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La protesta estrema della famiglia Al Khawaja

L’attivista Zainab al Khawaja grida “Dio è più grande di qualsiasi tiranno” mentre viene arrestata dalla polizia a Eker, in Bahrain, il 21 ottobre 2012. (Hasan Jamali, Ap/Lapresse)

images (20)Aumenta la preoccupazione delle organizzazioni non governative per Zainab al Khawaja, un’attivista politica di 29 anni rinchiusa nel carcere di Madinat Isa, in Bahrein. Le sue condizioni di salute sono critiche dopo che il 17 marzo ha cominciato uno sciopero della fame per protestare contro la sua incarcerazione. Per alcuni giorni Zainab e il padre Abdulhadi, uno dei più strenui oppositori del regime bahreinita, in carcere dal giugno del 2011, hanno rifiutato anche i liquidi.

Zainab al Khawaja, conosciuta per il suo blog Angry Arabia, è stata arrestata per la prima volta nel dicembre del 2011 con l’accusa di “raduno illegale” e “incitamento all’odio contro il regime”, scrive Amnesty International. Pochi giorni dopo è stata rilasciata. Lo scorso 28 febbraio è stata condannata a tre mesi di carcere per “oltraggio a pubblico ufficiale”. Era stata assolta da questa accusa nel maggio del 2012, ma il pubblico ministero è ricorso in appello ottenendo una condanna.

Dal carcere ha scritto una lettera pubblicata da vari giornali, tra cui il New York Times, in cui racconta la sua personale ribellione contro le autorità carcerarie: “Come prigioniera politica in Bahrain, ho cercato un modo per combattere dall’interno della fortezza del nemico, come ha detto una volta Nelson Mandela. Quando sono stata messa in una cella con altre quattordici persone, tra cui due condannati per omicidio, e mi hanno dato i vestiti arancioni della prigione, sapevo che non avrei potuto indossarli senza mandare giù un po’ della mia dignità. Il gesto di non indossare la divisa dei condannati, dal momento che non ho commesso nessun crimine, è diventato il mio piccolo atto di disobbedienza civile. Mi hanno punito non lasciandomi vedere la mia famiglia e la mia bambina di tre anni. Ecco perché sono in sciopero della fame”.

Secondo il Centro per i diritti umani del Bahrein, guidato dalla sorella di Zainab, Maryam, ad alcuni detenuti non viene chiesto di indossare l’uniforme e imporre questa regola è “una nuova modalità per umiliare i prigionieri di coscienza e identificarli come criminali”. Nonostante la rivoluzione del 2011, gli attivisti e gli oppositori di re Hamad ricevono continue minacce di violenza. Nel paese è cambiato poco dalla violenta repressione dei manifestanti avvenuta a febbraio e marzo del 2011.

Lo ha scritto anche Zainab, nel suo ultimo tweet: “Ci rendiamo conto che la primavera araba è solo il primo passo verso la democrazia, ma è stato un passo importantissimo”.

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La protesta al Cie: «Due persone con le labbra cucite»

Labbra-cuciteBOLOGNA – «Anche oggi al Cie di Bologna ci sono due persone, un uomo e una donna, con le labbra cucite per protesta, contro la propria situazione e contro le condizioni della struttura». Lo rileva la Garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, avvocato Desi Bruno, precisando di aver saputo ieri di queste due persone e di aver accertato che «ancora oggi sono nelle stesse condizioni». Questa protesta autolesionista, cominciata anni fa in carcere, è praticata anche nei Centri di identificazione ed espulsione per immigrati (Cie). La Garante spiega che l’uomo «proviene dal carcere e si chiede come mai si trovi al Cie. La donna l’ha fatto perchè non riesce a comunicare: anche ieri mancava il mediatore arabo»

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Protesta nel carcere di Massama Trenta detenuti in sciopero della fame

Una trentina di detenuti del carcere di Oristano -Massama, collocati nella sezione al primo piano dell’Istituto, da ieri si astengono dal cibo per denunciare le condizioni di inadeguatezza della Casa Circondariale.

badu e c arfroLo ha reso noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sottolineando che nella nuova struttura sono attualmente presenti 200 detenuti. “Gli autori della protesta lamentano carenze strutturali, l’assenza della biblioteca, delle attrezzature per rendere agibile la palestra ed il campo sportivo. Carenze che li costringono – ha spiegato Caligaris – a restare chiusi dentro le celle. Giudicano ingiustificabile la chiusura dei blindi e degli spioncini durante il giorno e la impossibilità di effettuare liberamente la socialità. Tra le lamentele anche il fatto di non poter stendere i panni all’aperto e la non disponibilità di prodotti per la pulizia delle celle. L’altra carenza riguarda la fruizione dell’acqua calda per le docce riservata solo alle prime ore del mattino. A distanza di poco più di un mese, da quando avevano lamentato condizioni di invivibilità, i detenuti della struttura, inaugurata a novembre, intendono riproporre con forza le loro ragioni. La buona volontà della Direzione che è impegnata a garantire innanzitutto il diritto alla salute, in quanto ancora l’Asl non è riuscita ad assegnare i medici per 24 ore, non è bastata a ridurre il disagio che da ieri è sfociato nello sciopero della fame”.


Sciopero della fame contro ergastolo ostativo: detenuto in fin di vita

cordatesaE’ in gravissime condizioni il detenuto ergastolano di origine siciliana Antonino Cacici, di 42 anni, che da diversi giorni sta effettuando lo sciopero della fame contro l’ergastolo ostativo: l’uomo, rinchiuso nel carcere di Sulmona, rifiuta anche la terapia medica e da ieri ha cominciato lo sciopero della sete. A lanciare l’allarme è la Uil Penitenziari.

L’ergastolo ostativo, contro il quale protesta il detenuto, impedisce qualsiasi possibilità di abbreviazione della condanna, perchè inflitto per gravissimi delitti. “Le condizioni di salute del Cacici, che ha rifiutato anche il ricovero presso l’ospedale, cominciano a destare serie preoccupazioni fra i sanitari del carcere – afferma il segretario provinciale della Uil Penitenziari, Mauro Nardella – i medici hanno registrato nel corso dell’ultimo mese un calo ponderale di oltre 20 chili. Il che, unito anche all’aumentato rischio derivante dall’associazione dello sciopero della terapia e della sete, porterà al rischio di un rapido peggioramento delle sue condizioni”.

“La preoccupazione della Uil Penitenziari, oltre che di tutti gli operatori penitenziari, ognuno dei quali armati di umana pietà – conclude Nardella – è che il detenuto, malgrado i ripetuti e sistematici tentativi di dissuasione fatti da tutti, direttori, medici, infermieri, poliziotti penitenziari, educatori e assistenti sociali, possa non arrivare all’appuntamento col Trattamento sanitario obbligatorio ancora in vita”.

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Samer Issawi continua sciopero fame in carcere

Prosegue la protesta del palestinese, detenuto in carcere a Gerusalemme e condannato da una Corte militare israeliana a scontare 20 anni di prigione.

palestinaE’ cominciato oggi il suo 167esimo giorno di sciopero della fame. E lo ha promesso: non smetterà finché non sarà liberato. Anche a costo di morire. Continua la battaglia di Samer al-Issawi, detenuto in carcere a Gerusalemme e condannato da una Corte militare israeliana a scontare 20 anni di prigione. La battaglia è anche quella dei suoi familiari, che da qualche settimana denunciano vessazioni e violenze da parte dell’esercito israeliano nei loro confronti. Una vendetta, dicono, perché Samer, dopo più di cinque mesi, ancora non cede.

I familiari insistono che l’arresto di al-Issawi, nel luglio scorso, è avvenuto in piena violazione degli accordi relativi allo scambio di prigionieri tra esercito israeliano e Hamas del 2011. Catturato nel 2001 durante la seconda Intifada e condannato a 30 anni di carcere per aver sparato contro i soldati di Tel Aviv davanti al suo villaggio di origine, al-Issawiya – incluso dalle autorità israeliane nella municipalità di Gerusalemme – Samer al-Issawi era stato liberato assieme a oltre un migliaio di palestinesi in cambio di Gilad Shalit.

Poco più di sei mesi dopo è stato arrestato nuovamente in una zona, a detta dell’esercito israeliano, “non appartenente al governatorato di Gerusalemme”, ovvero in Cisgiordania. Per aver violato i confini entro i quali avrebbe dovuto restare, è stato condannato a scontare i restanti 20 anni della pena condonatagli con lo scambio. Confini “labili, che cambiano continuamente a seconda dei decreti delle autorità israeliane” a detta del padre di Samer. Il tutto nella tristemente famosa “detenzione amministrativa”, pratica quasi standard per i prigionieri palestinesi: nessun capo d’accusa, nessuna difesa, nessun processo. Solo una sentenza della corte militare.

Il prigioniero, in condizioni critiche, non accenna a mollare lo sciopero della fame. Ha accettato da poco la somministrazione di vitamine e liquidi per via endovenosa dietro minaccia israeliana di iniettargli a forza del glucosio che, visto il suo stato di salute, probabilmente l’avrebbe ucciso. Una determinazione che, secondo sua sorella Shireen, spaventa Israele, memori dello sciopero della fame di massa avvenuto lo scorso anno, quando l’esempio di Khader Adnan e Hana Shalabi portò più di duemila detenuti palestinesi a rifiutare il cibo per 66 giorni, costringendo le autorità carcerarie israeliane a concedere un miglioramento delle condizioni dei prigionieri e trascinando le carceri dell'”unica democrazia del Medio Oriente” sotto i riflettori della comunità internazionale.

La famiglia al-Issawi denuncia una serie di violenze subite nelle ultime settimane. Più precisamente dal giorno in è stato diffuso in rete un video che mostra sette soldati israeliani picchiare selvaggiamente Samer – in sciopero della fame da oltre 150 giorni e su una sedia a rotelle – nell’aula della Corte dei Magistrati di Gerusalemme sotto gli occhi impassibili di un giudice. Per aver tentato di salutare sua madre prendendole le mani. Da allora, sua sorella Shireen è stata arrestata nella sua casa e tenuta 24 ore in carcere per “attività sovversiva”, ossia l’organizzazione di manifestazioni, in Palestina e fuori, per sostenere il fratello e la sua battaglia. E la sua licenza di avvocato è stata sospesa per sei mesi.

La tenda piantata all’ingresso del villaggio, un luogo di discussione e un simbolo del sostegno a Samer da parte degli abitanti del suo villaggio, è stata smantellata dall’esercito più volte. Il primo gennaio la casa del fratello Ra’fat è stata demolita. E qualche giorno fa i soldati israeliani hanno tolto l’acqua alla casa della famiglia al-Issawi, presentando un fantomatico conto di 50.000 dollari – decine di anni di uso quotidiano, dollaro più dollaro meno – per gli arretrati. Nonostante le bollette regolarmente pagate. “Questa – ha dichiarato Shireen – è la loro vendetta contro la nostra famiglia”.

Secondo l’organizzazione Addameer, che si occupa del supporto e dei diritti umani dei prigionieri, circa il 40% della popolazione palestinese maschile è passata per le carceri israeliane a un certo punto della propria vita. Spesso senza capi d’accusa né processo.

di Giorgia Grifoni


Alessandria, un detenuto sale sul tetto del carcere

Pomeriggio di tensione al carcere Don Soria per la plateale protesta di un detenuto rumeno salito sul tetto dell’edificio.

tettoAll’indomani della sentenza della Corte Europea di Strasburgo che condanna lo Stato italiano a risarcire centomila euro a sette detenuti per i danni morali derivanti dal trattamento disumano subito nelle celle sovraffollate dell’istituto di pena di Busto Arsizio, un’altra triste storia sempre collegata con il regime carcerario e con i guasti del sistema giustizia guadagna l’attenzione dei media.
Per fortuna, almeno in questo caso, si tratta di una storia a lieto fine anche se per decine di minuti si è temuto il peggio. Un uomo di nazionalità rumena di 26 anni, del quale non sono ancora state rese note le generalità, rinchiuso nella Casa Circondariale di Piazza Don Soriaad Alessandria, nel primo pomeriggio di quest’oggi si è arrampicato sul tetto della struttura detentiva proclamando la sua innocenza. Come abbia fatto il rumeno a raggiungere il tetto non è ancora stato chiarito.

La questione è attualmente al vaglio delle forze dell’ordine. Fatto sta che il detenuto ha attirato l’attenzione degli agenti della polizia penitenziaria. Dopo un primo attimo di smarrimento le guardie carcerarie hanno allertato i Vigili del Fuoco di Alessandria, prontamente intervenuti sul posto. A quel punto è iniziata una trattativa tra il detenuto ed il responsabile dell’ufficio di Polizia Giudiziaria dei Vigili del Fuoco Roberto Pascoli il quale, assistito anche da un dirigente della struttura penitenziaria e da una educatrice, intorno alle ore 16, ha convinto il rumeno a scendere a terra. Secondo quanto si è appreso, il detenuto, padre di un bambino in tenera età, sarebbe in carcere con l’accusa di furto e rapina, ma protesta la sua innocenza che, a quanto pare, non riuscirebbe a dimostrare poiché non può permettersi di assumere un avvocato di fiducia.


Proteste carceri, 3 agenti feriti a Foggia

Foggia – “COME se non bastasse il sovraffollamento cronico detentivo delle Carceri Pugliesi a quota 4.400 presenze in solo undici strutture penitenziarie contro una regolamentare tolleranza di posto letto pari a 2.450 persone stipate su letti a castello che toccano il più delle volte ed in quasi tutte i penitenziari il soffitto di alcune celle, una situazione di convivenza e promiscuità forzata bastevole, da ieri 19.12.2012 manifestano in modo collettivo attraverso il rifiuto del vitto dell’amministrazione e la terapia sanitaria tutte le 42 detenute presenti nel Super Carcere di Borgo San Nicola a Lecce, una manifestazione che si è protratta per tutta la giornata”. Lo dice Domenico Mastrulli, Vicesegretario Generale Nazionale sindacato OSAPP.

La protesta delle recluse di Lecce è stata attivata per solidarietà al leader del Partito Radicale On.Marco Pannella per lo sciopero della fame e della sete in atto al fine di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul dramma carceri e richiesta di AMNSTIA si è sviluppata con il dichiarato rifiuto del vitto dell’amministrazione penitenziaria e quello della Terapia Sanitaria a cui sarebbero assoggettate le ristrette.

Foggia invece, ieri mattina tutti i detenuti ristretti nella Sezione Reclusione hanno dato vita ad una protesta, consistente nel rifiuto del vitto dell’amministrazione(latte e frutta),per l’insufficiente erogazione di acqua calda che non permette la fruizione della doccia alla maggior parte dei ristretti e la scarsa erogazione del sistema di riscaldamento dei reparti.

Intanto,nel pomeriggio di ieri 19.12.2012 ,dopo la protesta mattinale dei reclusi verso le ore 18,20 chiamati ad intervenire come pronto intervento nei Reparti tre appartenenti ai Baschi Azzurri in giunti nella “Sezione Particolare” dove sono ristretti 37 reclusi per sedare una accesa diatriba quasi violenta innescatasi tra reclusi in una cella occupata da tre persone, mentre uno di questi(l’aggressore dei poliziotti) voleva la meglio su uno degli occupanti e negava l’entrata al quarto detenuto in via di sistemazione nella cella gettando ogni indumento di proprietà di quest’ultimo fuori dalla stanza del Nuovo Complesso I destra cella n. 3 ,ha aggredito i tre Poliziotti di cui un sovrintendente procurandogli prognosi da tre a sei giorni a testa.

“Da informazioni assunte trattasi di un detenuto violento dedito alle aggressioni ai danni della Polizia Penitenziaria e di altre forze dell’ordine tale L.G. di Lecce condannato definitivo fine pena 16 maggio 2014 per resistenza e violenza a P.U., evasione dagli arresti domiciliari, concorso in tentata rapina.Uno dei tre agenti aggrediti in quel momento Vigilava ben due Sezioni Contemporaneamente una di 37 e l’altra di 13 per un totale di 50 detenuti tutti elementi a Sorveglianza particolare”.

Mastrulli: “Il problema carceri,il problema violenza ed aggressioni sui poliziotti,il problema Foggia si ripresenta sempre più invasivo ma soluzioni ed interventi benché richieste e sollecitate al Capo e Vice Capo Dipartimento tardano ad arrivare mentre altri poliziotti,come il caso di ieri sono vittime inconsapevoli di un sistema arrugginito penitenziario”.