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E’ successo nel 1997 nel carcere di Arezzo riportando una lesione cerebrale, ora la sentenza. Il tribunale ha condannato il Ministero della Giustizia a 1 milione e 600 mila euro
Andò in coma nel 1997 per aver ingerito una dose di metadone mentre era nel carcere di San Benedetto ad Arezzo. Oggi il tribunale di Firenze ha condannato il ministero della Giustizia a risarcire il detenuto, all’epoca dei fatti trentenne, con 1 milione e 600 mila euro. “Una sentenza – ha dichiarato l’avvocato Luca Fanfani, legale dell’uomo – che ha puntato ildito sul fatto che la struttura carceraria deve garantire l’incolumità del detenuto, evitando che ingerisca eroina o altre sostanze e, in caso di somministrazione di medicinali, ciò deve essere fatto in maniera corretta”.
Il trentenne, secondo quanto ricostruito nell’indagine, soffriva di tossicodipendenza e ingerì il metadone datogli dagli agenti penitenziari probabilmente assumendo anche dell’eroina che era riusciuto a portarsi in cella. Subito dopo il giovane andò in coma per un lungo periodo di tempo, riportando una lesione cerebrale che lo ha costretto sulla sedia a rotelle.
Fonte: repubblica.it
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14/01/2013 – Uno dei marocchini condannati a 17 anni per l’omicidio del pensionato torinese Sabino Lore’, ha tentato il suicidio impiccandosi con dei lacci a una finestra del carcere delle Vallette. L’uomo, 38 anni, e’ stato salvato dalla polizia penitenziaria e trasportato in ospedale. ”Gli agenti – dice Leo Beneduci, segretario generale del sindacato autonomo Osapp – hanno operato con professionalita’ nonostante la grave carenza di organico”.
Fonte: ANSA
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Riceviamo e diffondiamo una lettera di Santo, prigioniero entrato in contatto con Maurizio Alfieri nella sezione di isolamento del carcere di Saluzzo. Santo segnala gli abusi e l’abbandono sanitario che contraddistinguono la sua situazione, come quella di molti altri uomini e donne sequestrate nelle discariche sociali dello Stato. Apprendiamo che nel frattempo Santo è stato trasferito a Milano – San Vittore.
UNA LETTERA DAL CARCERE DI SALUZZO
Ciao carissimi compagni,
chi vi scrive è un compagno di Maurizio Alfieri. Maurizio mi ha parlato molto bene di voi e allora mi sono sentito di prendere carta e penna e scrivermi la mia sofferenza.
Mi chiamo Santo, sono di Catania, vivo a Milano e ho 38 anni.
In questo momento sto passando dei momenti brutti e molto tristi per la morte di mio padre.
Ma questo mi dà più forza per combattere il mio problema e spero che la mia testimonianza spingerà qualcuno ad aiutarmi e a fare sentire la mia voce tramite voi compagni e Internet.
Io sono portatore di bendaggio gastrico, pesavo 188 kg, ne ho persi più di 80 e ho bisogno di controlli periodici specializzati presso il policlinico di Milano (padiglione Zonda, dottor Mozzi). Dovrei andare ogni 6 mesi per come hanno dichiarato i periti in sentenza. Ma è da giugno 2011 che non faccio controlli.
Sono stato accusato sulla base di “voci confidenziali” ritenute attendibili di essere mandante, capo sommossa e capo promotore di rivolte ecc. ecc. E mi trovo in isolamento da dicembre 2011 come un cane. Mi hanno sanzionato con gli articoli più gravi (art. 3,4,5 e 39 OP) e applicato la G.S.C. (Grande Sorveglianza Custodiale) da reato comune. Tutto ciò perché ho lottato per i mie diritti alla salute.
Ogni 6 mesi mi trasferiscono senza darmi cure né spiegazioni (da Catania a Caltagirone, Caltanisetta, Trapani, Favignana, Ucciardone, S. Vittore, Opera, Biella e ora Saluzzo).
Ora è da marzo 2012 che aspetto un’operazione all’epidermide cutea DX, è per questo che se ne lavano le mani perché abbiamo fatto denuncia per danni permanenti e si spaventano ad operarmi.
Ho scritto a Riccardo Arena (radio carcere) con tutta la documentazione ma siccome il tutto scotta non ha fatto niente perché c’è da combattere per gli abusi che sto ricevendo, ma io li affronto giorno per giorno sì che loro hanno paura perché io mi faccio rispettare.
Spero che avrò la solidarietà dei vari compagni così mi faranno compagnia e potremo combattere assieme per i nostri ideali che sono la libertà di uomini liberi.
Ora vi saluto con affetto e stima.
Il vostro compagno carcerato,
Santo Galeano
P.S. Maurizio ci informa che Santo (il quale aveva accluso alla lettera la documentazione medica e il cui stato di salute è ancora peggiore di quanto non emerga dalle sue parole) è stato di nuovo trasferito, questa volta a San Vittore.
Per scrivergli:
Santo Galeano
Casa circondariale di Milano San Vittore – Piazza Filangieri 2 – 20123 MILANO
Fonte: informa-azione
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Inoltriamo:
Testimonianze: Torturato e pestato in carcere
Desidero portare a conoscenza la mia vicenda di TORTURA DI STATO in CARCERE MEDIANTE PSICOFARMACI – con tanto di INDOTTA CRISI IPERTENSIVA – nel reparto “Il Sestante” di Le Vallette a Torino, guidato dal Dott. Elvezio Pirfo. Dovuta ad un palese scambio di cartelle anamnestiche col mio compagno di cella.
Il sottoscritto è un incensurato in attesa di giudizio. Tra l’altro invalido oltre i 2/3 (80%): con tale invalidità non sarei nemmeno dovuto entrare in carcere.
Ma anche se fossi stato colpevole lo Stato non ha diritto di tortura, ma obbligo di custodia.
Questa assieme alla successiva vicenda del mio PESTAGGIO SQUADRISTA COPERTO DAL SINDACO E DAL MARESCIALLO del paesino di MONASTERO BORMIDA, con tanto di Sindaco che è venuto a dichiarare in Tribunale che IO DOVEVO ESSERE RINCHIUSO perchè pazzo, non ha spiegato il perchè ma lo ha detto e ribadito!!!
QUESTA è una VICENDA che CONFERMA le storie di CUCCHI ed ALDROVANDI, in particolare quella di Cucchi: LO STATO NON TIENE IN NESSUN CONTO LA VITA di chi è sotto custodia.
SONO SOPRAVISSUTO, VOGLIO TESTIMONIARE ED HO TUTTO DOCUMENTATO! TUTTO!!!
Occorre mettere fine alla Giustizia Sudamericana ed all’impunità dei poliziotti e di certi personaggi che gravitano nel sottobosco dei Tribunali e delle carceri – Avvocati e Periti -.
Sono sopravvissuto perchè sono un bestione ed ho fatto arti marziali, ho un fisico che era d’acciaio, anche se ero già invalido all’80% per Depressione Maggiore ed attacchi di panico – causa incidente a 20 anni -.
La mia vicenda RIBADISCE QUELLA DI CUCCHI e conferma che la Giustizia Italiana ha 2 vie, una veloce e spietata, con maltrattamenti compresi, per i poveracci, una inconcludente che tutela i ricchi.
Massimo Gallo
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14 Gennaio – Momenti di fuoco e rivolta stasera al Centro di Identificazione ed Espulsione di Corso Brunelleschi a Torino.
Scintilla della rabbia: la mancanza di riscaldamento in una delle sezioni del lager, con gravi conseguenze sui prigionieri più anziani.
Alcuni rivoltosi si sono arrampicati sul tetto della struttura e lì hanno dato fuoco a dei materassi. Altri hanno incendiato masserizie in un’altra parte dell’edificio.
Fonte: Radioblackout
Ore 1.00 – Riportiamo anche che alcuni compagni sono stati fermati fuori dal lager dai servi di stato.
ore 1:42 – Quattro macchine ancora fermate dalla polizia in piazza Sabotino. Chi può vada a portare solidarietà ai fermati.
ore 1:52 – Tutti liberi i compagni precedentemente fermati. Buonanotte.
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AVELLINO- Tensioni stamani nel carcere di Bellizzi Irpino per la visita di una delegazione sindacale della Uil-Penitenziari autorizzata dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (DAP) a scattare foto e girare video alle celle e alle sezioni detentive.
Una visita sgradita per i detenuti sottoposti al 41 bis (carcere duro), che non volevano essere ritratti: i carcerati, secondo quanto reso noto dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) hanno manifestato il proprio dissenso dando vita alla ”battitura”, cioe’ picchiando le sbarre con oggetti di metallo.
L’ok dell’amministrazione penitenziaria a fare entrare macchine fotografiche e cineprese nella casa circondariale e’ stata definita come ”una decisione importante verso la trasparenza”, dai due componenti la delegazione, Eugenio Sarno eMassimo Spiezia, rispettivamente segretario generale e componente della Direzione Nazionale della UIL Penitenziari.
”Oggi non abbiamo potuto fotografare le celle perche’ l’autorizzazione e’ stata ritenuta generica e il comandante di Avellino ci ha chiesto di soprassedere a fotografare ambienti detentivi”, ha detto Sarno. ”Pur non condividendo tale impostazione abbiamo voluto seguire le sue indicazioni anche se cio’ ci ha privato della possibilita’ di documentare come celle sovraffollate con letti a castello a tre piani non consentano al personale di effettuare quei controlli di sicurezza, come la battitura delle inferriate, che a volte sono determinanti per evitare evasioni eclatanti come e’ avvenuto recentemente a Busto Arsizio”, ha concluso il segretario generale della Uil Penitenziari.
Il parere della Uil non e’ condiviso, invece, da Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE), che ha stigmatizzato la decisione dell’Amministrazione di concedere il nullaosta e chiesto le dimissioni di chi l’ha adottata: ”il carcere deve essere una casa di vetro, ma se non si rispetta il diritto alla privacy delle persone detenute e’ ovvio che queste si lamentano determinando tensione che solamente i poliziotti penitenziari devono poi fronteggiare”.
Fonte: eolopress.it
Commenti disabilitati su Carceri che scoppiano: proteste a Bellizzi Irpino per le telecamere del sindacato | tags: 41 bis, anticarceraria, avellino, carcere, celle, CordaTesa, dap, detenuti, polizia penitenziaria, proteste, sindacati, situazione carceraria, telecamere, uil | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Dentro le mura, Tutti
Evade dai domiciliari e aggredisce un militare in borghese all’esterno della base logistica di Cecina.
Alla vista dei carabinieri ha minacciato e cercato di aggredire fisicamente anche loro
I carabinieri hanno rintracciato il responsabile, un trentaduenne di Cecina, e lo hanno arrestato poco dopo per evasione, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale. Il fatto è accaduto lo scorso mercoledì mattina, quando i carabinieri sono intervenuti a seguito di una chiamata della base logistica di Cecina.Secondo la chiamata un militare, in borghese e libero dal servizio, era stato aggredito fuori della base dal trentaduenne. L’aggressione, sia fisica che verbale, era avvenuta per futili motivi. L’uomo aveva minacciato anche altri militari accorsi in difesa del collega.I carabinieri, dopo aver raccolto le prime testimonianze hanno intuito di chi poteva trattarsi e si sono subito diretti presso l’abitazione del trentaduenne. Quest’ultimo, alla vista degli uomini dell’Arma ha minacciato e cercato di aggredire fisicamente anche loro. Portato in caserma è stato quindi dichiarato in arresto per evasione, visto che si trovava ai domiciliari, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale e trattenuto in camera di sicurezza. A seguito dell’udienza di convalida, l’uomo é stato trasferito nel carcere di Livorno.
Fonte: ANSA
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A poche ore una dall’altra le due carceri di Alessandria hanno vissuto ieri momenti di tensione. Nel
penitenziario Cantiello-Gaeta un detenuto romeno ha cercato di gettarsi dal tetto della struttura,
poco dopo in quello di San Michele altri due detenuti magrebini hanno provocato un incendio e
tentato di darsi fuoco. Lo comunica il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE). I
detenuti sono stati salvati dal tempestivo intervento degli agenti. ”E’ evidente – dichiara Donato
Capece, segretario generale del SAPPE – che le costanti criticita’ quotidiane delle carceri italiane
sono il sintomo palese della loro invivibilita”’.”La situazione penitenziaria e’ sempre piu’
incandescente” sottolinea. Capece ricorda che ”ad Alessandria oggi ci sono complessivamente piu’
di 800 detenuti: 395 alla Casa circondariale Cantiello e Gaeta (che ha 260 posti letto
regolamentari) e 416 alla Casa di reclusione S. Michele, che ha anch’essa 260 posti letto
regolamentari. Insomma, 300 detenuti in piu’ rispetto al previsto”. Dal 1 gennaio al 30 giugno
2012 ad Alessandria ci sono stati 18 atti di autolesionismo e 4 tentati suicidi.(ANSA).
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Ci sono momenti in cui arriva il sole, attraversa le sbarre, filtra dal vetro, attraversa la bottiglia che hai sul tavolo, si allunga in stralci sul tavolo, ti scalda un po’ l’orecchio.
Ci sono momenti in cui di notte guardi il soffitto, ascolti il silenzio, senti il rumore del vuoto del corridoio, ascolti il sibilo di una porta chiusa.
Ci sono momenti in cui ti siedi a fumare una sigaretta all’aperto e guardi il cielo e pensi che se credessi in Dio lo ringrazieresti di poter godere di tanta bellezza anche da qui.
Ci sono momenti in cui cammini per i corridoi e pensi che non ti usciranno più dai polmoni.
Ci sono momenti, tanti momenti, in cui il tuo corpo è fermo e la tua mente ti sta immaginando mentre distruggi tutto quello che ti capita tra le mani.
Ci sono momenti in cui pagheresti oro per una bella birra fresca.
Ci sono momenti in cui ti arriva, da non sai bene dove, un odore di terra, di foglie, di autunno e ti ricordi.
Ci sono momenti in cui il sole del cielo d’autunno ti fa ripensare alle montagne e al fiato dei tuoi cani.
Ci sono momenti in cui finalmente tutte le parole vuote scompaiono, tutte le maschere cadono.
Ci sono momenti in cui cadono tutte quelle degli altri senza che loro lo sappiano.
Ci sono momenti in cui ti accorgi che questo posto ti ha cambiato e altri in cui pensi di essere sempre la stessa; e ti scopri e ti riscopri.
Ci sono momenti in cui riconosci l’oro della giornata dal rumore che senti nei corridoi e ti accorgi che sta diventando normale.
Ci sono momenti in cui di notte ti svegli di soprassalto perché una luce ti spia il sonno.
Ci sono momenti in cui vedi una madre piangere perché non può fare la cosa più naturale su questa terra: stare con i suoi figli.
Ci sono momenti in cui piangi per il pianto di quella madre, per gli abbracci negati, per i rapporti mutilati, perché pensi che per tanto dolore nessuno pagherà mai.
Ci sono momenti in cui pensi che potresti guardare per ore il viso delle compagne che sono con te, perché sai che è solo per quegli occhi che non hai mai avuto paura di questo inferno.
Ci sono momenti in cui pensi al dolore di chi viene a trovarti; alle loro facce che, tutte le volte che se ne vanno, sbigottite, dicono “la stiamo lasciando qui”.
Ci sono momenti in cui il sangue si gela al pensiero della libertà perché pensi che non potrai portare fuori con te le tue compagne.
Ci sono momenti, tanti momenti, in cui una risata irrompe come un tuono, come una cascata da un dirupo e si dipana fresca sulla pelle, sul viso, nella testa.
Ci sono momenti in cui vedi tornare il sorriso sul volto di una compagna e pensi di non voler altro dalla giornata.
Ci sono momenti in cui ti arriva la voce che qualcuno è uscito o evaso e le sbarre si incrinano e il sorriso è beffardo.
Ci sono momenti, tanti, costanti, ripetuti in cui pensi ad un cumulo di macerie, a chiavi spezzate, a divise bruciate e senti la freschezza dei piedi nudi sull’erba e il respiro è profondo.
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Prosegue la protesta del palestinese, detenuto in carcere a Gerusalemme e condannato da una Corte militare israeliana a scontare 20 anni di prigione.
E’ cominciato oggi il suo 167esimo giorno di sciopero della fame. E lo ha promesso: non smetterà finché non sarà liberato. Anche a costo di morire. Continua la battaglia di Samer al-Issawi, detenuto in carcere a Gerusalemme e condannato da una Corte militare israeliana a scontare 20 anni di prigione. La battaglia è anche quella dei suoi familiari, che da qualche settimana denunciano vessazioni e violenze da parte dell’esercito israeliano nei loro confronti. Una vendetta, dicono, perché Samer, dopo più di cinque mesi, ancora non cede.
I familiari insistono che l’arresto di al-Issawi, nel luglio scorso, è avvenuto in piena violazione degli accordi relativi allo scambio di prigionieri tra esercito israeliano e Hamas del 2011. Catturato nel 2001 durante la seconda Intifada e condannato a 30 anni di carcere per aver sparato contro i soldati di Tel Aviv davanti al suo villaggio di origine, al-Issawiya – incluso dalle autorità israeliane nella municipalità di Gerusalemme – Samer al-Issawi era stato liberato assieme a oltre un migliaio di palestinesi in cambio di Gilad Shalit.
Poco più di sei mesi dopo è stato arrestato nuovamente in una zona, a detta dell’esercito israeliano, “non appartenente al governatorato di Gerusalemme”, ovvero in Cisgiordania. Per aver violato i confini entro i quali avrebbe dovuto restare, è stato condannato a scontare i restanti 20 anni della pena condonatagli con lo scambio. Confini “labili, che cambiano continuamente a seconda dei decreti delle autorità israeliane” a detta del padre di Samer. Il tutto nella tristemente famosa “detenzione amministrativa”, pratica quasi standard per i prigionieri palestinesi: nessun capo d’accusa, nessuna difesa, nessun processo. Solo una sentenza della corte militare.
Il prigioniero, in condizioni critiche, non accenna a mollare lo sciopero della fame. Ha accettato da poco la somministrazione di vitamine e liquidi per via endovenosa dietro minaccia israeliana di iniettargli a forza del glucosio che, visto il suo stato di salute, probabilmente l’avrebbe ucciso. Una determinazione che, secondo sua sorella Shireen, spaventa Israele, memori dello sciopero della fame di massa avvenuto lo scorso anno, quando l’esempio di Khader Adnan e Hana Shalabi portò più di duemila detenuti palestinesi a rifiutare il cibo per 66 giorni, costringendo le autorità carcerarie israeliane a concedere un miglioramento delle condizioni dei prigionieri e trascinando le carceri dell'”unica democrazia del Medio Oriente” sotto i riflettori della comunità internazionale.
La famiglia al-Issawi denuncia una serie di violenze subite nelle ultime settimane. Più precisamente dal giorno in è stato diffuso in rete un video che mostra sette soldati israeliani picchiare selvaggiamente Samer – in sciopero della fame da oltre 150 giorni e su una sedia a rotelle – nell’aula della Corte dei Magistrati di Gerusalemme sotto gli occhi impassibili di un giudice. Per aver tentato di salutare sua madre prendendole le mani. Da allora, sua sorella Shireen è stata arrestata nella sua casa e tenuta 24 ore in carcere per “attività sovversiva”, ossia l’organizzazione di manifestazioni, in Palestina e fuori, per sostenere il fratello e la sua battaglia. E la sua licenza di avvocato è stata sospesa per sei mesi.
La tenda piantata all’ingresso del villaggio, un luogo di discussione e un simbolo del sostegno a Samer da parte degli abitanti del suo villaggio, è stata smantellata dall’esercito più volte. Il primo gennaio la casa del fratello Ra’fat è stata demolita. E qualche giorno fa i soldati israeliani hanno tolto l’acqua alla casa della famiglia al-Issawi, presentando un fantomatico conto di 50.000 dollari – decine di anni di uso quotidiano, dollaro più dollaro meno – per gli arretrati. Nonostante le bollette regolarmente pagate. “Questa – ha dichiarato Shireen – è la loro vendetta contro la nostra famiglia”.
Secondo l’organizzazione Addameer, che si occupa del supporto e dei diritti umani dei prigionieri, circa il 40% della popolazione palestinese maschile è passata per le carceri israeliane a un certo punto della propria vita. Spesso senza capi d’accusa né processo.
di Giorgia Grifoni
Commenti disabilitati su Samer Issawi continua sciopero fame in carcere | tags: anticarceraria, carcere, CordaTesa, israele, palestina, prigioniero, protesta, rivolta, samer issawi, sciopero della fame | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Tutti
Pomeriggio di tensione al carcere Don Soria per la plateale protesta di un detenuto rumeno salito sul tetto dell’edificio.
All’indomani della sentenza della Corte Europea di Strasburgo che condanna lo Stato italiano a risarcire centomila euro a sette detenuti per i danni morali derivanti dal trattamento disumano subito nelle celle sovraffollate dell’istituto di pena di Busto Arsizio, un’altra triste storia sempre collegata con il regime carcerario e con i guasti del sistema giustizia guadagna l’attenzione dei media.
Per fortuna, almeno in questo caso, si tratta di una storia a lieto fine anche se per decine di minuti si è temuto il peggio. Un uomo di nazionalità rumena di 26 anni, del quale non sono ancora state rese note le generalità, rinchiuso nella Casa Circondariale di Piazza Don Soriaad Alessandria, nel primo pomeriggio di quest’oggi si è arrampicato sul tetto della struttura detentiva proclamando la sua innocenza. Come abbia fatto il rumeno a raggiungere il tetto non è ancora stato chiarito.
La questione è attualmente al vaglio delle forze dell’ordine. Fatto sta che il detenuto ha attirato l’attenzione degli agenti della polizia penitenziaria. Dopo un primo attimo di smarrimento le guardie carcerarie hanno allertato i Vigili del Fuoco di Alessandria, prontamente intervenuti sul posto. A quel punto è iniziata una trattativa tra il detenuto ed il responsabile dell’ufficio di Polizia Giudiziaria dei Vigili del Fuoco Roberto Pascoli il quale, assistito anche da un dirigente della struttura penitenziaria e da una educatrice, intorno alle ore 16, ha convinto il rumeno a scendere a terra. Secondo quanto si è appreso, il detenuto, padre di un bambino in tenera età, sarebbe in carcere con l’accusa di furto e rapina, ma protesta la sua innocenza che, a quanto pare, non riuscirebbe a dimostrare poiché non può permettersi di assumere un avvocato di fiducia.
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Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha previsto 94 reclusi pericolosissimi a Sassari e altri 94 a Uta, mentre nella struttura di Badu ’e Carros ne resterà solo uno: il boss Antonio Iovine
SASSARI. Saranno 189 i detenuti di altissima pericolosità, quelli reclusi con il rigido regime del 41 bis, che arriveranno in Sardegna durante l’anno. A ospitarli saranno le nuove carceri di Sassari-Bancali e Cagliari-Uta e anche il vecchio ma ristrutturato penitenziario nuorese di Badu ’e Carros. Per i reclusi in regime di 41 bis sono infatti in fase di ultimazione 94 celle singole a Bancali e altre 94 a Uta. Celle molto particolari e superattrezzate, realizzate rispettando tutti i requisiti di sicurezza previsti per quel tipo di detenzione dura riservata ai criminali più pericolosi: soprattutto mafiosi e camorristi.
Il detenuto numero 189, ma sarebbe più logico definirlo numero 1 vista la sua altissima pericolosità, è il boss dei Casalesi Antonio Iovine: é l’unico recluso con il 41 bis a Badu ’e Carros da due anni.
Nelle due carceri di Bancali e Uta dove saranno reclusi i 41 bis non sono invece previsti detenuti identificati con il regime di alta sicurezza: questa è una misura preventiva fondamentale predisposta dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per evitare che i boss possano entrare in contatto con più facilità con la loro manovalanza e quindi mantenere rapporti con l’esterno. Una condizione necessaria anche per garantire la sicurezza del territorio sul quale gravita tutta l’attività legata ai penitenziari.
Il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata è il rischio maggiore di un carcere che ospita tanti detenuti di altissimo spessore criminale, ma il Dap e il ministero della Giustizia hanno sempre escluso, per quanto riguarda la Sardegna, questa possibilità con la spiegazione che la Sardegna sarebbe assolutamente impermeabile a eventuali collegamenti con questo genere di criminalità. Una valutazione confermata dagli studi fatti proprio in funzione della nuova dislocazione della popolazione carceraria sul territorio nazionale e su quello regionale.
Il ministero della Giustizia ha previsto per i detenuti con il 41 bis, che in tutta Italia sono oltre 600, l’isolamento. Un termine che però è molto più ampio di come viene solitamente inteso: isolamento per il ministero e per il Dipartimento carcerario significherebbe anche portare più criminali pericolosi possibili in penitenziari dai quali sia quasi impossibile la fuga e ancora più difficili i collegamenti con l’esterno. Quindi, quale posto migliore di una terra con il mare intorno come la Sardegna?
Proprio partendo da questa idea-base, era stata prospettata dal ministro della Giustizia, Paola Severino, la possibile riapertura del carcere nell’isola-parco dell’Asinara. Un penitenziario di altissima sicurezza, comunque inserito nell’isola-parco. Idea morta sul nascere, ma non sepolta visto che il progetto sarebbe comunque in cima alla lista delle misure da adottare in caso di inasprimento dell’attività della criminalità organizzata. Nel frattempo, in Sardegna stanno continuando ad arrivare detenuti dalla penisola. Anche durante il periodo natalizio ne sono stati trasferiti alcune centinaia, immediatamente accompagnati nei due nuovi penitenziari appena entrati in attività: quello di Nuchis, in Gallura, che ha sostituito la vecchia “Rotonda” di Tempio e quello di Massama, nell’Oristanese, che ha sostituito la fatiscente struttura di “Piazza Mannu”.
Tra i nuovi arrivati non ci sarebbero sardi, neppure quelli considerati di alta pericolosità, e sarebbero pochissimi quelli riportati in questi mesi nell’isola per scontare le loro pene. Nonostante le richieste dei reclusi e dei familiari, costretti a lunghe trasferte e ad affrontare spese sempre più impegnative per potere vedere anche solo per pochi minuti i loro cari. Una scelta che risulta inspiegabile, quella del Dap, che non avrebbe finora fornito alcuna spiegazione ufficiale sul mancato trasferimento di sardi in Sardegna, trascurando così anche la petizione con migliaia di firme a sostegno della cosiddetta “territorialità della pena”: cioè che i detenuti debbano scontare le condanne all’interno della loro terra di origine.
Sul futuro delle carceri isolane la situazione sarebbe comunque ancora in fase di studio da parte del ministero della Giustizia e del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. L’unica certezza, almeno per il momento, è soltanto sul numero dei detenuti con il 41 bis visto che nei due nuovi penitenziari di Bancali e Uta sono in fase di ultimazione le 188 (94+94) celle singole nei quali dovranno trascorrere i loro giorni fino all’espiazione della pena. Per il resto della popolazione carceraria ci sono soltanto ipotesi, ma senza numeri precisi. Sembra comunque certo che a Massama-Oristano e a Nuchis-Tempio saranno destinati in gran numero reclusi di alta-altissima sicurezza. Nuchis è stato infatti classificato dal Dap come As3, che significa alta sicurezza. A regime può ospitare 150 detenuti e la metà di loro (già arrivati) sono criminali molto pericolosi: mafiosi e camorristi di notevole spessore criminale, alcuni dei quali ergastolani. A Massama sono invece previsti 250 detenuti, oltre la metà dei quali dovrebbero essere di altissima sicurezza.
Ma i penitenziari isolani, nuovi e vecchi, oltre che ai detenuti sardi sembrano vietati anche alle guardie carcerarie. Nonostante l’inizio dell’attivita di due nuove strutture e l’imminente apertura di Sassari e Uta, sono stati pochissimi gli agenti sardi riportati a casa a fronte di oltre 650 richieste presentate e le carenze di personale un po’ ovunque.
Fonte: lanuovasardegna.gelocal.it
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“Questo non è un carcere ma un lager creato per spersonalizzare il detenuto non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società. Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi”. Sono le parole di trentacinque detenuti del carcere di Oristano – Massama “Salvatore Soro” che hanno fatto pervenire una lettera all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” rappresentando la realtà nella struttura penitenziaria inaugurata alla fine di novembre e già sottoposta a pesanti lavori di restauro.
CAGLIARI – “Qui – viene precisato dai firmatari della missiva – si trovano persone che devono scontare 10 giorni, alcuni mesi o qualche anno insieme ad altre che hanno alle spalle oltre 35 anni di reclusione. Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli. Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento. Insomma è vero che il carcere è aperto da poco tempo ma noi non abbiamo colpa e non abbiamo chiesto noi il trasferimento a Oristano. E’ assurdo infine – conclude la lettera – che non si possano acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvive allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.
“Le nuove strutture penitenziarie hanno necessità – osserva la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris – di un opportuno periodo di rodaggio durante il quale testare i dispositivi di sicurezza e quelli relativi alla vita comune come le cucine, le docce, i servizi igienici, i dispositivi elettrici e l’organizzazione interna con un numero adeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria e di operatori. Per mettere in moto e gestire una struttura così complessa e delicata sono necessarie progettualità e gradualità che poco si conciliano con un’assurda approssimazione che crea soltanto gravi difficoltà. La pretesa urgenza di aprire la struttura per rimediare ai danni del sovraffollamento e della vetustà del carcere di piazza Mannu ha determinato gravi disagi non solo ai detenuti e a tutti gli operatori ma anche ai familiari dei ristretti doppiamente penalizzati dalle difficoltà per raggiungere un carcere costruito volutamente in una zona isolata. La macchina quindi non funziona e nascondere la realtà non giova”.
Fonte: sardegnaoggi.it
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La Corte europea dei diritti umani «invita l’Italia a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la convenzione Ue». Con queste parole la magistratura di Strasburgo condanna il belpaese per il trattamento inumano e degradante (violazione dell’articolo 3) di 7 carcerati detenuti nell’istituto penitenziario di Busto Arsizio e in quello di Piacenza.
I detenuti erano rinchiusi in gruppi di 3 in celle di 9 metri quadrati, ovvero scontavano la loro condanna in uno spazio inferiore ai 3 metri quadrati, senza acqua calda e in alcuni casi privi di illuminazione insufficiente, ha denunciato la Corte, invitando l’Italia a porre rimedio alla questione entro un anno e a pagare ai sette carcerati un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali. La Corte ha infine osservato che nella fattispecie le due carceri, in grado di accogliere non oltre 178 detenuti, nel 2010 ne ospitarono 376, toccando un picco massimo di 415 detenuti.
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Centinaia di prigionieri del Carcere Numero 6 di Kopeisk, nella regione degli Urali della Russia, hanno combattuto feroci battaglie contro le forze di sicurezza e hanno lanciato una occupazione sul tetto per una protesta contro le condizioni draconiane, oltre che di torture, estorsioni e l’uso dell’isolamento. Quattro detenuti sono morti in carcere negli ultimi anni in seguito alle percosse usate dal personale. La protesta è durata per due giorni prima che la polizia e le forze speciali dell’esercito riuscisseo a riprendere il controllo.
La rivolta è iniziata quando circa 250 prigionieri hanno rifiutato di seguire le regole e la routine della prigione, chiedendo la liberazione immediata di quelli che erano in isolamento, oltre la fine di un trattamento barbaro e l’estorsione usata dai loro aguzzini. Sul tetto, i prigionieri esponevano cartelli con scritto “Aiutateci” e “Siamo migliaia in sciopero della fame”
Circa 300 familiari e amici dei prigioniri, così come molti ex detenuti, si sono raccolti al di fuori del carcere, e hanno messo in scena una protesta. Gridavano oscenità e lanciavano bottiglie contro la polizia e il personale penitenziario. La polizia ha percosso i manifestanti e ne hanno 39 arresti prima che la protesta si concludesse.
Un giornale locale ha riferito che:
“L’attivista per i diritti umani, Oksana Trufanova, ha detto alla stazione radio Ekho Moskvy che le truppe dell’OMON (polizia anti-sommossa) hanno attaccato il gruppo al di fuori del carcere. Ci hanno picchiato con bastoni, ha detto Trufanova. “I loro occhi brillavano.” Non sono mai stato in tale caos”
Alla sorella di un prigioniero, Olga Belousova, è stato permesso l’ingresso in carcere insieme ad un piccolo numero di parenti. Ha dato una breve intervista dopo aver lasciato il carcere:
“C’erano 60 persone nella stanza, tutti erano in piedi in silenzio. Ho detto loro che li sosteniamo e sono venuti per assicurarci che tutto va bene e che vogliono fare in modo che le loro voci siano ascoltate al di fuori della prigione.”
Le denunce, che sono stati lette dai detenuti, sono esempi esaurienti di estorsione, uso improprio ed eccessivo della forza e continue umiliazioni. Belousova ha aggiunto che:
“Essi non toccano coloro che gli danno i soldi, e spesso percuotono gli altri per costringere i parenti a pagare”
La madre di un ex prigioniero afferma che suo figlio è stato torturato innumerevoli volte e che gli agenti di polizia penitenziaria hanno sessualmente abusato di lui al carcere Numero 6.
Il padre di un altro ex prigioniero ha detto ad una agenzia di notizie locale che ha dato i suoi risparmi al personale del carcere in due occasioni:
“Ogni mese … se portavo i soldi, non c’erano problemi. I pagamenti in carcere sono spesso indicati come contributi volontari ”
Un mediatore che ha indagato sulle denunce precedenti, ha riferito che il denaro richiesto dal personale del carcere può essere fino a 200.000 rubli ($ 6.400). In confronto, il salario medio in Russia è di soli $ 10.000.
Il direttore del carcere non nega l’estorsione del suo staff. Ha incontrato i parenti e ha annunciato che è disposto a sopprimere i “contributi volontari”. I parenti sono preoccupati che una mossa del genere porterebbe portare ritorsioni da parte di costoro.
Dopo due giorni di disordini e di controllo del carcere da parte dei detenuti, la polizia, l’esercito e le forze speciali sono riusciti a riprendere il controllo della struttura. Ci sono 250 poliziotti in tenuta antisommossa all’interno del carcere.
Fonte: Libcom traduzione: ienaridensnexus.blogspot.it
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Siracusa, 4 gen. – Un detenuto straniero ha aggredito violentemente diversi poliziotti in servizio nel carcere di Siracusa. I Baschi Azzurri sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari per diverse contusioni. Un’ennesima aggressione “che deve preoccupare”, dice il Sappe, secondo cui “la carenza di personale di Polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Spesso, come a Siracusa, “il personale di Polizia Penitenziaria e’ stato ed e’ lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”.
Fonte: agi.it
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Maurizio Alfieri viene nuovamente trasferito da un carcere all’altro e il motivo è sempre lo stesso: è un prigioniero che non si piega ai ricatti e alla brutalità delle guardie e della direzione, è un prigioniero che ha sempre cercato di organizzarsi con i propri compagni, dentro e fuori le mura della galera, per segnalare e contrastare la violenza e la vigliaccheria degli aguzzini. Dopo mesi di resistenza, in cui la solidarietà verso i prigionieri di Tolmezzo ha travalicato di molto i confini del Friuli, fino a raggiungere con un presidio il Ministero della Giustizia in quel di Roma, la direzione del carcere ha cercato con questa mossa di disinnescarne il potenziale conflittuale.
Non solo un trasferimento da carcere a carcere, ma da sezione di isolamento a sezione di isolamento, con destinazione Saluzzo; carcere attorno al quale si era creato, fino alla scarcerazione del prigioniero No Tav Giorgio Rossetto lì detenuto, un coordinamento (NoISOL) contro le condizioni di segregazione dei prigionieri di quella sezione. Invitiamo tutti i nemici e le nemiche di ogni gabbia a scrivere a Maurizio e a sostenerne la resistenza anche a Saluzzo, continuando a
tenere sempre alta l’attenzione sul brutale carcere Tolmezzo, affinché si moltiplichino le occasioni di lotta dentro e fuori le galere.
Riceviamo e diffondiamo:
MAURIZIO ALFIERI TRASFERITO NEL CARCERE DI SALUZZO (CUNEO)
Apprendiamo che il 18 dicembre Maurizio Alfieri è stato trasferito dalla sezione di isolamento del carcere di Tolmezzo alla sezione di isolamento del carcere di Saluzzo. Chiamato al mattino in matricola e accompagnato da 6 o 7 guardie aveva capito subito che c’era qualcosa di strano. Dopo qualche ora di sosta in una celletta vuota, Maurizio viene portato in una saletta dove trova tutti i suoi vestiti buttati a terra e dove viene fatto spogliare e perquisire, mentre il comandante insulta i compagni che avevano partecipato al presidio di solidarietà perché avevano fatto il suo nome al microfono. Dopo un po’ il comandante Raffaele Barbieri arriva con un coltello di ghisa nero lungo circa 30 centimetri e accusa Maurizio, sulla base di una dichiarazione scritta di un delatore, di averlo nascosto nella sua cella. Maurizio risponde che a trovarlo è stato chi lo ha nascosto e che la dichiarazione dell’infame (una doppia merda, visto che nei suoi confronti Maurizio è sempre stato generoso e solidale!) è stata concordata con la promessa di un lavoro e della salita in sezione. Dopo di che Maurizio viene trasferito senza nemmeno poter raccogliere vestiti, fornello, cibo, radio, buste, francobolli ecc. Nel cellulare ci sono sette guardie e un fuoristrada con altre quattro lo segue. Gli dicono che la destinazione è Trani, ma alle ore 24,00 si ritrova a Saluzzo, in isolamento. Qui Maurizio ha potuto contare sulla solidarietà degli altri detenuti, che si ricordano del compagno NO TAV che era stato lì e del presidio di solidarietà che si era svolto all’esterno.
Maurizio si trova ora con dieci sanzioni disciplinari di 15 giorni di isolamento ciascuna, espressione della rappresaglia e delle ritorsioni nei suoi confronti da parte della direzione del carcere di Tolmezzo per tutte le denunce e le lotte da lui fatte. Tra l’altro, sia detto tra parentesi, una guardia che denuncia un prigioniero non dovrebbe poi “prestare servizio” nella stessa sezione del detenuto, mentre Maurizio ha accumulato fino a 6 denunce (per 90 giorni di isolamento) da parte di due guardie, rimaste sempre allo stesso posto. Che la direzione del carcere di Saluzzo decida o meno di farsi complice delle ritorsioni decise a Tolmezzo dipenderà, come sempre, anche dalla solidarietà che si svilupperà all’esterno. Maurizio, quanto a lui, non abbasserà certo la testa.
Maurizio ci informa anche che poco prima di essere trasferito stava raccogliendo delle firme in solidarietà con i compagni in AS2 ad Alessandria. Ringrazia poi uno ad uno, una ad una, tutti quelli e tutte quelle che gli hanno scritto.“Sono riuscito a portarmi la posta e ci tenevo ad abbracciarvi tutti/e al mio cuore compagni/e per dirvi che il vostro calore e la vostra vicinanza non mi fanno mai sentire solo. Vi voglio bene e vi abbraccio fraternamente, Maurizio”.
Maurizio ha espresso il desiderio di ricevere libri e pubblicazioni sull’anarchismo.
Per scrivergli:
MAURIZIO ALFIERI
VIA REGIONE BRONTA N. 19/BIS
12037 SALUZZO (CUNEO)
Fonte: informa-azione.info
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SPOLETO – Il sindacato di Polizia Sappe ha denunciato la difficile situazione nella quale operano gli agenti. Ultima aggressione: a Capodanno. E il 31 un detenuto era armato di una lamentta
E’ stato colpito al volto con un pugno mentre apriva la cella di un detenuto per consentirgli l’accesso al settore doccia del penitenziario. L’ennesima aggressione a danno di un agente della Polizia Penitenziaria è avvenuta nel carcere di Spoleto che come la stragrande maggioranza dei penitenziari italiani vive giornate di alta tensione a causa del sovraffollamento dei detenuti e i turni massacranti per i poliziotti sottorganico.
A farne le spese sono sempre più spesso gli agenti. Il pugno in pieno volto – bollettino medico parla di 5 giorni di prognosi- è avvenuto nella giornata di Capodanno; ha sferrarlo è stato un detenuto egiziano. Il sindacato Sappe ha denunciato l’aggressione ricordando che da tempo anche a Spoleto la situazione si sta facendo sempre più delicata e che quindi servono degli interventi immediati per tutelare chi lavora nel carcere. Già la sera del 31 dicembre si è di nuovo sfiorata la tragedia: un detenuto ha sfregiato il volto del compagno di cella con una lametta.
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Un detenuto di 50 anni ha tentato il suicidio impiccandosi alle grate della finestra del carcere. È accaduto ieri pomeriggio, nel penitenziario di Reggio Calabria A dare notizia stamane dell’episodio sono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. L’uomo, di nazionalità italiana, era solo in cella ed era rientrato da poco dalla comunità terapeutica esterna ed era in carcere per reati legati alla droga ed altro. “Solo grazie al pronto intervento dell’agente della polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva – comunica il Sappe -è stato evitato il peggio.
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Equitalia arriva anche in carcere. “Amaro fine d’anno per un cittadino recluso a Buoncammino. D.C., messinese, 68 anni, che all’inizio del 2012 aveva ottenuto ‘per le disagiate condizioni economiche’ la remissione dei debiti di giustizia, si è visto recapitare nel carcere di Buoncammino un sollecito di pagamento da Equitalia Nord. La nota lo ha gettato nello sconforto”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sottolineando “il disappunto e la preoccupazione con cui l’uomo ha accolto la lettera”.
CAGLIARI – “L’ordinanza dell’Ufficio di Sorveglianza di Cagliari aveva disposto – ricorda Caligaris – la cessazione con effetto immediato di tutti gli atti in corso e la comunicazione all’ufficio incaricato del recupero dei crediti. Dopo un anno invece Equitalia si è rifatta viva esigendo il pagamento di 1.685,55 euro comprensivi di interessi di mora calcolati al 28 novembre 2012. Il sollecito ha gettato nel panico l’uomo che nel corso di un colloquio ha manifestato il timore che l’atto in suo possesso potesse non essere valido. Il successivo chiarimento ha fugato le ansie ma resta il fatto che la remissione del debito per chi versa in condizioni di indigenza deve essere rispettata in pieno dagli enti creditori evitando situazioni imbarazzanti soprattutto per chi si trova privato della libertà. La burocrazia non può accanirsi, come purtroppo spesso accade, con chi è debole e non è in grado di difendersi soprattutto quando i documenti parlano chiaro”.
Fonte: sardegnaoggi.it
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BENEVENTO- Si aggrava a Benevento il rischio di una epidemia di tubercolosi nel carcere di Contrada Capodimonte: “Dopo la scoperta il 23 dicembre di un detenuto straniero affetto da tubercolosi – riferisce il Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria – erano stati disposti provvedimenti di profilassi per i poliziotti penitenziari in servizio in quella sezione detentiva e dagli accertamenti e’ risultato che quattro agenti sono risultati positivi al test della tbc.
Ma il numero potrebbe essere piu’ elevato, perche’ il detenuto era un lavorante, libero di muoversi nel carcere”. Per il segretario generale del Sappe Donato Capece, “quanto accaduto a Benevento e’ gravissimo e le responsabilita’ di avere ammesso al lavoro un detenuto con la tubercolosi sono ben precise: il direttore del carcere deve essere avvicendato. Non puo’ infatti costituire un alibi per l’amministrazione penitenziaria centrale l’assenza di un programma di prevenzione sui rischi di contagio, affinche’ si evitino ingiustificati allarmismi, con la sottoposizione periodica degli operatori penitenziari a vaccinazioni, la dotazione di kit di protezione, l’indicazione di una scrupolosa profilassi da eseguire. Tutto questo a Benevento non e’ stato fatto”.
Il Sappe auspica che “il ministro della Giustizia Severino assuma urgenti iniziative. Sono evidenti anche le responsabilita’ del capo del Dap Tamburino e del vicecapoPagano. La necessita’ di uno screening su scala nazionale risulta quanto piu’ utile e opportuno in considerazione dell’alto tasso di detenuti stranieri provenienti da Paesi dove patologie, che in Italia sono state debellate, sono assai radicate e diffuse, anche in considerazione che il sovraffollamento favorisce la possibilita’ di contagio”.
Fonte: eolopress.it
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FOGGIA – Una bimba di 10 giorni nel carcere di Foggia: che ci fa? E’ con la sua mamma detenuta nella sezione femminile della casa Circondariale foggiana, in attesa di giudizio incensurata. E se da una parte è giusto che la bimba riceva il calore materno, dall’altro una infante non può crescere in un ambiente dove il riscaldamento è acceso per una sola ora al giorno.
Il 24 dicembre scorso, mentre tutti eravamo indaffarati con gli ultimi regali e con i preparativi del cenone di Natale, i radicali dell’associazione ‘Mariateresa Di Lascia’ ispezionavano il carcere di Foggia.
Una visita ispettiva, la seconda dall’inizio dell’anno, che non ha portato a evidenti miglioramenti rispetto alla precedente, avvenuta a marzo: “stesso sovraffollamento. Capienza del carcere 450 posti, detenuti presenti 680, stessa carenza di personale: 312 agenti previsti dall’organico, 294 agenti effettivi” sottolinea Elisabetta Tomaiuolo Segretaria dell’associazione.
“Gli agenti presenti – continua la segretaria – non sarebbero sufficienti nemmeno a gestire il numero di detenuti regolamentare di 450, figuriamoci sostenere una situazione di emergenza di questo tipo. Stessi problemi strutturali: gli impianti sovracaricati si guastano e non è possibile nemmeno fare una doccia tiepida”.
In condizioni simili, difficilmete riescono a sopravvivere gli adulti, figuriamoci come possa farlo una bambina di 10 giorni in luogo simile. Il 12 dicembre scorso, infatti Arcangelo Navarrino, 44enne originario di Fasano (Br) condannato a 20 anni di reclusione (ossia fino al 2029), per l’omicidio del 41enne Giuseppe Fragasso, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. Nella casa Circondariale di Foggia, nel corso del 2012 ci sono stati 5 episodi di ingerimento di sostanze nocive, 12 colluttazioni, 14 episodi di autolesionismo, un decesso per morte naturale e 10 tentativi di suicidio.
I detenuti hanno commesso reati per i quali scontano una pena, ma restano persone che hanno bisogno di cure e attenzioni. “Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettano che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa” scriveva Cesare Beccaria ne ‘Dei delitti e delle pene’. E nei penitenziari, dove sono le leggi?
Nelle carceri italiane ci sono 60 bambini sotto i 3 anni, ma poche sono dotate di nido. Tra queste c’è la Casa Cicondariale di Foggia: “Ma possiamo definire una stanza con una culla malconcia, priva di qualsiasi suppellettile e genere di conforto riscaldata da una stufetta, una struttura nido? Quale società civile permetterebbe ad un’innocente di 10 giorni di vivere in queste condizioni?” dice la Segretaria radicale. Insieme alla bimba di 10 giorni, ci sono altri 2 bambini.
“Per farli sentire meno abbandonati abbiamo portato loro in regalo dei giocattoli, perché in fondo è Natale anche per loro. Ma questo non è che un gesto simbolico e certo non basta a restituire loro gioia e serenità. Occorre trovare delle soluzioni alternative, per tutelare questi bambini” ha affermato Tomaiuolo.
di Doriana Davenia
Fonte: foggia.ilquotidianoitaliano.it
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L’avevano annunciato alla vigilia che la mattina di Natale avrebbero visitato il carcere fiorentino di Sollicciano. E infatti una delegazione dei radicali si è presentata ai cancelli per controllare lo stato di questa struttura: “Una struttura fatiscente con infiltrazioni di acqua”, “in diverse celle piove anche sui letti dei detenuti” ha spiegato Matteo Mecacci, parlamentare radicale eletto nelle file del Pd, che stamani, insieme a una delegazione composta anche da Maurizio Buzzegoli e Rosa Marca, ha compiuto una visita ispettiva all’interno del penitenziario.
“La situazione è molto critica ormai da anni, ma le diffuse infiltrazioni di acqua – ha spiegato Mecacci al termine della visita, durata alcune ore – rendono invivibili non solo le celle ma anche i locali per la polizia penitenziaria. La mia impressione è che quel carcere deve essere abbattuto e ricostruito interamente”.
Mecacci, che è stato accompagnato nella visita anche dal cappellano del carcere, don Vincenzo Russo, ha riferito che attualmente il carcere fiorentino ospita 935 detenuti a fronte di una capienza di 450 persone. Tra i reclusi anche 88 donne e due bambini, uno di 3 e l’altro di 5 anni. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono 480 ma la pianta organica – ha spiegato il parlamentare – ne prevede 620.
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Provocazione e alcol alla base dei diverbi e della rissa nel carcere di Bologna
Nel tardo pomeriggio una decina di detenuti del reparto penale del carcere della Dozza, un gruppo di albanesi dopo un diverbio tra due detenuti sono entrati nella cella di uno di essi e lo hanno malmenato. Il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe riferisce che: “Solo grazie al pronto intervento degli agenti la rissa è stata sedata e sono state evitate conseguenze peggiori”. L’aggredito è stato trasportato in ospedale e avrebbe un polso rotto.
L’ABUSO DI ALCOL. Secondo il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Dutante, a scatenare l’aggressione il diverbio tra i due detenuti e “l’uso eccessivo di sostanze alcoliche. Sarebbe opportuno che l’amministrazione vietasse la consumazione di bevande alcoliche, anche nel reparto penale, così come è stato già fatto nel reparto giudiziario”.
Sempre nel carcere di Bologna, ha reso noto ancora il Sappe, questa mattina c’é stata una colluttazione tra due detenute nel reparto femminile. Un’agente intervenuta per sedare la rissa ha riportato lesioni guaribili in dieci giorni.
Fonte: bolognatoday.it
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MODENA – Materassi gettati nel cortile interni e ore di tensione per gli ospiti della struttura ingannati da alcuni messaggi che annunciavano la liberazione per il giorno di Natale
Una rivolta al Cie di Modena dalla dinamica inusuale per lo meno per quel che riguarda “l’innesco”: nella giornata di ieri, alcune palline da tennis sono state lanciate da mani ignote dentro la struttura di via La Marmora e al loro interno erano presenti bigliettini recanti la dicitura “Liberi tutti” un numero di telefono. Sta di fatto che il messaggio giunto agli ospiti era quello di un’imminente liberazione, di un’apertura dei cancelli prevista per il giorno di Natale. Peccato però che la notizia fosse privo di ogni fondamento. La cosa ha quindi provocato malumore generale e la rabbia delle persone rinchiuse nel Cie è esplosa con una rivolta: decine di ospiti hanno gettato nel cortile interno del centro e hanno iniziato a inveire contro il personale e le forze dell’ordine presenti sul posto. Tre ospiti, colti dalla disperazione, hanno addirittura tentato il suicidio impiccandosi. La situazione, se così si può dire, è rientrata nei binari della normalità a notte fonda. Non sono stati registrati danni né feriti a personale e forze dell’ordine.
“C’è un forte clima di stress e disagio, sia per gli ospiti che per il personale che lavora in quella struttura”, ha raccontato Cécile Kyengé, portavoce nazionale Rete Primo Marzo e consigliere provinciale Pd. “La situazione è intollerabile e peggiora nei periodi di festa, momento in cui si sente maggiormente la lontananza dai propri cari”. Assieme a Paola Manzini, Cécile Kyenge stamattina presto si è recata in via La Marmora, dopo essere stata informata ieri sera dell’accaduto da parte degli attivisti Medici per i Diritti Umani: “Per denunciare le difficoltà del Cie – ha aggiunto la portavoce della Rete Primo Marzo – gli ospiti della struttura di Modena hanno iniziato un nuovo sciopero della fame. Per quanto riguarda le persone che hanno tentato il suicidio, gli operatori sono riusciti a intervenire in tempo per soccorrerli e a condurle in infermeria”. Anche Desi Bruno è stata subito informata della rivolta: nei prossimi giorni, la garante regionale dei detenuti giungerà a Modena per un sopralluogo e verificare le condizioni degli ospiti.
Fonte: Modenatoday.it
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Tensione nel nuovo carcere di Massama, vicino a Oristano, dove un detenuto marocchino è stato protagonista di una colluttazione con due poliziotti.
L’episodio risale ai giorni scorsi. Le due guardie sono finite in pronto soccorso con ferite giudicate guaribili in sette giorni. L’episodio si sarebbe verificato durante l’ora d’aria, con due soli poliziotti che stavano controllando una trentina di detenuti, tutti solidali col marocchino, arrivato da poco dal carcere di Macomer. L’episodio è stato denunciato dall’Ugl. Secondo il sindacato, a Massama permangono problemi legati alla carenza di personale, anche in vista dell’arrivo di altri 125 detenuti pericolosi.
Fonte: Unionesarda.it
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Purtroppo,
Sventata evasione dal carcere di Busto Arsizio: la Polizia Penitenziaria ha fermato un sudamericano che aveva già progettato la fuga come nel più classico dei film polizieschi. Durante i controlli notturni le guardie si sono accorte che il detenuto non prendeva mai sonno. Da qui i primi sospetti: la Polizia Penitenziaria ha così deciso di trasferire di cella l’uomo, in modo da perquisire quella dove alloggiava con un altro carcerato. In effetti, i sospetti erano fondati: una volta entrati nella stanza i poliziotti hanno trovato tutto quello che cercavano.
Lo straniero aveva nascosto sotto il letto a castello una lunga e solida corda rudimentale realizzata con ritagli di lenzuola e coperte, una corda molto resistente. La componente di metallo posta al lato del letto come protezione si prestava inoltre ad essere utilizzata come gancio per tenere ben salda la corda alla finestra del bagno, già divelta: con un seghetto l’uomo aveva realizzato anche due piccole fessure in una delle sbarre protettive di ferro. Per non farsi scoprire aveva inoltre riempito le fessure con del sapone. Anche la battitura sulle sbarre eseguita dai poliziotti non consentiva di avvertire l’anomalia.
La finestra è affacciata su un piccolo cortile non molto distante dal muro esterno dell’istituto penitenziario. Per il carcerato sarebbe stato quindi facile, una volta calatosi dalla finestra, scalare la cinta e fuggire dalla casa circondariale. L’uomo è ora tenuto in stretta sorveglianza: sarà trasferito in un altro istituto.
Fonte: poliziapenitenziaria.it
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Una storia assurda arriva dall’Unione Sarda: tre agenti penitenziari hanno massacrato a badilate i cani di alcuni detenuti nel carcere di Is Arenas, alle porte di Cagliari. I cuccioli bersaglio della loro ferocia quattro meticci adottati e accuditi dagli ospiti della colonia penale.
Sono quindi finiti sotto inchiesta il sovrintendente G. D., 45 anni, e gli assistenti I. P., 45, e A. S., 49. Dovranno rispondere di uccisione di animali, omessa denuncia e atti persecutori.
E’ stato un testimone a far partire l’indagine, un cittadino marocchino detenuto a Is Arenas, A. C. Ha assistito alla strage. Stando al suo racconto, nel 2011 A. S. disse di aver ricevuto l’ordine di uccidere i cani. Le proteste dei detenuti non sortirono nessun effetto e S. massacrò a badilate tre dei quattro cuccioli. Il quarto fu ritrovato qualche giorno dopo da P. che completò l’opera.
Il detenuto C. a questo punto si sarebbe rivolto al sovrintendente D. per denunciare l’accaduto; quest’ultimo gli avrebbe risposto: “Stai zitto o ti trasferiamo in un altro istituto”. Ancora non si conosce il movente della mattanza, forse la tensione tra agenti e reclusi. Il direttore della colonia penale di Is Arenas, Pierluigi Porcu, invita alla prudenza: “Aspettiamo l’esito delle indagini, ho piena fiducia nel lavoro della magistratura. Non mi era giunta alcuna notizia di un fatto del genere e sono piuttosto scettico visto che si tratta di tre poliziotti assegnati al distaccamento a questure che amano molto gli animali. Non li ritengo capaci di un simile gesto”.
Fonte: cronacaeattualita.blogosfere.it
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Foggia – “COME se non bastasse il sovraffollamento cronico detentivo delle Carceri Pugliesi a quota 4.400 presenze in solo undici strutture penitenziarie contro una regolamentare tolleranza di posto letto pari a 2.450 persone stipate su letti a castello che toccano il più delle volte ed in quasi tutte i penitenziari il soffitto di alcune celle, una situazione di convivenza e promiscuità forzata bastevole, da ieri 19.12.2012 manifestano in modo collettivo attraverso il rifiuto del vitto dell’amministrazione e la terapia sanitaria tutte le 42 detenute presenti nel Super Carcere di Borgo San Nicola a Lecce, una manifestazione che si è protratta per tutta la giornata”. Lo dice Domenico Mastrulli, Vicesegretario Generale Nazionale sindacato OSAPP.
La protesta delle recluse di Lecce è stata attivata per solidarietà al leader del Partito Radicale On.Marco Pannella per lo sciopero della fame e della sete in atto al fine di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul dramma carceri e richiesta di AMNSTIA si è sviluppata con il dichiarato rifiuto del vitto dell’amministrazione penitenziaria e quello della Terapia Sanitaria a cui sarebbero assoggettate le ristrette.
A Foggia invece, ieri mattina tutti i detenuti ristretti nella Sezione Reclusione hanno dato vita ad una protesta, consistente nel rifiuto del vitto dell’amministrazione(latte e frutta),per l’insufficiente erogazione di acqua calda che non permette la fruizione della doccia alla maggior parte dei ristretti e la scarsa erogazione del sistema di riscaldamento dei reparti.
Intanto,nel pomeriggio di ieri 19.12.2012 ,dopo la protesta mattinale dei reclusi verso le ore 18,20 chiamati ad intervenire come pronto intervento nei Reparti tre appartenenti ai Baschi Azzurri in giunti nella “Sezione Particolare” dove sono ristretti 37 reclusi per sedare una accesa diatriba quasi violenta innescatasi tra reclusi in una cella occupata da tre persone, mentre uno di questi(l’aggressore dei poliziotti) voleva la meglio su uno degli occupanti e negava l’entrata al quarto detenuto in via di sistemazione nella cella gettando ogni indumento di proprietà di quest’ultimo fuori dalla stanza del Nuovo Complesso I destra cella n. 3 ,ha aggredito i tre Poliziotti di cui un sovrintendente procurandogli prognosi da tre a sei giorni a testa.
“Da informazioni assunte trattasi di un detenuto violento dedito alle aggressioni ai danni della Polizia Penitenziaria e di altre forze dell’ordine tale L.G. di Lecce condannato definitivo fine pena 16 maggio 2014 per resistenza e violenza a P.U., evasione dagli arresti domiciliari, concorso in tentata rapina.Uno dei tre agenti aggrediti in quel momento Vigilava ben due Sezioni Contemporaneamente una di 37 e l’altra di 13 per un totale di 50 detenuti tutti elementi a Sorveglianza particolare”.
Mastrulli: “Il problema carceri,il problema violenza ed aggressioni sui poliziotti,il problema Foggia si ripresenta sempre più invasivo ma soluzioni ed interventi benché richieste e sollecitate al Capo e Vice Capo Dipartimento tardano ad arrivare mentre altri poliziotti,come il caso di ieri sono vittime inconsapevoli di un sistema arrugginito penitenziario”.
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Le violenze sono scoppiate a seguito di un tentativo fallito di evasione da un penitenziario a Gomez Palacio, nel nord del Paese.
Secondo tentativo di evasione dal carcere di Gómez Palacio, in Messico, nel giro di due mesi. L’ultima volta la tentata evasione era stata bloccata sul nascere e due detenuti erano rimasti uccisi negli scontri. Ieri, invece, la situazione è degenerata in pochissimo tempo, tanto da richiedere l’intervento dei militari dell’esercito, e 17 persone – 11 detenuti e 6 guardie –sono rimaste uccise.
La rivolta è scoppiata intorno alle 17 di ieri, all’indomani di un’ispezione della struttura che aveva portato al sequestro di numerosi telefoni cellulari, armi e piccoli elettrodomestici introdotti illegalmente dai detenuti. Evidentemente non tutte le armi sono state sequestrate: un gruppetto di detenuti ha cominciato a sparare contro le torri di guardia e gli altri militari presenti nella struttura, mentre un altro gruppetto di carcerati ha tentato di fuggire passando attraverso un tunnel e cercando di superare la recinzione posteriore.
Nel panico generale, scrive El Pais, i militari hanno esploso diversi colpi in aria a scopo di avvertimento. Non avendo sortito alcun effetto, hanno preso a sparare contro i detenuti in fuga, uccidendone undici. A questi morti si aggiungono le sue guardie rimaste uccise nel conflitto, prima che intervenisse l’esercito e ristabilisse l’ordine.
Al di là di quest’ultimo episodio di violenza e del precedente, la struttura Gómez Palacio, nello stato di Durango, è stata oggetto anche in passato di scontri e scandali. Nel 2010, ad esempio, l’ex direttore del penitenziario era finito in manette per aver autorizzato alcuni detenuti vicini al cartello degli Zetas ad uscire dal carcere per regolare i conti con alcune persone all’esterno.
Si stima che le carceri messicane, e questa non fa eccezione, siano controllate per il 60% dalla criminalità organizzata e non è escluso che la rivolta di ieri sia collegata proprio ai gruppi criminali che da anni stanno dilaniando il Messico. Il fatto che il giorno prima fossero stati sequestrati armi ed altri oggetti potenzialmente pericolosi, ha spinto le autorità a credere che qualcuno dall’esterno – o forse addirittura qualche guardia corrotta – abbia contribuito a reintrodurre a tempo di record un nuovo arsenale.
Le indagini sono ancora in corso.
Fonte: Crimeblog
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