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Detenuto tenta di accoltellare agente penitenziario nel carcere della Dozza di Bologna

cordatesaAggressioni in carcere: detenuto tenta di accoltellare Agente di Polizia Penitenziaria nel carcere della Dozza di Bologna.

Un agente della Polizia Penitenziaria è stato aggredito ieri pomeriggio da un detenuto italiano di circa 30 anni all’interno del carcere della Dozza. L’uomo, con un rudimentale coltello, ha tentato di ferire l’agente che però è riuscito a schivarlo, ma nella colluttazione successiva ha riportato contusioni guaribili in 15 giorni.

Lo rende noto il sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe. L’episodio Continue reading


Detenuto tenta suicidio alla Dozza

cordatesaL’uomo, 30 anni, dopo essersi costruito un cappio rudimentale è salito su uno sgabello per poi lanciarsi, in quel preciso istante è riuscito ad intervenire un agente della polizia penitenziaria che lo ha tratto in salvo precipitandosi nella cella. A comunicare la notizia è Giovanni Battista Durante Segretario generale aggiunto del Sappe.

Nella sua nota Durante spiega che è la seconda volta che questo stesso detenuto tenta il suicidio nella sua cella: “ aveva tentato il suicidio ed era stato salvato dalla polizia penitenziaria che  lo teneva sotto stretto controllo. Ricordiamo che ogni anno sono circa 1.100 i detenuti che tentano il suicidio e vengono Continue reading


Detenuto provoca incendio a Bologna, evitata tragedia

cordatesa(Adnkronos) – “Oggi pomeriggio, nel carcere bolognese della Dozza e’ stata evitata la tragedia”: un detenuto, ricoverato nel reparto infermeria, ”ha dato fuoco al materasso, provocando un incendio, da cui e’ scaturita una folta coltre di fumo che ha intossicato l’ambiente, costringendo il personale di polizia penitenziaria ad evacuare tutta la sezione”. Lo scrive in una nota il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. L’operazione, sottolinea Durante, non e’ stata facile “considerato che nel reparto c’erano anche detenuti infermi. Il detenuto ed il personale di polizia penitenziaria sono stati portati in ospedale per gli accertamenti e le cure del caso. Al personale vanno i nostri complimenti per il lavoro svolto e chiediamo all’amministrazione -conclude la nota- di avviare le procedure per la ricompensa prevista dal regolamento”.


Va in carcere imbottito di ovuli cocaina

cordatesa(ANSA) – BOLOGNA, 6 MAG – Evitata l’introduzione di droga nel carcere della Dozza.
Gli agenti hanno captato il nervosismo di un nigeriano arrestato per spaccio.
Deciso di portarlo in ospedale, ha chiesto di andare in bagno dove, in presenza di agenti, ha espulso 22 ovuli, contenenti pare sempre cocaina.
In ospedale e’ emerso che ha ingerito atri 11 ovuli.
‘Si tratta di uno dei tanti modi in cui la droga entra carcere – scrive il sindacato Sappe – Sarebbe stato davvero grave, sarebbe stato sicuramente spacciato’.


“Noi, donne dietro le sbarre senza un futuro davanti”

Le detenute del carcere della Dozza si raccontano. “Ho fatto il corso da parrucchiera, ma non ho la preparazione adatta. Chi mi assumerebbe fuori?”. Un’altra: “Non trova lavoro mio figlio, figuratevi io, quando dirò che sono stata in galera mi scarteranno”

life_inside_women_prison_56Le sedie vuote. La paura ad esporsi scritta in faccia. Le parole che faticano a uscire. Prove tecniche di dialogo, alla sezione femminile del carcere della Dozza. La presidente del consiglio comunale e la presidente della commissione delle elette, Simona Lembi e Mariaraffaella Ferri, hanno voluto includere una vista all’isolato padiglione di via del Gomito nel programma di iniziative legate all’8 marzo. Un confronto con le cittadine “invisibili” di questo mondo a parte. Il tentativo di capire bisogni e necessità.

Sono 55, in questi giorni, le ragazze e le donne dietro le sbarre. Una sola può uscire a lavorare. Una è in semidetenzione, deve cioè passare in istituto almeno dieci ore al giorno.Ventisette stanno scontando pene definitive. Ventisei sono in attesa di giudizio. Ma ad aspettare le ospiti nella sala comune del piano terra sono appena in undici, una rappresentanza scelta con criteri che sfuggono, forse solo l’arbitrio della sovrintendente che la manda a prendere in cella.

Sono ancora in meno a parlare, confrontandosi per la prima volta anche con la neodirettrice, Claudia Clementi (l’intervista). E solo due accettando di dire il loro nome, altro “particolare” che lascia intuire debolezze, il timore di essere riconosciute, giudicate, ritenute non affidabili. Vivian no, non ha paura.Racconta della sua doppia condanna, di donna e di madre, e segnala che cosa secondo lei non va nell’assistenza sanitaria di base. “Ho un bambino di sette anni. Non l’ho potuto vedere per quasi quattro, fino a quando non sono uscita in permesso. E’ a carico dei miei genitori. I volontari Avoc ci danno un supporto morale, ma il supporto materiale dove è? Se fuori non c’è aiuto, per noi che cosa rimane?”. E, ancora, raccogliendo dalla direttrice la promessa di una verifica della situazione: “Una sera stavo male, le patologie vascolari tra noi detenute sono diffuse. Ho chiesto del medico di guardia. Lui pensava che volessi le gocce per dormire, richiesta frequente in carcere. Non era così. Non è venuto. Ha fatto una diagnosi telefonica”.


Altro problema: l’adeguatezza e la spendibilità, all’esterno, dei corsi di formazione professionale organizzati all’interno. “Sono qua dentro da cinque anni. Sento parlare di I-phone e I-pad, ma non so cosa siano… Ci vorrebbero corsi di informatica, adeguati ai tempo. Io ho seguito quello per parrucchiera, praticamente solo taglio, visto che non si è potuto usare quasi mai nemmeno il phon. Ma chi mi assumerebbe fuori? Nessuno, credo. Non ho la preparazione adatta, lo capisco da me”.

Il fuori, il dopo, l’impossibilità di pensarsi in positivo. Un’altra detenuta madre, lei restia a dire il proprio nome, non la prende alla lontana: “Esci e vai a sbattere con il sedere per terra. I portoni ti si chiudono davanti. Io ho un figlio di 25 anni, in un’altra città. Non trova lui impiego, figuriamoci se lo troverò io. Appena sentono che sono stata in galera, scappano. Lui, me lo scrive, dice di sentirsi uno zingaro, Io, impotente, mi sento una madre piccola”. Dentro, per le donne, le opportunità sono ridotte al minimo. A parte i lavori domestici di cucina, pulizie, distribuzione vitto – a rotazione, le ore retribuite via via tagliate – resta solo la sartoria “Gomito a gomito”, tre socie della cooperativa che crede nel laboratorio e nelle detenute piegate sulle macchine per cucire.

“E’ brutta da dire, ma quando esci se non hai una famiglia che fai? La barbona? E che significato ha il percoso che hai seguito in carcere, se il reinserimento è una ruota della fortuna?” Il futuro moltiplica le incognite. Il budget per i corsi, al maschile e al femminile, è stato ulteriormente ridotto. Per finanziare il progetto Acero – collocamento in comunità e avviamento all’impiego – sono state abolite le borse lavoro. Per finanziare la leggi Smuraglia, gli incentivi agli imprenditori che assumono dentro gli istituti, i fondi sono stati sottratti al denaro a disposizione per pagare i lavoranti e le lavoranti.

Fonte


Maxirissa alla Dozza

Provocazione e alcol alla base dei diverbi e della rissa nel carcere di Bologna

Nel tardo pomeriggio una decina di detenuti del reparto penale del carcere della Dozza, un gruppo di albanesi dopo un diverbio tra due detenuti sono entrati nella cella di uno di essi e lo hanno malmenato. Il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe riferisce che: “Solo grazie al pronto intervento degli agenti la rissa è stata sedata e sono state evitate conseguenze peggiori”. L’aggredito è stato trasportato in ospedale e avrebbe un polso rotto.

L’ABUSO DI ALCOL. Secondo il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Dutante, a scatenare l’aggressione il diverbio tra i due detenuti e “l’uso eccessivo di sostanze alcoliche. Sarebbe opportuno che l’amministrazione vietasse la consumazione di bevande alcoliche, anche nel reparto penale, così come è stato già fatto nel reparto giudiziario”.

Sempre nel carcere di Bologna, ha reso noto ancora il Sappe, questa mattina c’é stata una colluttazione tra due detenute nel reparto femminile. Un’agente intervenuta per sedare la rissa ha riportato lesioni guaribili in dieci giorni.

Fonte: bolognatoday.it