“Fuck Renzi“, “Fuck the police”, “Stop agli sgomberi e aglisfratti“. Striscioni per il diritto alla casa e contro il Jobs Act. Lanci di uova e oggetti verso le forze dell’ordine. Nel giorno della prima della Scala a Milano, una cinquantina di antagonisti – che includono giovani dei centri sociali, in particolare del Cantiere, e membri dei comitati per il diritto alla casa – Continue reading
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No Tav – Libertà per gli arrestati No Tav + resoconto presidio Vallette
da notav.info
Una violenza preannunciata quella della Questura che ieri sera, non appena è partita la passeggiata notturna da Giaglione, già emanava farneticanti comunicati paventando lo spauracchio del black block travisato tra i manifestanti valligiani.
Una violenza preordinata quella delle forze dell’ordine, che caricano con la celere i No Tav ancora distanti dalle reti e completamente a freddo. Lo fanno all’interno di un sentiero di montagna strettissimo e pericoloso dove la gente cade, viene calpestata e poi ferita, ripetutamente, dai manganelli di Continue reading
Comunicato dell’ex Cuem sugli arresti di stamattina
Pubblichiamo qui di seguito il testo prodotto dall’assemblea tenutasi oggi, mercoledì 19 giugno, a seguito dell’operazione poliziesca contro chi si oppose allo sgombero della Libreria Ex-Cuem dell’Università di Milano.
Libreria Ex-Cuem – Università Clandestina
Mercoledì 19 giugno alle 6 di mattina la polizia si è presentata nelle case di dieci ragazzi e ragazze per i fatti del 6maggio. Sette di loro sono agli arresti domiciliari, tre indagati a piede libero. Le accuse sono resistenza, danneggiamento e travisamento.
Quei giorni li ricordiamo tutti. Il Continue reading
Condannata per gli scontri NOTAV arrestata per blitz anarchico
Torna in carcere Marianna Valenti, nota attivista No Tav già condannata in primo grado per aver preso nel settembre 2011 a un attacco al cantiere di Chiomonte. E’ stata arrestata dalla Digos per aver preso parte al blitz degli anarchici alle ex Nuove di corso Vittorio. L’accusa è di resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Durante il raid di ieri mattina – quando una quarantina di anarchici hanno messo a soqquadro la sede degli ufficiali giudiziari e occupato parte dell’edificio – è sempre stata in prima linea. In manette, con le stesse accuse, anche un’altra ragazza italiana e una donna brasiliana
Fonte Repubblica.it
Lunedì mattina, in risposta alla paratica degli sfratti a sorpresa, alcune famiglie e compagni solidali decidono di occupare l’ufficio delle pubbliche relazioni degli ufficiali giudiziari. Alla fine della giornata di lotta, tre compagne vengono tratte in arresto; una di loro è Claudia, una sfrattata di origine brasiliana, le altre sono Simona e Marianna. Simona è stata sicuramente pestata, con segni evidenti, delle altre due non abbiamo informazioni certe. Come sempre accade quando lasciano troppi segni, le accuse messe in campo contro le compagne sono di resistenza e lesioni.
Mercoledì mattina si terrà l’udienza di convalida degli arresti a porte chiuse.
DA PARTE NOSTRA MASSIMA SOLIDARIETA’
AL FIANCO DI CHI LOTTA! MARIANNA LIBERA SUBITO!
BASTA SFRATTI; BASTA TAV!
Per capire meglio diffondiamo da Macerie
Sfratti anticipati? Casini assicurati!
In Borgo Vittoria un nutrito picchetto antisfratto aspetta l’Ufficiale Giudiziario. Per la cronaca, oggi l’ufficiale è Lino Mazzeo, ben conosciuto da molti di quelli che da mesi in città resistono agli sfratti per essere tra i più fedeli servitori dei padroni di casa. Come già successo altre volte, Mazzeo non si presenta per paura di affrontare il picchetto, ma questa volta decide di fare il gradasso più del solito. Contattato al telefono dalla famiglia sotto sfratto, spiega più o meno così la situazione: «Avete organizzato il picchetto? E allora oggi lo sfratto non lo eseguiamo, rimandiamo le carte al giudice e sarà lui a decidere quando eseguirlo. Ma a voi non verrà più comunicata nessuna data!». La minaccia di usare la strategia dello sfratto a sopresa è chiara, ma il picchetto non si perde d’animo e decide di prendere l’iniziativa. Alcuni rimangono a guardia della casa per evitare scherzi, e una quarantina di sfrattandi e solidali decide di prendere un bus e andare nella tana del lupo: l’Ufficio Notificazioni Esecuzioni e Protesti, la base degli Ufficiali Giudiziari che si trova nelle vecchie carceri Nuove, a due passi dal Tribunale. Un piccolo corteo chiassoso negli uffici parte alla ricerca del direttore, che già altre volteera stato messo alle strette e aveva lasciato il foglio con il rinvio. Ma questa volta si protesta anche contro le nuove mosse della Questura, che sembra proprio aver deciso di usare sistematicamente la tecnica degli sfratti a sorpresa.
L’ufficio viene velocemente chiuso al pubblico, e si riempie di polizia: agenti in divisa e in borghese, accompagnati da una ventina di celerini. Il gruppone che aveva occupato gli uffici viene radunato nel cortile interno, la polizia lascia uscire subito le donne con i bambini piccoli e pretende di identificare tutti gli altri. Inizia una lunga fase di stallo: da una parte chi aveva occupato l’ufficio e vuole la proroga, dall’altra la polizia che vuole i documenti. Intanto fuori si forma un piccolo presidio che viene caricato non appena decide di bloccare Corso Vittorio Emanuele, e qui la celere si porta via un solidale. Anche all’interno degli uffici c’è un po’ di parapiglia, qualcuno viene preso di peso dalla celere e caricato su un blindato, c’è chi si sente male e chi si arrampica sulle finestre e sale verso il cornicione.
Alla fine i fermati sono dieci, di cui tre ragazze che non avevano con loro i documenti d’identità. Vengono tutti portati nella Questura di via Tirreno, e anche lì fuori si forma un presidio solidale: una sessantina di persone che per un paio di ore chiedono la liberazione dei fermati, facendo un gran baccano con slogan, pietre battute sui pali e scoppiando alcuni petardoni. In sette vengono rilasciati dopo alcune ore, le tre ragazze senza documenti invece rimangono dentro: chi esce racconta di averle viste passare nel corridoio della Questura, peste e ammanettate; una, addirittura, viene presa a calcida un agente delle volanti giusto di fronte al gabbione dove erano rinchiusi gli altri. Al momento non sappiamo se la Polizia deciderà di arrestarle o meno, né che cosa sia successo esattamente nel tempo trascorso tra il loro fermo e l’arrivo in corso Tirreno: ve lo racconteremo nelle prossime ore.
Aggiornamento 12 marzo, ore 19. Claudia, Marianna e Simona si trovano alle Vallette. Gli avvocati ancora non hanno potuto vedere gli atti né parlare con le arrestate per cui ancora non sappiamo cosa sia successo ieri dentro la camionetta e poi nel cortile della Questura di via Tirreno. Domani, in carcere e a porte chiuse, si svolgerà l’udienza di convalida.
macerie @ Marzo 11, 2013
Assi nella manica
Da qualche settimana tirava un’aria rilassata ai picchetti antisfratto. Ufficiali Giudiziari che arrivano senza farsi pregare troppo, rinvii generosi, anche di tre mesi, senza tante discussioni. E soprattutto nessuna concentrazione di sfratti in unico giorno per i mesi di maggio e giugno. Il tutto accompagnato da sorrisi beffardi e frasi sibilline, come se gli Ufficiali Giudiziari sapessero di avere qualche asso nella manica. E forse giovedì scorso hanno deciso di inziare a calarne qualcuno.
Al mattino presto alcune camionette piene di celerini si parcheggiano in via Renier, inBorgo San Paolo. Sono lì per assediare un alloggio dove vive una famiglia che da qualche mese resiste allo sfratto. “Piccolo” particolare: il prossimo accesso era stato fissato per il 19 marzo, e quindi per giovedì mattina non era stata organizzata nessuna resistenza. Lo sfratto anticipato viene eseguito senza troppa fatica: questurini, ufficiale giudiziario, proprietà e avvocato se la sbrigano in fretta e se ne vanno soddisfatti. Per gli amanti degli aspetti tecnici segnaliamo che si tratta di una procedura ai margini della legge, ma pur sempre legale. Si può anticipare uno sfratto senza comunicarlo all’inquilino, basta trovare un giudice che ci metta la firma, ed è risaputo che i padroni di case, come tutti i padroni, trovano facilmente dalla loro partegiudici compiacenti. In questo caso pare che l’autorizzazione sia stata firmata dal Dr. Marco Nigra, Giudice del Tribunale di Torino, magistrato sinistro e democratico.
La mossa dello sfratto anticipato, per la verità, non è nuova. Meno di un anno fa, nel cuore della Barriera di Milano, la Questura aveva già usato questa strategia: sfratto anticipato di una settimana per paura di incontrare resistenza, eseguito senza troppa fatica. La persona sfrattata si era già sistemata da tempo in un’occupazione abitativa del quartiere, e quindi la mossa non gli aveva creato grandi problemi. In risposta, erano stati improvvisati nei giorni seguenti alcuni corteini e volantinaggi al mercato di Porta Palazzo, in quello di Piazza Cerignola e in Borgo Vittoria. E sui muri della Barriera di Milano erano anche comparsi scritte e manifesti per raccontare la storia e ricordare i responsabili materiali dell’escuzione dello sfratto.
È ancora presto per tirare delle conclusioni, ma se la Questura deciderà di utilizzare sistematicamente questa nuova strategia, episodi come questo segneranno senza dubbio un cambio di passo. I capoccioni che si ritrovano ogni settimana al Tavolo per la Sicurezza e l’Ordine Pubblico avranno senza dubbio constatato il fallimento della strategia dei “terzi martedì del mese”. Concentrare tanti sfratti in un solo giorno non ha portato i risultati sperati, al contrario ha provocato un rafforzamento della resistenza. Barricate davanti ai portoni e strade bloccate, decine di sfrattandi e solidali – torinesi ma non solo – pronti a resistere dall’alba e soprattutto un sacco di rinvii conquistati con la forza della lotta. Quella che doveva essere la mossa vincente per stroncare la resistenza agli sfratti, si è rivelata per ora un flop.
Il piatto piange: qualche carota e qualche briciola
Intanto, mentre la Questura mette a punto le sue strategie, inzia a scaldarsi la macchina dell’assegnazione di case popolari, perchè la minaccia del bastone per funzionare bene deve essere accompagnata da qualche carota. A partire dalla primavera l’ATC dovrebbe iniziare ad assegnare decine di alloggi, ma non riuscirà sicuramente a far fronte alle migliaia di richieste ricevute. Come fare dunque, visto che i procedimenti di sfratto aumentano ogni anno, la resistenza continua, si allarga e si rafforza e chi rimane senza casa decide sempre più spesso di occuparne una vuota? Ed è qui, pronto a coniugare profitto e gestione della miseria, che interviene il cosidetto “terzo settore”.
A lanciarsi per primo è stato Mauro Maurino, responsabile del Consorzio Connecting People. Per i lettori più affezionati di //Macerie e storie di Torino// e in generale per tutti i nemici dei Centri di Identificazione e Espulsione, Maurino dovrebbe essere una vecchia conoscenza. La settimana scorsa, intervistato da un cronista locale di Repubblica in merito alla fine della cosiddetta “emergenza profughi”, Maurino oltre a piangere miseria come al solito ha pensato bene di rilanciare. Visto che l’affare dei profughi libici sta sfumando, ha subito fatto notare che «le strutture utilizzate per gli stranieri possono garantire un’alternativa anche per l’emergenza abitativa». Un bel business per lui e per le sue cooperative, e qualche castagna tolta dal fuoco all’amministrazione comunale e alla Questura. La posta in gioco, giusto per essere chiari, è presto spiegata nell’articolo: se le cooperative sociali si occupassero degli sfrattati, questo «potrebbe scongiurare altre occupazioni di case da parte dei senzatetto». Quando si dice “giocare a carte scoperte”…
Pochi giorni dopo si fanno avanti Caritas, Compagnia di San Paolo e Philip Morris, unite in una Santa Alleanza che ha annunciato di voler intervenire sulla questione emergenza casa dando vita al progetto Sis.te.r. La Chiesa, una fondazione bancaria e una multinazionale del tabacco mettono sul piatto “ben” 70mila euro, una cifra ridicola con la quale vorrebbero offrire alle famiglie che vengono sfrattate alcuni appartamenti per il soggiorno temporaneo. Ad occuparsi del progetto sarà Synergica, giovane cooperativa sociale che in appena due anni di vita ha già messo in piedi diversi programmi di housing e mix sociale in collaborazione con Comune di Torino,fondazioni cattoliche e cooperative rosse.
Staremo a vedere cosa succederà nelle prossime settimane. Per i mesi di marzo e aprile sono ancora in programma i “terzi martedì del mese”, e vedremo se la Questura preferirà ancora una volta prendere tempo o deciderà di forzare. Nei prossimi giorni capiremo anche se proveranno a ripetere la mossa degli sfratti anticipati, decidendo dialzare la posta. Questa scelta metterebbe sicuramente in seria difficoltà le reti di resistenza agli sfratti che sono nate e cresciute in città negli ultimi anni. Ma la scelta di trasformare di fatto gli sfratti in sgomberi, approffittando del fattore sorpresa, non è certo una mossa che aiuta la pace nel mondo. E potrebbe essere una buona occasione per uscire dal calendario delle scadenze definite dalla controparte, per dare finalmente il giro a questo tavolo di bari da quattro soldi.
macerie @ Marzo 10, 2013
Palestinese muore in carcere, scoppia la rivolta
Gravi incidenti sono in corso a Hebron e nei villaggi vicini in seguito alla morte ieri in una prigione israeliana di Arafat Jaradat, un palestinese originario di quella zona
E’ una giornata di grave tensione quella di questa domenica a Hebron, in Cisgiordania, e nei villaggi vicini, dove sono in corso gravi incidenti in seguito alla morte, avvenuta ieri in una prigione israeliana, di Arafat Jaradat, un palestinese originario della zona. L’esercito israeliano ha dapprima lanciato gas lacrimogeni, quindi ha sparato proiettili rivestiti di gomma. Intanto, nelle carceri israeliane, sono saliti a 4500 i detenuti palestinesi in sciopero della fame per protesta.
Jaradat, 30 anni e padre di due figli, è morto nella prigione di Megiddo. Il suo decesso sarebbe avvenuto dopo un ‘malessere’, secondo l’intelligence israeliana, mentre il ministero palestinese per gli Affari dei prigionieri accusa le autorità israeliane di essere direttamente responsabili della sua morte. Jaradat era stato arrestato ad inizio settimana dopo incidenti nei pressi della colonia ebraica di Kiryat Arba, vicino Hebron.
La polizia israeliana ha aperto un’inchiesta sulle circostanze della morte, che secondo le autorità di Israele sembra essere stata dovuta ad una crisi cardiaca, versione contestata dal ministro palestinese Issa Qaraqe, secondo cui “il giovane è stato ucciso durante un interrogatorio” e che chiede “la creazione di una commissione internazionale per indagare sulle circostanze della sua morte”. Stupore e dolore sono anche stati espressi dal primo ministro palestinese Salam Fayyad.
La Libertà brucia
Da Macerie
Grossa rivolta al Cie di corso Brunelleschi a Torino. Tutto comincia verso le 9 di sera, quando alcuni reclusi tentano di scappare scavalcando le alte grate, ma vengono ripresi dalla polizia appena prima dell’ultimo muro. Immediatamente scoppia la rabbia in tutto il Centro: alcuni reclusi salgono sui tetti e altri incendiano le camerate di alcune sezioni. La reazione della polizia è durissima, con un massiccio uso di gas lacrimogeni che rendono l’aria irrespirabile anche oltre le mura. Un presidio di solidarietà viene caricato a più riprese lungo via Monginevro, e i celerini rimediano qualche bottiglia e un paio di bombe carta. Dentro, i reclusi raccontano di persone picchiate ed altre ammanettate, forse già pronte per essere arrestati e trasferiti al carcere delle Vallette. Mentre siamo in attesa di ulteriori notizie, vi ricordiamo ilpresidio indetto per sabato pomeriggio alle ore 16 in corso Brunelleschi.
macerie @ Febbraio 23, 2013
Dopo le fiamme: solidarietà e vendetta
Un partecipato presidio ha salutato sabato pomeriggio i prigionieri del Cie di Torino,reduci da una notte di rivolta. La solidarietà dei manifestanti si è fatta sentire con musica, interventi al microfono in italiano e in arabo, battiture sui pali della luce, lanci di palline da tennis contenenti messaggi di solidarietà e i tamburi della Samba Band. La polizia, nonostante fosse presente in forze, non è tuttavia riuscita ad impedire che il presidio si trasformasse in un corteo attorno le mura del centro, fino davanti all’ingresso del Centro e poi di nuovo indietro, bloccando il traffico su via Monginevro e via Mazzarello.
Una volta sciolto il presidio, arriva la notizia che la polizia ha arrestato un recluso dell’area viola, colpevole di esser salito sul tetto per salutare i manifestanti. Assieme ai quattro arresti di ieri, con quest’ultimo sale quindi a 5 il numero di reclusi trasferiti nel carcere delle Vallette.
macerie @ Febbraio 23, 2013
Quel che mancava
Verso le 8 di domenica sera i reclusi dell’area gialla completano il lavoro cominciato nei giorni scorsi dai prigionieri del Cie di Torino, incendiando tutta la sezione. L’intervento della polizia con gli idranti è servito solo a far cessare il fumo, perché le fiamme avevano già bruciato tutto ciò che poteva bruciare. Ora i 35 prigionieri dell’area gialla, alcuni dei quali appena trasferiti lì dalle altre sezioni già bruciate, si trovano sotto la pioggia nel cortile della sezione, perché dentro non è possibile stare.
macerie @ Febbraio 24, 2013
Sciopero fame detenuti, secondo giorno di scontri tra palestinesi e israeliani
Scontri tra palestinesi e forze della sicurezza israeliana sono scoppiati per il secondo giorno consecutivo in Cisgiordania e a Gerusalemme Est a margine delle manifestazioni per chiedere il rilascio dei detenuti in sciopero della fame in Israele. Un portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato che tra i 300 e i 400 palestinesi hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani a Hebron. Scontri si sono registrati anche nei pressi di due checkpoint fuori Ramallah e in tre altre località nel nord della Cisgiordania.
Decine di manifestanti sono stati feriti, la maggior parte per l’inalazione del gas lanciato dai lacrimogeni o per essere colpiti da pallottole di gomma. A Hebron è intervenuta anche la polizia palestinese per contenere la rivolta.
Due dei quattro detenuti palestinesi in sciopero della fame, Samer Issawi e Ayman Sharawneh, sono stati rilasciati nell’ottobre 2011 nell’ambito dell’accordo tra Israele e Hamas per la liberazione del caporale Gilad Shalit in cambio di oltre mille detenuti palestinesi in carceri israeliane. Issawi venne riarrestato nel luglio dello scorso anno in base alla legge civile israeliana sulla detenzione che consente l’arresto di palestinesi in base alla minaccia che questi rappresentano per la sicurezza nazionale di Israele. Issawi ha rifiutato cibo per oltre 200 e pesa meno di 50 chili. Ieri è stato condannato a otto mesi di carcere per aver lasciato Gerusalemme violando i termini dell’amnistia in base alla quale era stato rilasciato.
Fonte Aki
Disordini per lo sgombero 2009 del Boccaccio, giovane condannato
Riportiamo l’articolo dei fatti del 2009, dove i servi dei padroni hanno attaccato con la solita violenza chiudendo in un’angolo i compagni e aggredendo quello che adesso vogliono far passare per l’aggressore! Rompendogli la testa! Mai un passo indietro!
naturalmente Solidali e vicini a Scimmio!
Secondo l’accusa aggredì un poliziotto durante una manifestazione
MONZA, 14 Febbraio 2013 – Sei mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna e 2000 euro di risarcimento alla parte civile.
E’ la condanna inflitta dal Tribunale di Monza per resistenza e violenza a pubblico ufficiale a uno dei giovani che il 20 luglio del 2009 aveva partecipato alla manifestazione di protesta di un gruppo di anarchici contro lo sgombero del Centro sociale Boccaccio dall’ex cinema Apollo in via Lecco a Monza. Ad essere aggredito era stato un assistente capo della Polizia di Stato, che aveva subìto delle lesioni e si è costituito parte civile al processo per ottenere un risarcimento dei danni.
Davanti al giudice ieri è stato chiamato a testimoniare il vicequestore Francesco Scalise, dirigente del Commissariato di polizia di Monza allora come ancora adesso. “Il Questore di Milano aveva disposto lo sgombero dall’ex cinema Apollo degli occupanti del Centro sociale Boccaccio e di altri anarchici – ha ricordato Francesco Scalise – Avevo 60 uomini tra il personale della Digos e del Commissariato di polizia di Stato di Monza. Abbiamo sempre cercato di evitare lo scontro con i manifestanti, ma ad un certo punto però una quarantina di loro si sono messi in corteo non autorizzato. Ho mandato una trentina di poliziotti a seguirli sapendo che i manifestanti si sarebbero diretti in Comune per esprimere il loro disappunto. Non ho assistito personalmente all’aggressione contestata, ma so che si è arrivati all’identificazione dell’imputato dai fotogrammi del filmato delle telecamere del Comune”.
Il pm ha chiesto per l’imputato la condanna a 6 mesi di reclusione, confermata poi dal giudice, mentre la difesa dell’imputato sosteneva che non vi era prova che l’aggressore del poliziotto fosse proprio lui.
Fonte
Messico, Circa 400 prigionieri in rivolta a Los Cabos
CITTA ‘DEL MESSICO, 8 febbraio (IRIN) –
Circa 400 prigionieri del Centro de Reinserción Social de Los Cabos, che si trova nello stato di Baja California Sur, in Messico nord-occidentale, si sono ribellati per denunciare carenze alimentari e hanno minacciato di bruciare il carcere.
La rivolta iniziata alle 14, quando un centinaio di prigionieri si è concentrata nella cucina del carcere per chiedere miglioramenti nella loro dieta. Col passare del tempo si sono aggiunti più prigionieri, quindi da parte delle guardie si è alzato il livello di guardia.
360 soldati – tra polizia e militari – sono stati mandati all’interno della prigione de Los Cabos per sedare la protesta. Come riportato dal portavoce della città, Miguel Arroyo,la rivolta è sotto controllo per il 70 per cento.
Arroyo ha confermato al quotidiano ‘El Universal’ che i rivoltosi hanno messo in atto le loro minacce e hanno bruciato alcune zone della cucina e del laboratorio, ma ha anche assicurato che l’incendio è sotto controllo.
Egli ha escluso l’esistenza di vittime. “Al momento, non ci sono segnalazioni di detenuti feriti o deceduti, ma, in ogni caso, sono stati mobilitati squadre di soccorso e ambulanze”, ha spiegato.
Traduzione CordaTesa
Processo No Tav, cariche davanti all’aula bunker del carcere di Torino + comunicato
Si svolge tra le tensioni la prima udienza del processo NoTav presso l’aula bunker del carcere le Vallette di Torino. Sono una cinquantina gli imputati per i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2011. Le accuse del PM Ferrando sono: lesioni, violenza, resistenza a pubblico ufficiale. I NoTav hanno organizzato un presidio davanti al carcere, presenti oltre un centinaio di attivisti. Gli imputati hanno letto in aula un comunicato in cui “rifiutano” la scelta dell’aula bunker “associata ai processi di mafia e terrorismo”. Imputati e pubblico lasciano l’aula, il giudice chiede che venga identificata una delle imputate che ha iniziato la lettura del comunicato. La polizia tenta di bloccare l’uscita dall’aula ad un gruppetto di NoTav al fine di effettuare le identificazioni, questo causa una serie di tensione che sfociano in due cariche delle forze dell’ordine: una all’esterno del carcere e un’altra, molto più modesta, all’interno del cortile della stessa aula bunker
Fonte con video
Segue il testo letto in aula ORA E SEMPRE NO TAV!
“La scelta di spostare il processo in questa aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese.
Trasferendo la sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della “pericolosità sociale” e delle emergenze.
Noi invece, rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzandola valle con le conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.
Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in questa aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.
Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte/i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.
Giù le mani dalla Valsusa!
Ora e sempre resistenza!”
Evasione di massa dal carcere in Brasile
27gennaio2013 – Circa 30 detenuti del penitenziario Profesor Anníbal Bruno, nella città di Recife,
(Brasile nord-orientale) son riusciti ad evadere dalla prigionia dopo una rivolta,
così riferisce la polizia.
I fatti sono avvenuti questa mattina, quando i prigionieri approfittando delle visite
dei familiari, hanno preso in ostaggio mogli e fidanzate per fuggire dal centro, ubicato
nella zona ovest di Recife.
La polizia militare riferisce che la sommossa ha portato ad un bilancio di 5 detenuti
e di due guardie, feriti da proiettili, e che sedici fuggiaschi sono stati catturati poche
ore dopo nelle vicinanze della prigione.
Qualche testimone riferisce che colpi di arma da fuoco abbiano anche ucciso, ma questo
non è stato ancora confermato dalle autorità.
“I prigionieri hanno approfittato della visita dei familiari per fuggire, la polizia
penitenziaria, per garantire la sicurezza, non ha reagito per evitare che potesse accadere
qualcosa ai parenti dei detenuti, proteggerne la vita ed evitare qualsiasi tipo di scontro”
ha detto ai media il colonnello Romero Ribeiro.
Secondo il funzionario, i prigionieri hanno preso in ostaggio poliziotti, sequestrato
le armi e usato alcuni parenti come scudi, uscendo dalla porta della prigione.
La polizia sta contando i prigionieri all’interno del carcere per sapere con
esattezza quanti evasi ci sono, che secondo i media locali, possono arrivare a 40.
Inoltre i controlli nelle vicinanze del lager sono state intensificate, molti detenuti
sono stati catturati mentre si nascondevano in case della zona.
La prigione rinchiude circa 1400 detenuti, tre volte la sua capacità. Il gruppo degli
evasi riusciti a scampare alla cattura, è formato dai criminali più pericolosi.
Traduzione by CordaTesa
Strage Port Said, chieste 21 condanne a morte. Scoppiano scontri fuori dal carcere: 27 vittime
La corte d’assise di Port Said ha chiesto la condanna a morte per 21 dei 73 imputati nel processo per il massacro allo stato di Port Said nel quale vennero uccisi 74 supporter dell’Ahly del Cairo . La sentenza ha scatenato un’ondata di violenza tra i familiari degli imputati e negli scontri scoppiati all’esterno del carcere sono morte almeno 27 persone, mentre altre 150 sono rimaste ferite. Tra le vittime anche due calciatori: Tamer el Fahla, ex portiere del Masri, la squadra locale di Port Said coinvolta nel massacro, e Mohamed el Dezwi, del Marikh.
Scontri e slogan. «Port Said è uno stato indipendente» e «abbasso Morsi e Fratelli musulmani» scandiscono i manifestanti che hanno incendiato copertoni di auto. La polizia ha lanciato lacrimogeni per contenere l’assalto.
Il processo. La sentenza definitiva per i 21 imputati condannati a morte deve attendere, secondo la legge egiziana, il via libera da parte della massima autorità religiosa del paese, il gran mufti. La condanna a morte riguarda le accuse di omicidio premeditato. Rimane in sospeso la sentenza dei nove ufficiali di polizia e dei tre manager della squadra avversaria, el Masri, accusati di avere permesso la peggiore strage della storia del calcio egiziano. Il verdetto per gli altri 52 imputati sarà pronunciato il 9 marzo.
26gennaio2013
Venezuela. Violenta rivolta nelle carceri soppressa nel sangue
Ieri mattina, nel carcere di Uribana, a ovest del Venezuela, è scoppiata una violenta rivolta che è terminata in un bagno di sangue. I detenuti hanno manifestato contro i militari, agenti della Guardia Nazionale e del Gruppo di pronto impiego, inviati per perquisire il carcere in cerca di armi, così ha riferito il Primo Ministro Iris Varela.
Inizialmente, la perquisizione è avvenuta senza problemi, ma dopo che un gruppo di detenuti si è rifiutato di fare come i militari chiedevano sono cominciati i primi spari. Probabilmente, questo ha scaldato gli animi di entrambi e alla fine ci sono stati ben 54 morti, tra detenuti , militari e personale di servizio al carcere, oltre 80 feriti, di cui almeno 30 in modo grave.
Secondo Ruy Medina, direttore dell’ Emergency Central Hospital “Antonio Maria Pineda de Barquisimeto”, i primi 20 detenuti feriti sono arrivati in ambulanza a metà mattinata ed hanno ricevuto le cure necessarie ed alcuni sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. Il direttore dell’Ospedale ha anche aggiunto che molti feriti sono in condizioni delicate. “Alle 08:00 abbiamo avuto una stima provvisoria di quasi 90 feriti, la maggior parte da armi da fuoco, mentre un numero davvero allarmante di almeno 50 morti giaceva in ospedale“.
In breve, il pronto soccorso è stato preso letteralmente d’assalto dai parenti che si sono recati in ospedale per verificare le condizioni di salute dei propri familiari. Medici e infermieri hanno minacciato i parenti ed è intervenuta la polizia.
Poi i familiari hanno circondato il carcere e sono dovute intervenire le autorità per calmare la folla e dare loro spiegazione sulla situazione. Nel pomeriggio alcuni prigionieri sono stati trasferiti in altre carceri e si ritiene che nella confusione un pericoloso prigioniero sia fuggito dall’ospedale. Le forze militari sono rimaste a presidiare il penitenziario fino a tarda notte.
L’operazione è stata ordinata dal Procuratore Generale ed ha avuto inizio alle ore 7.00 di ieri mattina, ma già da giovedì notte, la Guardia Nazionale aveva installato postazioni in prossimità dell’edificio penitenziario. Il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha condannato la violenza e “il comportamento incompetente ed irresponsabile del governo”.
Le carceri Venezuelane sono tristemente famose per il sovraffollamento e la proliferazioni di armi e di droga. Il carcere di Uribana, in particolare, ospita 2.498 uomini e 143 donne.
Rivolta con evasioni nel carcere di Chaco, Argentina
Il Commissario Generale Gustavo Peña, che da pochi giorni ha preso il posto di José Benítez come Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale calcolava stanotte i danni dopo la violenta rivolta che per 15 ore si è concretizzata da ieri fino le prime ore di stamane. Sempre questa mattina si è appresa la notizia che 6 evasi sono stati ricatturati, anche se non è chiaro il numero reale dei detenuti evasi.
23gennaio2013 – Dopo la violenta rivolta attuata da circa 150 reclusi nel Complesso Penitenziario di Sáenz Peña,
il nuovo Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale, commissario Generale Gustavo Peña il pomeriggio di martedì si è riunito con i suoi agenti riconoscendo che “è una situazione molto delicata, dove sono di pubblico dominio i fatti accaduti. Grazie a Dio oggi tutto è tornato alla normalità”.
A proposito della rivolta commenta:” l’obiettivo è concludere questa situazione critica, che si è venuta a creare e ritornare a cominciare, a sviluppare una pianificazione al riguardo del personale, cercare una convivenza armonica, ascoltando anche le critiche verso le autorità”.
Ristrutturazione
Al seguito dell’assunzione di Peña, verrà effettuata una ristrutturazione su tutti i livelli, in quanto” necessita di un lavoro che implica il coinvolgimento di varie strategie nelle diverse aree, perchè questo è un sistema carcerario, è un tema complesso per cui si ha bisogno di un punto di vista completo. Si deve ricercare la convivenza armonica e il rispetto imprescindibile dei diritti umani garantendo la sicurezza sul lavoro”.
La situazione con gli agenti penitenziari.
Al riguardo della manifestazione di protesta attuata questa mattina dagli agenti del Servizio Penitenziario che compiono servizio al Sáenz Peña, il nuovo direttore manifestò:”Analizzeremo quello che è accaduto con il personale, uno dei punti importanti sarà ascoltarli e sulla base di ciò si risolverà il tutto, quello che noi vogliamo è dialogare con il personale e che loro abbiano le garanzie necessarie per poter lavorare in tranquillità”.
Peña ha segnalato anche che gli agenti in servizio devono essere equipaggiati d’accordo alle esigenze necessarie “non possiamo improvvisare con qualsiasi altro elemento”.
Gravi danni nel penale.
Ancora si stanno calcolando gli ingenti danni effettuati nel Complesso Penitenziario, il nuovo Capo ha riconosciuto che i danni riscontrati dopo la rivolta di Lunedì sono molto ingenti.
“E’ stato bruciato il locale dove i reclusi ricevevano classi, si è bruciata per completo la biblioteca e i computer, si sono distrutti sedie e banchi”. Ha concluso il direttore Peña.
I fuggiaschi sono ancora 7! ne sono stati ripresi, purtroppo 13 su 20
Fonte diariochaco.com
Traduzione Cordatesa
Sudafrica: detenuti danno fuoco ad un carcere, in fiamme ala di massima sicurezza
8 gennaio 2013 – Un gruppo di detenuti ha appiccato il fuoco ad una ala di massima sicurezza di un penitenziario situato nel centro del Sudafrica. Lo si apprende da una responsabile delle carceri.
“Dei detenuti hanno dato fuoco ad una ala di massima sicurezza del penitenziario di Groenpunt”, ha dichiarato all’Afp Grace Molatedi, vice commissario regionale delle carceri nella provincia dello Stato Libero senza fornire dettagli su eventuali vittime o danni. Il numero dei detenuti non è stato comunicato. A novembre, due prigionieri avevano preso in ostaggio un medico e una infermiera in un carcere privato della stessa regione, nei pressi di Bloemfontein. L’infermiera era stata rilasciata rapidamente mentre il medito era stato tenuto in ostaggio per una ventina di ore.
Nove guardie e 50 detenuti feriti
Cinquanta prigionieri e nove secondini sono rimasti feriti ieri sera nel corso di una rivolta scoppiata in un carcere sudafricano. È quanto ha annunciato oggi la polizia. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nel penitenziario, utilizzando granate assordanti, per riprendere il controllo di una sezione di massima sicurezza della prigione di Groenpunt, nella provincia dello Stato Libero dove i rivoltosi avevano appiccato il fuoco e eretto delle barricate.
“Cinquanta prigionieri e nove secondini sono rimasti feriti ma non è morto nessuno e nessuno è stato colpito da proiettili”, ha dichiarato il portavoce della polizia, Peter Kareli. Questa sezione della prigione conta 750 prigionieri. Secondo gli investigatori, i detenuti hanno criticato la qualità del cibo e rifiutato di prendere i pasti a fine pomeriggio prima di attaccare i secondini e dare fuoco a delle celle. La rivolta ha causato ingenti danni alla prigione. A novembre, due detenuti avevano preso in ostaggio un medico e una infermiera in una prigione privata nella stessa regione, nei pressi di Bloemfontein. L’infermiera era stata rilasciata rapidamente mentre il medico era rimasto nelle mani dei detenuti per una ventina di ore.
Fonte: ristretti.org
Lettera aperta di Davide Rosci, condannato per i fatti del 15 ottobre 2011
SCONTRI A ROMA DEL 15 OTTOBRE, CONDANNATI A 6 ANNI GLI ASSALITORI DEL BLINDATO DEI CARABINIERI
Sei anni di carcere per gli autori dell’assalto al blindato in Piazza San Giovanni a Roma durante gli scontri del 15 ottobre del 2011 in occasione della manifestazione degli indignados. E’ questa la decisione del gup Massimo Battistini che ha condannato Davide Rosci, Marco Moscardelli, Mauro Gentile, Mirko Tomassetti, Massimiliano Zossolo e Cristian Quatraccioni per reati di devastazione e resistenza a pubblico ufficiale. Oltre agli anni di carcere i sei ragazzi dovranno pagare un risarcimento di 30mila euro a testa per il carabiniere aggredito e per il ministero della Difesa che si è costituito parte civile.
ALEMANNO: SENTENZA È RISARCIMENTO MORALE AD ARMA E A CITTÀ – “Giusta la sentenza che colpisce gli autori del vergognoso assalto al blindato dei Carabinieri del 15 ottobre 2011 e che rappresenta un risarcimento morale all’Arma e a tutti i cittadini romani – ha commentato il primo cittadino della Capitale -. Sei anni sono un giusto monito per tutti coloro che scambiano il diritto di manifestare con quello di indirizzare le propria violenza contro le forze dell’ordine nella città di Roma”.
Dure le condanne inflitte dal tribunale di Roma per gli scontri avvenuti il 15 ottobre del 2011 in Piazza San Giovanni: 6 anni di reclusione per l’attacco al furgone dei carabinieri. Bisognerebbe forse dar meno ascolto ai “consigli” degli avvocati…
Dopo la grande giornata di rabbia esplosa in piazza San Giovanni a Roma contro il governo dell’austerità e contro le politiche del debito, nella quale il protagonismo di studenti/esse, precari/e, disoccupati/e, lavoratori/rici, facevano sentire la loro indignazione ai politici romani, arrivano le sentenze per l’attacco al furgone dei carabinieri: 6 anni di reclusione ciascuno per i sei compagni di Azione Antifascista di Teramo.
Dure le condanne inflitte a termine del rito abbreviato dal gup di Roma Massimo Battistini (la Procura aveva chiesto 8 anni) che per l’occasione, oltre ai reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale pluriaggravata e un risarcimento di 30 mila euro per il carabiniere ferito, rispolvera il reato di devastazione e saccheggio ereditato e ancora presente nell’ordinamento giuridico dal codice penale fascista, il cosiddetto “Codice Rocco”. Sono le stesse condanne già comminate ai/le compagni/e già condannat* per le giornate del G8 2001 a Genova.
”L’attribuzione agli imputati del delitto di devastazione e saccheggio – ha commentato l’avvocato Maria Cristina Gariup, che difende alcuni degli imputati – non è condivisibile. Si tratta di una responsabilità oggettiva della quale manca la prova materiale. Non c’è la prova di quanto contestato agli atti”. Infatti, durante quella giornata in piazza san Giovanni eravamo in tanti/e, stanchi/e di subire le politiche dei tagli lacrime e sangue solo per coloro che ogni giorno devo fare i conti con una quotidianità sempre più attaccata dalla casta politica. Una buona parte della generazione che sta pagando tanto ha risposto in modo determinato all’attacco dei politicanti e dei “tecnici”, contribuendo a praticare una giornata di conflitto sociale.
Proprio per questo motivo sembra chiaro come questa condanna provi ad intimidire le lotte sociali all’interno di una fase politica sempre più in difficoltà a trovare un’uscita dalla crisi economica. Una punizione esemplare,politica, confermata, da quanto si legge anche nella dichiarazione del sindaco Alemanno che, oltre a considerare giuste le condanne, dichiara: “Sei anni sono un giusto monito per tutti coloro che scambiano il diritto di manifestare con quello di indirizzare le propria violenza contro le forze dell’ordine nella città di Roma”. In risposta alla pesante condanna, gli avvocati degli imputati fanno sapere che faranno ricorso.
Una condanna così dura fa pensare. O meglio, rende opportuna una valutazione costruttiva, umile, riguardo a quanto siano opportune le scelte alternative al rito ordinario: se da un lato non si discute la scelta personale dei compagni sulla decisione del rito abbreviato, dall’altro lato vala la pena valutare quanto possano influire le indicazioni, dettate dalla forma mentis degli avvocati di turno. Quasi sempre per essi l’uso alternativo al rito ordinario, magari da tramutarsi nello scontare il più a lungo possibile la pena nel proprio domicilio, sembra essere il più opportuno per gli/le assistiti/e. Alla luce di queste condanne, considerando che ad oggi i compagni si trovano ancora ai domiciliari dallo scorso aprile, pensiamo che qualche domanda valga la pena porsela per il futuro…
Ad ascoltare i “consigli” degli avvocati si rischia spesso di imboccare sentieri la cui utilità ci appare dubbia. Percorsi che sull’immediato sembrano essere più convenienti, rischiano di tramutarsi in condanne esemplari che si iniziano a pagare da subito. Nell’affrontare processi di questo tipo, molti avvocati (fortunatamenti non tuttt*) affrontano la contesa mossi dall’obiettivo della minimizzazione della pena (intento lodevole ma cui raramente corrsiponde un ritorno reale), convinti che il tramutare grosse pene in arresti domiciliari sia il risultato migliore ottenibile. L’approccio (con tutto il rispetto) è un po’ quello di ridurre il reato politico a incidente tra ultras. Accade così che molt* compagn* deleghino agli specialisti del Diritto scelte che riteniamo più proficuo elaborare collettivamente con le proprie realtà politiche di riferimento (che permetteono anche di costruire e vivere politicamente i processi). Non intendiamo con questo sostenere che esistono ricette per eludere la repressione. La repressione esiste e lo Stato lo esercita ogni qualvolta ne ha la possibilità, mosso dalla paura che giornate come quella del 15 ottobre (e del 14 dicembre, e infinite altre…) possano ripetersi. Queste note non pretendono insegnare niente, vogliono solo mettere qualche pulce nelle orecchie. Soluzioni belle e pronte non ce ne sono ma la secolare esperienza delle lotte dei/le proletari/e insegnano che il rito ordinario e l’allungamento dell’iter processuale sono spesso preferibili e permettono, se non altro, di elaborare nel tempo strategie ulteriori e più meditate, fuggendo alle pressioni molteplici della contingenza.
I compagni di Azione Antifascista di Teramo terranno giovedì una conferenza stampa al club Gagarin di Teramo, in via Capuani 61, alle ore 11, per fare il punto della situazione e per illustrare anche il processo che si terrà il 10 gennaio a Teramo contro 13 suoi militanti accusati di associazione a delinquere dalla Procura teramana.
Nel frattempo Davide Rosci, uno dei compagni condannati inizierà a breve uno sciopero della fame per protestare contro il reato di devastazione e saccheggio
A loro, ei/le detenut* del G8 va il nostro più sincero e fraterno saluto!
Prigionieri russi lottano contro la corruzione e la brutalità della polizia
Centinaia di prigionieri del Carcere Numero 6 di Kopeisk, nella regione degli Urali della Russia, hanno combattuto feroci battaglie contro le forze di sicurezza e hanno lanciato una occupazione sul tetto per una protesta contro le condizioni draconiane, oltre che di torture, estorsioni e l’uso dell’isolamento. Quattro detenuti sono morti in carcere negli ultimi anni in seguito alle percosse usate dal personale. La protesta è durata per due giorni prima che la polizia e le forze speciali dell’esercito riuscisseo a riprendere il controllo.
La rivolta è iniziata quando circa 250 prigionieri hanno rifiutato di seguire le regole e la routine della prigione, chiedendo la liberazione immediata di quelli che erano in isolamento, oltre la fine di un trattamento barbaro e l’estorsione usata dai loro aguzzini. Sul tetto, i prigionieri esponevano cartelli con scritto “Aiutateci” e “Siamo migliaia in sciopero della fame”
Circa 300 familiari e amici dei prigioniri, così come molti ex detenuti, si sono raccolti al di fuori del carcere, e hanno messo in scena una protesta. Gridavano oscenità e lanciavano bottiglie contro la polizia e il personale penitenziario. La polizia ha percosso i manifestanti e ne hanno 39 arresti prima che la protesta si concludesse.
Un giornale locale ha riferito che:
“L’attivista per i diritti umani, Oksana Trufanova, ha detto alla stazione radio Ekho Moskvy che le truppe dell’OMON (polizia anti-sommossa) hanno attaccato il gruppo al di fuori del carcere. Ci hanno picchiato con bastoni, ha detto Trufanova. “I loro occhi brillavano.” Non sono mai stato in tale caos”
Alla sorella di un prigioniero, Olga Belousova, è stato permesso l’ingresso in carcere insieme ad un piccolo numero di parenti. Ha dato una breve intervista dopo aver lasciato il carcere:
“C’erano 60 persone nella stanza, tutti erano in piedi in silenzio. Ho detto loro che li sosteniamo e sono venuti per assicurarci che tutto va bene e che vogliono fare in modo che le loro voci siano ascoltate al di fuori della prigione.”
Le denunce, che sono stati lette dai detenuti, sono esempi esaurienti di estorsione, uso improprio ed eccessivo della forza e continue umiliazioni. Belousova ha aggiunto che:
“Essi non toccano coloro che gli danno i soldi, e spesso percuotono gli altri per costringere i parenti a pagare”
La madre di un ex prigioniero afferma che suo figlio è stato torturato innumerevoli volte e che gli agenti di polizia penitenziaria hanno sessualmente abusato di lui al carcere Numero 6.
Il padre di un altro ex prigioniero ha detto ad una agenzia di notizie locale che ha dato i suoi risparmi al personale del carcere in due occasioni:
“Ogni mese … se portavo i soldi, non c’erano problemi. I pagamenti in carcere sono spesso indicati come contributi volontari ”
Un mediatore che ha indagato sulle denunce precedenti, ha riferito che il denaro richiesto dal personale del carcere può essere fino a 200.000 rubli ($ 6.400). In confronto, il salario medio in Russia è di soli $ 10.000.
Il direttore del carcere non nega l’estorsione del suo staff. Ha incontrato i parenti e ha annunciato che è disposto a sopprimere i “contributi volontari”. I parenti sono preoccupati che una mossa del genere porterebbe portare ritorsioni da parte di costoro.
Dopo due giorni di disordini e di controllo del carcere da parte dei detenuti, la polizia, l’esercito e le forze speciali sono riusciti a riprendere il controllo della struttura. Ci sono 250 poliziotti in tenuta antisommossa all’interno del carcere.
Fonte: Libcom traduzione: ienaridensnexus.blogspot.it
Sicilia: carceri, poliziotti aggrediti da detenuto a Siracusa
Siracusa, 4 gen. – Un detenuto straniero ha aggredito violentemente diversi poliziotti in servizio nel carcere di Siracusa. I Baschi Azzurri sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari per diverse contusioni. Un’ennesima aggressione “che deve preoccupare”, dice il Sappe, secondo cui “la carenza di personale di Polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Spesso, come a Siracusa, “il personale di Polizia Penitenziaria e’ stato ed e’ lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”.
Fonte: agi.it
Nuova rivolta e fuga in massa al Cie di Gradisca
Sette maghrebini evadono utilizzando delle chiavi: ricercati. Al via un’indagine. Metà dei 70 immigrati chiusi nel centro hanno preso parte all’azione. Bottiglie piene di sabbia e sassi contro le forze dell’ordine
Nuova rivolta e fuga al Cie di Gradisca. Sette ospiti di nazionalità maghrebina sono riusciti a fuggire dopo aver aperto con le chiavi tre porte e scavalcato la rete di recinzione nella parte posteriore del centro immigrati. I sette sono fuggiti nella campagna approfittando dell’oscurità. Alla rivolta hanno partecipato trentacinque immigrati, la metà delle persone attualmente detenute all’interno della struttura. Gli immigrati hanno utilizzato contro le forze dell’ordine e gli operatori delle bottiglie piene di sassi e sabbia e hanno svuotato contro di loro alcuni estintori.
Attualmente la situazione è sotto controllo, resta alto l’allarme tra le forze dell’ordine incaricate di vigilare sul perimetro esterno della struttura. Sarà probabilmente avviata un’indagine sulle modalità della fuga: il fatto che i sette immigrati fossero in possesso di alcune chiavi rende infatti necessario scoprire come siano riusciti ad appropriarsene.
Immigrati tentano la fuga la notte di capodanno
Ennesima rivolta al Cie di Bologna, anche durante l’ultima notte dell’anno: quattro nordafricani, ospiti della struttura di via Mattei, hanno tentato la fuga, ma la loro azione e’ stata bloccata dalla polizia. In due sono stati fermati quando avevano ormai scavalcato le recinzioni. E’ successo verso l’una e la calma e’ stata riportata verso le 2.30. C’e’ stato anche un lancio di oggetti verso le forze dell’ordine.
Rivolta al Cie nella notte di Natale
MODENA – Materassi gettati nel cortile interni e ore di tensione per gli ospiti della struttura ingannati da alcuni messaggi che annunciavano la liberazione per il giorno di Natale
Una rivolta al Cie di Modena dalla dinamica inusuale per lo meno per quel che riguarda “l’innesco”: nella giornata di ieri, alcune palline da tennis sono state lanciate da mani ignote dentro la struttura di via La Marmora e al loro interno erano presenti bigliettini recanti la dicitura “Liberi tutti” un numero di telefono. Sta di fatto che il messaggio giunto agli ospiti era quello di un’imminente liberazione, di un’apertura dei cancelli prevista per il giorno di Natale. Peccato però che la notizia fosse privo di ogni fondamento. La cosa ha quindi provocato malumore generale e la rabbia delle persone rinchiuse nel Cie è esplosa con una rivolta: decine di ospiti hanno gettato nel cortile interno del centro e hanno iniziato a inveire contro il personale e le forze dell’ordine presenti sul posto. Tre ospiti, colti dalla disperazione, hanno addirittura tentato il suicidio impiccandosi. La situazione, se così si può dire, è rientrata nei binari della normalità a notte fonda. Non sono stati registrati danni né feriti a personale e forze dell’ordine.
“C’è un forte clima di stress e disagio, sia per gli ospiti che per il personale che lavora in quella struttura”, ha raccontato Cécile Kyengé, portavoce nazionale Rete Primo Marzo e consigliere provinciale Pd. “La situazione è intollerabile e peggiora nei periodi di festa, momento in cui si sente maggiormente la lontananza dai propri cari”. Assieme a Paola Manzini, Cécile Kyenge stamattina presto si è recata in via La Marmora, dopo essere stata informata ieri sera dell’accaduto da parte degli attivisti Medici per i Diritti Umani: “Per denunciare le difficoltà del Cie – ha aggiunto la portavoce della Rete Primo Marzo – gli ospiti della struttura di Modena hanno iniziato un nuovo sciopero della fame. Per quanto riguarda le persone che hanno tentato il suicidio, gli operatori sono riusciti a intervenire in tempo per soccorrerli e a condurle in infermeria”. Anche Desi Bruno è stata subito informata della rivolta: nei prossimi giorni, la garante regionale dei detenuti giungerà a Modena per un sopralluogo e verificare le condizioni degli ospiti.
Fonte: Modenatoday.it
Bolivia, dopo le sommosse nelle carceri Evo Morales firma l’indulto
Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri
Nel weekend il parlamento boliviano ha dato l’ok definitivo alla legge per l’indulto. Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri. Evo Morales, dopo una serie di tentennamenti, si è visto pressochè “costretto” a firmare il provvedimento per sbloccare la situazione.
Il vicepresidente della Bolivia e presidente del parlamento, Álvaro García Linera ha dichiarato che si tratta di una decisione “umanitaria” di Evo Morales per “favorire i detenuti che non sono accusati di reati gravi come omicidio, stupro, terrorismo o separatismo”. Il ministero dell’Interno spiega che l’indulto è destinato ai detenuti che hanno commesso reati minori, che hanno scontato i due quinti della pena, che hanno tra i 16 e i 25 anni e, soprattutto, le donne in gravidanza”, come anche le persone condannate dalle legislazione antidroga, “ma con pene minori ai dieci anni di carcere”, ade sempio coloro che hanno commesso questo tipo di reato per la prima volta o hanno trasportato quantità minime di droga.
Inoltre potranno beneficiare dell’indulto i detenuti condannati per il primo delitto che rientrino tra gli uomini con più di 58 anni, le donne con più di 55 anni, i giovani fino a 25, i disabili gravi che abbiano scontato un terzo della pena e i malati terminali. Vi potranno accedere anche i genitori con figli a carico sotto i 12 anni che vivono in carcere e abbiano scontato un quinto della loro pena, oltre ai prigionieri per reati minori con sanzioni fino a 8 anni che abbiano già trascorso un terzo del tempo previsto in cella.
La misura era stata richiesta con urgenza dalla Direzione del regime penitenziario proprio per “motivi umanitari”: l’organismo ha sottolineato l’urgenza di decongestionare le carceri boliviane, che ora come ora ospitano 13.840 reclusi, 3.000 in più del 2011. Le proteste organizzate nelle carceri negli ultimi giorni puntavano ad ottenere l’indulto ma anche il versamento alle autorità penitenziarie di arretrati per il mantenimento dei carcerati.
La situazione sanitaria nelle carceri della Bolivia è pessima. La fatiscenza delle strutture e l’eccessivo affollamento portano al diffondersi di malattie che in Europa sono ormai sconosciute come la tubercolosi. L’assistenza sanitaria è assente e quel poco che c’è si deve alle organizzazioni di volontariato e alle chiese locali. Rompersi una gamba in carcere può significare rimanere storpi per sempre. Ma il dato più incredibile è che le carceri in Bolivia sono piene di donne e bambini. Infatti se la famiglia del detenuto non ha mezzi di sostentamento, tutti seguono in prigione l’uomo. A Palmasola dei circa 5.000 abitanti del carcere solo 3.000 sono detenuti. Gli altri sono familiari al seguito.
Fonte: Today.it
Proteste carceri, 3 agenti feriti a Foggia
Foggia – “COME se non bastasse il sovraffollamento cronico detentivo delle Carceri Pugliesi a quota 4.400 presenze in solo undici strutture penitenziarie contro una regolamentare tolleranza di posto letto pari a 2.450 persone stipate su letti a castello che toccano il più delle volte ed in quasi tutte i penitenziari il soffitto di alcune celle, una situazione di convivenza e promiscuità forzata bastevole, da ieri 19.12.2012 manifestano in modo collettivo attraverso il rifiuto del vitto dell’amministrazione e la terapia sanitaria tutte le 42 detenute presenti nel Super Carcere di Borgo San Nicola a Lecce, una manifestazione che si è protratta per tutta la giornata”. Lo dice Domenico Mastrulli, Vicesegretario Generale Nazionale sindacato OSAPP.
La protesta delle recluse di Lecce è stata attivata per solidarietà al leader del Partito Radicale On.Marco Pannella per lo sciopero della fame e della sete in atto al fine di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul dramma carceri e richiesta di AMNSTIA si è sviluppata con il dichiarato rifiuto del vitto dell’amministrazione penitenziaria e quello della Terapia Sanitaria a cui sarebbero assoggettate le ristrette.
A Foggia invece, ieri mattina tutti i detenuti ristretti nella Sezione Reclusione hanno dato vita ad una protesta, consistente nel rifiuto del vitto dell’amministrazione(latte e frutta),per l’insufficiente erogazione di acqua calda che non permette la fruizione della doccia alla maggior parte dei ristretti e la scarsa erogazione del sistema di riscaldamento dei reparti.
Intanto,nel pomeriggio di ieri 19.12.2012 ,dopo la protesta mattinale dei reclusi verso le ore 18,20 chiamati ad intervenire come pronto intervento nei Reparti tre appartenenti ai Baschi Azzurri in giunti nella “Sezione Particolare” dove sono ristretti 37 reclusi per sedare una accesa diatriba quasi violenta innescatasi tra reclusi in una cella occupata da tre persone, mentre uno di questi(l’aggressore dei poliziotti) voleva la meglio su uno degli occupanti e negava l’entrata al quarto detenuto in via di sistemazione nella cella gettando ogni indumento di proprietà di quest’ultimo fuori dalla stanza del Nuovo Complesso I destra cella n. 3 ,ha aggredito i tre Poliziotti di cui un sovrintendente procurandogli prognosi da tre a sei giorni a testa.
“Da informazioni assunte trattasi di un detenuto violento dedito alle aggressioni ai danni della Polizia Penitenziaria e di altre forze dell’ordine tale L.G. di Lecce condannato definitivo fine pena 16 maggio 2014 per resistenza e violenza a P.U., evasione dagli arresti domiciliari, concorso in tentata rapina.Uno dei tre agenti aggrediti in quel momento Vigilava ben due Sezioni Contemporaneamente una di 37 e l’altra di 13 per un totale di 50 detenuti tutti elementi a Sorveglianza particolare”.
Mastrulli: “Il problema carceri,il problema violenza ed aggressioni sui poliziotti,il problema Foggia si ripresenta sempre più invasivo ma soluzioni ed interventi benché richieste e sollecitate al Capo e Vice Capo Dipartimento tardano ad arrivare mentre altri poliziotti,come il caso di ieri sono vittime inconsapevoli di un sistema arrugginito penitenziario”.
Messico,scontri in carcere:17 morti
Le violenze sono scoppiate a seguito di un tentativo fallito di evasione da un penitenziario a Gomez Palacio, nel nord del Paese.
Secondo tentativo di evasione dal carcere di Gómez Palacio, in Messico, nel giro di due mesi. L’ultima volta la tentata evasione era stata bloccata sul nascere e due detenuti erano rimasti uccisi negli scontri. Ieri, invece, la situazione è degenerata in pochissimo tempo, tanto da richiedere l’intervento dei militari dell’esercito, e 17 persone – 11 detenuti e 6 guardie –sono rimaste uccise.
La rivolta è scoppiata intorno alle 17 di ieri, all’indomani di un’ispezione della struttura che aveva portato al sequestro di numerosi telefoni cellulari, armi e piccoli elettrodomestici introdotti illegalmente dai detenuti. Evidentemente non tutte le armi sono state sequestrate: un gruppetto di detenuti ha cominciato a sparare contro le torri di guardia e gli altri militari presenti nella struttura, mentre un altro gruppetto di carcerati ha tentato di fuggire passando attraverso un tunnel e cercando di superare la recinzione posteriore.
Nel panico generale, scrive El Pais, i militari hanno esploso diversi colpi in aria a scopo di avvertimento. Non avendo sortito alcun effetto, hanno preso a sparare contro i detenuti in fuga, uccidendone undici. A questi morti si aggiungono le sue guardie rimaste uccise nel conflitto, prima che intervenisse l’esercito e ristabilisse l’ordine.
Al di là di quest’ultimo episodio di violenza e del precedente, la struttura Gómez Palacio, nello stato di Durango, è stata oggetto anche in passato di scontri e scandali. Nel 2010, ad esempio, l’ex direttore del penitenziario era finito in manette per aver autorizzato alcuni detenuti vicini al cartello degli Zetas ad uscire dal carcere per regolare i conti con alcune persone all’esterno.
Si stima che le carceri messicane, e questa non fa eccezione, siano controllate per il 60% dalla criminalità organizzata e non è escluso che la rivolta di ieri sia collegata proprio ai gruppi criminali che da anni stanno dilaniando il Messico. Il fatto che il giorno prima fossero stati sequestrati armi ed altri oggetti potenzialmente pericolosi, ha spinto le autorità a credere che qualcuno dall’esterno – o forse addirittura qualche guardia corrotta – abbia contribuito a reintrodurre a tempo di record un nuovo arsenale.
Le indagini sono ancora in corso.