macchina quindi non funziona e nascondere la realtà non giova”.

Fonte: sardegnaoggi.it


Tre agenti accusati di aver ucciso a badilate quattro cuccioli di cane della colonia agricola di Is Arenas

Una storia assurda arriva dall’Unione Sarda: tre agenti penitenziari hanno massacrato a badilate i cani di alcuni detenuti nel carcere di Is Arenas, alle porte di Cagliari. I cuccioli bersaglio della loro ferocia quattro meticci adottati e accuditi dagli ospiti della colonia penale.

Sono quindi finiti sotto inchiesta il sovrintendente G. D., 45 anni, e gli assistenti I. P., 45, e A. S., 49. Dovranno rispondere di uccisione di animali, omessa denuncia e atti persecutori.

E’ stato un testimone a far partire l’indagine, un cittadino marocchino detenuto a Is Arenas, A. C. Ha assistito alla strage. Stando al suo racconto, nel 2011 A. S. disse di aver ricevuto l’ordine di uccidere i cani. Le proteste dei detenuti non sortirono nessun effetto e S. massacrò a badilate tre dei quattro cuccioli. Il quarto fu ritrovato qualche giorno dopo da P. che completò l’opera.

Il detenuto C. a questo punto si sarebbe rivolto al sovrintendente D. per denunciare l’accaduto; quest’ultimo gli avrebbe risposto: “Stai zitto o ti trasferiamo in un altro istituto”. Ancora non si conosce il movente della mattanza, forse la tensione tra agenti e reclusi. Il direttore della colonia penale di Is Arenas, Pierluigi Porcu, invita alla prudenza: “Aspettiamo l’esito delle indagini, ho piena fiducia nel lavoro della magistratura. Non mi era giunta alcuna notizia di un fatto del genere e sono piuttosto scettico visto che si tratta di tre poliziotti assegnati al distaccamento a questure che amano molto gli animali. Non li ritengo capaci di un simile gesto”.

Fonte: cronacaeattualita.blogosfere.it