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Samer Issawi, 34 anni, è uno dei sei detenuti palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. Dopo 209 giorni di protesta, la sua vita è in grave pericolo.
È stato arrestato il 7 luglio 2012 a un posto di blocco militare nella zona di Gerusalemme. Portato al centro di detenzione di Moscobiyya, è stato interrogato per 28 giorni, per i primi 23 dei quali senza poter contattare il suo avvocato. In seguito, è trasferito nel carcere di Nafha, nel deserto del Negev.
Il 1° agosto, di fronte al rifiuto delle autorità militari israeliane di rendere noti i motivi dell’arresto, ha iniziato lo sciopero della fame. A quanto pare, avrebbe violato le condizioni concordate al momento del suo rilascio, nell’ottobre 2011, nel celebre scambio di prigionieri tra Hamas e Israele che coinvolse 1027 palestinesi e il soldato israeliano Gilad Shalit.
Tuttavia, come prevede l’istituto della detenzione amministrativa, quelle condizioni sono segrete e dunque né Issawi né il suo avvocato possono sapere in che modo sarebbero state violate. Se i giudici concludessero che effettivamente vi è stata quella violazione, Issawi dovrebbe riprendere a scontare la condanna, interrotta al momento del rilascio, a 30 anni di carcere per detenzione di armi e costituzione di un gruppo armato. All’epoca dello scambio di prigionieri, aveva scontato 12 anni di quella condanna.
Il tribunale di primo grado di Gerusalemme, dopo una prima udienza tenutasi il 18 dicembre, si è riservato di decidere.
Quel giorno, Issawi (nella foto a sinistra) è entrato in aula legato a una sedia a rotelle e scortato dalle forze speciali di polizia. Quando ha cercato di salutare la madre e la sorella, presenti in aula, gli agenti lo hanno colpito al collo, al torace e allo stomaco. Mentre veniva portato fuori dal tribunale, è caduto dalla sedia a rotelle. Poco dopo, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa di famiglia, a Issawiya, arrestando la sorella Shirin. È stata rilasciata 24 ore dopo dietro pagamento di una cauzione di 650 euro, con l’obbligo di restare agli arresti domiciliari per 10 giorni e il divieto di far visita al fratello per sei mesi.
Dall’inizio dello sciopero della fame, Issawi ha trascorso la maggior parte del tempo nella clinica del carcere di Ramleh, salvo assistere all’udienza del 18 dicembre ed essere trasferito diverse volte in ospedali civili per per essere sottoposto a esami clinici urgenti.
Secondo quanto riferito dal suo avvocato, nelle ultime settimane la salute di Issawi si è deteriorata rapidamente: il 31 gennaio pesava 47 chili. Il personale medico della clinica di Ramleh ha reso noto che potrebbe morire presto.
Le manifestazioni di sostegno a Issawi crescono, in alcuni casi affrontate con la forza dall’esercito israeliano.
L’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha espresso preoccupazione per la sorte di Issawi e ha chiesto che tutti i palestinesi in detenzione amministrativa siano rilasciati o incriminati e processati.
Amnesty International teme che nella clinica del carcere di Ramleh Issawi non riceva cure urgenti e specialistiche di cui ha bisogno una persona in sciopero della fame da sei mesi.
Per questo, l’organizzazione per i diritti umani ha lanciato un appello rivolto al direttore delle carceri israeliane, chiedendo che Issawi riceva cure mediche appropriate o che sia immediatamente rilasciato affinché possa ricevere i trattamenti medici urgenti e necessari di cui ha bisogno.
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diffondiamo da informa-azione la notizia del trasferimento del prigioniero in lotta Maurizio Alfieri. Ricordiamo che Maurizio era stato recentemente trasferito a Saluzzo dal carcere di Tolmezzo, dove aveva contribuito all’auto-organizzazione dei prigionieri per segnalare e contrastare le brutalità di quella galera. Anche a Saluzzo, si è subito diffusa tra i prigionieri la volontà di rompere l’ordinarietà del carcere e Maurizio ha contribuito alla diffusione di un comunicato collettivo firmato da 245 prigionieri. Se credono che il suo trasferimento possa mettere a tacere le lotte dei prigionieri, sta a tutti e tutte noi contribuire a sventare i loro piani. Iniziamo col confermare il presidio anticarcerario che si terrà oggi pomeriggio a Saluzzo, in solidarietà con tutti i prigionieri.
Oggi 16 febbraio ci è arrivata la notizia che Maurizio Alfieri è stato trasferito al carcere di Terni.
Maurizio ci scrive che era da quattro giorni che non riceveva posta e questo l’aveva messo in allarme.
Poi il giorno del trasferimento (la lettera da Terni ha il timbro 102) è stato svegliato alle 4 del mattino da dieci agenti, i quali gli han detto di portarsi dietro solo due borse.
Dopo il viaggio in aereo in carcere a Terni si è accorto che gli mancava il pigiama, ciabatte e altre cose utili.
Nella sua cella non c’è il riscaldamento, gli mancano le coperte e al passaggio è costretto a camminare in uno spazio di 4 metri per 2 con la rete
metallica sopra la testa. La risposta di Maurizio è che tutto questo lo rende ancora più incazzato.
Sulla faccenda della “sventata” fuga dal carcere di Tolmezzo sono emerse delle novità dal Messaggero Veneto del 15 febbraio.
Il 12 febbraio il Tribunale del Riesame di Trieste ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 2 gennaio dal Gip di Tolmezzo nei confronti di Maurizio Alfieri e ha disposto la liberazione di Cosimo Damiano Alario, accusato di aver fatto arrivare droga e coltelli nella cella di Alfieri. L’annullamento delle custodie cautelari è motivato dal fatto che gli indizi fino ad ora emersi vanno approfonditi per capire se Maurizio è veramente o no coinvolto in questa storia.
La Procura di Tolmezzo, che per mesi ha coordinato l’indagine, ha già annunciato un ricorso in Cassazione.
Fino a due giorni prima sul Messaggero Veneto uscivano articoli sul tentativo di fuga da Tolmezzo tramite la partecipazione di
boss palermitani, mettendo ancora in luce la faccenda a favore dei ROS, scrivendo che dopo lunghe indagini gli “autori” della fuga erano
stati incastrati dall’agente sotto copertura dei Carabinieri.
La storia di Tolmezzo sta diventando una “fuffa”. Tutte le domande che ci eravamo posti fino ad’ora su questa storia stanno avendo risposta:
la montatura non regge. Le prove della “sventata” fuga sono diventate fumo.
Chi pensava di spezzare la solidarietà tra detenuti, tra dentro il carcere e fuori si è ritrovato con un pugno di aria, prova ne è la lettera
uscita qualche giorno fa dai detenuti di Saluzzo.
Solidarietà ai detenuti di Saluzzo
Libertà per Maurizio Alfieri
Liberi tutti Libere tutte!
Per scrivere a Maurizio Alfieri l’indirizzo è:
Maurizio Alfieri
Casa Circondariale Di Terni
Strada Delle Campore, 32 – 05100 Terni (TR)
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diffondiamo da informa-azione
Giovedì 14 febbraio intorno alle 16, una ventina di compagni hanno improvvisato un saluto sotto il carcere di Alessandria per esprimere la nostra solidarietà a due nostri compagni, Sergio ed Alfredo, in sciopero della fame da diversi giorni per l’impossibilità di avere i colloqui con le loro compagne. In diversi interventi è stato poi ricordato come nel carcere di Alessandria esista una sezione di AS2 in cui sono rinchiusi solo compagni anarchici, una separazione evidentemente voluta dalle autorità per indebolire preventivamente la nascita e lo sviluppo di conflitti, in un momento in cui l’insofferenza per le condizioni di prigionia sempre più dure rischia di far esplodere la rabbia un po’ ovunque. Sono poi stati salutati alcuni prigionieri comuni da poco trasferiti lì per motivi punitivi e si è infine ricordato del comunicato fatto uscire dai prigionieri di Saluzzo in cui oltre ad avvertire del possibile inizio di una protesta si esprimeva solidarietà ai prigionieri rinchusi nell’AS2 di Alessandria.
Solidarietà a tutti i prigionieri in lotta
Solidarietà a Sergio ed Alfredo in sciopero della fame
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Secondo Rosario Di Prima, vicesegretario regionale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp, cinque detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Catania pare abbiano contratto la scabbia.
“Il sistema penitenziario italiano è stato più volte sanzionato per le condizioni disumane relativamente al suo sovraffollamento e l’assenza di spazi idonei al trattamento e reinserimento sociale dei detenuti. Erano anni che nella nostra regione non si sentiva che forme virali interessassero un numero elevato di detenuti”.
“Situazioni di questo genere non possono essere considerati casi sporadici o poco significativi. Siamo fortemente preoccupati che si possa già parlare di epidemia. Se epidemia dovesse essere, la nostra preoccupazione aumenta in relazione alla possibilità di contagio anche nei confronti del personale di polizia penitenziaria. Ed è per questo che chiediamo all’amministrazione di volere provvedere in tempi rapidi alla giusta profilassi. Riteniamo superfluo, inoltre, ricordare che tutti gli opportuni esami clinici e l’eventuale prevenzione sanitaria non dovranno gravare sul bilancio economico dei poliziotti. Cogliamo l’occasione per allertare l’amministrazione penitenziaria del settore adulti nel porre maggiore attenzione ai controlli ma soprattutto alla prevenzione di simili possibili contagi”.
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Riviste anche le condanne. Il ‘Comitato 23 ottobre’: «La sentenza fa giustizia anche per l’assurdo giuridico di un’associazione con due persone»
Dell’iniziale castello accusatorio in virtù del quale nell’ottobre del 2007 cinque ragazzi spoletini vennero arrestati non è rimasto quasi nulla. Dopo che la Corte d’Assise di Terni aveva già fatto cadere l’accusa di associazione terroristica per due dei quattro imputati, adesso la Corte d’Assise d’Appello di Perugia l’ha fatta decadere per tutti. E ha anche rivisto le condanne riducendole.
Le condanne In particolare, Michele Fabiani, condannato in primo grado a tre anni e otto mesi, è stato ora condannato a due anni e tre mesi, mentre è stato assolto Andrea Di Nucci, condannato a due anni e sei mesi in primo grado. Confermata la pena di dodici mesi per Dario Polinori e ridotta di un mese, quindi undici, quella di Damiano Corrias.
Le accuse A Fabiani e Di Nucci veniva contestata la spedizione di una lettera di minacce, contenente due proiettili ,arrivata all’ex presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti. Agli altri invece a vario titolo, venivano contestati anche alcuni danneggiamenti in alcuni cantieri. A tutti veniva contestato l’articolo 270 bis, ovvero, i ragazzi erano accusati di aver costituito un’associazione terroristica di matrice anarco insurrezionalista la cui sigla sarebbe stata Coop – Fai (Contro ogni ordine politico-Federazione anarchica informale). Accusa caduta in parte in primo grado e in parte in appello. I quattro ragazzi si sono sempre detti innocenti.
Rilettura radicale L’avvocato Francesco Falcinelli, che difende Polinori, ha parlato di «radicale rilettura della vicenda» da parte della Corte d’Assise d’Appello presieduta dal giudice Massei, che era stata chiamata ad esprimersi su un ricorso presentato dalle difese dei quattro ragazzi che hanno sempre professato la loro innocenza.
La nota del comitato spoletino E a poche ore dalla lettura della sentenza di secondo grado è arrivata una nota del ‘Comitato 23 ottobre’ che si era costituito all’indomani dell’arresto dei ragazzi spoletini. «La sentenza d’appello del processo Brushwood – recita – , ha cancellato il teorema terrorista proposto dal capo dei Ros il Generale Ganzer ( condannato a 14 anni per spaccio internazionale di stupefacenti) e utilizzato dalla ex Presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti (inquisita nell’ambito della Sanitopoli umbra e per i lavori dell’Alta Velocità a Firenze) per presentarsi come vittima di un complotto mai esistito».
L’associazione caduta per tutti «Il piccolo esercito terra-aria piombato su Spoleto il 23 ottobre 2008 è stato giustificato da chi ha organizzato l’operazione come necessario a prendere 5 pericolosi terroristi internazionali. La realtà è che vennero a prendere nella nostra città cinque ragazzi per cui bastava suonare il campanello di casa e chiedere che si presentassero in caserma. Ma questo non era utile né a Ganzer, né alla Lorenzetti. L’operazione mediatica messa in piedi, con la notizia sparata su tutti i Tg nazionali, subito condannata dall’intera città di Spoleto, compreso il Consiglio Comunale che ne bollò all’unanimità la natura propagandistica che nulla aveva a che fare con la realtà dei 5 ventenni, era invece quello che serviva già allora a Ganzer e Lorenzetti. La sentenza di oggi fa giustizia anche dell’assurdo giuridico di una associazione terrorista a 2 con cui in primo grado venne comminato il reato associativo su richiesta del pm Comodi, a Michele e Andrea, trasformando un’amicizia, in un qualcosa che non esiste in nessuna legge e in nessuna sentenza giuridica in Italia».
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L’industria della psichiatria moderna è ufficialmente impazzita. Praticamente ogni emozione vissuta da un essere umano – la tristezza, il dolore, l’ansia, la frustrazione, l’impazienza, l’eccitazione – saranno classificate come “disturbi mentali” che necessitano di un trattamento chimico (ovviamente, tramite prescrizione farmacologica).
La nuova “bibbia della psichiatria”, DSM-5, che dovrebbe essere rilasciata nel giro di pochi mesi, si è trasformata da un manuale di riferimento medico ad una testimonianza della follia della industria farmaceutica.
I “disturbi mentali” citati nel DSM-5 comprendono il “Disturbo d’Ansia generale” o GAD in breve. Il GAD può essere diagnosticato in una persona che prova dell’ansia, ad esempio, nel parlare con uno psichiatra. Pertanto, il semplice atto di uno psichiatra, nel formulare un diagnosi, farà magicamente apparire i “sintomi” diagnosticati.
Questa si chiama scienza ciarlatana, ma è tuttavia indicativa dell’attuale settore psichiatrico, diventato ormai una barzelletta nei circoli scientifici, tanto da disgustare anche i più scettici. La psichiatria non è più “scientifica” dell’astrologia o della lettura della mano, ma i suoi praticanti si autodefiniscono “dottori” della psichiatria, al fine di rendere tali baggianate, credibili.
COME FUNZIONA REALMENTE LA PSICHIATRIA MODERNA
Ecco come funziona veramente la psichiatria moderna: Un gruppo di intellettuali auto-referenziati e strapagati che vogliono fare più soldi inventano una malattia che chiamerò “Hoogala Boogala Disorder” o HBD.
Per alzata di mano, poi, votano quali “sintomi” sono associati all’Hoogala Boogala Disorder. In questo caso, i sintomi potrebbero essere: il canto spontaneo o il mettersi le dita nel naso.
Convincono poi insegnanti, giornalisti e autorità di regolamentazione governative che l’Hoogala Boogala Disorder è reale – e soprattutto che ne soffrono milioni di bambini! Come potremmo guardarci ancora allo specchio se non offrissimo a tutti questi bambini un trattamento adeguato?
Comincia così la richiesta di una “cura” per una malattia del tutto inventata. Da qui, è un gioco da ragazzi far si che la Big Pharma fabbrichi qualsiasi dato “scentifico” di cui si ha bisogno, al fine di “dimostrare” che lo speed, le anfetamine, il crack o qualsiasi veleno che vogliono vendere “riduca il rischio del Hoogala Boogala Disorder.”
Dei “seri” psichiatri – che se la ridono nascosti nei loro laboratori – “diagnosticano” poi l’Hoogala Boogala Disorder ai bambini prescrivendo farmaci che dovrebbero curarli. Grazie a questo trucchetto, gli psichiatri, guadagnano tangenti direttamente dalla Big Pharma.
Al fine di massimizzare tangenti e omaggi dalla Big Pharma, gruppi di questi psichiatri si riuniscono ogni pochi anni e inventano i disturbi più strani, espandendo il loro tomo immaginario chiamato DSM.
Il DSM è ora più grande che mai e include disturbi come l’”Obedience Defiance Disorder” (ODD), definito come il rifiuto di leccare il culo e seguire le false autorità. Agli stupratori che provano eccitazione sessuale nel corso delle loro attività, viene concessa l’attenuante del “Paraphilic coercive disorder”, pertanto, non sono responsabili delle loro azioni. (Ma avranno bisogno di farmaci, ovviamente!)
Potrebbero diagnosticarvi anche l’”Hoarding Disorder” se doveste fare scorta di cibo, acqua e munizioni, tra le altre cose. Sì, prepararsi per eventuali calamità naturali vi rende malati mentali agli occhi della psichiatria moderna (e del governo).
L’EX PRESIDENTE DEL DSM SI SCUSA PER AVER CREATO “FALSE EPIDEMIE”
Allen Frances presiedette al DSM-IV, rilasciato nel 1994. Ammette ora che si trattò di un errore enorme il quale portò a diagnosticare malattie mentali in persone del tutto sane. Il DSM-IV “… involontariamente contribuì a tre false epidemie – il disturbo da deficit dell’attenzione, l’autismo e il disturbo bipolare infantile”, scrive Allen in un pezzo del Los Angeles Times.
Egli continua dicendo:
La prima bozza della prossima edizione del DSM … è piena di suggerimenti che moltiplicheranno i nostri errori ed estenderanno drammaticamente la portata della psichiatria nel dominio sempre più piccolo della normalità. Questa monopolizzazione della normalità potrebbe potenzialmente creare decine di milioni di innocenti scambiati per dei malati mentali.
Tutti questi disturbi fabbricati, naturalmente, si traducono in un certo numero di falsi positivi. Come Allen scrive:
La “sindrome da rischio di psicosi” avrebbe utilizzato la presenza di pensieri strani per prevedere un futuro episodio psicotico. La previsione, però, risulterebbe sbagliata almeno tre volte su quattro – in questo modo molti ragazzi riceverebbero, erroneamente, farmaci che causerebbero loro un enorme aumento di peso, il diabete e un’aspettativa di vita ridotta.
Ma questo è il punto di psichiatria: prescrivere farmaci a persone che non ne hanno bisogno.
Immaginate: un intera industria che poggia sul nulla! E sì, c’è bisogno di immaginarlo perché nulla all’interno dell’industria farmaceutica è reale.
COSA SIGNIFICA NORMALITA’ IN PSICHIATRIA? ESSERE UNO ZOMBIE SENZA SENTIMENTI
L’unico modo per essere “normali” quando si è sottoposti alla “diagnosi” di uno psichiatra – un processo che è del tutto soggettivo e del tutto privo di qualcosa di simile alla vera scienza – è quello di mostrarsi assolutamente privi di emozioni.
Una persona in coma è una persona “normale”, secondo il DSM, in quanto non presenta alcun sintomo che potrebbe indicare la presenza di quelle terribili cose, chiamate sentimenti.
Anche una persona morta è “normale”, secondo la psichiatria, soprattutto perché i morti non si qualificano per il rimborso Medicare e quindi non vale la pena diagnosticarli o curarli.
E’ tutta una crudele beffa. La psichiatria dovrebbe essere del tutto abolita in questo momento, togliendo i psicofarmaci ai bambini e sostituendoli con alimenti sani.
IL CONCETTO PERDUTO DI NORMALITA‘
Ecco alcune semplici verità che devono essere riaffermate quando aboliremo la scienza ciarlatana che è la psichiatria:
La normalità non si raggiunge attraverso i farmaci. La normalità non è l’assenza di emozioni. La vita implica necessariamente emozioni, esperienze e comportamenti che, di volta in volta, “superano” il confine della patetica sobrietà. Questo non significa che la gente sia “mentalmente disturbata”. Significa soltanto che non sono dei robot biologici.
LA NUTRIZIONE E’ LA RISPOSTA, NON I FARMACI
Le carenze nutrizionali, tra l’altro, sono la causa principale di quasi tutte le “malattie mentali”. Gli squilibri di zucchero nel sangue causano malfunzionamenti del cervello in quanto la sua fonte energetica primaria sono proprio gli zuccheri. Carenze di zinco, selenio, cromo, magnesio e altri elementi causano squilibri di zucchero nel sangue che provocano emozioni o comportamenti apparentemente “selvaggi”.
Quasi tutti coloro i quali sono stati diagnosticati con un disturbo mentale nel nostro mondo moderno soffrono in realtà di squilibri nutrizionali. Troppi cibi spazzatura, non fanno bene al nostro organismo. A volte, questi cibi sono avvelenati dai troppi vaccini (alluminio e mercurio) o per aver mangiato troppi cibi tossici (mercurio nel pesce, cadmio, arsenico, ecc), la carenza di vitamina D è ridicolmente diffusa, soprattutto nel Regno Unito e in Canada, dove la luce solare è nettamente meno intensa.
La ragione per cui la nutrizione non è mai stata proposta come soluzione ai disturbi mentali è perché l’industria farmaceutica fa soldi solo vendendo “trattamenti” chimici per condizioni mentali fittizie e dai nomi complessi in modo che assumano una apparente credibilità. Se il cibo e gli integratori alimentari potessero mantenere il vostro cervello sano – e credetemi, possono! – Allora chi avrebbe bisogno di costosi prodotti farmaceutici? Chi avrebbe bisogno di costosi psichiatri? Chi avrebbe bisogno di pilloline magiche?
Nessuno! Questa è la semplice ed evidente verità: la nostra società sarebbe molto più felice, più sana e più produttiva, se l’intera industria farmaceutica e psichiatrica sparissero.
Con il DSM-5, la moderna psichiatria si è fatta beffa di se stessa. La psichiatria stessa sembra essere completamente impazzita.
Inventa anche tu delle malattie fittizie!!!
Potete diventare psichiatri anche voi! Basta che utilizzate il Disease Mongering Engine! Potreste divertirvi a creare nuove malattie psichiatriche!:)
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Commenti disabilitati su DSM-V: il nuovo manuale di psichiatria classificherà tutte le emozioni umane come un disordine mentale | tags: anticarceraria, antipsichiatria, classificazione malattie mentali, CordaTesa, disturbi mentali, DSM-V, emozioni umane, false diagnosi, GAD, manuale di psichiatria, psichiatria, psicofarmaci | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Tutti
Primo caso in Italia per questo tipo di ricorsi dopo le condanne dell’Ue. Risarcimento di mille euro
SALERNO – Le condanne contro l’Italia, per le carceri sovraffollate, fino ad ora erano arrivate dall’Unione Europea. Ma mai un giudice territoriale aveva espresso la stessa condanna in un procedimento civile. E invece, adesso, anche questo fa giurisprudenza. Perchè un giudice di pace di Salerno, su ricorso presentato dallo studio legale Sessa di Nocera Inferiore, ha condannato lo Stato italiano al risarcimento danni nei confronti di un detenuto del carcere di Fuorni a Salerno per le «pessime condizioni di detenzione» delle carceri. Il ministero dell’Interno dovrà pagare un risarcimento di mille euro al detenuto. E la motivazione è proprio nel sovraffollamento della casa circondariale. «Si tratta di un traguardo importante non solo per il nostro studio dal punto di vista professionale – commentano gli avvocati Gaetano e Michele Sessa – ma soprattutto dal punto di vista etico e morale per l’intera società. Questa sentenza potrebbe infatti aprire la strada a numerosi ricorsi che, secondo quello che abbiamo potuto constatare, potrebbero trovare sempre fondamento in una situazione a dir poco vergognosa e lesiva della dignità della persona, pur se colpevole di un qualsiasi tipo di reato».
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Il rapporto rivela che i body scanners sono stati in grado di rilevare solo il 57% degli oggetti utilizzati come test. Una percentuale di insuccesso che esclude gli scanner simili a quelli utilizzati negli aeroporti, dalle papabili alternative alle strip searches
Farmaci, batterie per telefoni cellulari, forbici e un coltello sono tra gli elementi utilizzati quali test nel periodo di prova durante l’utilizzo dei body scanner, considerati all’inizio del progetto quali una valida alternativa alla pratica degradante delle perquisizioni corporali.
Quasi 1.200 detenuti e membri del personale penitenziario sono stati sottoposti a due scanner, nelle carceri di Magilligan e di Hydebank Wood.
I risultati della relazione al termine del periodo di prova, sono stati discussi dai membri del Comitato Giustizia a Stormont.
L’avvio del progetto pilota era stato deciso da David Ford, Ministro della Giustizia, sulla spinta della dirty protest portata avanti dai prigionieri repubblicani a Maghaberry, fino allo scorso novembre.
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Dal 1 aprile gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) verranno chiusi in base a un disegno di legge voluto dai ministeri di Salute e Giustizia.
La beffa è che si tratta di una chiusura prevista già dall’anno scorso mentre il decreto che assegna le risorse alle Regioni per la loro riconversione in strutture residenziali speciali è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo lo scorso 7 febbraio. Quindi, 800 malati mentali gravi rimarranno soli e senza cure perché le strutture alternative di assistenza previste “non sono ancora state approntate dalle Regioni“.
E’ questo l’allarme lanciato dalla Società italiana di psichiatria (Sip), che chiede una proroga dei termini. Si potrebbero verificare, avverte il presidente eletto Emilio Sacchetti, “problemi di sicurezza per il rischio di reiterazione di reati da parte di alcuni dei pazienti“. La mancata gradualità nella chiusura degli OPG e “l’inascoltato appello a una proroga, rischia di provocare gravi conseguenze“.
Il Decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale il 7 febbraio prevede la ripartizione di più di 173 milioni tra le Regioni che, entro 60 giorni, dovranno presentare uno specifico programma di utilizzo delle risorse. Ma il meccanismo di finanziamento previsto per la ripartizione dei fondi è molto complesso, secondo la Società italiana di psichiatria. “E’ probabile che i fondi saranno disponibili tra 6 mesi, poi le regioni dovranno indire gli appalti. Se i lavori inizieranno nel 2014, le nuove strutture saranno pronte solo nel 2015“, come previsto dal presidente della Sip, Claudio Mencacci, e direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
La Sip denuncia, inoltre, la carenza di assistenza psichiatrica nelle carceri, dove confluiranno molti di questi malati che andranno a sommarsi al 15% di detenuti (oltre 10 mila nel 2012) affetto da disturbi psichici, malattie infettive o correlate alle dipendenze.
Il ddl, spiega Mencacci, “è stato portato avanti senza sentire ragioni. Questo non è accettabile, così come che agli psichiatri, che a causa di questo provvedimento saranno gravati da ulteriori responsabilità civili e penali, venga richiesta una funzione di vigilanza e custodia di questi malati invece di svolgere le funzioni di cura che loro competono“. Prima di chiudere gli OPG, “occorre realizzare degli interventi strutturali tali da garantire, laddove necessario, la messa in sicurezza sia dei pazienti sia degli operatori e della comunità. Mentre oggi i reparti sono aperti e non preparati a gestire, in assenza di una rete coordinate alle spalle – avverte Sacchetti – situazioni di pazienti che possono reiterare un delitto“.
Gli Opg che dovranno essere chiusi sono sei: Aversa (Caserta), Montelupo Fiorentino (Firenze), Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Castiglione delle Stiviere (Mantova), Napoli e Reggio Emilia.
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Buenos Aires – Una vicenda in piena Patagonia che è un po’ telenovela, un po’ film horror: una giovane di 22 anni ha sposato l’uomo condannato a 13 anni di carcere con l’accusa di aver ucciso nel 2010 la sorella gemella. Le nozze, seguite passo passo da giorni dai media locali, si sono svolte nel giorno di San Valentino.
Victor Cingolani, 28 anni s’è sempre proclamato innocente. E ha sposato Edith Casas a Pico Truncado , località patagonica argentina. «L’ho fatto per amore» ha detto senza esitazione poco prima del brindisi, nella prigione dove sta scontando la condanna. L’uomo sembrava tranquillo, nonostante l’arrivo della coppia in Comune sia stato salutato da centinaia di persone al grido di «assassino» e con lancio di pietre.
«Voglio formare una famiglia con la donna che amo», ha tagliato corto Victor, la cui sorella, Claudia, ha d’altra parte ricordato che «i festeggiamenti avranno luogo in carcere, durante una cerimonia organizzata da chi vuole stare vicino a mio fratello. Non facciamo una festa – ha puntualizzato – perché ovviamente in prigione non è permesso».
I media argentini ricordano che per l’omicidio di Johana è stato arrestato non solo Cingolani ma anche un altro ex fidanzato della ragazza, Marcos Diaz, pure lui in prigione. La madre delle gemelle, Marcelina Orellana, per bloccare il matrimonio giorni fa aveva presentato un ricorso alla giustizia, che ne aveva ordinato la sospensione. Poi però, un’altra istanza della magistratura ha cancellato tale risoluzione, aprendo così la strada al matrimonio. Dopo le nozze, anche Marcelina ha parlato con la stampa: «Confermo che secondo me Victor è un assassino. E ora ho paura per Edith», ha detto senza nascondere l’angoscia.
Al centro dell’intera vicenda c’è il misterioso omicidio di Johana, la gemella di Edith. La giovane fu uccisa nel 2010 con due colpi di pistola e il suo corpo gettato alla periferia di Pico Truncado. Al momento dell’uccisione, Edith era già stata con Victor, ma usciva con Marcos Diaz.
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Sabato 23 febbraio
Ore 12: si pranza!
Dalle 14 inizio tatuaggi
Alle 18 facciamo due chiacchiere:
molteplicità delle pratiche di lotta, evoluzione delle tecniche repressive, solidarietà e paura…iniziamo a parlarne!
A seguire cena, musica e gozzoviglie
Domenica 24 febbraio
Dalle 10 tatuaggi
Ore 12 pranzo
A seguire si continuerà a tatuare
17.30 facciamo due chiacchiere
La solidarietà attiva ai compagni non può non inserirsi in una lotta contro il carcere e le sue logiche. Come e perché, quindi, combattere le galere quotidianamente?
A seguire cena
Tutti i soldi raccolti andranno a sostenere concretamente Alfredo e Nicola, due compagni detenuti nel carcere di Alessandria, accusati di aver compiuto l’attacco armato nei confronti di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare.
A loro va la nostra piena solidarietà
La due giorni si svolgerà al centro di documentazione anarchico l’arrotino, in via primo maggio 24c a Lecco (rione malavedo).
Per info, prenotazione tatuaggi e info: larrotino@inventati.org 3384878547
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Sabato 16 febbraio 2013 presidio al carcere Bassone di Como
Dalle 9 alle 12 musica, interventi e microfono aperto per portare solidarietà a tutti i detenuti, a tutte le detenute ed alle loro lotte di libertà
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In Afghanistan dopo la denuncia delle Nazioni Unite, le prime ammissioni. Ma non si prevedono cambiamenti reali
Una commissione del governo afgano ha ammesso le torture subite da centinaia di detenuti, due settimane dopo l’inizio delle indagini seguite alla pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite. Un documento che svelava abusi dilaganti e sistematici.
TORTURE E AMMISSIONE – In una conferenza stampa a Kabul, la capitale dell’Afghanistan, è stato spiegato come l’inchiesta abbia confermato le accuse dell’Onu, così come spiega ilNew York Times. Quasi la metà dei 284 prigionieri – intervistati in tre province del paese – erano stati torturati durante l’arresto o interrogatorio. Grazie all’inchiesta è stato possibile scoprire anche come diversi detenuti non abbiano avuto nemmeno accesso alla difesa legale. Eppure il governo ha cercato di minimizzare il caso: Abdul Qadir Adalatkhwa ha osservato come, nonostante siano emerse verità imbarazzanti, non ci fosse alcuna prova sull’applicazione dell “tortura in modo sistematico”.
ABUSI E VIOLENZE – I risultati dell’inchiesta sono stati comunque il primo riconoscimento formale, da parte dei funzionari afgani,delle violazioni dei diritti umani, Una scolta dopo le smentite iniziali, in occasione della pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, rilasciato il 20 gennaio. In un comunicato, l’ufficio del presidente Hamid Karzai si è limitato a spiegare di aver ricevuto la relazione. Ma non ci sono state dichiarazioni ufficiali.
IL RAPPORTO DELL’ONU – Altro che esportazione della democrazia e dei diritti umani. Nel rapporto pubblicato dalle Nazioni Uniti venivano denunciate molestie sistematiche contro chi si trovava nelle carceri afghane. Su 635 prigionieri ascoltati dai responsabili dell’Onu (in 89 centri di polizia, esercito e servizi segreti) ben 326 avevano denunciato di aver subito violenze nel corso della prigionia. Numeri impressionati se si prendono in considerazione quelle commesse sui minori: la proporzione si innalza fino al 76%, con 80 adolescenti su 105 che hanno svelato ai funzionari delle Nazioni Unite di essere stati torturati. Quattordici i tipi differenti di molestie denunciati: dalla frusta agli elettroshock, senza dimenticare quelle di natura sessuale, praticate sui genitali. Nel rapporto si parlava anche della “presunta scomparsa” di 81 individui imprigionati a Kandahar, tra settembre 2011 e ottobre 2012. Fatti inquietanti, come aveva sottolineato Jan Kubis, il rappresentante speciale dell’Onu in Afghanistan, che aveva richiesto un immediato intervento del governo afghano per fermare le violenze. Le preoccupazioni sui casi di tortura hanno scatenato non poche proteste sulla consegna dei detenuti, da parte delle forze militari della Nato, alle autorità afghane. Un punto rivendicato dal governo Karzai. Eppure la Convenzione internazionale contro la tortura, che gli Stati Uniti hanno firmato, vieta il trasferimento di un detenuto “in un altro Stato, qualora vi siano serie ragioni per credere che ci sia il pericolo che possa essere sottoposto a tortura”. Nonostante l’ammissione della commissione afghana, in pochi credono inoltre che gli abusi nelle carceri afghane diminuiranno. Heather Barr, ricercatore in Afghanistan per Human Rights Watch. ha spiegato come il problema sia alla base: “Il sistema giudiziario afghano è impostato sulle confessioni: così è per ora improbabile che avvengano dei seri cambiamenti nel modo di operare”, ha concluso.
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In Germania rimane detenuta Sonja Suder, ex-militante delle Revolutionäre Zelle (RZ, altra formazione militante degli anni ’70), ed estradata dalla Francia dove era in esilio da 33 anni, dopo una lunga battaglia giudiziaria (vedi qui e qui).
Sonja ha 79 anni, e per sua e nostra fortuna è ancora in forma; per il suo compleanno, lo scorso 15 gennaio, dei fuochi d’artificio sono stati accesi davanti al carcere.
Il suo compagno, Christian Gauger è stato scarcerato dopo un mese dall’estradizione; colpito da un attacco cardiaco anni prima, perse completamente la memoria e rimase in condizioni difficili, tanto che venne ‘consegnato’ dalla Francia alla Germania in ambulanza.
Li vogliono portare a processo, per due attacchi incendiari, senza morti né feriti, compiuti dalle RZ nell’ambito delle lotte antinucleari degli anni ’70. E ci vogliono portare Sonja in catene, 35 anni dopo i fatti.
‘Verdammtlangquer‘ è il nome del sito di solidarietà, significa qualcosa come persecuzione dannatamente lunga.
Dannatamente breve fu invece la ricerca dei criminali di guerra nazisti. Recentemente il giovane storico tedesco Felix Bohr (autore di una tesi sulla lobby dei criminali di guerra tedeschi) ha ritrovato e pubblicato i documenti diplomatici che mostrano come alla fine degli anni ’50 vi fu un accordo tra autorità italiane e germaniche per dimenticare i responsabili delle 2273 stragi compiute dai nazifascisti in Italia nei primi anni ’40. Quegli ufficiali delle SS e della Wehrmacht erano, negli anni ’50 (e ’60, e ’70, ecc.) diventati alti dirigenti funzionari dello Stato democratico, industriali o banchieri. Perfetti e intoccabili per l’apparato contro cui Sonja, e Christa, e tanti altri si ribellarono.
Fonte
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Il 1. dicembre 2011 la Corte d’appello di Stoccarda (Oberlandsgericht Stuttgart) ha deciso che l’ex militante della Rote Armee Fraktion (RAF) Christa Eckes deve essere imprigionata per 6 mesi poiché si rifiuta di testimoniare.
La ‘Beugehaft’ è la carcerazione coercitiva prevista dal codice tedesco per costringere un testimone a rivelare quanto di sua conoscenza. Christa è gravemente malata, in cura per leucemia, e questo ordine di carcerazione potrebbe essere la sua condanna a morte.
L’incarcerazione ‘educativa’ di Christa Eckes, ex militante della Rote Armee Fraktion (RAF) e gravemente malata di cancro, per costringerla a testimoniare in un processo per fatti degli anni ’70, è stata revocata dal Tribunale federale tedesco.
Si tratta di una decisione che, sotto il profilo della legalità, è assolutamente ragionevole, tanto che non dovrebbe neppure fare notizia; ma quando si tratta di militanti di sinistra, o ex-tali ma non pentiti, la politica prende il posto della ragione.
Sul caso e sull’arresto coercitivo o Beugehaft s’era riferito qui.
Nella decisione del 19 gennaio 2012 i magistrati hanno ammesso che una persona in chemioterapia non può essere semplicemente sbattuta in cella, poiché “la verità non può essere ricercata a qualsiasi costo, non dunque, nel caso, a costo della seria messa in pericolo della vita di una testimone gravemente malata”.
La verità in questione, sia chiaro, è quella giudiziaria: su dettagli del caso Buback (1977), sul quale la stessa Christa all’epoca non poteva sapere proprio nulla, essendo già in galera da anni.
Insomma sono stati ridotti alla ragione, ma pure per questo s’è dovuto battagliare.
Christa ha trasmesso un messaggio:
A tutte le amiche e gli amici e a tutti coloro che si sono mobilitati contro l’arresto per rifiuto di testimoniare
L’alta Corte ha ritirato la misura d’incarcerazione per rifiuto di testimoniare emessa contro di me. È una buona cosa.
Naturalmente questo non mette fine al confronto con la polizia politica, alle procedure contro i militanti degli ’70 e di oggi, né al rifiuto di testimoniare e agli arresti per chi lo pratica, siano altri militanti o in generale.
Ciò è chiaro per chiunque.
Voglio però dire qui che l’esperienza che ho fatto della vostra solidarietà, amicizia e sostegno concreto, proprio ora mi ha toccata profondamente, e che anche nello stato di salute in cui mi trovo ciò mi da una sicurezza ed un appoggio che per me sono molto importanti.
Ed è anche emerso chiaramente che la grande mobilitazione e le molte proteste hanno avuto effetto.
Chissà, sennò, cosa sarebbe accaduto.
Christa
Fonte e approfonfimento
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La richiesta dell’avv. di Marco per la liberazione condizionale è stata respinta per l’ennesima volta – l’ennesima volta motivata politicamente. Marco scriverà a sua volta quello che ne pensa…
LA LOTTA CONTINUA – LA SOLIDARIETÀ È NOSTRA ARMA
Soccorso Rosso Internazionale 8 FEBBRAIO 2013
Risposta di Marco all’ennesima infamia

Commenti disabilitati su AGGIORNATO – Ancora un’altra richiesta di libertà condizionale dell’imprigionato eco-anarchico Marco Camenisch negata | tags: anarco ecologista, anticarceraria, carcere, comunicato, CordaTesa, lettera, liberazione condizionale, marco camenisch, respinta, solidarietà, svizzera | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Tutti
Escrementi di topo sono stati trovati nel forno della cucina del carcere di Lucca dove vengono preparati i pasti per i detenuti.
Lo denuncia in una nota il sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, che chiede all’ amministrazione penitenziaria regionale controlli in tutti i penitenziari della Toscana, per verificare il rispetto delle normative sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro. Il segretario generale del sindacato Donato Capece chiede verifiche, in particolare, ”nelle cucine interne al carcere che preparano i pasti per i soli detenuti ma anche nelle cucine delle mense del personale di polizia”.
”A Lucca come in tutte le carceri italiane, – aggiunge – la Polizia Penitenziaria e’ l’unica rappresentante dello Stato che sta fronteggiando l’emergenza sovraffollamento: oltre al danno c’e’ pero’ la beffa di essere gli unici esposti a malattie come l’hiv, la tubercolosi, la meningite, la scabbia e altre malattie che si ritenevano debellate in Italia. Per queste ragioni il Sappe sollecita visite ispettive dell’Ufficio di vigilanza sull’igiene e sicurezza dell’amministrazione della Giustizia (Visag) a Lucca ed in tutte le carceri toscane ed in ogni posto di servizio in cui sono impiegati poliziotti penitenziari per verificarne la salubrita”’.
ANSA
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Il garante delle carceri traccia un quadro deprimente in Inghilterra
Anche in Gran Bretagna il regime carcerario manca il rispetto dei diritti umani. Londra ha un problema di sovraffollamento carcerario simile a quello italiano, ma Nigel Newcomen, il “prisons and probation ombudsman”, cioè il garante/difensore civico del sistema carcerario britannico, sottolinea nel suo rapporto come persista anche un problema culturale.
MALATI E PUNITI – A destare particolarmente scandalo è stata l’emersione del fenomeno dei detenuti ospedalizzati e ammanettati al letto anche quando gravemente malati, una cinquantina di casi nell’ultimo anno secondo il risultato delle inchieste relative ai singoli episodi denunciati. Prigionieri incoscienti, particolarmente anziani o fragili, tutti sono stati ammanettati al letto, una misura utile a compensare in parte i buchi nella sorveglianza determinati dai tagli.
LA CRITICA – “Troppo spesso sono stato chiamato ad intervenire” ha dichiarato Newcomen, che da tempo chiede che la pratica sia abolita o quantomeno usata solo nei casi di estrema necessità, sempre comunque rispettando la dignità dei prigionieri, che anche se condannati restano cittadini nelle pienezza dei loro diritti di essere umani e, in questo caso, di malati.
TROPPI DETENUTI – Newcomen poi punta il dito sul sovraffollamento provocato dall’aumento delle condanne e dal numero sempre più alto di anziani oltre i 60 anni che entrano in carcere, un problema nel problema perché le carceri non sono attrezzate per far fronte ai problemi geriatrici di un numero sempre più elevato di detenuti. Che come prima conseguenza porta il deterioramento delle condizioni di detenzione e secondariamente un aumento dei suicidi tentati e riusciti.
MEGLIO, MA NON ABBASTANZA – Nonostante ci sia stato un miglioramento nelle cure offerte ai detenuti, ora quasi al livello di quello disponibile ai liberi cittadini, i detenuti malati restano soggetti a limitazioni della libertà illecite quando di trovano nelle infermerie degli istituti come quando sono trasferiti negli ospedali civili e questo secondo l’ombudsman non è tollerabile, anche perché alcuni casi si sono risolti in uno spreco di risorse invece che in un risparmio, come farebbe invece ritenere la ragione con la quale questi provvedimenti sono giustificati. Non si vede alcun risparmio nel tenere per quattro giorni un detenuto incatenato agli uomini destinati a fargli la guardia mentre era in coma farmacologico indotto perché soffriva di un tumore allo stadio terminale, uno dei casi più clamorosi, citato ad esempio per evidenziare che qualcosa da correggere c’è di sicuro.
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14/02/2013 – Sono già sei i suicidi accertati dietro le sbarre nel 2013. Le difficoltà della vita in manette aumentano mentre la polizia penitenziaria è sotto organico da anni
Meno spazio, più suicidi. E’questa l’assurda formula delle carceri italiane sempre sull’orlo del collasso. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone il tasso di sovraffollamento sale al 142%. Ovvero, 140 detenuti ogni 100 posti. La media europea si ferma al 99,6%. Tra le regioni più affollate la Liguria (176,8%), la Puglia (176,5%) e il Veneto (164,1%). Quelle in cui i tassi sono “bassi” l’Abruzzo (121,8%), la Sardegna (105,5%) e la Basilicata (103%). In Italia è comunque record sovraffollamento: 146 detenuti ogni 100 posti letto.
IN EUROPA – Negli otto paesi studiati dall’Osservatorio europeo sulle condizioni dei detenuti il paese ad avere il più alto numero di persone dietro le sbarre è il Regno Unito con 95.161 persone. Seguono la Polonia, con 85.419 detenuti, Spagna con 69.037 e il nostro paese che ospita 65.701 unità. Il tasso di sovraffollamento più alto d’Europa lo ha la Lettonia, 297 carcerati ogni centomila abitanti. La tendenza è in crescita ma sempre nel rapporto si parla di una diminuzione dei detenuti in “Italia e Spagna” negli ultimi due anni. Una soluzione secondo il rapporto ci sarebbe:
Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri. Come si vede il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100.000 abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia e Regno Unito e, più di recente, della Spagna, alla Polonia o al Portogallo, dove queste misure sono pressoché inesistenti.
IDENTIKIT – In base all’Osservatorio circa il 37% delle persone che si trovano nelle carceri italiane sono straniere. Il 30 per cento dei carcerati è invece composto da tossicodipendenti. Quasi la metà dei detenuti totali, secondo Antigone, è sotto i 35 anni. A confermare che la situazione non migliora affatto sono anche i rapporti mensili pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia.
SICUREZZA – “Secondo le nostre stime, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono ben oltre 22mila in più dei posti-letto disponibili, come puntualmente si verifica da almeno sei mesi a questa parte” precisa Leo Beneduci, già segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) e candidato capolista al Senato per la regione Lazio nella lista Rivoluzione Civile. “I dati che ci pervengono dagli istituti penitenziari – prosegue Beneduci – conteggiano, infatti, una presenza detentiva, in data 11 Febbraio, pari a 65.853 ristretti distribuiti in locali che ne posso ospitare al massimo 43mila e, analogamente a quanto occorso negli ultimi tempi con 8 regioni su 21, in cui il rapporto tra spazi disponibili e presenze è di 1 a 3. Anche per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria, inoltre, le cose vanno tutt’altro che bene, tenuto conto che dall’inizio dell’anno prestano servizio in carcere 150 poliziotti penitenziari in meno (1.080 in meno dall’inizio dello scorso anno), rispetto ad un organico nazionale che, riorganizzato nel 1992 in rapporto agli allora 40mila detenuti presenti, è già carente di 7mila unità”. Una situazione preoccupante: “Nel frattempo sono infatti peggiorate in carcere le condizioni di vivibilità (meno di 4 euro al giorno per il vitto), di lavoro (meno di 3 euro al giorno) e per il reinserimento sociale (0,22 cent. giornalieri), come la grave e perdurante emergenza suicidi va a dimostrare”.
SOLUZIONI -Sulla situazione è intervenuto perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sollecitando il Parlamento a stringere i tempi. Una delle possibili misure è la “amnistia” ma applicata a solo alcune particolari categorie, escludendo dai benefici i delitti più gravi e quelli di stampo mafioso. A sostenere le parole del Presidente della Repubblica anche il ministro della Giustizia Paola Severino. Il suo decreto “Svuota carceri” non ha però sortito gli effetti sperati. In base alle nuove misure, per l’arrestato in flagranza di reato è disposta in via prioritaria la custodia ai domiciliari. Non solo c’è il passaggio da 96 a 48 ore dal termine entro il quale deve avvenire l’udienza di convalida e l’estensione da 12 a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare. Ma in Italia si continua a morire di prigione. A inizio gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza e ha imposto un risarcimento di 100 mila euro per danni morali. Nella misura la Corte invita il governo a porre immediatamente rimedio al “sovraffollamento carcerario”, anche perché la situazione attuale viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove si ha a disposizione “meno di 3 metri quadrati”. Secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti sono 60 i suicidi del 2012 nei penitenziari italiani. I dati dell’associazione sono costantemente aggiornati dal 2000 ad oggi. Oggi, a due passi dalla fine di febbraio, sono già sei le persone che hanno deciso di farla finita e 23 i morti dietro le sbarre italiane.
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L’uomo, nel carcere pratese della Dogaia, ha ricavato l’arma dal manico di un cucchiaio. Ha aperto anche la cella
Quattro agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto italiano di 28 anni, ieri nel carcere pratese della Dogaia, che li ha colpiti con un punteruolo rudimentale dal manico di un cucchiaio.
Il detenuto, in carcere per furto, rapina e evasione, era in una cella di isolamento. Dopo la scontro gli agenti sono dovuti ricorrere alle cure mediche dell’ospedale Misericordia e Dolce di Prato. L’episodio è stato segnalato dal segretario generale del sindacato ‘Sappe’ (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), Donato Capece. Il detenuto prima ha dato un cazzotto all’agente che gli si è avvicinato, poi è riuscito a picchiare gli altri tre con il punteruolo. Testate, calci pugni.
E’ persino riuscito ad aprire la cella. “Nonostante tutto – spiega Capece – i colleghi della polizia penitenziaria sono riusciti ad evitare più gravi conseguenze. A loro va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà, ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro personale di polizia penitenziaria perchè si decida di intervenire concretamente sulle criticità di Prato”.
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E ‘collegato alla prigione costiera (km 19 della strada per Daule) ed è conosciuto come La Roca, può essere considerato un carcere di massima sicurezza, tuttavia, ieri, attorno alle 19:00, diciannove detenuti sono riusciti a fuggire dalla parte posteriore, da informazioni ufficiali.
Né le autorità penitenziarie, né i membri delle Forze Armate e speciali gruppi operativi (GOE) di intervento e di soccorso (GIR), che, hanno fatto parte della ricerca degli evasi, hanno dato informazioni.
Il colonnello William Ramos, capo della operazione di ricerca, ha detto che in effetti i fuggitivi erano 19 e che appartenevano ai gruppi criminali noti come I Choneros, Zambrano, Vernaza e Lopez, considerati altamente pericolosi. Viene anche menzionato Caranqui Oscar, che sta scontando una condanna per narcotraffico.
Sul suo account Twitter, il Ministero della Giustizia ( @ Justicia_Ec ) ha confermato la fuga e che si indaga su quelli appartenenti al gruppo dei Los Choneros, ma ha negato che tra loro c’ era Caranqui.
Durante questa trascrizione di stampa si sa che la zona è stata transennata. Non è stato stabilito per quanto tempo l’operazione di rastrellamento andrà avanti, ma sicuramente fino quando la ricerca all’interno e all’esterno della prigione si sarà dimostrata esauriente.
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Kelvin, 23 anni, detenuto, ucciso dallo Stato

Era la mattina del 24 gennaio 2013. Era un ragazzo come noi, uno dei tanti che vengono “pescati nel mucchio” e rinchiusi dietro le sbarre per dei reati che il Sistema stesso ci impone di compiere per sopravvivere. Una delle tante vittime che questo Stato si porta appresso. Pochi giorni prima, aveva saputo di essere stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, nonostante fosse incensurato. I suoi compagni di prigionia hanno dato subito l’allarme, ma le guardie accorse non hanno voluto aprire le sbarre immediatamente, come quasi sempre accade. Quando lo hanno fatto, ormai era troppo tardi.
Gridiamo vendetta, bastardi assassini, di un altro ragazzo ci avete privato!
OGNI MORTE IN CARCERE È UN OMICIDIO VOLUTO DAL SISTEMA!
Nel carcere di Bergamo questo è l’ottavo suicidio che si conta in dieci anni. Il sesto nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno in corso. Nel 2012 i morti per carcere (suicidi e morti mai accertate/mai volute accertare, morti per malattie, ecc.) sono stati in totale 154.
Il suicidio è l’atto estremo di ribellione di un essere umano costretto a vivere segregato, è un atto di dignità che non può passare ignorato e restare impunito. Le Istituzioni responsabili e la stampa asservita, per loro convenienza, fanno ogni volta di tutto per nascondere il fatto e le sue vere ragioni.
Di carcere si muore, o immediatamente o a poco a poco, in maniera costante. L’annientamento fisico e psicologico inflitto è brutale. Si va dall’insostenibile sovraffollamento delle celle alla scarsa qualità del cibo somministrato; dall’enorme difficoltà di usare la corrispondenza come mezzo di contatto con l’esterno alla negazione del diritto a ricevere cure mediche specifiche appropriate (a Bergamo un detenuto nel 2011 per questo motivo è morto). D’altro canto è prassi la criminale somministrazione di psicofarmaci e sedativi d’ogni genere, con lo scopo, unico e rimarcato, di annientare la resistenza della persona che combatte contro l’oblio, per renderla innocua, vulnerabile e sottomessa all’ordine carcerario, proprio come vorrebbero vederci sottomessi noi tutti. Nel 2009, sempre nel carcere di via Gleno, un ragazzo è morto di overdose di NOZINAN 100, un potentissimo neurolettico la cui somministrazione deve essere parsimoniosa e controllata medicalmente.
Chi pensa e promuove campagne elettorali promettendo un improbabile indulto o un’improponibile amnistia non fa altro che prendersi gioco dei detenuti stessi, con l’intento di ridicolizzare, sminuire e isolare le fondamentali lotte rivendicative che nascono da dentro. La riduzione dell’elevato numero dei detenuti può dipendere solamente dall’abrogazione delle leggi repressive di cui lo Stato si fa forte. La distruzione del carcere, nodo cardanico di questo Sistema autoritario chiamato capitalismo, democrazia, società del benessere, e la distruzione dello Stato stesso, necessario passo da compiere per una società libera e giusta, si potrà compiere solo ed esclusivamente attraverso la presa di coscienza e l’autorganizzazione di tutti gli sfruttati, siano essi rinchiusi tra le sbarre, alienati nei posti di lavoro, schiacciati nelle piazze.
Scendi in strada ed aggregati a noi, ricordando Kelvin, per dire che
NESSUNA MORTE PASSA SOTTO SILENZIO!
SABATO 16 FEBBRAIO DALLE ORE 11.00 VIA GLENO
PRESIDIO CONTRO IL CARCERE
promuovono: Gruppo Antiautoritario Contro Carcere e Repressione e Compagn* solidali
Da informa-azione
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Un ragazzo tunisino di 24 anni per scappare dalla polizia del Cie (centro identificazione ed espulsione) di corso Brunelleschi ha tentato un doppio tentativo di fuga, ma è stato bloccato.
Aymen, questo il nome del ragazzo, ha prima ingerito dello shampoo convinto di poter scappare durante la degenza in ospedale, ma una volta arrivato all’ospedale Martini il suo tentativo non è andato a buon fine, la polizia lo ha subito bloccato. Infine, il giovane ha rifiutato le cure mediche e durante il trasporto in ambulanza verso il centro ha tentato nuovamente di scappare sfondando il vetro posteriore del mezzo e colpendo con calci e pugni gli agenti polizia.
Il tunisino è stato quindi arrestato per danneggiamento aggravato e resistenza a pubblico ufficiale.
Solidarietà ad Aymen!
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Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero della salute italiano, contenente il riparto tra le Regioni delle risorse finanziarie destinata al definitivo superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Uno step necessario che porterà alla loro chiusura e alla nascita delle nuove strutture residenziali che li sostituiranno. L’importo complessivo ammonta a quasi €174 milioni e le Amministrazioni regionali hanno 60 giorni di tempo per presentare uno specifico programma di utilizzo dei fondi, che deve contenere la descrizione complessiva degli interventi progettuali con l’indicazione del numero, dell’ubicazione geografica e delle caratteristiche generali delle strutture da realizzare.
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In Europa, è la Spagna ad avere il tasso di carcerazione più alto di donne. Secondo i dati forniti dal primo Osservatorio Europeo sulla condizione di detenzione e di promozione dei diritti fondamentali delle persone in carcere, a cui collaborano otto paesi – Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna – la percentuale delledonne detenute in Europa è compresa tra il 3% della Polonia ed il quasi 8% della penisola iberica. Sono 600mila i detenuti nelle carceri in Europa, dove il sovraffollamento rappresenta la piaga più diffusa. Il tasso è al 146%.
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E’ morto stamattina all’ospedale di Asti, dove era piantonato da alcuni giorni per problemi cardiaci, il boss della ‘ndrangheta torinese Giovanni Iaria, 65 anni. Era in carcere, ad Asti, dallo scorso ottobre, dopo la condanna con rito abbreviato a 7 anni e 4 mesi per associazione per delinquere e voto di scambio nell’ambito del processo Minotauro. Di origini calabresi, Iaria era stato mandato al confino a Cuorgnè, dove negli anni 80 era stato consigliere comunale e assessore.
Iari, secondo gli inquirenti, era affiliato alla ‘ndrangheta almeno dal 1997, partecipe della ‘società maggiore’ con la dote di ‘padrino’. Il suo nome compare nelle carte del maxi processo sulla presenza della ‘ndrangheta in provincia di Torino, che ha portato all’arresto complessivo di 145 persone.
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Il 16 dicembre 2012, cinque persone cercano di evadere dal CIE di Palaiseau [una ventina di km a sud di Parigi, NdT]. In quattro ce la fanno, ma la quinta persona, Ibrahim, resta nelle mani della polizia, che lo pesta. Viene arrestato e due giorni dopo passa in tribunale, accusato di aver tenuto fermo uno sbirro, al fine di rubargli un badge magnetico che ha permesso agli altri di evadere. Viene poi messo in detenzione preventiva a Fleury-Mérogis [prigione che si trova nel sud della regione di Parigi – è la più grande d’Europa, NdT], fino al 18 gennaio 2013, quando viene condannato a due anni di prigione e a versare 1200 euro ai due sbirri che lo hanno denunciato per lesioni. Visto che l’evasione da un CIE non è reato, sbirri e giudici cercano di appioppargli altri capi d’imputazione.
Ibrahim si trova ora detenuto a Fleury-Mérogis. Non ha fatto appello contro la sua condanna. Quando si è isolato, senza avvocato, straniero e non si parla francese, è quasi impossibile capire che si hanno solo dieci giorni per fare appello. Se si è poveri e clandestini, si viene schiacciati ancor di più dalla giustizia.
Da una prigione all’altra, dalla prigione per stranieri alla casa di reclusione, la strada è tracciata, in un senso come nell’altro. Il potere prenderà sempre a pretesto le rivolte, i tentativi di evasione, i rifiuti di imbarcarsi [sugli aerei, per le espulsioni dei clandestini, NdT], per rinchiudere sempre di più i recalcitranti. E, all’inverso, quando si esce di prigione e si è clandestini, nella maggior parte dei casi quello che ci attende sono il CIE e l’espulsione.
Quando si è rinchiusi in un CIE, quando tutti i ricorsi legali sono stati inutili e l’espulsione è imminente, le sole alternative sono l’evasione e la rivolta. Ecco perché casi come questo si ripetono: qualche giorno prima dell’evasione di Palaiseau, tre persone sono fuggite dal CIE di Vincennes, e speriamo che siano sempre liberi. A Marsiglia, nel marzo 2011, alcuni detenuti hanno incendiato la prigione per stranieri del Canet. Da allora, due persone sono in libertà vigilata in attesa del processo, dopo essere passate per la casella prigione preventiva.
Nel caso di Ibrahim come in quello degli accusati dell’incendio di Marsiglia, è importante essere solidali con quelle e quelli che si rivoltano per la propria libertà, siano essi colpevoli od innocenti. Perché finchè ci saranno prigioni, documenti e frontiere, la libertà non resterà che un sogno.
Fuoco a tutte le prigioni!
Libertà per tutte e tutti!
Per non lasciare Ibrahim isolato di fronte alla giustizia, si può scrivergli:
Ibrahim El Louar
écrou n°399815
Bâtiment D4 – MAH de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 Sainte-Geneviève-des-Bois
Gli vengono inviati dei soldi. Se volete contribuire, potete mandare del denaro a Kaliméro – Cassa di solidarietà con gli accusati della guerra sociale in corso.
Se volete mandargli dei vestiti o pacchi, o per ogni contatto, mail: evasionpalaiseau@riseup.net
Informa-azione da non-fides.fr
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In Abruzzo nascerà una struttura destinata ad accogliere i residenti cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario. La notizia è stata resa nota dall’Assessore alla Prevenzione collettiva, dopo l’esame positivo del provvedimento dell’Esecutivo regionale, riunito oggi all’Aquila. La Casa di Cura e Custodia da 20 posti letto, con i requisiti fissati dal decreto del Presidente della Repubblica, sorgerà nel territorio della Asl di Lanciano Vasto Chieti, per un importo di circa 4 milioni di euro. La Asl è anche soggetto attuatore dell’intervento. La struttura è coerente con le disposizioni normative che intendono attuare il definitivo superamento degli ospedali psichiatrico giudiziari, anche attraverso edifici per i quali, ulteriori requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi, anche con riguardo ai profili di sicurezza, sono definiti con decreto di natura non regolamentare del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro della Giustizia, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. Inoltre, in deroga alla vigenti normative sul contenimento della spesa per il personale, le regioni che hanno sottoscritto i piani di rientro dai disavanzi sanitari, possono assumere personale qualificato da destinare ai percorsi terapeutico riabilitativi, finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati, provenienti da ospedali psichiatrici giudiziari. Con la deliberazione approvata dall’Esecutivo regionale – chiariscono all’Assessorato – si dà mandato al soggetto attuatore di rimettere alla Regione Abruzzo uno studio di fattibilità contenente l’ubicazione e le caratteristiche urbanistiche ed infrastrutturali dell’area, la descrizione complessiva dei 20 posti letto, la valutazione delle risorse umane necessarie alla funzionalità dei servizi sanitari operanti dopo l’intervento.
Agenparl, 11 febbraio 2013
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Assenza di comunicazione con i familiari, isolamento, casi di autolesionismo sempre più frequenti, minori separati dalle famiglie. Sono gli aspetti dalla Ricerca “Betwixt and Between: Turin’s Cie”, sui diritti umani nel Cie di Torino e sulla detenzione amministrativa degli immigrati in Italia, a cura dell’International University College di Torino e dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione.
Comunicazioni carenti con i familiari, ritardi nell’assistenza sanitaria, isolamento, casi di autolesionismo sempre più numerosi, separazione dai minori. Sono questi alcuni degli aspetti “misurati” dalla ricerca “Betwixt and Between: Turin’s Cie”, un’indagine sui diritti umani nel Cie di Torino e sulla detenzione amministrativa degli immigrati in Italia, curato da sei ricercatori tra cui Emanuela Roman, Carla Landri e Margherita Mini sotto la supervisione del professor Ulrich Stege dell’International University College di Torino e l’avvocato Maurizio Veglio, membro dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione).
“Vorrei che questo centro scomparisse”. Attraverso interviste dirette ai trattenuti, le ricercatrici hanno potuto stilare un quadro zeppo di difficoltà in cui sono costretti a vivere i trattenuti del Centro torinese. “Vorrei che questo Centro scomparisse” è il commento di uno degli intervistati per descrivere questa struttura aperta nel 1998 per ospitare al suo interno 210 persone. Oggi ce ne sono 131 a causa di alcune zone danneggiate e perciò impraticabili. Persone divise su 7 aree senza criterio, mancanza questa che a volte crea gerarchie pericolose.
Una struttura, gestita dalla Croce Rossa, che rimpatria il 52,4% dei suoi “ospiti” dopo una permanenza media di 40 giorni e con un costo pro capite medio di 45 euro al giorno. Un investimento da 11 milioni di euro nel giro di tre anni a cui vanno aggiunte le spese per le forze di sicurezza, “considerata una dei migliori Centri di Identificazione ed Espulsione d’Italia” come ha dichiarato Rosanna Lavezzaro, Dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino, durante la presentazione pubblica del rapporto. Ma un Cie anche carico di contraddizioni.
Nessun legame con l’esterno. L’aspetto che viene maggiormente confermato dalle parole dei reclusi è l’estrema difficoltà che si incontra nel tentativo di portare avanti i legami con l’esterno, sia con le famiglie che con i legali che li difendono. Una parte significativa dei trattenuti ha una famiglia che vive in Italia e alcuni di loro si sono stabiliti qui in via permanente.
Sono finiti nel Cie per varie ragioni: per ingresso irregolare, per non aver richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno dopo la scadenza, per la perdita del lavoro o per aver commesso un reato. Nel giorno di visita vengono tutti ammassati in una sola stanza che può ospitare fino a un massimo di 250 persone sia che si tratti di incontri privati con i propri familiari sia che si parli della propria libertà con un legale. Il parallelo con il carcere è scontato: infatti molti degli utenti intervistati hanno assicurato che il carcere è molto meglio perché ha regole più precise.
Nessuna sa che fine farà. Un secondo elemento importante che condiziona la vita dei trattenuti è l’indeterminatezza dei tempi di permanenza: i trattenuti non conoscono il proprio futuro e questo non fa altro che alimentare rabbia, frustrazione e senso di isolamento. “La prima parola che si impara qui dentro è dopo” afferma in un’intervista uno dei trattenuti. Non migliori sono le relazioni con l’esterno: per ogni cosa gli immigrati possono solo rivolgersi alle forze dell’ordine (che in carcere sono di 4 tipi diversi: Esercito, Gdf, Polizia e Carabinieri).
Aumentano i casi di autolesionismo. Il punto di vista sanitario è preoccupante. Aumentano i casi di autolesionismo in quanto nel trattenuto nasce sempre più spesso l’idea che violare il proprio corpo possa accelerare il trasferimento dal Cie ad altra struttura. Aumenta la richiesta di somministrazione di psicofarmaci ma parallelamente non c’è una sola figura di psichiatra all’interno della struttura. Nel caso di tentato suicidio, malori o urgenze, le testimonianze dei trattenuti confermano i ritardi nell’intervento da parte dell’assistenza sanitaria causati dalla burocrazia comunicativa tra l’interno e l’esterno della struttura.
Un anno terribile per i Cie. “I Cie esistono perché la direttiva europea in materia prevede un’immigrazione condizionata” riprende Lavezzaro “nel senso che vengano garantiti gli spazi di sopravvivenza e quindi migliorare gli standard di vita, non peggiorarli. Ciò nonostante il 2011 è stato un anno terribile per il Cie: 15 rivolte e 28 arresti. Nel 2012 è andata decisamente meglio: 5 rivolte e solo 5 arresti. Da sottolineare resta la scarsa collaborazione con i consolati: talvolta le ambasciate rispondono a logiche politiche che ci sfuggono”.
Cinque anni prima dell’identificazione. L’altro aspetto indagato dal rapporto di ricerca è quello della detenzione amministrativa: “In Italia – dichiara una delle ricercatrici – vi sono casi di persone che hanno passato 5 anni nelle nostre carceri senza che sia stato avviato il processo di identificazione per poi essere trasferiti nei Centri appositi e ricominciare l’intero iter da capo. Dal 2007 una proposta di legge cerca di anticipare l’identificazione in carcere ma ad oggi nessuno l’ha esaminata come si sarebbe dovuto fare”.
I problemi, secondo la ricerca, nel campo giudiziario sono molti. Quelli su cui prestare maggiore attenzione sono elencati nel rapporto: “i trattenuti non partecipano alle udienze di proroga del trattenimento, nonostante le numerose pronunce della Corte di Cassazione in merito”; “la normativa italiana in materia di patrocinio a spese dello Stato non garantisce consulenze esterne di medici o psicologi dove queste sono necessarie”; “manca una piena assistenza linguistica nel corso di trattenimento, circostanza che ostacola l’accesso alla consulenza legale” e “il personale militare non riceve una formazione giuridica e socio – culturale specifica per lavorare a contatto con i trattenuti”.
La gestione del flusso è fallita. “Il sistema di gestione del flusso è fallito: lo dimostra il fatto che il periodo di trattenimento è passato da 30 giorni a 60, poi è diventato sei mesi, un anno e oggi è stato prolungato un anno e mezzo” sono le parole dell’avvocato Lorenzo Trucco, Presidente dell’Asgi. “Non v’è un codice chiaro: si tratta di privare della libertà persone umane. Dal punto di vista penalistico, un anno e mezzo di detenzione significa bruciarsi la condizionale e farsi una discreta carriera delinquenziale. Perché i trattenuti dei Cie devono essere trattati peggio dei carcerati? E come se non bastasse, la loro pratica circa la convalida del trattenimento è affidata al Giudice di Pace, che nasce con funzioni completamente diverse: da sanzioni pecuniarie il Giudice si ritrova a dover decidere della libertà di un essere umano”.
La Repubblica, 11 febbraio 2013
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