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MODICA – 28/01/2013 – I poliziotti erano andati a prelevarlo ma l´uomo se l´era filata da una porta secondaria
Fugge da casa, dov’era ai domiciliari, per non farsi trovare dai poliziotti che avevano bussato alla porta per condurlo in una casa di cura e custodia del centro Italia. Adesso si ritrova di nuovo rinchiuso nel carcere di Piano del Gesù a Modica Alta. Quest’ultimo colpo di testa è costato caro al modicano Salvatore Cataldi, 46 anni, di recente finito in manette per aver picchiato un´avvocatessa 40enne a Ragusa dopo che quest’ultima si era rifiutata di difenderlo in un’aula di tribunale. Proprio a seguito di questo episodio, gli agenti si erano presentati ieri mattina al domicilio dell’uomo per notificargli il provvedimento di custodia emesso dal tribunale di Messina, che, come accennato, disponeva il ricovero in un centro specializzato.
Cataldi, invece di aprire ai poliziotti, se l’è filata da una porta secondaria sul retro, di cui gli agenti ignoravano l’esistenza. C’è voluto poco per scoprire la fuga del modicano, che, poche ore dopo, si è convinto a far rientro a casa, dove i poliziotti lo stavano ancora attendendo. A causa di questo ennesimo colpo di testa, però, la destinazione è cambiata: non più la casa di cura, ma la cella del carcere. Salvatore Cataldi non è nuovo ad episodi del genere: oltre a picchiare l’avvocatessa di Ragusa, l’uomo aveva tempo fa danneggiato il portone dello studio di un altro avvocato di Modica, spingendosi addirittura a minacciare un giudice nel corso di un’udienza al tribunale di Ragusa.
Era stato il gip del tribunale modicano a concedere i domiciliari a Cataldi, dopo che questi, nell’interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere sull’episodio delle botte all’avvocatessa.
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da informa-azione
Nella giornata del 24 gennaio 2013, un detenuto nel carcere di Bergamo si è tolto la vita.
Dei suoi compagni di prigionia si erano accorti che nell’aria c’era qualcosa che non andava e hanno dato subito l’allarme, ma le guardie accorse non hanno voluto aprire le sbarre immediatamente. Quando lo hanno fatto, ormai era troppo tardi. Non sappiamo ancora quale era il suo nome, sappiamo solamente che era originario della Colombia. L’informazione ci è pervenuta dalla moglie di un detenuto rinchiuso in quella sezione.
Aggiornamento
Il gesto estremo è avvenuto giovedì 24 gennaio, quando un ragazzo di 23 anni ha atteso di restare da solo in cella e si è impiccato. Il giovane era stato detenuto per aver violato gli obblighi previsti dagli arresti domiciliari. Indagato per una rapina, il magistrato aveva scelto comunque di imporrgli la misura cautelare, nonostante fosse incensurato e avesse sempre professato la propria innocenza . il giorno prima del suicidio, il detenuto aveva saputo in carcere di essere stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione. Era davvero necessario sottoporre agli arresti domiciliari un giovane incensurato in attesa di giudizio? Secondo i dati di Ristretti Orizzonti questo è l’ottavo suicidio che avviene nel carcere di Bergamo negli ultimi 10 anni.
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27gennaio2013 – Circa 30 detenuti del penitenziario Profesor Anníbal Bruno, nella città di Recife,
(Brasile nord-orientale) son riusciti ad evadere dalla prigionia dopo una rivolta,
così riferisce la polizia.
I fatti sono avvenuti questa mattina, quando i prigionieri approfittando delle visite
dei familiari, hanno preso in ostaggio mogli e fidanzate per fuggire dal centro, ubicato
nella zona ovest di Recife.
La polizia militare riferisce che la sommossa ha portato ad un bilancio di 5 detenuti
e di due guardie, feriti da proiettili, e che sedici fuggiaschi sono stati catturati poche
ore dopo nelle vicinanze della prigione.
Qualche testimone riferisce che colpi di arma da fuoco abbiano anche ucciso, ma questo
non è stato ancora confermato dalle autorità.
“I prigionieri hanno approfittato della visita dei familiari per fuggire, la polizia
penitenziaria, per garantire la sicurezza, non ha reagito per evitare che potesse accadere
qualcosa ai parenti dei detenuti, proteggerne la vita ed evitare qualsiasi tipo di scontro”
ha detto ai media il colonnello Romero Ribeiro.
Secondo il funzionario, i prigionieri hanno preso in ostaggio poliziotti, sequestrato
le armi e usato alcuni parenti come scudi, uscendo dalla porta della prigione.
La polizia sta contando i prigionieri all’interno del carcere per sapere con
esattezza quanti evasi ci sono, che secondo i media locali, possono arrivare a 40.
Inoltre i controlli nelle vicinanze del lager sono state intensificate, molti detenuti
sono stati catturati mentre si nascondevano in case della zona.
La prigione rinchiude circa 1400 detenuti, tre volte la sua capacità. Il gruppo degli
evasi riusciti a scampare alla cattura, è formato dai criminali più pericolosi.
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Traduzione by CordaTesa
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SASSARI. «San Sebastiano, una Guantanamo ante litteram». Dove nel 2000 la violenza di agenti della Penitenziaria contro una trentina di detenuti – in quella che i giudici hanno ribattezzato «galleria degli orrori» – «fu un vero e proprio atto di tortura».
Sono passati tredici anni da quegli abusi, otto trascorsi in un’aula di Tribunale per arrivare a una sentenza di prescrizione. Ma solo ora, per uno dei reclusi che subì umiliazioni da chi doveva prendersene cura, botte con pezze bagnate, manganellate sui genitali, ora forse si apre lo spiraglio della giustizia europea. La Corte di Strasburgo ha avviato l’istruttoria per l’allora detenuto V.S., originario del Sassarese, che si è rivolto ai magistrati garanti della Convenzione sui diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 3, che vieta la tortura e «pene o trattamenti inumani o degradanti». Il ragionamento del suo avvocato, Giuseppe Onorato, è semplice. V.S., come tantissimi altri “ospiti” del carcere sassarese, in quel 3 aprile 2000 era affidato all’amministrazione penitenziaria. Eppure, è la stessa sentenza di primo grado (2009) a riconoscere come «la Repubblica italiana non sia stata in grado di garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione». Dunque, chiede alla Corte di condannare il nostro Paese, così come l’8 gennaio Strasburgo ha fatto con la sentenza che ci bacchetta per la stessa violazione – trattamento inumano e degradante – ma per il sovraffollamento nelle galere di Stato. Un verdetto che ha riaperto il dibattito sulla necessità di codificare il reato di tortura, che avrebbe potuto evitare, ad esempio, la prescrizione delle lesioni inflitte dagli agenti di polizia alla Diaz, durante il G8, in qualche modo simili a quelle di San Sebastiano. Perché quello di tortura sarebbe un reato che il tempo non può scalfire. V.S. non ha ottenuto alcun risarcimento per essere passato attraverso la «galleria degli orrori», caso che sollevò un’onda di indignazione in tutta Italia. Anche per la freddezza con la quale sarebbe stata portata avanti. Quella esplosa tra le mura dell’istituto sembrò violenza su commissione dell’allora amministrazione penitenziaria regionale, con agenti chiamati da altri penitenziari. Ma la verità processuale sconfessa in parte questa ricostruzione. Dopo le botte molti detenuti vennero trasferiti per evitare contatti con i parenti e denunce. Forse proprio per l’unicità del caso, a tre anni dal ricorso, la Camera – così si chiama il collegio composto da 7 giudici – sta valutando il merito delle richieste e ha informato la parte convenuta, cioè il Governo italiano. Lo ha comunicato all’avvocato del ricorrente con una lettera datata 8 gennaio.
Alla rappresentanza nostrana a Strasburgo si impone di rispondere a sei quesiti entro il prossimo 30 aprile, poi potrebbe essere fissata la data di udienza e sentenza. All’Italia si chiede, ad esempio, se chi è stato processato per quei fatti sia poi stato oggetto di procedimenti disciplinari e quali sanzioni, eventualmente, abbia subito. E poi se il ricorrente abbia la possibilità di ottenere una “compensazione” economica in altri modi; se l’inchiesta penale, alla luce della tutela processuale, abbia soddisfatto i criteri della Convenzione, oppure se il detenuto non abbia già ottenuto un ristoro per quei fatti. Ma non potrebbe mai averlo avuto, proprio perché non si può chiedere il risarcimento per un reato che non esiste, la tortura.
All’inaugurazione dell’Anno giudiziario il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha ricordato come sull’introduzione di questa fattispecie nel nostro ordinamento, l’Italia sia «in notevole ritardo».
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Nel carcere Bellizzi Irpino di Avellino ci sono dieci celle di isolamento. Dieci celle piccole, sporche, buie e rovinate, dove pare che accada di tutto. Maltrattamenti, violenze, abusi.
Dieci piccole celle che ricordano, e non poco, ciò che accadeva nel carcere di Abu Ghraib…
“Nelle celle di isolamento del carcere di Avellino – racconta Paolo nell’ultima puntata di Radio Carcere su Radio Radicale – le persone vengono sistematicamente maltrattate. I detenuti vengono spogliati, picchiati e poi lasciati nudi su materassi bagnati, con addosso una coperta bagnata e vengono lasciati lì con la finestrella della cella spalancata. Ho passato un mese in quelle celle di isolamento e ne ho visti tanti trattati così”.
Ma perché una persona detenuta subisce questi maltrattamenti nel carcere di Avellino?
Secondo Paolo i motivi sono spesso banali. O perché si chiede pacificamente un trasferimento o perché si chiede di essere curati. “Ricordo un signore che chiedeva solo dei medicinali per essere curato – precisa Paolo – ebbene quel signore, è stato spogliato, picchiato e poi messo in una cella di isolamento con altri detenuti. Io l’ho visto quel signore con gli atri detenuti in quella cella ed è stato terribile. Erano in tre, nudi, infreddoliti e rannicchiati uno vicino all’altro sullo stesso materasso (ovviamente bagnato) sembravano tre cagnolini maltrattati. È stato agghiacciante!”.
Già agghiacciante. E non solo per il racconto di Paolo, ma soprattutto per la sistematicità, per il metodo che pare caratterizzare tali maltrattamenti.
“È vero – risponde Paolo – nelle celle di isolamento del carcere di Avellino c’è un metodo, un metodo ai maltrattamenti. Un metodo che viene attuato sistematicamente sempre dagli stessi agenti. Agenti che abbiamo ribattezzato “il clan”, proprio perché sono sempre gli stessi. Sono gli esperti delle torture che si consumano nel carcere di Avellino”.
Ora è lecito domandarsi: ma perché nessuno nel carcere di Avellino denuncia questi maltrattamenti?
Secondo Paolo, perché regna una grande omertà, e non solo tra gli agenti.
“Anche i medici – precisa Paolo – conoscono queste realtà, ma non fanno nulla per fermare le torture. Si limitano a passare davanti a quelle celle e a darci le gocce per farci dormire”.
E la direttrice del carcere?
“C’ero anche io quando la direttrice è passata davanti a quelle celle di isolamento – risponde Paolo – ha visto quei detenuti spogliati, ma nulla è stato fatto. Eppure, tempo fa un ragazzo è morto in quelle maledette celle di isolamento, o meglio, non ce l’ha fatta più e si è impiccato”.
Dunque, la prigione di Avellino come quella di Abu Ghraib?
Nell’impossibilità di verificare la veridicità del racconto di Paolo, si spera che la magistratura risponda a questa domanda.
Commenti disabilitati su Avellino: il carcere di Bellizzi Irpino… come quello iracheno di Abu Ghraib? | tags: abu ghraib, abusi, anticarceraria, avellino, bellizzi irpino, carcere, CordaTesa, detenuti, isolamento, maltrattamento, violenza | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Tutti
In data odierna, il giudice della Southwark Crown Court di Londra, ha emesso la sentenza ai danni degli hacker del team Anonymous che hanno colpito aziende comePyapal, Mastercard e Visa.
Christopher Weartherhead è stato condannato a 18 mesi di carcere, se non lo sapete, è il capo del noto gruppo Anonymous, accusato di aver organizzato numerosi attacchi. Christopher analizzava i mass media per ideare dei piani futuri via chat con gli altri membri del noto gruppo.
Altri hacker condannati sono :
Ashley Rods, ragazzo di 22 anni noto con il nickname nerdo che dovrà scontare 7 mesi di carcere. Rods è stato accusato di aver installato sul proprio PC un software per attaccare computer connessi alla rete
Peter Gibson uno dei membri che prese parte all’operazione Payback, condannato a 6 mesi di carcere e a 100 ore di servizi sociali.
Jake Burchall, minorenne, sconterà la sua pena a inizio Febbraio, accusato di aver reso inaccessibili diversi siti web come Ministry of Sound, International Federation of the Phonographic Industry e il British Recorded Music.
Paypal a causa del team Anonymous ha subito danni pari a 5,5 milioni di dollari! Cosa ne pensate di queste sentenze? Credete che siano troppo severe o lievi? Siamo curiosi di conoscere una vostra considerazione personale, per cui vi invitiamo a lasciare un commento.
Che siano colpevoli non vi sono dubbi in quanto gli stessi hacker hanno ammesso la loro colpa al tribunale di fronte al giudice e alla corte, quindi dovranno pagare per i crimini commessi. Complessivamente agli hacker è andata anche troppo bene non trovate? 11 mesi sono 11 mesi questo è vero ma non è un tempo paragonabile a 22 anni di carcere che dovranno scontare alcuni membri di NinjaVideo per aver condiviso file protetti da copyright.
Inutile dire che le pene possono essere lievi o pesanti in base al paese in cui si trova.
SOLIDARIETA’ per gli attivisti! LIBERI SUBITO!
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BOLOGNA, 26 GENNAIO – Ieri mattina a Bologna, all’interno del carcere minorile Pratello, un giovane detenuto straniero di 19 anni ha tentato il suicidio tramite impiccagione. Si trovava in cella da solo.
Gli agenti della polizia penitenziaria, accorgendosi in tempo dell’accaduto, sono riusciti a salvare la vita al ragazzo, che ora è ricoverato all’ospedale Maggiore per controlli e accertamenti.
Elogio di Maurizio Serra, sindacalista della Cgil: “Una vita è stata salvata. Il personale di polpenitenziaria ha dimostrato di essere pronto ed efficiente”.
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La corte d’assise di Port Said ha chiesto la condanna a morte per 21 dei 73 imputati nel processo per il massacro allo stato di Port Said nel quale vennero uccisi 74 supporter dell’Ahly del Cairo . La sentenza ha scatenato un’ondata di violenza tra i familiari degli imputati e negli scontri scoppiati all’esterno del carcere sono morte almeno 27 persone, mentre altre 150 sono rimaste ferite. Tra le vittime anche due calciatori: Tamer el Fahla, ex portiere del Masri, la squadra locale di Port Said coinvolta nel massacro, e Mohamed el Dezwi, del Marikh.
Scontri e slogan. «Port Said è uno stato indipendente» e «abbasso Morsi e Fratelli musulmani» scandiscono i manifestanti che hanno incendiato copertoni di auto. La polizia ha lanciato lacrimogeni per contenere l’assalto.
Il processo. La sentenza definitiva per i 21 imputati condannati a morte deve attendere, secondo la legge egiziana, il via libera da parte della massima autorità religiosa del paese, il gran mufti. La condanna a morte riguarda le accuse di omicidio premeditato. Rimane in sospeso la sentenza dei nove ufficiali di polizia e dei tre manager della squadra avversaria, el Masri, accusati di avere permesso la peggiore strage della storia del calcio egiziano. Il verdetto per gli altri 52 imputati sarà pronunciato il 9 marzo.
26gennaio2013
Commenti disabilitati su Strage Port Said, chieste 21 condanne a morte. Scoppiano scontri fuori dal carcere: 27 vittime | tags: 27 morti, Ahly, anticarceraria, assalto al carcere, cairo, carcere, condanne a morte, CordaTesa, egitto, familiari, feriti, Port Said, processo, scontri | posted in Assassinii di stato, Contro carcere, CIE e OPG, Tutti
Ieri mattina, nel carcere di Uribana, a ovest del Venezuela, è scoppiata una violenta rivolta che è terminata in un bagno di sangue. I detenuti hanno manifestato contro i militari, agenti della Guardia Nazionale e del Gruppo di pronto impiego, inviati per perquisire il carcere in cerca di armi, così ha riferito il Primo Ministro Iris Varela.
Inizialmente, la perquisizione è avvenuta senza problemi, ma dopo che un gruppo di detenuti si è rifiutato di fare come i militari chiedevano sono cominciati i primi spari. Probabilmente, questo ha scaldato gli animi di entrambi e alla fine ci sono stati ben 54 morti, tra detenuti , militari e personale di servizio al carcere, oltre 80 feriti, di cui almeno 30 in modo grave.
Secondo Ruy Medina, direttore dell’ Emergency Central Hospital “Antonio Maria Pineda de Barquisimeto”, i primi 20 detenuti feriti sono arrivati in ambulanza a metà mattinata ed hanno ricevuto le cure necessarie ed alcuni sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. Il direttore dell’Ospedale ha anche aggiunto che molti feriti sono in condizioni delicate. “Alle 08:00 abbiamo avuto una stima provvisoria di quasi 90 feriti, la maggior parte da armi da fuoco, mentre un numero davvero allarmante di almeno 50 morti giaceva in ospedale“.
In breve, il pronto soccorso è stato preso letteralmente d’assalto dai parenti che si sono recati in ospedale per verificare le condizioni di salute dei propri familiari. Medici e infermieri hanno minacciato i parenti ed è intervenuta la polizia.
Poi i familiari hanno circondato il carcere e sono dovute intervenire le autorità per calmare la folla e dare loro spiegazione sulla situazione. Nel pomeriggio alcuni prigionieri sono stati trasferiti in altre carceri e si ritiene che nella confusione un pericoloso prigioniero sia fuggito dall’ospedale. Le forze militari sono rimaste a presidiare il penitenziario fino a tarda notte.
L’operazione è stata ordinata dal Procuratore Generale ed ha avuto inizio alle ore 7.00 di ieri mattina, ma già da giovedì notte, la Guardia Nazionale aveva installato postazioni in prossimità dell’edificio penitenziario. Il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha condannato la violenza e “il comportamento incompetente ed irresponsabile del governo”.
Le carceri Venezuelane sono tristemente famose per il sovraffollamento e la proliferazioni di armi e di droga. Il carcere di Uribana, in particolare, ospita 2.498 uomini e 143 donne.
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Commenti disabilitati su Venezuela. Violenta rivolta nelle carceri soppressa nel sangue | tags: 54 morti, anticarceraria, carcere, CordaTesa, detenuti, morti, perquisizioni, rivolta, scontri, uccisi prigionieri, uribana, venezuela | posted in Assassinii di stato, Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Fuggiaschi, Tutti
Aggressione al carcere di Siracusa. Un detenuto se l’è presa con gli assistenti che hanno fatto ricorso alle cure del medico.
Ennesima aggressione subita dal personale di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Siracusa”, a dichiararlo è il vice segretario Generale dell’Osapp, Mimmo Nicotra che rende noto come l’episodio, questa volta, è stato causato da un detenuto che in passato apparteneva al circuito Alta sicurezza ed affiliato ad un clan mafioso catanese.
“Il primo ad essere stato aggredito è stato l’assistente in servizio nella sezione detentiva ove era ristretto il detenuto; subito è accorso un altro assistente ed anch’esso ha subito l’aggressione sempre dal medesimo detenuto. I due assistenti sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche e fortunatamente non hanno subito danni eccessivi.”
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Ashley Smith, 19 anni, è morta suicida nel 2007 nel carcere femminile di Grand Valley in Kitchener, Ontario. Ashley Smith si è soffocata tra l’indifferenza delle guardie carcerarie rimaste al di là delle sbarre senza intervenire.
Oggi(23gennaio2013) per la prima volta un video mostra la morte di Ashley, mostrato alla giuria durante un’inchiesta giudiziaria. Nelle immagini si vedono le guardie carcerarie mentre guardano la giovane morire attraverso una botola. Le guardie, come riportato dalla CBC News, sono rimaste ferme per 10 minuti discutendo su cosa sarebbe stato meglio fare. Molte volte in precedenze Ashley aveva provato il suicidio ma le guardie ogni volta affermavano che era solo un modo per cercare di attirare l’attenzione.
Fonte e video
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Il Commissario Generale Gustavo Peña, che da pochi giorni ha preso il posto di José Benítez come Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale calcolava stanotte i danni dopo la violenta rivolta che per 15 ore si è concretizzata da ieri fino le prime ore di stamane. Sempre questa mattina si è appresa la notizia che 6 evasi sono stati ricatturati, anche se non è chiaro il numero reale dei detenuti evasi.
23gennaio2013 – Dopo la violenta rivolta attuata da circa 150 reclusi nel Complesso Penitenziario di Sáenz Peña,
il nuovo Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale, commissario Generale Gustavo Peña il pomeriggio di martedì si è riunito con i suoi agenti riconoscendo che “è una situazione molto delicata, dove sono di pubblico dominio i fatti accaduti. Grazie a Dio oggi tutto è tornato alla normalità”.
A proposito della rivolta commenta:” l’obiettivo è concludere questa situazione critica, che si è venuta a creare e ritornare a cominciare, a sviluppare una pianificazione al riguardo del personale, cercare una convivenza armonica, ascoltando anche le critiche verso le autorità”.
Ristrutturazione
Al seguito dell’assunzione di Peña, verrà effettuata una ristrutturazione su tutti i livelli, in quanto” necessita di un lavoro che implica il coinvolgimento di varie strategie nelle diverse aree, perchè questo è un sistema carcerario, è un tema complesso per cui si ha bisogno di un punto di vista completo. Si deve ricercare la convivenza armonica e il rispetto imprescindibile dei diritti umani garantendo la sicurezza sul lavoro”.
La situazione con gli agenti penitenziari.
Al riguardo della manifestazione di protesta attuata questa mattina dagli agenti del Servizio Penitenziario che compiono servizio al Sáenz Peña, il nuovo direttore manifestò:”Analizzeremo quello che è accaduto con il personale, uno dei punti importanti sarà ascoltarli e sulla base di ciò si risolverà il tutto, quello che noi vogliamo è dialogare con il personale e che loro abbiano le garanzie necessarie per poter lavorare in tranquillità”.
Peña ha segnalato anche che gli agenti in servizio devono essere equipaggiati d’accordo alle esigenze necessarie “non possiamo improvvisare con qualsiasi altro elemento”.
Gravi danni nel penale.
Ancora si stanno calcolando gli ingenti danni effettuati nel Complesso Penitenziario, il nuovo Capo ha riconosciuto che i danni riscontrati dopo la rivolta di Lunedì sono molto ingenti.
“E’ stato bruciato il locale dove i reclusi ricevevano classi, si è bruciata per completo la biblioteca e i computer, si sono distrutti sedie e banchi”. Ha concluso il direttore Peña.
I fuggiaschi sono ancora 7! ne sono stati ripresi, purtroppo 13 su 20
Fonte diariochaco.com
Traduzione Cordatesa
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A tutt* i ragazz* del Boccaccio,
voglio inizialmente abbracciarvi e ringraziarvi tutti x l’aiuto e la solidarieta’ ricevuta da voi tutt*.
Purtroppo assieme alla notizia della serata benefit che avete organizzato x me, ho appreso
che Peppino e’ stato arrestato e che oltre a scontare i domiciliari non puo’ neppure comunicare
con l’esterno. In nessun modo!
Ne sono addolorato, in primo luogo perche’ Peppo e’ un amico di lunghissima data (ci conosciamo
da piu’ di 10 anni) e in secondo luogo perche’ devo constatare che la repressione dello stato
contro gli oppositori non si e’ affievolita, ma anzi sta peggiorando di giorno in giorno.
In ogni caso sono certo che Peppino superera’ quest’ultima ingiustizia e ne uscira’ a testa alta
come tutte le altre volte!
Ormai e’ evidente che, nonostante la grande frammentazione del movimento Anarkico e Antagonista,
“loro” ci temono e vogliono reprimerci. Ogni girono che passa e’ sempre piu’ ovvio che il neoliberismo
ha fallito, che la sinistra parlamentare e i sindacati sono sempre piu’ conniventi con i potenti e
insensibili alle grida d’aiuto della popolazione.
Sempre piu’ italiani non vanno piu’ alle urne anche i pochi che ci si recano hanno ormai perso le
speranze di assistere ad un cambiamento.Non vedono alternativa a questa merda e quindi la subiscono
scegliendo il meno peggio.
Voi, grazie alle vostre iniziative, avete dimostarto di avere un’arma che a “loro” fa paura: la solidarieta’!
La NO TAV e la NO TEM ne sono un esempio concreto. Un esempio di come movimenti con profonde
differenze tra loro possono lottare contro un male comune.
Io personalmente sono sempre stato un anarchico individualista e come individuo libero mi sono
semre recato dove fosse possibile aiutare i cittadino contro le ingiustizie.
E’ per questo che per me e’ impossibile non essere un cittadino che si contrappone con “forza” alle
istituzioni e/o alle grandi opere per me inutili (TAV, TEM, ponte sullo Stretto etc…) e che si affianca
e cerca di aiutare studenti e operai che dicono “no”, noi non ci stiamo, rivogliamo sicurezza per
il nostro futuro.
Anche ora che sono rinchiuso fra queste mura non possono togliermi le mie idee, unica cosa realmente
mia!
Scusate tanto per le divagazioni e se vi ho annoiato con lo sproloquio.
Vi ringrazio un mondo per quello che avete fatto per me e miraccomando, fatemi avere notizie di Peppino.
E salutatemi tanto Paolo, che anche se non conosco di persona sento comunque vicino per la sua situazione.
Un abbraccio, Dayvid “Ciga”
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questo e’ quello che scrivono i pennivendoli
I carabinieri hanno bloccato il tentativo di evasione progettato da due pericolosi malviventi detenuti a Tolmezzo
Una fuga di quelle degne del migliore film d’azione con tanto di elicottero che atterra nel cortile del penitenziario. Fosse andato in porto, il tentativo di evadere diMaurzio Alfieri di 49 anni, detenuto per associazione a delinquere (fa parte di una gang milanese specializzata in rapine) e Valerio Salvatore Crivello di 39 anni, detenuto per vari reati, avrebbe suscitato sicuramente un acceso dibattito sulla sicurezza del carcere di Tolmezzo, considerato tra i più efficienti del Nord. I due e i loro numerosi complici, però, non avevano fatto i conti con la determinazione della Polizia penitenziaria e con la capacità dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale e territoriali, di fare bene il loro mestiere.
I dettagli dell’operazione “Escape” che ha sventato il tentativo sono stati illustrati ogginel corso della conferenza stampa alla quale erano presenti il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Roberto Del Piano, il procuratore capo di TolmezzoGiancarlo Bonocore, il comandante del Ros di Udine capitano Gabriele Passarotto, il commissario Raffaele Barbieri, comandante della Polizia penitenziaria della casa circondariale di Tolmezzo e il capitano Mauro Bonometti, comandante della compagnia carabinieri di Tolmezzo.
La rete è stata tirata dagli investigatori ieri, quando ormai erano chiari modalità e organizzazione del tentativo, ma i carabinieri al caso lavoravano da tempo, dall’agosto del 2012, quando emergono segnale sul fatto che uno degli agenti ha rapporti poco chiari con alcuni detenuti.
La guardia carceraria corrotta, M.E. di Tolmezzo, è stata subito trasferita ad altro istituto con una scusa, per essere sostituita da un carabiniere infiltrato dei Ros che si è finto un agente di polizia penitenziaria pronto a fare “favori”. In due date, il quattro ottobre e il 17 dicembre, Romolo Alfieri, fratello di uno dei detenuti, ha consegnato all’esterno di un locale, poco distante dal casello autostradale di Amaro, quattro coltelli a serramanico e circa un etto di hashish: “Un piccolo tesoro da utilizzare all’interno del carcere – come ha spiegato Bonocore – per tessere alleanze con altri detenuti e consolidare i rapporti ottenendo preziosa collaborazione in vista della fuga”.
Il piano era di noleggiare un elicottero spacciandosi per ricercatori e, una volta partiti dall’eliporto di Tolmezzo, distante in linea d’aria tre chilometri e mezzo, dirottarlo costringendo il pilota ad atterrare verosimilmente dentro uno dei cortili della casa circondariale. “Il messaggio è molto chiaro – ha sottolineato il commissario Barbieri: le mele marce nella Polizia penitenziaria non hanno futuro e chi si sporca le mani non ha futuro”.
L’operazione è riuscita molto bene ed è la dimostrazione di cosa si possa ottenere quando le varie forze di polizia collaborano. Emerge tuttavia il malcelato disappunto del Procuratore per il parziale accoglimento delle richieste di custodia cautelare in carcere, concesse dal Gip solo per Alfieri già detenuto, trasferito a Saluzzo, e per uno degli altri dodici indagati, Cosimo Damiano Alario, che ha fornito la droga, ufficialmente operaio ma ritenuto molto vicino agli ambienti della n’drangheta , mentre per altri due, fra i quali Romolo Alfieri, pure arrestato in flagranza di reato, è stato disposto l’obbligo di dimora.
Desta un certo sconcerto il fatto che Maurizio Alfieri sia diventato una sorta di icona dei movimenti di protesta dopo aver fomentato in carcere varie azioni di protesta, diventando così una sorta di paladino dei diritti dei carcerati, mentre invece si tratta semplicemente di un criminale.
Fonte> ilfriuli.it
Riceviamo e diffondiamo
GRAVE PROVOCAZIONE NEI CONFRONTI DI MAURIZIO ALFIERI
Ritorsioni e rappresaglie nei confronti di Maurizio Alfieri, dal 18 dicembre nella sezione di isolamento del carcere di Saluzzo, continuano da tempo. Ma ora hanno raggiunto un livello tale per cui è davvero fondamentale che la solidarietà nei suoi confronti diventi quel “giubbotto antiproiettile” a cui Maurizio la paragona spesso nelle sue lettere.
Ecco i fatti relativi all’ultimo periodo di carcerazione a Tolmezzo.
Poco prima che Maurizio venisse trasferito, una guardia (dedita a traffici di alcol e fumo con i detenuti) aveva chiesto a un familiare di Maurizio di portare due coltelli e un po’ di fumo nel tale posto alla tale ora per farli entrare in carcere. Il familiare, con molta ingenuità, porta quanto chiesto ma assieme alla guardia trova un… carabiniere in borghese. Dopo il colloquio in carcere, il familiare viene arrestato e, durante l’interrogatorio, il giudice gli parla di un fantomatico piano da parte di Maurizio per evadere con un elicottero assieme ad un altro detenuto. Dopo tre giorni di carcere, al familiare vengono concessi gli arresti domiciliari.
Maurizio, che ha subito scritto al giudice per scagionare il familiare, ammette solo di aver fatto entrare e usato un po’ di fumo (su proposta, da lui ingenuamente accolta, della guardia) e precisa di aver rifiutato le insistenti richieste da parte di quest’ultima (doppiamente infame) di far entrare della cocaina.
Aggiungiamo questo all’episodio di un altro coltello “scoperto” nella cella di Maurizio – e segnalato da un delatore in cambio di qualche “privilegio” – il giorno del suo trasferimento a Saluzzo, e a recenti interessamenti del ROS dei carabinieri nei confronti suoi e di un altro detenuto: il quadro appare tutt’altro che casuale. Chi c’è dietro questa operazione sporca? La direttrice del carcere di Tolmezzo? Il ROS? Qualche Ministero?
Chiunque sia, è evidente il progetto di applicare a Maurizio il 14 bis, che in passato ha già subìto per ben tre volte, o qualcosa di peggio.
Chiunque sia, sappia che Maurizio non è solo.
Ai compagni, alle donne e agli uomini di cuore e di coraggio dimostrarlo nei fatti.
P.S. Anche nel raccontare questa grave provocazione, Maurizio non perde occasione per ringraziare i compagni che hanno organizzato le recenti iniziative solidali a Roma e a Tolmezzo e per salutare quelli rinchiusi in AS2 ad Alessandria.
AGGIORNAMENTO – A quanto pare la macchinazione segnalata da Maurizio si è repentinamente tradotta in un’operazione repressiva guidata dai ROS. In attesa di raccogliere maggiori informazioni e testimonianze, riportiamo quanto diffuso dalle veline di regime sull’ANSA:
TRIESTE, 23 GEN – I carabinieri del Ros stanno eseguendo 4 provvedimenti cautelari, emessi su richiesta della procura della repubblica di Tolmezzo,per tentata evasione, corruzione, traffico di droga e armi. L’operazione, che comprende anche 12 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati in stato di liberta’, in Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte, ha sventato un progetto di evasione spettacolare con uso anche di un elicottero dal carcere di Tolmezzo e un traffico di hashish ed armi.
Solidarieta’ e stima per Maurizio!
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Controlli a tappeto da parte degli agenti, utilizzati anche cani del reparto cinofilo
Sono stati utilizzati anche i cani antidroga durante i controlli a tappeto effettuati nel carcere di San Severo dagli agenti della polizia, coordinati dal comandante di reparto, commissario Giovanni Serrano e dal vice comandante, ispettore Antonio Pezzuto, supportati dal reparto cinofilo del distaccamento di Trani. Una massiccia attività di controllo e prevenzione finalizzate al contrasto per l’introduzione di sostanze stupefacenti all’interno dell’istituto. Gli agenti, oltre a perquisire tutti i detenuti e le relative stanze, hanno effettuato anche un controllo capillare ed estemporaneo sulle persone dei familiari dei detenuti e sugli effetti che portano ai congiunti detenuti. Esito negativo delle ispezioni che hanno riguardato circa cento detenuti.
Fonte> daunianews.it
Solidarieta’ ai detenuti! Basta controllo!
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Tricase. Durante un controllo antitaccheggio in un supermercato, un uomo ha dato in escandescenze fino a mettere le mani addosso al militare intervenuto, che cercava di calmarlo.
Erano circa le 17:30 di ieri, quando la
Centrale Operativa della Compagnia Carabinieri di Tricase ha ricevuto, una richiesta d’intervento presso un supermercato tricasino dove era stato segnalato un cliente che, sottoposto a controlli antitaccheggio, aveva iniziato a dare in escandescenze e a minacciare direttore e dipendenti dell’esercizio commerciale.
Giunta sul posto l’autoradio dell’Aliquota Radiomobile, i carabinieri hanno subito ascoltato la versione dei fatti da parte del direttore e, poi, hanno proseguito con il cliente “insofferente”. Alla richiesta dei documenti, l’uomo ha opposto un netto rifiuto ai militari, nonostante i continui inviti a farsi identificare. Inoltre, il soggetto pretendeva di parlare da solo con il capo equipaggio dell’autoradio. Al fine di mettere a suo agio l’uomo, il militare responsabile del servizio ha ascoltato le parole del soggetto da solo in un ufficio con lui. Nonostante fossero state esaudite le sue richieste l’uomo, identificato per Zippo Menotti, 50enne di Miggiano, già conosciuto alle Forze dell’ordine, ha iniziato a scaldarsi ed inveire contro il militare perchè, a suo dire, non stava agendo penalmente contro i dipendenti del supermercato.
Il carabiniere ha, quindi, invitato l’uomo ad uscire dall’esercizio commerciale e a seguirlo presso l’autovettura di servizio per essere generalizzato. Appena ha aperto la porta della stanza dove si trovavano, Zippo Menotti ha sferrato un violento pugno al volto del carabiniere che è riuscito a schivarlo. Non pago, l’uomo ha afferrato il militare alla gola, dando inizio ad una accesa colluttazione che si è conclusa dopo alcuni lunghissimi istanti solo grazie all’intervento dell’altro militare e di alcuni dipendenti del negozio che, letteralmente, hanno strappato il malvivente da dosso al carabiniere. Portato in caserma l’uomo che a quel punto ha deciso di esibire i documenti, è stato inevitabilmente dichiarato in arresto per i reati di violenza e resistenza a un Pubblico Ufficiale e, sentito il parere del PM di turno della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, dr.ssa Paola Guglielmi, è stato trasferito in carcere. Al termine delle formalità di rito, Zippo Menotti è stato condotto presso la Casa Circondariale “Borgo San Nicola” di Lecce a disposizione dell’Autorità Giudiziaria competente.
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Deve tornare in Spagna, Lander Arrinda Fernandez accusato di aver partecipato nel 2002 a Bilbao ad un corteo di protesta in appoggio dell’Eta. I giudici della IV sezione penale della Corte d’appello di Roma hanno accolto la richiesta di estradizione presentata dalla magistratura iberica. “La decisione non sarà comunque eseguita sino a quando la Cassazione non si sarà pronunciata sul caso”, hanno spiegato i legali di Fernandez.
Nel corso della manifestazione a cui partecipò l’indagato, venne bloccato un autobus che fu poi incendiato dopo aver fatto scendere i passeggeri. Fernandez è stato arrestato a Roma nel giugno scorso in forza di un mandato di cattura internazionale.
In occasione della udienza davanti alla corte d’appello si è tenuto un presidio in sostegno del “compagno arrestato”. In un volantino si sottolineava che la “misura a cui e sottoposto attualmente a Fernandez è ingiusta e immotivata”. E poi “Fernandez è un militante politico che conduce da sempre la lotta per la dignità e la libertà del paese Basco”.
Fonte: tmnews
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La traduzione di detenuti presso strutture sanitarie esterne comporta, secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, un grave rischio. Parte l’appello agli organi competenti
A seguito della sventata evasione di un detenuto che, all’interno del carcere di Lecce, avrebbe finto un malore per essere accompagnato presso una struttura sanitaria esterna, la Segreteria Nazionale del Sappe, sindacato autonomo Polizia Penitenziaria, scrive, tra gli altri, al Prefetto di Lecce e al Dirigente Asl Lecce, al fine di accendere i riflettori su casi simili.
Il Sappe denuncia da tempo l’aumento dei ricoveri e delle traduzioni dei detenuti presso i luoghi di cura esterni al carcere, come conseguenza del passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica. Secondo l’organizzazione sindacale, “l’aumento di traduzioni di detenuti verso le strutture sanitarie esterne ha inciso ed incide in maniera determinante sul lavoro del nucleo traduzioni e piantonamenti dell’ Istituto di Lecce a causa della grave carenza in organico del personale di Polizia Penitenziaria, considerato che nella stragrande maggioranza dei casi, le patologie di cui sono affetti i detenuti potrebbero essere curate anche all’interno del penitenziario leccese”.
Il problema sussisterebbe soprattutto nelle ore serali, quando condurre all’esterno detenuti anche pericolosi, “con un numero inadeguato di Poliziotti di scorta”, rappresenta una difficoltà non da poco. Anche i piantonamenti, per la maggior parte nelle corsie ospedaliere a stretto contatto con altri malati con un insufficiente numero di personale, determina una situazione per cui correre ai ripari. “Abbiamo chiesto in più occasioni – scrivono dal Sappe – uno sforzo da parte dell’Asl di Lecce affinché consentisse l’ingresso presso il locale Istituto Penitenziario di un numero maggiore di specialisti, al fine di ridurre al minimo il turismo carcerario permettendo così di utilizzare le risorse disponibili, nel controllo più adeguato dei detenuti malati”.
Altra questione importante sarebbe la fatiscenza di molti automezzi utilizzati per il trasporto dei detenuti. “Abbiamo notizia che alcuni automezzi che hanno superato diverse centinaia di migliaia di chilometri continuano incessantemente a circolare , considerata l’esiguità degli automezzi disponibili, come pure molti automezzi sono fermi poiché mancano i fondi per ripararli” denuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe.
Fonte: leccenews.it
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Il 22 dicembre scorso il corteo determinato e colorato della freeXpression [against repression] – manifestazione contro la repressione per le zone autonome e autogestite, ha attraversato le vie di Milano da piazza Cairoli al carcere di San Vittore. Fra gli organizzatori e i partecipanti tanti sono compagni ed amici di Dayvid. Nella lettera che segue Ciga ha voluto ringraziare e dare il suo contributo alla mobilitazione:
Alba 30-12-2012
Ciao a tutte e tutti,
inizialmente vorrei augurarvi buon Anno e soprattutto ringraziare tutti coloro che si sono recati il 22 Dicembre sotto il carcere di san Vittore o che con altri mezzi hanno solidarizzato con la mia causa chiedendo la mia scarcerazione e di tutti coloro che sono nella mia situazione.
E’ da ieri che scrivo e riscrivo cercando le parole giuste per esternarvi quello che ho dentro ma non ci riesco, non sono purtroppo mai stato un oratore e men che meno uno scrittore, quindi ho deciso di applicare alla scrittura quello che ho sempre fatto sulle azioni della mia vita: farlo di getto e scrivere quello che mi passa per la testa, magari non è sofisticata e spesso è sbagliato ma di sicuro è sincero.
Chiedo per questo scusa in anticipo per qualunque strafalcione o cagata scriverò in seguito.
Per iniziare vorrei ripetermi abbracciando tutti coloro che hanno appoggiato la mia causa; la mia più grande paura nel momento del mio arresto era che riuscissero nel loro scopo principale: scoraggiare qualunque opposizione non convenzionale convinta al sistema.
Ma grazie agli organizzatori e a tutta la gente che si è recata in piazza o ha dato il suo appoggio in altri modi, questo, che ripeto era il loro primo obiettivo, è stato scongiurato.
Della gente è scesa in piazza per dire che non basta arrestare un dissidente, malmenare dei giovani che non hanno colpa se non quella di essersi recati ad un rave, per zittire la loro voglia di libertà, di opporsi a questo sistema.
La storia popolare italiana e straniera è piena di paladini della giustizia che si sono palesemente ribellati alle leggi, incarnando la volontà popolare di riscatto sociale di fronte a quell’ordine costituito che è da sempre debole e in combutta con i forti e forte con i deboli. Questi erano banditi, fuorilegge, briganti (per es. Musolino, Fra Diavolo o, il più famoso, Robin Hood). Questi fuorilegge incarnano in qualche modo una prima forma di rivolta sociale appoggiata dalle vecchie società tribali, nascondendosi in foreste, paludi, montagne in quelle zone liberate dove il potere non poteva raggiungerli. Purtroppo queste zone libere oggi non esistono più e il sistema globale ha i suoi sistemi ben noti per difendersi: armare o disarmare a piacimento, instaurare e distruggere dittature e governi, imporre i propri modelli culturali eliminando ogni dissenso a colpi di embargo o guerra preventiva per impedire la nascita di zone dove si può dimostrare che vivere in maniera diversa è possibile.
Queste zone liberate oggi giorno sono e devono essere i rom, le case occupate, i vari circoli o biblioteche libertarie, le comuni zone dimenticate dal capitalismo e lasciate a morire. Il nostro compito è principalmente, secondo me, quello di difenderle.
Loro sanno che la gente ha fame di giustizia, oramai sempre più gente sa di essere in un sistema marcio, ma non riesce a vederne un’alternativa. La gente “come noi” dimostra che è possibile non essere silenziosa “che sta” subisce il sistema, ma che è possibile incitare se stessi e gli altri ad esserci dentro ai problemi, a viverli, a cercare di risolverli. La paura dello Stato in questo momento è appunto che sempre più gente lo capisca.
La sicurezza di quello che dico è scritta nera su bianco dal giudice sulla motivazione della mia custodia cautelare; ne riporto le parole esatte: “il pericolo di reiterazione è pertanto insito nella connotazione ideologica della decisione condivisa da parte degli indagati di forme violente di protesta sociale”
In questa parte di motivazione il giudice esprime tutta la volontà dello Stato di reprimere tutti coloro che dicono no attivamente a questo sistema.
Ci sono sempre stati due modi di guardare ai problemi della società (tralasciando ovviamente quello di guardare e passare oltre): uno è avere uno sguardo, magari anche attento, ma lontano intriso di quella solidarietà ipocrita dall’alto della propria classe sociale. L’altra possibilità è di condividere quel problema assumendo quei drammi e quelle sofferenze come propri in un piano di parità e di condivisione fosse anche solo emotiva. Personalmente nel mio piccolo ho cercato sempre di applicare la seconda scelta, fà parte del mio essere anarchico. Non è stata l’ideologia anarchica a trovarmi ma sono io che ho trovato lei dentro di me come penso sia dentro ad ogni essere umano degno di questo nome.
Ed è proprio la mia coscienza che, come l’ideologia libertaria mi impone di essere sempre da parte degli oppressi, degli sfruttati, e degli ultimi, mi obbliga a difenderli contro tutti gli sfruttatori.
Affamare una popolazione, privare un’intera popolazione del proprio futuro, impedire a un popolo di fare ciò che vuole con la propria testa, impedire ai lavoratori di vivere e affermarsi con il proprio lavoro come in questo momento l’italia guidata dall’europa stà facendo o opporsi con forza a tutto questo.
La mia coscienza mi obbliga di dover difendere quelle popolazioni che hanno avuto il coraggio di dire no allo stato, che chiedono di fare solo quello che vogliono loro nella terra dove sono nati, cresciuti e ora vivono. Mi obbliga a difendere lavoratori e sfruttati e a difendere giovani prima del loro futuro.
Per questo sono e sarò sempre un NO TAV, una persona che è dalla parte degli studenti e dei lavoratori. Sarò sempre in piazza contro tutte le ingiustizie che questo sistema ha creato; pure ora che sono costretto qua, con il pensiero e con l’anima sono sempre in piazza con loro.
Vi chiedo scusa per le varie divagazioni ma a stare qua si diventa logorroici.
Vi abbraccio forte e vi ringrazio di cuore di tutto quello che avete fatto e che state facendo per me.
Se qualcuno volesse scrivermi vi lascio il mio indirizzo e lo ringrazio in anticipo, in galera una lettera vuol dire tanto:
CECCARELLI DAYVID
C.C. ALBA
VIA VIVARO 14
12051 ALBA (CN)
CIAO A TUTTI DAYVID
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60 carcerati scappano dalla prigione di Jambi alle 3.30 di Sabato. Il guardiano della prigione Budi Privanto dice che sei degli evasi sono stati ricatturati, mentre gli altri 54 sono ancora liberi (notizia riportata da tribunews.com). I prigionieri sono scappati, continua il guardiano, durante la distribuzione del pranzo pomeridiano. Le guardie hanno aperto le porte in tutti i blocchi allo stesso momento (simultaneamente) prima della distribuzione del cibo. I 60 detenuti avevano probabilmente gia’ pianificato le loro evasione e hanno colto l’occasione per scappare immediatamente. I reclusi sono corsi al cancello (privo di sorveglianza) nella parte piu’ a sud della prigione, hanno forzato la porta e velocemente si sono dileguati in una vasta piantagione di olio di palma che si trova di fronte alla prigione. Il signor Budi dice che la fuga e’ stata anche resa possibile dalla mancanza di sorveglianza in quel momento. Infatti, Sabato solo 5 guardie stavano vigilando i 288 prigionieri. ‘Dobbiamo ammettere che ci manca la forza lavoro, e il sabato e’ anche un giorno in cui alcuni di noi non lavorano.
Fonte: thejakartapost.com
Traduzione: De Monik (grazie)
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LECCE – Nel carcere leccese di Borgo San Nicola, secondo l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), «aumenta il numero di punterioli e lame rinvenuti nelle celle». In quantità più abbondante rispetto agli anni passati, verrebbero scovati dietro le sbarre dal personale di sorveglianza durante le ispezioni e ciò, a sentire il sindacato dei baschi blu, sarebbe diretta conseguenza del sovraffollamento e delle tensioni che il fenomeno creerebbe tra i detenuti. Aumenterebbero i rischi di aggressioni tra detenuti ma anche nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria.
IL SOVRAFFOLLAMENTO – Nella casa circondariale salentina sono rinchiuse circa 1250 persone, ma la capienza massima della struttura è di 700 posti. Va da sé che a risentirne, come spesso è stato evidenziato da più parti, sono le condizioni di vita dei carcerati. «A Borgo San Nicola, da giugno a dicembre 2012, durante quattro-cinque controlli, abbiamo trovato diversi oggetti contundenti e questo è un fatto che ci preoccupa perché riteniamo sia diretta conseguenza del sovraffollamento e del clima di tensione», osserva Domenico Mastrulli, vice segretario nazionale dell’Osapp, che si sofferma anche sulle carenze di organico esistenti tra i ranghi della polizia penitenziaria. Particolarmente delicata sarebbe la situazione che riguarda la sorveglianza dei detenuti sottoposti al regime di «alta sicurezza», vale a dire quelli che scontano pene scaturite dai reati più gravi commessi durante la militanza tra le file della criminalità organizzata. «A Lecce abbiamo circa 200 individui sottoposti all’alta sicurezza – spiega ancora Mastrulli – e spesso c’è un solo agente per sorvegliare 80 detenuti, mentre il rapporto dovrebbe essere di tre guardie per ogni recluso. Non possiamo che essere preoccupati». La situazione, almeno dal punto di vista della vivibilità, potrebbe, comunque, migliorare nel momento in cui saranno disponibili ulteriori 200 posti nel nuovo plesso che si prevede possa essere cantierizzato nell’area di pertinenza del penitenziario entro la prossima estate. Anche se sul punto l’Osapp ha più di qualche perplessità. «Secondo noi, a Lecce, potrebbero arrivare altri detenuti rispetto a quelli già presenti, quindi, il nuovo edificio carcerario non servirà ad alleggerire la situazione di sovraffollamento», osserva Domenico Mastrulli. Ma tornando al ritrovamento di materiale potenzialmente pericoloso come strumento di offesa, il direttore del carcere leccese, Antonio Fullone, ravvisa: «Troviamo oggetti tra i più svariati, dalla lametta dotata di manico in legno, alle posate che, in qualche modo, diventano arnesi per tutt’altro uso, ma nella maggior parte dei casi non si riscontrano intenzioni moleste da parte di chi li possiede. Li si può utilizzare anche per tagliare la frutta o per altri scopi, non è detto che debbano diventare per forza armi, ferma restando che per noi vanno classificati come oggetti atti a offendere, una categoria molto ampia. Ma questi ritrovamenti si verificano in tutti gli istituti».
IL DIRETTORE – Il direttore Il direttore Fullone, tuttavia, conferma le carenze negli organici della polizia penitenziaria. E dice: «Complessivamente Lecce ha una carenza di personale che sta diventando sempre più preoccupante anche perché il personale è molto anziano. Dovremmo essere 770, ma siamo sotto di circa parecchie unità. Quanto al numero dei detenuti, va detto, comunque, che rispetto agli ultimi anni, abbiano ora toccato le cifre più basse. Nel 2012 la popolazione carceraria è diminuita: solo qualche anno fa avevamo 1.500 persone. La destinazione del nuovo plesso, in ogni caso, ancora non è stata chiarita».
Fonte: corrieredelmezzogiorno.corriere.it
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Un detenuto italiano di 48 anni ha tentato il suicidio oggi alle Novate. Solo grazie al pronto intervento di un agente della polizia penitenziaria è stato evitato il peggio.
Un detenuto italiano di 48 anni ha tentato il suicidio nel carcere di Piacenza. Lo ha reso noto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe, spiegando che l’uomo, approfittando dell’assenza del compagno di cella che si trovava nella saletta della socialità, insieme agli altri compagni di detenzione, dopo aver fatto un rudimentale cappio con dei lacci che ha legato all’armadietto del bagno ci ha infilato la testa e si è lanciato in avanti. Solo grazie al pronto intervento di un agente della polizia penitenziaria, in servizio nella sezione detentiva, è stato evitato il peggio. L’uomo era rientrato a Piacenza dopo aver trascorso 40 giorni all’ospedale psichiatrico. (Ansa)
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Michele Paradiso, il 76 enne, arrestato il 14 maggio dello scorso anno per aver tentato di uccidere la figlia con una coltellata all’addome nel centro abitato di Nicotera Marina, in provincia di Vibo, è deceduto questa mattina nel carcere di Vibo Valentia.
Allo stato nessuna inchiesta è stata aperta per accertare le cause del decesso che, ad avviso della polizia penitenziaria e dei sanitari del 118, è avvenuto per arresto cardiaco dopo che l’anziano ha avvertito un malore. Prontamente soccorso, Michele Paradiso è morto durante le cure prestate dai sanitari. L’anziano, posto agli arresti domiciliari dopo l’accoltellamento della figlia, era ritornato in carcere per reiterate violazioni della detenzione domiciliare. La prima udienza del processo a suo carico si sarebbe dovuta tenere a maggio.
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Genova – Questo pomeriggio (19 gennaio) il carcere di Marassi a Genova è rimasto al buio per più di due ore a causa di un black out. Il guasto al quadro elettrico è stato riparato solo dopo le 19 dopo che si erano spente anche le luci alimentate dal gruppo elettrogeno che ha retto fino a quando c’è stato gasolio. La situazione è tornata sotto controllo e non si sono verificati momenti di tensione. Il segretario ligure del Sappe Roberto Martinelli ha sottolineato ancora una volta i tagli imposti sulla manutenzione e la criticità delle condizioni di sovraffollamento in cui versa di penitenziario cittadino.
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riceviamo e diffondiamo
Il compagno anarchico Marco Camenisch è stato incarcerato per poco più di 21 anni consecutivi, quindi si qualifica per il rilascio condizionale dal momento che ha già scontato i 2/3 della sua condanna. Per questo motivo, dei prigionieri solidali in Italia hanno anche agitato per azioni contro obiettivi-strutture di interessi svizzeri.
Ecco un richiamo mondiale per giorni di azioni decentrate per il 5-6 Febbraio 2013:
“Il prigioniero anarchico Marco Camenisch è stato confinato nelle carceri italiane e svizzere per due decenni. Negli anni ’70 e ’80, ha preso parte alle lotte militanti del movimento anti-nucleare. La prima volta che è stato incarcerato era nel 1981. Dopo essere fuggito dal inferno Regensdorf (vicino a Zurigo), è stato rinchiuso di nuovo in Italia nel 1991. Nel 2002 Marco è stato consegnato alle autorità svizzere dagli infami statalisti italiani. Entro il 2012 aveva scontato due terzi della sua pena detentiva. La pratica abituale in Svizzera è che i prigionieri che hanno esposto una cosiddetti buona condotta vengono rilasciati dal carcere in libertà vigilata dopo aver scontato due terzi della pena. Dal momento che Marco non ha mai cessato di lottare anche in prigione, ed ha fermamente espresso il suo odio nei confronti del sistema dominante così come le sue prospettive anarchiche-ambientali, la sua liberazione dal carcere è stata ripetutamente negata.
Marco è solo uno tra i tanti. Ci sono persone in tutto il mondo in carcere che non sono stati soppressi da queste relazioni di sfruttamento e di dominazione, e continuano a lottare per le proprie idee. E i detenuti sono solo una piccola parte. Ovunque le persone stanno lottando contro l’oppressione delle autorità e delle istituzioni al di fuori delle mura. Insieme con le nostre lotte quotidiane, è sempre importante non dimenticare i nostri compagni che sono dietro le mura e non lasciarli marcire in prigione.
Le prigioni sono l’espressione di una società basata sulla repressione e lo sfruttamento. Sempre più persone che si sono opposti all’ordine costituito sono stati rinchiusi o etichettati come malati mentali. La custodia è lo strumento idoneo nelle mani del potere che dà agli dominatori l’opportunità di sbarazzarsi dalle persone resistenti e mantenere ancora la sua costituzionalità ipocrita.
Non lasciamoci intimidire dalle loro minacce e dagli apparati della repressione!
È chiaro per noi, la libertà deve essere combattuta!
Non può essere richiesta dallo Stato!”
Non c’è bisogno di aspettare fino ad allora. Il Febbraio può essere solo il picco delle azioni. C’è una campagna di solidarietà in corso, che ha avuto inizio ilDicembre del 2012 con lo sciopero della fame degli anarchici Gabriel Pombo Da Silva ed Elisa Di Bernardo nelle carceri tedesche e italiane, rispettivamente, così come un’azione di solidarietà in tribunale dal prigioniero anarchico Theofilos Mavropoulos e dei membri dell’O.R. Cospirazione delle Cellule di Fuoco in Grecia.
Armatevi ora… fino a quando Marco non sia libero!
qui di seguito la lettera/comunicato di Marco
Amiche ed amici, compas, dal 18 al 25/1/2013 riprendo l’iniziativa, sempre debole ma pur iniziativa, di uno sciopero della fame per interrompere ancora i lunghi silenzi imposti dalla repressione e dall’inazione, per alzare ancora una voce, una voce debole ma almeno voce, di solidarietà, d’apprezzamento e partecipazione alle iniziative di chi continua ad agire e costruire solidarietà e lotta attiva, di chi continua ad osare e ad accrescere continuità fuori e dentro le galere .
Questo è un caloroso e commosso abbraccio fraterno alla compagna Elisa, nel carcere italiano, ed al compagnoGabriel, nel carcere tedesco, per la parte specifica in mia solidarietà della loro iniziativa dello sciopero della fame a staffetta nell’ultimo mese di Dicembre 2012, e di partecipazione incondizionata allo spessore generale della stessa iniziativa mandando anche io, insieme a loro, come dicono questa sorella e compagna e questo fratello e compagno, la mia complice solidarietà a tutti/e i/le degni/e prigionieri/e in lotta sparsi per il mondo . . . e parte enorme anche di questa mia iniziativa sono i saluti ed abbracci alle sorelle ed ai fratelli colpiti dalla repressione, “fuggitive/i” e dell’azione diretta in ogni parte del mondo, dall’Italia e Grecia al Sudamerica, dalla Russia ed Indonesia agli USA. . .
È un caloroso e commosso abbraccio a chi in Svizzera, in Belgio e dappertutto, come il SRI e molti altri gruppi specifici e misti ed individui rivoluzionari, all’insegna della solidarietà contro la repressione oltre le tendenze continuano ed aumentano in questo periodo gli sforzi per la mia liberazione e per la liberazione di tutte le compagne prigioniere ed i compagni prigionieri del mondo, anzitutto quelli e quelle di lunghissima durata, colpite/i dall’infinita ed impotente – impotente contro la nostra salda solidarietà e resistenza rivoluzionaria – sete di vendetta degli Stati-Capitale come contro il compagno Ibrahim Abdallah in Francia, Mumia Abu Jamal e le/gli tante/i altre/i negli USA, i compas del “caso security” in Argentina, insieme alla schiera di tutte/i le/gli altre/i. . . ! Ed è, una volta ancora, solidarietà e partecipazione alle iniziative e profondo segno d’ira contro l’annuale incontro di gennaio del WEF a Davos, contro quest’incontro della più squisita tra la feccia terrorista del mondo. Contro quest’incontro tra ricchi e potenti assassini e sfruttatori del mondo insieme alle legioni dei loro lacché, sbirri, politici, “esperti” (scienziati) e giullari (della “cultura”, dei media . . .) che, come feccia suole fare, sempre nuotano in superficie della brodaglia avvelenata, nauseabonda e resa sempre più mortale da loro stesse/i solo per affermare ed aumentare il privilegio delle loro ricchezze e del loro potere sul mondo .
Quest’anno riscoprono l’acqua calda di un’ lnterazione dei “Global Risks 2013” e di un’urgenza d’azione contro una costellazione con conseguenze potenzialmente gravi. . . dei più grossi fattori di rischio . . ., cioè il divario tra i redditi e gli forti squilibri nei bilanci degli Stati insieme alle (secondarie . . .) conseguenze del cambiamento climatico. Temono il “rischio” pandemie causate dalle resistenze agli antibiotici, il “rischio” dell’aumento delle malattie croniche – anche queste “minacce” antieconomiche di genuina produzione della loro stessa economia industriale stragista ed ecocida . “Rischi” per che cosa? Naturalmente per la crescita economica globale! Allora quali le priorità assolute? La tenuta nazionale contro i rischi globali affinché i sistemi d’importanza vitale (naturalmente per la crescita economica globale!) rimangano in funzione anche nel caso di und disturbo massiccio e, d’altronde, un’urgente collaborazione internazionale ed innovazione accresciuta. Da non sottovalutare sarebbe, poi, il “rischio” dell’accesso sempre più massiccio all’informazione su Internet per i suoi effetti (democraticamente . . .)destabilizzanti (sic!) .
Questi assassini globali e totalitari per i quali è imprescindibile il divario tra i redditi e gli forti squilibri nei bilanci degli Stati da loro depredati, per i quali – ed il loro sistema – è imprescindibile la catastrofe umana ed ambientale d’enormi sofferenze, stragi, annientamenti planetari che sminuiscono come “rischi”, di nuovo ci presentano come “soluzione” ancora più divari, squilibri, catastrofe ed annientamento, per cui ancora più totalitarismo (nazionale, globale, innovante) – vale a dire controllo, dell’incontrollabile – per mantenere in funzione, costi quel che costi, i sistemi di questo loro sistema che è la causa e radice stessa di questi e degli altri 50 “rischi” che citano e degli innumerevoli che non citano, poiché “cavoli loro, di quelli in Basso, che nutriamo di guerra, di manganello, di carcere e di
miseria, per il nostro profitto”. Nulla di nuovo dunque, dimostrano con sfrontata ed imbecille chiarezza, una volta ancora, che sono loro
ed il loro sistema il problema sempre più urgentemente da rimuovere, radicalmente e totalmente.
Via il WEF, via lo Stato-Kapitale!
Libere/i tutte/i!
marco, lager Lenzburg, Gennaio 2013
Commenti disabilitati su Marco Camenisch in sciopero della fame, di nuovo! LIBERO SUBITO! | tags: anarchici, azione, carcere, chiamata di solidarietà internazionale, compagni incarcerati, comunicato, Elisa Di Bernardo, Gabriel Pombo Da Silva, marco camenisch, prigionieri politici, repressione, repressione di stato, sciopero della fame, solidarietà, svizzera, Theofilos Mavropoulos | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Tutti
14/01/2013
Ciao ragazzi,
vi scrivo queste due righe sul perchè sono dentro, il che, non sapendolo bene neppure io non è semplice. Dunque sono stato arrestato l’11/04/2012 con l’accusa di devastazione dopo la manifestazione milanese che chiedeva la liberazione dei NO TAV arrestati per i fatti del 3 Luglio. Sono stato scarcerato il giorno dopo con obbligo di firma fino alla data della camera di consiglio, dove mi hanno condannato a nove mesi. Nella pena hanno inglobato un mio vecchio definitivo per un’occupazione. Alla camera di consiglio il giudice,visto il parere favorevole dei servizi sociali e il contratto di lavoro ha deciso di farmi scontare la pena presso di loro. Mi hanno quindi revocato l’obbligo di firma e attendevo il definitivo per Febbraio per vedere le condizioni (orario di rientro etc.)
Ero un uomo libero, che aspettava il definivo senza altri carichi pendenti.
Ad Ottobre la sorpresa: il nucleo operativo dei carabinieri nucleo informatico si presenta a casa della mia ragazza,dove non avevo neanche il domicilio, e mi arrestano usando come motivazione che la casa dove avevo la residenza non era
ritenuta idonea per scontare la pena. Voglio sottolineare che in quella residenza avevo già scontato due mesi con obbligo di firma,e che nella richiesta di sorveglianza c’era un’altra abitazione ritenuta idonea dai servizi sociali.
Portato a S.Vittore ho passato quasi un mese in mezzo ad interrogatori non sapendo ancora bene il motivo dell’arresto. Dopo un mese un altra sorpresa: mi è stato notificato dalla Digos di Milano e di Roma una custodia cautelare per il fatti del corteo del 15 Ottobre “Giornata Mondiale dell’Indignazione”,i reati di cui mi si accusa sono:
– devastazione e saccheggio
– più persone che concorrono nel reato
– circostanza aggravante: quando una o più persone concorrono,organizzano o
promuovono il reato (fino a metà in più della pena)
– circostanza aggravante: l’aver commesso il reato per conseguire o assicurare a
sé o agli altri l’impunibilità (fino a metà in più della pena)
– Legge Speciale del 75: disciplina il controllo delle armi, delle munizioni, e degli
esplosivi (da uno a tre anni)
Questo è più o meno quello che ho capito, voglio solamente ricordare che insieme a me ci sono altre 14 persone in custodia, tutte identificate di cui non ne conosco uno.
In più, pare ci sia in giro per i tribunali di Lecco e Milano un’indagine della Digos per terrorismo che il mio legale è riuscito solo a scorgere ma che non compare negli atti ufficialmente nonostante sia stata usata durante gli interrogatori, dove mi sono sempre avvalso della facoltà di non rispondere, visto la mia estraneità ai fatti, visto che il mio riconoscimento e stato fatto confrontando lo zaino secondo loro da me indossato a Milano durante il corteo del 30 Marzo con uno identico avvistato negli scontri di Roma, un comunissimo Seven blu.
Spero di avervi chiarito le idee, perchè io non ci sto capendo un cazzo.
GRAZIE PER IL SUPPORTO
DAYVID
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A poche settimane dalle violente colluttazioni contro poliziotti nelle carceri di Spoleto, Bologna, Siracusa e Saluzzo, un’altra aggressione a un poliziotto in un carcere italiano. Ieri nel tardo pomeriggio, nella Casa di Reclusione di Padova, due detenuti hanno immobilizzato un agente di polizia penitenziaria di servizio per poter picchiare un altro ristretto: il risultato è stato che il poliziotto è stato inviato al Pronto soccorso per la sospetta frattura del polso e il detenuto per diverse ferite alla testa”. È quanto rende noto Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria.
Fonte: androkonos
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Aveva chiesto di essere giustiziato con la sedia elettrica, altrimenti avrebbe colpito ancora. Tanto da aver ucciso anche due detenuti del carcere dove stava scontando l’ergastolo (per un altro omicidio, ndr), per accelerare la sua condanna a morte. Si è la svolta nella notte in Virginia, come spiega Abc.news, l’esecuzione di Robert Gleason, un 42enne che aveva rinunciato anche al suo diritto di appello, nonostante i legali fossero contrari alla sua decisione.
Era stato proprio John Sheldon, uno degli avvocati a presentare ricorso contro la scelta di Gleason, spiegando come l’uomo soffrisse di “gravi disturbi mentali”. Ma il ricorso non è stato accolto dalla corte della Virginia, che non ha raccolto le prove presentate dal legale, che ha tentato invano di dimostrare la sua depressione, citando anche i diversi tentativi di suicidio. Gleason non si è limitato a chiedere la condanna a morte: ha anche scelto di morire non con l’iniezione letale, bensì sulla sedia elettrica. Rimettendo così in azione lo strumento di morte, per la prima volta dal 2010. Il legale ha protestato fino alla fine, ma è servito a poco: la sentenza fatale è diventata esecutiva non appena è stato negato anche il ricorso dalla Corte Suprema.
Gleason aveva ammesso di aver strangolato quattro anni fa il suo compagno di cella, il 63enne Harvey Watson, nello stesso giorno in cui aveva commesso il delitto per il quale era stato punito con l’ergastolo. Da tempo richiedeva di essere giustiziato, tanto da aver pure ucciso un altro compagno di cella, il 26enne Aaron Cooper, utilizzando la rete di protezione del cortile del carcere. Ovviamente, era stato il primo a dichiararsi colpevole.
Come riporta l’Huffington Post, è stato il governatore Bob McDonnell ad aver spiegato come l’uomo non avesse espresso alcun rimorso per gli omicidi. Anzi, aveva dichiarato che, se non fosse stato giustiziato, avrebbe continuato ad uccidere. “Per i giudici competenti ha agito in modo cosciente”, si è difeso, contro le critiche del suo legale. Spiegando in passato la sua scelta macabra, Gleason aveva sottolineato come avesse ucciso “in passato soltanto criminali, mai persone innocenti”, ma che avrebbe fatto di tutto per “mantenere la promessa ad una persona cara”: “Soltanto così potrò spiegare ai miei figli cosa succede se diventi un omicida”, aveva dichiarato l’uomo. Delle 1320 condanne a morte, da quando la pena è stata reintrodotta nel 1976, 157 sono avvenute attraverso la sedia elettrica. secondo quanto spiega il Death Penalty Information Center.
di Alberto Sofia Fonte: giornalettismo.com
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Johannesburg, 18 gen. Il detenuto pestato a sangue dai secondini di un carcere di Groenpunt à Deneysville, in Sudafrica, davanti agli occhi dei giornalisti che accompagnavano una delegazione parlamentare è morto. Lo scrive oggi il quotidiano The Star. Nel carcere aveva avuto una rivolta la settimana passata.
La vice responsabile dei servizi penitenziari del paese, Grace
Molatedi, raggiunta dal quotidiano ha confermato il decesso del
detenuto spiegando che aveva cercato di uccidere una delle
guardie. atri due detnuti sono stati seriamente feriti.
“La commissione parlamentare aveva lasciato il posto. Poi, attraverso la recinzione, abbiamo visto una folla di secondini aggredire un uomo vestito di arancione, apparentemente un prigioniero indifeso, che si contorceva e gemeva di dolore – aveva scritto ieri The Star di Johannesburg. “Non sappiamo chi sia, nè cosa gli sia accaduto dopo. Ma noi abbiamo visto passare l’uomo da uno all’altro, percosso brutalmente. Mentre le macchine fotografiche scattavano, seguendo l’azione, gli uomini in marrone (i guardiani, ndr) hanno continuato a picchiare il prigioniero”. Il Times racconta oggi la stessa storia.
Secondo uno dei giornali, le fotografie sono state cancellate dalla polizia nella successiva perquisizione dei giornalisti.Il 7 gennaio scorso i detenuti del carcere di Groenpunt, a Deneysville, nel centro del Paese, hanno dato fuoco a un’ala del penitenziario per denunciare le loro condizioni di vita. La rivolta ha causato il ferimento di 50 detenuti e di nove secondini, oltre al trasferimento in altri istituti di 500 persone.
Fonte: ilmondo.it
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Momenti di forte tensione, quelli che si sono vissuti ieri mattina presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria, a causa delle ire di un detenuto, il quale, per protestare contro alcune decisioni circa la sua collocazione all’ interno della struttura, ha scaricato tutta la propria collera contro quattro agenti della Polizia Penitenziaria, i quali hanno anche riportato lievi ferite. A dire il vero, già dalla sera prima il galeotto aveva dato alcune avvisaglie della sua inquietudine, assumendo comportamenti autolesionisti e minacciosi anche verso un altro agente della Polizia Penitenziaria. Per fortuna, i quattro malcapitati agenti dopo essere stati sottoposti alle cure mediche presso gli ospedali Riuniti, non versano in condizioni da destare particolari preoccupazioni. Quello di ieri mattina è solo l’ultima di una lunga serie di aggressioni avvenute a danno di agenti della Polizia Penitenziaria presso le carceri italiane. Proprio in questi giorni si parla tanto di sovraffollamento degli istituti di pena, di una miglior condizione di vita per i detenuti, ma a nostro avviso è molto importante che vi sia la massima sicurezza per chi lavora in carcere. Sono innumerevoli, infatti, le richieste di attenzione da parte delle varie sigle sindacali di categoria, le quali chiedono, in maniera del tutto onesta, di poter operare in un clima sereno e sicuro.
Fonte: strettoweb.com
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