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IN ATTESA DEL BOTTO FINALE

Vorrebbe diventare una tradizione quella di salutare l’anno nuovo ai piedi delle mura di Sanquirico.
Anche quest’anno durante la notte di San Silvestro abbiamo voluto condividere i festeggiamenti con chi, nella città di Monza, brinda rinchiuso tra quattro mura.
Può sembrare poca cosa accendere fuochi d’artificio tra uno slogan e una battitura fuori da un carcere come quello monzese considerato dalla maggior parte dei detenuti come un carcere punitivo.
In realtà in un momento in cui la maggior parte della gente mangia e beve a volontà, la città è un tripudio di ingannevole contentezza e nelle strade iniziano a riversarsi a migliaia i cacciatori del divertimento metropolitano, crediamo che possa significare moltissimo la condivisione dei primi attimi del 2013 con uomini e donne a noi così vicini, e così terribilmente lontani.

Anche in questo 2012 ci sono state diverse sezioni allagate, problema ormai costante che capita ad ogni precipitazione più o meno consistente.
Quest’anno il problema si è aggravato arrivando persino all’evacuazione di intere aree ormai inutilizzabili poiché l’acqua è penetrata fin dentro gli interstizi delle pareti, fatto che ha causato il trasferimento di alcune centinaia di detenuti.
Oltre ai problemi della struttura sono sempre più gravi le condizioni di sovraffollamento e di violazione continua della dignità umana che si vivono dietro le mura del carcere cittadino.
Offese all’individuo che non tutti sono in grado di sopportare e che sfociano spesso in suicidi come quello che ha visto coinvolto un detenuto di 50 anni nel novembre dell’anno appena conclusosi.
Come si può vedere anche il carcere monzese volge ad una situazione che ormai riguarda tutte le carceri italiane.
Il governo ha provato a metterci una pezza, chiamata “emergenza carceri”, ma le pretese erano esorbitanti e presto la riforma Severino si è rivelata un grande bluff.
Come al solito lo stato gioca sulla pelle dei detenuti e qualcuno, come i radicali, pensa bene di sfruttare il malcontento e le sofferenze dei detenuti per garantirsi un bacino elettorale tramite richieste parziali che sono solo fumo gettato negli occhi.
Il carcere rimane un baluardo della società che viviamo e mai come adesso, lo stato ne ha un gran bisogno per reprimere le voci dissidenti e per far fronte ad una generale crisi della finzione democratica.
Crediamo che sia importante per ogni individuo che fa dell’azione politica confrontarsi con il carcere e con la possibilità della sua distruzione.

Ecco perché anche il primo giorno del 2013 eravamo sotto il carcere di Monza.
Le nostre voci non si sono piegate e non si sono confuse nel festoso frastuono, ma hanno valicato i muri cavalcando l’aria gelida di gennaio e si sono insinuate nelle celle chiuse, perché non ci sono muri che possono trattenere l’energia vibrante di cui sono fatte.botto finale
Il nostro augurio per l’anno nuovo?
Che dentro e fuori la rabbia diventi incontenibile.

Contro il carcere e la società che lo crea.

CordaTesa
cordatesa.noblogs.org


Proteste carceri, 3 agenti feriti a Foggia

Foggia – “COME se non bastasse il sovraffollamento cronico detentivo delle Carceri Pugliesi a quota 4.400 presenze in solo undici strutture penitenziarie contro una regolamentare tolleranza di posto letto pari a 2.450 persone stipate su letti a castello che toccano il più delle volte ed in quasi tutte i penitenziari il soffitto di alcune celle, una situazione di convivenza e promiscuità forzata bastevole, da ieri 19.12.2012 manifestano in modo collettivo attraverso il rifiuto del vitto dell’amministrazione e la terapia sanitaria tutte le 42 detenute presenti nel Super Carcere di Borgo San Nicola a Lecce, una manifestazione che si è protratta per tutta la giornata”. Lo dice Domenico Mastrulli, Vicesegretario Generale Nazionale sindacato OSAPP.

La protesta delle recluse di Lecce è stata attivata per solidarietà al leader del Partito Radicale On.Marco Pannella per lo sciopero della fame e della sete in atto al fine di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul dramma carceri e richiesta di AMNSTIA si è sviluppata con il dichiarato rifiuto del vitto dell’amministrazione penitenziaria e quello della Terapia Sanitaria a cui sarebbero assoggettate le ristrette.

Foggia invece, ieri mattina tutti i detenuti ristretti nella Sezione Reclusione hanno dato vita ad una protesta, consistente nel rifiuto del vitto dell’amministrazione(latte e frutta),per l’insufficiente erogazione di acqua calda che non permette la fruizione della doccia alla maggior parte dei ristretti e la scarsa erogazione del sistema di riscaldamento dei reparti.

Intanto,nel pomeriggio di ieri 19.12.2012 ,dopo la protesta mattinale dei reclusi verso le ore 18,20 chiamati ad intervenire come pronto intervento nei Reparti tre appartenenti ai Baschi Azzurri in giunti nella “Sezione Particolare” dove sono ristretti 37 reclusi per sedare una accesa diatriba quasi violenta innescatasi tra reclusi in una cella occupata da tre persone, mentre uno di questi(l’aggressore dei poliziotti) voleva la meglio su uno degli occupanti e negava l’entrata al quarto detenuto in via di sistemazione nella cella gettando ogni indumento di proprietà di quest’ultimo fuori dalla stanza del Nuovo Complesso I destra cella n. 3 ,ha aggredito i tre Poliziotti di cui un sovrintendente procurandogli prognosi da tre a sei giorni a testa.

“Da informazioni assunte trattasi di un detenuto violento dedito alle aggressioni ai danni della Polizia Penitenziaria e di altre forze dell’ordine tale L.G. di Lecce condannato definitivo fine pena 16 maggio 2014 per resistenza e violenza a P.U., evasione dagli arresti domiciliari, concorso in tentata rapina.Uno dei tre agenti aggrediti in quel momento Vigilava ben due Sezioni Contemporaneamente una di 37 e l’altra di 13 per un totale di 50 detenuti tutti elementi a Sorveglianza particolare”.

Mastrulli: “Il problema carceri,il problema violenza ed aggressioni sui poliziotti,il problema Foggia si ripresenta sempre più invasivo ma soluzioni ed interventi benché richieste e sollecitate al Capo e Vice Capo Dipartimento tardano ad arrivare mentre altri poliziotti,come il caso di ieri sono vittime inconsapevoli di un sistema arrugginito penitenziario”.


Presidio carcere a Cremona 22/12/12


Detenuto suicida a Catanzaro

  • In attesa di giudizio per tentato omicidio si e’ impiccato

CATANZARO – Un detenuto di origine marocchina si e’ suicidato l’11 dicembre nel carcere di Catanzaro. A dare la notizia e’ il sindacato Sappe. L’uomo, in attesa di giudizio per tentato omicidio, si e’ impiccato all’interno della cella dove si trovava da solo. Nonostante l’intervento della polizia penitenziaria per l’uomo non c’e’ stato nulla da fare.

Fonte ANSA


Rivolta nel CIE di Torino

Con estrema gioia riportiamo quanto successo fuori e dentro le odiose mura

Da Macerie:

FLAMBE’

A due settimane dalla rivolta del 30 novembre, una nuova protesta riscalda gli animi dei prigionieri del Cie di Torino. Ancora una volta, è bastato un piccolo saluto per accendere la miccia: quando, nel pomeriggio, una trentina di solidali si raduna fuori dal Centro, alcuni reclusi delle aree rossa, blu e viola salgono sui tetti e incendiano diversi materassi. Palloni da calcio e palline da tennis vengono lanciate oltre le mura, e un piccolo falò viene acceso sul marciapiede. La polizia interviene con gli idranti per spegnere gli incendi sui tetti e, a quanto pare, un muro interno dell’area rossa viene buttato giù per ricavarne pietre da gettare agli sbirri. A protesta terminata, la polizia perquisisce l’area rossa alla ricerca di pezzi di vetro (o di banane rinforzate?) e,  poco dopo, nell’area blu i reclusi lanciano bottiglie contro le guardie.


Guida al carcere

Scarica la guida per chi ha la sventura di entrare in carcere


Avellino, quattro detenuti evadono

Le forze dell’ordine sono ancora alla ricerca di tre dei quattro detenuti evasi dal carcere di Bellizzi Irpino in provincia di Avellino. Il quarto è stato ripreso dai carabinieri a Potenza. La Polizia penitenziaria e i Carabinieri stanno effettuando una vasta battuta a caccia dei tre evasi, anche con l’ausilio di un elicottero. I tre evasi dal carcere di Avellino, attualmente ricercati, sono, secondo quanto riferisce la Uil Pa Penitenziari, Cristiano Valanzano, nato a Vico Equense (Napoli), fine pena nel 2028, Salvatore Castiglione, nato a Crotone, fine pena nel 2036 e Fabio Pignataro, nato a Mesagne (Brindisi), fine pena nel 2025.

 – Gli evasi hanno procurato un foro di uscita dal bagno della cella rimuovendo un intero blocco di mattoncini, poi si sono calati con un lenzuolo annodato. Raggiunto il muro di cinta, si è appreso da Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari e da Pasquale Montesano, segretario nazionale dell’Osapp, i detenuti hanno posizionato un contenitore dell’immondizia sul quale hanno posato alcune pedane che hanno funzionato da scala.

I carabinieri li hanno intercettati a bordo di un’auto rubata – La fuga è stata scoperta stamane durante la conta dei detenuti: l’evasione sarebbe avvenuta nella nottata o nelle prime ore della mattinata. I quattro evasi sono stati poi intercettati dai carabinieri nella zona del Potentino a bordo di un’auto rubata. Uno dei quattro è stato arrestato, gli altri tre si sono dati alla fuga. Secondo le notizie in possesso ai sindacati, si tratta di detenuti comuni che erano reclusi al secondo piano della sezione ‘Giovani adulti’ tutti con condanne gravi: il fine pena più breve dei quattro era al 2028.

La Uil: fare luce sulle responsabilità – “La rocambolesca evasione messa in atto da quattro pericolosi delinquenti, ristretti alla Casa Circondariale di Avellino, non può non generare preoccupate riflessioni sull’evento odierno, ma più in generale sulle criticità operative che oberano, sino a portarlo alla completa inefficienza, il sistema penitenziario italiano”. Lo sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari.

PURTROPPO
E’ durata poco più di 24 ore la fuga dei quattro pregiudicati evasi ieri notte dal carcere di Bellizzi Irpino (Avellino). Dopo che ieri era stato bloccato il tarantino Daniele Di Napoli, preso in provincia di Potenza mentre era alla guida di un’automobile rubata, i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza hanno arrestato gli altri tre fuggitivi. Si tratta di Cristiano Valanzano, di Castellammare di Stabia, Salvatore Castiglione, di Crotone, e Fabio Pignataro, di Mesagne (Brindisi). I tre sono stati individuati nelle campagne di Sibari di Cassano allo Jonio nei pressi di un casolare diroccato in cui avevano trascorso la notte.


Tonelli – fuggitivo racconta, tra carceri e OPG

RIMINI – La fuga dalla comunità di recupero di Marradi, nascosto nel bagagliaio di un’auto. E il viaggio lungo 36 ore che lo porterà oltre confine, in una Paese straniero, una località sconosciuta sulla quale vuole mantenere il segreto. E poi i ricordi degli anni trascorsi in carcere o nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Fabio Tonelli, 38 anni, gli ultimi dei quali passati in una cella per espiare le colpe di un’eterna lite con i vicini di casa. Chi è Tonelli? L’uomo che da del “lei” a sua madre, ripudiato dai genitori, un avvocato mancato, uno dei primi a subire la condanna per stalking a Rimini, un attaccabrighe: un folle o solo un po’ borderline? Non ci cimenteremo in una risposta che non ha trovato d’accordo gli stessi psichiatri.

Quel che riteniamo importante in queste righe è la testimonianza in presa diretta di una persona che ha vissuto la dolorosa detenzione in un ospedale psichiatrico giudiziario. E che sa trovare le parole per raccontare la sua disavventura.
Tonelli, che nel tempo è stato definito una personalità “dissociata”, o affetto da un“narcisismo maligno”, con consapevole lucidità, in un carteggio pervenuto alla Voce, motiva i suoi dissapori con il mondo intero. “A San Vittore rimasi pochi mesi perché la direzione non mi voleva per quello che ero, per quello che raccontavo e per quello che facevo”.

Con la stessa franchezza spiega perché é fuggito dalla comunità di don Nilo dove si trovava ricoverato, dopo aver espiato la sua pena perché ritenuto giuridicamente pericoloso. Scrive: “La magistratura italiana è così pressapochista da non rendersi neppure conto che le misure di sicurezza successive a fine pena detentiva godono di particolare discredito in molti paesi europei e sono invise davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Infatti si tratta di misure pseudosanitarie. Se una persona fosse ammalata dovrebbe essere curata subito e non dopo anni trascorsi in carcere senza cure”.

Se la magistratura italiana decidesse di mettersi sulle sue tracce o di chiedere al Paese che lo ospita di estradarlo, “farebbero il mio gioco perché sarei pronto a fare diventare il mio un caso internazionale, frutto di un provvedimento abnorme e attuato per perseguitarmi”.
Pungola, Tonelli, e diventa anche ironico quando racconta come funzionano le comunità di recupero. “Sono stato ospite di una comunità per tossicodipendenti ed ero l’unica persona a non essere mai stata tossicodipendente. Il mio programma di recupero era identico al loro e consisteva nel raccogliere castagne nella loro piantagione, lavoro ritenuto presupposto indispensabile per uscire dal tunnel della droga. Mi trovavo a Marradi in misura di sicurezza per presunta pericolosità sociale giuridica (mentre la pericolosità psichiatrica è stata esclusa da tutti i consulenti che lo hanno visitato, ndr). Secondo il giudice non potevo lasciare la struttura se non accompagnato”. Ma infine il giudice del tribunale di Sorveglianza di Firenze si è arreso e gli ha concesso di andare da solo alle udienze, nei vari processi (in cui è spesso imputato e talvolta vittima). “Come si giustifica la pericolosità sociale pur attenuata e la presunzione di rifare reati se poi vai di continuo da Marradi a Rimini da solo e stai via tutto il giorno per udienze e treni? E dire che se fossi stato pericoloso, avrei ben potuto presentarmi sotto casa della famiglia Bugli (la famiglia di Riccione con cui si innescato il conflitto con il vortice di querele e contro querele, ndr).

Ma la pagina più toccante del “diario di Tonelli dalla località segreta”, il fuggiasco la scrive sulla sua esperienza di paziente di Opg (ospedale psichiatrico giudiziario). “Quando ho visto che luoghi erano gli Opg ho ritenuto di credere che in carcere si hanno ancora taluni diritti, mentre in Opg tanti diritti sono assenti e si è nelle mani dello psichiatra – carceriere. Credo che se non avessi rinunciato all’attenuante del vizio totale di mente e non avessi fatto il giro delle carceri del nord a quest’ora sarei stato lobotomizzato e non potrei scrivere queste memorie”.
Per i presunti abusi subiti nell’Opg di Reggio Emilia, due anni fa Tonelli sporse denuncia contro la direzione della struttura. Un anno dopo, mentre si trovava al carcere di Montorio a Verona, andarono i carabinieri a interrogarlo per tre ore e mezza. I carabinieri indagavano in seguito alla sua denuncia sull’uso punitivo della medicina psichiatrica e sull’ipotesi di tortura”.

Nella sua denuncia ha menzionato persone internate provenienti dal forlivese e dal cesenate, oltre che dal riminese. Persone sottoposte al cosiddetto “<ergastolo in bianco”. Dimenticate cioè in quelle strutture di cura. “A Reggio ho anche incontrato Alessandro Doto il ragazzo che uccise l’addestratrice di delfini a Riccione. “Ma soprattutto ho visto cose assurde. Ho visto persone assolte per vizio totale di mente che si trovavano lì per resistenza a pubblico ufficiale, internate da 9 anni. Ho visto persone di 80 anni e oltre sulla sedia a rotelle, internate provvisoriamente a Reggio. Alcuni mi hanno raccontato di essere stati legati al letto per giorni, perfino settimane. Il mio compagno di cella fu scarcerato dopo che io gli scrissi il Riesame contro la misura di sicurezza provvisoria. Molte di queste persone sono abbandonato da parenti ed amici e non possono essere scarcerate perché nessuno li prende in affido. C’è un cesenate, che molti anni fa uccise il suocero, che è stato rinchiuso nell’Opg per vizio totale di mente e sta scontando, inconsapevolmente, un ergastolo in bianco.
Anche Tonelli fu legato al letto, avendo rifiutato le cure. Più avanti aveva poi imparato a gettare i farmaci nel water “gli infermieri erano compiacenti e mi tenevano il gioco con il medico psichiatra affinché la mia situazione non si aggravasse e non fossi di nuovo legato al letto”.

Nella località segreta in cui si trova oggi Tonelli, ha cominciato a prendere qualche contatto per una futura attività lavorativa. Un patronato che cerca docenti i lingua italiana per immigrati che da questo paese vanno in Italia gli ha promesso di ricontattarlo in gennaio. Talora mi chiedo quanto tempo durerà questo viaggio prima che possa ritornare nella mia Rimini, in un’Italia diversa”.

Fausta Mannarino

 


Carceri sovraffollate e in pessime condizioni: la denuncia di Antigone

L’Italia è il Paese con le carceri più sovraffollate dell’Unione europea. Ci sono 140 detenuti ogni cento posti, mentre il tasso d’affollamento medio in Europa è del 99,6 per cento. In totale i detenuti negli istituti italiani sono 66.685. Ben 1.894 in più rispetto al gennaio 2010, quando fu decretato lo stato d’emergenza per il sovraffollamento carcerario. Di contro la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari è di 46.795 posti. Le cifre e le carenze del sistema carcerario italiano emergono dal nono rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione “Senza Dignità” stilato dall’associazione Antigone, presentato oggi a Roma. Un documento di indagine cui per la prima volta si affianca un web-documentario Inside Carceri realizzato da Next New Media.

Un’inchiesta all’interno di 25 istituti con schede e testimonianze della vita carceraria, come quella di Giuseppe Rotundo, un ex detenuto che contattato via Skype racconta di essere stato pestato da tre agenti nel carcere di Lucera (Foggia). Nel video Rotundo denuncia di essere stato convocato dopo aver insultato una guardia. Una volta fatto spogliare, ha raccontato, è stato colpito con pugni e calci, e poi lasciato nudo. Gli agenti hanno inoltre denunciato Rotundo imputato per “aver usato violenza e minaccia per opporsi a pubblici ufficiali” e a potuto soltanto in un secondo momento denunciare a sua volta i poliziotti. Gli esempi delle condizioni in cui versano le carceri italiani si trovano in tutto il Paese. Nella casa circondariale di Brescia Canton Mombello la capienza ufficiale dovrebbe essere di 208 unità. Nelle 90 celle i detenuti sono invece 521. Nelle celle più piccole, attorno agli 8, 9 metri quadri vivono non meno di cinque detenuti, in quelle più grandi si arriva a 8. A Busto Arsizio la capienza regolamentare della casa circondariale è di 167 posti, i detenuti sono 435. A Cagliari il tasso di affollamento è del 150 per cento. Nel reparto maschile della casa circondariale di Latina arriva al 200 per cento, con molti detenuti costretti a dormire con il materasso a terra. A Fermo, struttura piccola e quindi in teoria di più facile gestione, le celle più grandi hanno letti a castello da due o tre piani e in alcune stanze i detenuti non soltanto non riescono a stare tutti in piedi contemporaneamente, ma sono costretti a mangiare a turno perché non c’è spazio per più sedie. I dati sul sovraffollamento non tengono inoltre conto delle molte celle e sezioni chiuse per inagibilità: al momento circa 5.000 posti in meno.

Nelle cifre, nota Antigone c’è anche qualcosa che non torna. Secondo i dati ufficiali, la capienza regolamentare è di oltre 46mila posti. I dati sono aggiornati al 31 ottobre. Appena due mesi fa, la capienza era invece di 45.568 posti. “A che gioco giochiamo?”, si chiedono gli estensori del rapporto, “a noi non risulta l’apertura né di nuove carceri né di nuovi padiglioni nei vecchi istituti di pena”. Uno sguardo al bilancio aiuta a inquadrare la situazione. Nel 2007 con una presenza media giornaliera di oltre 44mila detenuti il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva a disposizione 3 miliardi e 95 milioni di euro. Nel 2011 con la presenza media che saliva a oltre 67mila detenuti, il bilancio subiva invece un taglio del 10 per cento, che non andava a intaccare i costi del personale, ma gli investimenti in edilizia e mezzi e quelli per il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione e il trasporto dei carcerati.

È in queste condizioni che quando manca un mese alla fine del 2012, i detenuti morti in carcere sono stati già 93, di cui 50 per suicidio. Se poi si passa a valutare la salute dei detenuti la situazione non è rassicurante, sebbene l’età media sia aggiri attorno ai 35 anni. Mancano dati nazionali affidabili, sottolinea Antigone, ma prendendo come esempio le carceri toscane salta agli occhi come il 73 per cento dei detenuti soffra di qualche malattia, in particolare disturbi psichici o dell’apparato digerente. Secondo il rapporto, però, costruire nuove carceri non è però la panacea per tutti i mali. Prima di tutto occorre rivedere il codice penale e particolar modo le leggi sulla recidiva, sull’immigrazione e sulle droghe. Le tre che generano il maggior flusso di ingressi in carcere. Basta un raffronto con l’estero per capire. In Italia il 38 per cento dei detenuti è stato condannato per aver violato la legge sulle droghe. Percentuale che cala al 14 per cento in Francia e Germania ed è al 28 per cento in Spagna. Proprio dall’estero arrivano esperimenti che possono aiutare a non guardare al sistema carcerario come afflitto dai soliti irrisolvibili problemi. Dalla Germania il basso ricorso alla custodia cautelare, che in Italia contribuisce invece al 42 per cento della popolazione carceraria. Dalla Spagna i cosiddetti “Modulos de respeto”, un particolare regime detentivo che prevede celle aperte tutto il giorno e dà al detenuto maggiori opportunità di socialità, di formazione professionale e di istruzione. Dalla Norvegia le liste d’attesa e le carceri aperte che garantiscono sempre la presenza di posti liberi negli istituti e che, ovviamente, non sono applicate a tutti, ma con a monte una selezione a seconda del rischio di reiterazione del reato e da cui sono esclusi i condannati per reati gravi.

di Andrea Pira

tratto da Il fatto quotidiano, 19 novembre 2012