(AGI) – Atene, 3 apr. – Mano pesante dei magistrati contro tre leader del gruppo di estrema sinistra greco Lotta rivoluzionaria, che nel 2007 lancio’ un razzo contro l’ambasciata Usa ad Atene. Nikos Maziotis, sua moglie Panagiota Roupa e Costas Gournas sono stati condannati a 50 anni di carcere a testa, ma ne dovranno scontare la meta’. Maziotis e Roupa sono pero’ latitanti dal giugno scorso e per questo sono stati giudicati in contumacia dal tribunale speciale istituito presso il carcere di massima sicurezza di Korydallos. I due erano usciti di prigione nel 2011 e avevano l’obbligo di firma ma sono fuggiti, probabilmente all’estero. Altri due militanti del gruppo sono stati condannati a sette anni e mezzo di carcere e altri due sono stati assolti per insufficienza di prove. Lotta rivoluzionaria, considerato il gruppo di estrema sinistra piu’ pericoloso d’Europa, e’ operativa dal 2003. Di fatto e’ l’erede di 17 novembre, un’organizzazione terroristica che aveva fatto 23 morti tra il 1975 e il 2000. E’ inserita nelle liste dei gruppi terroristici stilate da Ue e Usa e tra gli attentati al suo attivo ci sono anche quelli contro un ministro dell’Interno, la Borsa di Atene e diverse banche. I vertici del gruppo sono stati catturati nel 2010 dopo che un militante era rimasto ucciso in una sparatoria con la polizia.
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Nuovi abusi contestati a prete del carcere S.Vittore
(ANSA) – MILANO, 3 APR – Salgono a 11 gli episodi di abusi sessuali ai danni di giovani detenuti contestati ad Alberto Barin, di 51 anni, ex cappellano del carcere di San Vittore.
L’uomo e’ stato arrestato il 20 novembre 2012 in conseguenza di 6 casi accertati dalle indagini congiunte di squadra mobile e polizia penitenziaria. Ora il gip di Milano Enrico Manzi ha emesso un’ordinanza per altri 5 casi, si tratta di detenuti di 20/30 anni provenienti per lo piu’ dal nord Africa.
Carceri: un caso sospetto di tbc a Messina
(AGI) – Palermo, 3 apr. – Un detenuto italiano ristretto presso la carcere di Messina e’ stato ricoverato d’urgenza nel “Repartino” dell’ospedale Papardo per sospetta Tbc. Lo rende noto e’ il segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, secondo cui l’ammalato svolgeva attivita’ lavorativa nella cucina detenuti della casa circondariale di Gazzi ed e’ per questo che precauzionalmente la direzione dell’istituto di pena ha isolato per motivi sanitari anche tutti gli altri detenuti che hanno lavorato negli stessi ambienti carcerari o che hanno diviso spazi comuni detentivi cui il malato. E’ stata avviata la profilassi di vaccinazione sia del personale di polizia penitenziaria, sia di quello socio-educativo e dei reclusi. “Episodi di questo tipo -commenta Nicotra- mostrano ancora, e qualora ve ne fosse la necessita’, tutte le lacune della sanita’ penitenziaria italiana perche’ e’ impensabile, al giorno d’oggi, che il personale del corpo di polizia penitenziaria debba correre evidenti rischi di contagio per loro stessi e le loro famiglie in assenza di protocolli periodici che possano prevenire o attutire l’impatto altamente deleterio di simili eventi contagiosi”.
Fonte AGI.it
Libero dopo 17 anni un monaco che chiedeva libertà per il Tibet
Lhasa (AsiaNews) – In un raro gesto di disgelo, le autorità cinesi hanno liberato dopo 17 anni di carcere un monaco e attivista tibetano che si era battuto per l’indipendenza del Tibet e il ritorno del Dalai Lama, in carcere per “attività controrivoluzionarie” e “minacce allo Stato socialista”. La liberazione è confermata da diverse fonti tibetane raccolte da Radio Free Asia: Jigme Gyatso, 52 anni, è tornato nella sua casa di Sangchu (nella provincia del Gansu) dopo essere stato liberato dalla famigerata prigione di Chushul, nei pressi di Lhasa.
L’uomo era stato condannato nel 1996 a 15 anni di carcere. La sua colpa principale era quella di aver fondato l’Associazione per il movimento libero tibetano (o Gruppo per l’indipendenza tibetana e la verità), organizzazione para-legale che chiedeva autonomia culturale e religiosa per la regione.
Nel 2004, dopo 8 anni di reclusione, è stato condannato ad altri 3 anni di detenzione per aver urlato in carcere “Lunga vita al Dalai Lama”. Il rilascio di Jigme era previsto per il marzo del 2014, ma le sue condizioni di salute sono molto peggiorate e hanno imposto una scarcerazione più rapida. L’uomo, subito dopo il suo arresto, è stato picchiato duramente tanto da impedirgli ora di camminare bene ed è stato più volte ricoverato in ospedale.
Nel maggio del 1998 Jigme Gyatso ha fatto parte del gruppo di prigionieri che aveva urlato slogan per la libertà del Tibet durante la visita di una delegazione dell’Unione Europea nel carcere di Drapchi, dove era ristretto. Subito dopo la fine della visita ufficiale, gli agenti della pubblica sicurezza si sono lanciati sul gruppo per punirli: nove di loro morirono in seguito alle percosse.
Sui tetti
Diffondiamo da Macerie
Continua lo sciopero della fame di tutti i reclusi del Cie di Torino, e i prigionieri raccontano che due di loro da diversi giorni stanno portando avanti anche lo sciopero della sete. Per sostenerli nella loro lotta, lunedì sera una ventina di solidali si è data appuntamento in corso Brunelleschi per un saluto con slogan, battiture e petardi. Come al solito, da dentro la risposta non si è fatta attendere. Inoltre, e questa è una novità, si sentivano chiaramente le urla delle donne prigioniere. Martedì mattina i reclusi dell’area gialla del Cie di Torino salgono sui tetti delle camerate: chiedono che siano liberati almeno quelli che hanno già passato sei mesi dietro le sbarre.
Cogliamo infine l’occasione per pubblicare un un video girato a febbraio dai reclusi di Torino, e tenuto nascosto per tutelarne l’autore. Nelle immagini si vedono chiaramente i pasti consumati sul pavimento a causa della rimozione dei tavoli, e lo stato delle latrine.
Sulmona, internato ‘evade’ nel giorno di Pasqua
Un assistente capo di polizia penitenziaria di stanza del carcere di Sulmona ha fermato e arrestato a Pasqua un internato che si era reso irreperibile dopo essere uscito in licenza premio dal penitenziario Peligno e nel quale non era rientrato alla scadenza del periodo concessogli.
Alle 6.30, mentre si stava recando al lavoro per svolgere il suo turno di servizio, ha notato l’uomo in zona stazione e lo ha subito fermato. Il 50enne è stato ricondotto nella casa di reclusione per essere sottoposto all’internamento, dopo essere stato dichiarato socialmente pericoloso.Il pugliese rischia per l’infrazione fatta la proroga della misura di sicurezza e la mancata attribuzione di ulteriori licenze.
Appicca incendio nel carcere di Vicenza
Intorno alle 11.15 un detenuto extracomunitario, recluso nella Casa Circondariale di Vicenza, ha appiccato il fuoco nella propria cella. A seguito del denso fumo uscito dalla seconda sezione del carcere, i detenuti sono stati mandati ai cortili passeggi. Il rapido intervento degli agenti di Polizia Penitenziaria ha permesso di mettere in salvo il detenuto, chiuso in bagno con un asciugamano bagnato sulla testa. E’ stato tratto in salvo dai baschi azzurri intervenuti, che hanno quindi spento il fuoco con un estintore mentre altri detenuti venivano messi in salvo.
Dopo alcuni minuti sono giunti anche i Vigili del Fuoco, quando l’incendio era stato ormai domato. Due agenti sono stati accompagnati al Pronto Soccorso per accertamenti, intossicati dal fumo. Il detenuto e’ stato visitato dal medico di guardia e trovato in buone condizioni, tanto che per lui non e’ stato chiesto il ricovero in ospedale. L’incendio, a quanto si e’ appreso, e’ stato appiccato in piu’ punti contemporaneamente. Tutti i detenuti sono stati fatti rientrare nelle proprie celle e la situazione e’ tornata alla normalita’.
Fonte Adnkronos
Abruzzo/Detenuto morto nel carcere di Castrogno.
TERAMO. E’ morto in carcere, probabilmente per un infarto.
Vincenzo Fabiano, 35 anni, di Pescara, era rinchiuso nel penitenziario di Castrogno da qualche mese per reati legati allo spaccio di stupefacenti. Si è sentito male nella notte, i suoi compagni di cella lo hanno trovato senza vita e hanno fatto scattare l’allarme. Quando le guardie penitenziarie sono arrivate per prestare i primi soccorsi, però, non c’è stato nulla da fare.
Da qualche settimana l’uomo, insieme al suo avvocato, era impegnato a dimostrare che le sue condizioni di salute non erano compatibili con il regime carcere. Tra qualche giorno era stata fissata anche una udienza davanti al giudice di sorveglianza per decidere se era possibile provvedere a misure restrittive alternative.
«Quella del detenuto Fabiano sembra essere una morte annunciata», commenta Alessio Di Carlo, dei Radicali Abruzzo. Di Carlo rende noto il contenuto delle denunce di Marco Fabiano, fratello del giovane deceduto, secondo il quale le precarie condizioni dell’uomo, attestate da numerosi certificati, imponevano il ricovero in una struttura sanitaria ad hoc.
«I fatti dichiarati dal fratello del defunto sono di estrema gravità», ha spiegato l’esponente radicale, «visto che, a detta dello stesso, era stato chiaramente ipotizzato il rischio di decesso e che, nonostante questo, ogni istanza tesa a far trasferire il Fabiano è stata rigettata: una volta tanto, dunque, l’accaduto non sembra direttamente riconducibile al dramma del sovraffollamento, che pure affligge Castrogno, ma ad una dissennata valutazione delle condizioni fisiche del detenuto».
Di Carlo ha concluso ricordando che «come radicali abruzzesi saremo in prima linea, come sempre, a tutela dei diritti delle persone detenute e dei loro familiari e, a cominciare da giovedì, quando verranno resi noti gli esiti dell’autopsia, valuteremo l’avvio di iniziative di lotta nonviolenta volte al ripristino della legalità violata».
Velletri: muore detenuto in carcere
Sesto caso di morte di un detenuto negli ultimi quattro anni nel carcere di Velletri: a comunicarlo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. A morire è stato lo scorso 27 marzo il giovane Mohamed Saadaoui di 27 anni.
Sono ancora in corso gli accertamenti sulla morte del giovane, ma pare che il decesso sia avvenuto per l’inalazione del gas della bomboletta in dotazione ai detenuti. Sull’esatta dinamica dei fatti saranno le indagini a fare chiarezza.
Negli ultimi 4 anni gli altri decessi nel carcere di Velletri sono avvenuti 2 per suicidio, 1 per malattia e tre per causa ancora da accertare. In questi stessi giorni si è registrato un altro decesso nel carcere di Teramo che è uno dei penitenziari italiani con il più alto numero di morti.
Iraq: eseguire quattro condanne a morte, comminate per reati di terrorismo
Il ministero della Giustizia iracheno ha annunciato che sono state eseguite le condanne a morte comminate all’ex leader di al-Qaeda a Baghdad, Munaf Abdul Raheem al-Rawi, e ad altri tre detenuti accusati di terrorismo. ‘Le esecuzioni dei quattro terroristi sono state portate a termine per impiccagione, sono state eseguite per il loro ruolo nella guida di gruppi terroristici che hanno pianificato e sferrato un gran numero di attacchi criminali contro la popolazione in varie province’, si legge in una nota del ministero di Baghdad. Al-Rawi era stato arrestato nella capitale irachena nel marzo di tre anni fa ed e’ stato condannato a morte per la pianificazione di una serie di attacchi contro ministeri, alberghi, ambasciate e luoghi di culto islamici e cristiani.
Fonte: Adnkronos
Kuwait: eseguite tre impiccagioni per omicidio, le prime esecuzioni dal 2007
Tre uomini condannati per omicidio sono stati impiccati in Kuwait. Le ultime esecuzioni nell’emirato risalivano al 2007. L’agenzia Kuna riferisce che le condanne a morte sono state eseguite nella prigione centrale, ma non fornisce altri dettagli. Secondo la stampa, i condannati impiccati sono un pachistano per l’omicidio di una coppia di kuwaitiani, un saudita colpevole di avere ucciso un connazionale, mentre il terzo, definito un apolide arabo, era stato riconosciuto colpevole di avere ucciso una donna e i suoi cinque bambini. Nel braccio della morte delle carceri del Kuwait ci sono almeno 44 condannati. Da quando l’emirato ha introdotto la pena di morte nel 1960 sono stati giustiziati 69 uomini e tre donne.
Fonte: Ansa
Muore detenuto palestinese, Hamas evoca Intifada
(ANSAmed) – TEL AVIV/RAMALLAH, 02 APR – Hamas evoca una “nuova Intifada” dopo la morte di Maysara Abu Hamadiya (64 anni), un palestinese condannato all’ergastolo nel 2002 per aver partecipato all’organizzazione di un attentato suicida a Gerusalemme, sventato. La notizia del decesso ha scatenato disordini nei Territori e nelle carceri israeliane.
Affetto da un tumore alla gola, Abu Hamadiya è spirato oggi in un ospedale di Beer Sheva (Neghev), dove era stato ricoverato due giorni fa per un aggravamento della sue condizioni. Immediata la condanna del presidente palestinese Abu Mazen secondo cui Israele va considerato responsabile della sua morte. La gravità della malattia di Abu Hamadiya, ha aggiunto il ministro per i detenuti Issa Karake, era nota da mesi ma è stata “trascurata”. “Israele si è macchiato di un crimine orrendo”, ha aggiunto Karake, secondo cui questa morte – la seconda in due mesi di un palestinese detenuto in Israele – deve essere oggetto di indagini internazionali.
Anche sulla affiliazione politica di Abu Hamadiya la versione israeliana differisce da quella palestinese. A Hebron (Cisgiordania) era noto come una figura di spicco di al-Fatah. Ma secondo Israele negli ultimi anni aveva stretto legami con Hamas.
E da Gaza, Hamas ha espresso cordoglio per la sua morte e ha invocato una nuova intifada nei Territori. Subito dopo la sua morte, incidenti si sono verificati in diversi penitenziari di Israele. In Cisgiordania gravi disordini sono stati segnalati a Hebron (dove dimostranti hanno lanciato bottiglie incendiarie contro soldati israeliani) e a Nablus. Domani nei Territori sarà osservata una giornata di lutto.
Cile – Temuco – Maxi Repressione per i compagni anarchici..aggiornamento
Temuco. Ieri mattina, 28 marzo, la polizia ha effettuato una serie di perquisizioni tra cui due case occupate. Una in Plaza Dreve conosciuta come Espacio Pandemia e l’altra è la biblioteca Amanecer. Secondo la procura, la polizia e la stampa durante le perquisizioni sarebbero stati trovati estintori, polvere nera, timer, gas butano e un manuale di bombe artigianali. Infine dicono di aver trvato un testo rivendicativo di un’azione.
Molti compagni sono stati arrestati anche solo per non aver dato i loro nominativi agli sbirri. I compagni arrestati, invece, per il possesso d’armi sono 2 o 3 e non si esclude che possono essere accusati per la legge contro il terrorismo.
Il 26 marzo, quindi due giorni prima, i compagni di Espacio Pandemia avevano scritto un comunicato in cui parlavano di un continuo controllo, da circa due mesi, da parte degli sbirri nei loro confronti e dello spazio. I bastardi in divisa hanno, più volte, chiesto agli abitanti della zona cosa i compagni facessero in quel posto, e cosa organizzassero senza mai ottenere nulla. Il magistrato che si occupa di tutta questa storia è Paredes Cristian. Seguiranno aggiornamenti…
SOLIDARIETA’ CON I COMPAGNI ARRESTATI A TEMUCO!
La mattina del 28 marzo, in cui si commemorava la “giornata del giovane combattente”, la polizia ha fatto irruzione in due si ti compagni: L’occupazione di Dreves e la Biblioteca Amanecer.
Ivan Bezmalinovic, celebre generale di Pacos, ha praticamente affermato che questa è un’indagine coordinata tra Carabineros e magistratura, e che sono stati trovati, durante le perquisizioni, timer simili a quelli usati negli attacchi contro la Gendarmeria e gli stessi Carabineros.
A detta degli infami repressori, nell’occupazione di Dreves, sarebbero stati trovati 400gr di polvere nera, due estintori, fusibili, gas butano, orologi, batterie, cavi ed altro materiale secondo loro molto importante. Nella Biblioteca Amanecer, invece, sarebbe stato trovato un taccuino in cui ci sarebbe stata scritta una rivendicazione.
In questa operazione sono stati arrestati 12 compagni: 7 per aver negato l’identificazione agli sbirri, 2 per detenzione di marihuana e 3 sulla legge sul controllo di armi.
Il procuratore di Temuco, Cristian Perez, ha tenuto a precisare, come procedura usuale di ogni fottuta democrazia, che nel mirino non c’è tutto il movimento ma solo tre persone che si sono macchiate di certi reati.
Agli arrestati è stato fatto il prelievo di DNA per compararlo con quello degli oggetti rinvenuti dopo gli attacchi. In Cile, come in tutto il mondo, è diventata una pratica molto diffusa quella di fare una banca genetica. In Cile, i prigionieri Mapuche, hanno anche subito percosse e torture per l’estrazione del DNA.
I compagni nella stessa serata del 28/03 sono stati trasferiti dal Commissariato al Tribunale.
Il giorno seguente il Tribunale di Temuco era circondato in tutto il perimetro da un grosso contingente di sbirri anti sommossa; questo è accaduto per la prima volta da quando è stato costruito.
Ci sono state udienze diverse, in base al reato imputato, contro i compagni arrestati.
Tre compagne, Ariadna Torres Torres, Roxana Marin Laurie e Yaritza Grandòn sono state accusate di appartenere alla “Cèlula Nòmade Incendiaria”, quindi per fabbricazione e porto di materiale esplosivo nei due attacchi contro la Gendarmeria e le Forza Speciali, ma senza essere formalizzata sotto la legge Anti-terrorismo.
Le tre compagne durante l’udienza hanno rilasciato delle dichiarazioni in cui fanno capire(Ariadna e Roxana che è incinta di 5 mesi) che sia l’estintore che il taccuino, rispettivamente, non sono stati trovati durante la loro presenza ma sono apparsi all’improvviso. Yaritza, invece, ha affermato che i giorni 26 e 27 febbraio lei era a fare un esame a Talcahuano, ed ha preso un autobus per tornare a Temuco il 3 marzo arrivando a casa alle 05:00 del mattino.
Il giudice ha concesso 5 mesi di indagine e gli arresti preventivi per tutte e tre le compagne.
In un’altra udienza è stato valutato il reato per possesso di droga(100gr di marihuana) nei confronti dei compagni arrestati nella casa di Amanecer. In questo caso il giudice ha decretato 3 mesi di indagini e l’arresto preventivo per i tre compagni.
Questa situazione, a detta dei compagni di quelle zone, ricorda molto l’arresto del compagno Esteban Huiniguir nel 2008. Fu arrestato in seguito ad una perquisizione a casa e dove furono trovate, a tre compagni che vivevano con lui, alcune moltov. Esteban per alcune piante di marihuana, che gli furono trovate a casa, fu accusato di “semina” e “microtraffico” e condannato a 3 anni ed un giorno + 541 giorni per un’altra condanna per aver fatto parte del MJL(Movimento Juvenil Lautaro). Esteban è stato scarcerato nel 2012.
Per gli altri 7 compagni arrestati per non aver permesso la loro identificazione, la corte ha deciso di condannarli con una multa di 2 UTM, a cui i compagni hanno già dichiarato di appellarsi, e sono stati poi scarcerati.
Le difese dei compagni arrestati per entrambe i tipi di reati ricorreranno alla Corte d’Appello.
Bisogna ricordare che già in passato la polizia aveva fatto irruzione in alcune case dicendo di aver trovato polvere nera, esplosivi,estintori e fusibili. In due casi in particolare furono arrestati due compagni. Nel 2009 il compagno basco Luzarraga Asel che fu condannato a 220 giorni di carcere, senza che gli venisse formalizzata l’accusa per la legge Anti-Terrorismo. Nel 2010 Waikilaf Cadin Calfunao fu condannato a 3 anni e 541 giorni di reclusione.
SOLIDARIETÀ CON TUTTI I COMPAGNI ARRESTATI A TEMUCO!
FUOCO ALLE GALERE DI TUTTO IL MONDO!
Serata benefit per Dayvid, in carcere per Roma 15 ottobre e Milano NOTAV
Sabato 6 aprile (compleanno di Dayvid “Ciga”) serata benefit presso Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa, viale Monza 255 (Milano)
Monza – “Carcere disumano”, detenuto chiede di uscire. Decide la Consulta
Resta drammatica la situazione nelle carceri italiane. E mentre la neo-eletta presidente della Camera, Laura Boldrini, ha di recente dichiarato che la riforma del sistema carcerario “non si può rimandare” e che bisogna “trovare misure alternative alla detenzione”, per rimediare ai ritardi della politica ecco che la magistratura si mette in modo di sua iniziativa.
Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha accolto il ricorso di un detenuto del carcere di Monza San Quirico riportando nella sentenza quanto denunciato dallo stesso, ovvero “che la detenzione si starebbe svolgendo con modalità disumane equiparabili a tortura”. Emanuele Greco, 40 anni, originario di Caltanissetta, arrestato nel 2010 a San Giuliano Milanese, in provincia di Milano, deve scontare 15 anni di carcere per diversi reati, tra cui l’associazione mafiosa. Convinto dal suo legale, viste le condizioni carcerarie in cui si trova, ha deciso di presentare ricorso per trovare “differenti forme detentive”. S’è appellato all’articolo 147 del Codice penale che questo tipo di cambiamento lo prevede; ma non se il carcere è disumano: solo, per esempio, se il detenuto si trova in cattive condizioni di salute, non compatibili con la cella.
A questo punto, per non cestinare oggettive e legittime lamentele, il Tribunale di Sorveglianza ha deciso di presentare ricorso presso la Corte costituzionale contro il succitato articolo 147. Esso non contemplando la possibilità di trovare altre forme che non il carcere, quando la detenzione è simile alla tortura, va contro – tra gli altri – all’articolo 27 della Costituzione, dove si afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
È da tempo che vengono denunciate le condizioni di invivibilità del carcere di Monza. Qui Greco è costretto a stare in una cella di circa nove metri quadrati dimensionata per due detenuti, mentre vi sono sistemate tre persone. Tenendo poi conto delle suppellettili presenti in quello spazio angusto: un letto a castello, la terza branda, l’armadio per i vestiti, comunque insufficiente per gli indumenti di tre persone che pertanto vengono sistemati sotto il letto; e ancora: i tre sgabelli, un tavolino, delle cassette posizionate una sopra l’altra che fungono da dispensa e un frigorifero con sopra il televisore, i tre detenuti non hanno spazio e quindi non possono scendere dal letto contemporaneamente.
Nella sentenza del Tribunale di Sorveglianza, datata 12 marzo, è specificato poi che “il bagno non è arieggiato e pertanto è maleodorante e non è fornito di acqua calda; che ai muri vi sono muffedi diversi colori, spazio e ampiezza; che il detenuto istante, in quanto più giovane degli altri, deve dormire su una brandina pieghevole, troppo corta per la sua altezza e sistemata necessariamente sotto la finestra e dunque deve sopportare gli spifferi d’aria; che i due suoi compagni di cella sono anziani e malati e nessuno di loro va all’aria e pertanto la cella è sempre occupata e maleodorante”.
Come Milano, anche un altro Tribunale di Sorveglianza, quello di Venezia, di recente ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro le limitazioni legislative che non permettono di “svuotare le carceri”. A questo punto la via per risolvere il problema del sovraffollamento potrebbe non segnarla il Parlamento, ma la Consulta.
Detenuto appicca rogo, salvato da agenti
(ANSA) – CAGLIARI, 31 MAR – Ieri sera un detenuto ha appiccato un rogo nel piccolo reparto del Centro clinico del carcere di Buoncammino, a Cagliari, dove si trovava in stato di osservazione. Il gesto non ha avuto un epilogo drammatico grazie al tempestivo intervento dei baschi blu. “Ha appiccato l’incendio nella propria camera – ha spiegato il coordinatore Uil Penitenziari di Cagliari, Roberto Todde – ma il coraggio degli agenti ha permesso di mettere in salvo l’uomo, gli altri detenuti e contrastare le fiamme”.
A 76 anni finisce in carcere per un reato commesso 17 anni fa
Qualche milione di lire in prestito gli sono costati uno sfregio sul volto. Ma per alcuni reati il tempo non conta e anche se da quell’episodio sono passati ormai diciassette anni, Antonio Schiavone, colpevole di aver sfregiato con una bottiglia di acido il volto dell’uomo a cui prestò i suoi soldi, è stato arrestato. L’uomo oggi ha 76 anni. La violenta lite all’epoca fece molto scalpore ad Accadia. Era il 20 agosto quando Schiavone allora 59 enne incontrò il debitore, un uomo di 39anni, che si presentò all’appuntamento con il padre. Schiavone voleva indietro i soldi prestati, qualche milione di vecchie lire, e i relativi interessi. L’altro ribadiva che il debito era estinto e che non gli doveva nulla. I due erano nell’auto del più giovane e quando la discussione è degenerata, Schiavone ha estratto una bottiglia con liquido corrosivo e l’ha gettata in faccia al giovane. Non ancora soddisfatto ha impugnato un martello e ha sfondato il parabrezza dell’auto fuggendo a piedi. I Carabinieri avevano identificato l’uomo grazie ad una serie di testimoni oculari, ma lui era scappato a Vieste. Da qui è partita una lunga trafila giudiziaria perchè Schiavone ha sostenuto che l’uomo si era inferto da solo le ferite. Schiavone era stato condannato in primo grado e in appello e pochi giorni fa la Suprema Corte di Cassazione ha rifiutato il ricorso e ha disposto l’esecuzione della pena residua, pari a tre anni e sei mesi, da scontare in carcere.
7 detenuti su 10 sono malati… tra tossicodipendenze, patologie psichiche e fisiche
Da quando nel 2008 la sanità nelle carceri è stata demandata alle Asl non ci sono più dati certi. Ma le associazioni del settore, come Antigone e il Forum per la Sanità Penitenziaria, calcolano che nei penitenziari circa il 70% dei detenuti sia malato.
Le patologie più comuni sono le tossicodipendenze (almeno 30%); i disturbi psichici con oltre il 16%, seguiti dalle malattie dell`apparato digerente e dalle patologie infettive e parassitarie. E questa è una media. Basta dire che a La Spezia ha problemi di droga circa il 50% dei reclusi. Almeno un terzo della popolazione carceraria ha poi commesso atti autolesivi e circa il 15% ha tentato il suicidio.
Quando un detenuto si ammala dovrebbe essere trasferito nel reparto penitenziario dell’ospedale più vicino, ma non di rado le diagnosi sono tardive. A Padova una dottoressa è sotto inchiesta perché avrebbe scambiato un infarto per un dolore allo stomaco. Insomma, le carceri italiane potrebbero essere una vera bomba sanitaria, e il controllo delle malattie non è sempre semplice. Dei 93 detenuti morti nel 2012 per 31 ancora non si conoscono le cause.
E a rischio non sono solo i detenuti ma anche gli operatori che lavorano nelle carceri, a cominciare dagli agenti e dai volontari, che possono contrarre le più svariate malattie. “I pericoli sono davvero reali. Quando un detenuto entra in carcere viene sottoposto solo alla visita psicologica, ma non gli si fanno le analisi – dice Donato Capece, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe – Per esperienza dico che chi viene dall’Africa non di rado è portatore di malattie infettive come la tbc”.
L’igiene in questi frangenti è fondamentale e questa è particolarmente carente in strutture vetuste come San Vittore a Milano, Buoncammino a Cagliari, Regina Coeli a Roma o Poggioreale a Napoli. Per il senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la sanità penitenziaria uno dei problemi principali è l’alimentazione di chi è malato che “dovrebbe essere calibrata in base alla malattia e invece questo non avviene. Il vitto di un detenuto costa 3,8 euro, una cifra risibile se si pensa che i comuni spendono per la stessa voce 4 euro per i cani ospitati nei canili. Qua e là, si sta comunque cercando di invertire questa tendenza, costruendo, come avviene in questi giorni a Regina Coeli, una cucina specifica”.
Rimane il problema dei sei Opg presenti in Italia, gli ospedali psichiatrico-giudiziari, la cui chiusura è stata rimandata di un anno, al 1° aprile 2014. Una volta aboliti dovrebbero essere realizzate case famiglie per curare chi non può andare in carcere. I fondi sono stati stanziati dal ministero della Giustizia, ora si attende che partano i progetti.
Fonte: Famiglia Cristiana
Germania: nel carcere di Suhl detenuto prende ragazza in ostaggio, chiede trasferimento
Un detenuto di 52 anni della prigione di Suhl, in Turingia, è riuscito a prendere in ostaggio ieri poemriggio una ragazza di 26 anni e minaccia di ucciderla con un coltello sulla gola. L’uomo ha chiesto assistenza legale e il trasferimento in un altro istituto penitenziario. Un commando speciale si trova già sul posto, scrive lo Spiegel online.
Fonte: TM News
Caso Uva; chiuse indagini sui Carabinieri, ma l’indagata è la sorella di Giuseppe
Luigi Manconi (A Buon Diritto): “Se Lucia è colpevole, allora mi dichiaro corresponsabile” Lucia Uva, sorella di Giuseppe morto a Varese il 14 giugno 2008, è indagata per diffamazione insieme a Mauro Casciari delle “Iene” e Asl direttore di Italia Uno Luca Tiraboschi.
In un’intervista rilasciata nel 2011, Lucia ha affermato che nella caserma dei carabinieri dove il fratello Giuseppe ha perso la vita furono compiute violenze ai suoi danni, e anche una violenza sessuale. Lucia è anche indagata per avere scritto il nome dei carabinieri sulla sua pagina Facebook, chiamandoli “assassini”. “Ho ricevuto l’avviso di garanzia – ha detto Lucia. Sono indagata solo perché ho detto la verità. Continuo a chiedere che venga riaperto il caso per fare chiarezza su quello che è successo quella notte”.
La procura di Varese ha chiuso ieri l’inchiesta bis per accertare se Giuseppe è stato picchiato prima di morire in un letto dell’ospedale della città lombarda. Il Pm Agostino Abate sostiene che i carabinieri e i poliziotti si sono comportati correttamente e non praticarono alcuna violenza, confermando così l’esito della prima inchiesta. La testimonianza di Alberto Biggioero, l’amico di Giuseppe anche lui fermato quella notte, non è stata considerata attendibile.
Ne udì le urla ma non vide la scena del pestaggio, dato che era in un’altra stanza della caserma. La conclusione della procura smentisce tutte le attese della famiglia Uva e di tutti coloro che l’hanno sostenuta: l’avvocato Fabio Anselmo, che difende anche la famiglia Aldrovandi e la famiglia Cucchi, l’associazione “A buon diritto” del senatore Pd Luigi Manconi e “Antigone”.
“Il fascicolo relativo a questa vicenda tragica – ha detto Manconi – resta tenacemente e immotivamente chiuso, mentre il pm che ne è titolare denuncia la sorella della vittima. Ma se Lucia è colpevole, io che seguo da anni la vicenda mi dichiaro corresponsabile e correo”. Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Questo provvedimento contro la famiglia della vittima era urgente. Invece l’indagine disposta dal giudice su quanto successo in quella caserma a Giuseppe 4 anni fa rimane chiusa nella scrivania del pm e fra poco sarà troppo tardi e cadrà in prescrizione”.
Fonte: il manifesto
Detenuto imbratta infermeria con le feci
Singolare protesta di un detenuto 41enne di origini siciliane che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Sulmona: dopo aver più volte distrutto le suppellettili della sua cella, compresi i sanitari, ha cominciato a cospargere le pareti dell’infermeria del carcere di escrementi, rendendo irrespirabile l’aria del reparto medico.
Il detenuto, che non soffrirebbe di nessuna patologia psichica, sta rendendo difficile il servizio dei poliziotti penitenziari. La protesta è scattata dopo la mancata concessione da parte della direzione, di un personal computer, che il detenuto avrebbe voluto tenere con sé in cella, cosa vietata dal regolamento del carcere. La Uil penitenziari afferma di essere preoccupata dalla reiterazione della protesta del detenuto, il quale ha più volte effettuato lo sciopero della fame e della sete.
“In più l’odore nauseabondo e gli escrementi creano problematiche di tipo igienico sanitarie sia per i detenuti ammalati e ricoverati in infermeria sia per gli agenti di polizia penitenziaria che sorvegliano quei luoghi”, riferisce il responsabile dell’igiene e sanità pubblica del carcere, Fabio Federico, dirigente sanitario del carcere che insieme al sindacato di polizia penitenziaria ha già chiesto, per quanto di competenza, il trasferimento del detenuto in istituti penitenziari dove sia consentito l’utilizzo del computer.
Una truffa miliardaria nelle carceri russe
Truffe e varie operazioni fraudolente per oltre 10 miliardi di rubli (250 milioni di euro) sono state scoperte da un’inchiesta interna al Servizio penitenziario federale russo (Fcin in sigla). La notizia non rivela niente che ai cittadini russi non sia noto da sempre – la corruzione all’interno del mastodontico sistema penitenziario è una costante fin dai tempi di Pietro il Grande, e ovviamente anche da prima, salvo essere chiamata con altri nomi – ma fornisce alcuni interessanti flash sui nuovi modi in cui il sistema creato per punire i reati finisce per incoraggiarne altri ai massimi livelli.
La truffa più assurda, riportata dai media locali con gran rilievo, è quella che ha visto il Fcin ordinare e acquistare a caro prezzo – per una somma totale di oltre un miliardo di rubli, circa 25 milioni di euro – una grossa partita di braccialetti elettronici per la sorveglianza dei detenuti agli arresti domiciliari. Gli apparecchi, dall’aspetto simile a quello di semplici orologini digitali da polso, sono stati ordinati personalmente dall’ex capo del servizio penitenziario, Aleksandr Reimer, a una ditta praticamente sconosciuta, in quantità molto superiore alle necessità (la detenzione ai domiciliari non è una misura molto usata in Russia) e saltando ogni verifica sulla qualità del prodotto fornito. Il risultato è stato un “pacco” da commedia alla napoletana, visto che le decine di migliaia di braccialetti arrivati a destinazione si sono rivelati degli aggeggi del tutto inutili perché privi dell’elemento più importante (e pregiato), cioè il collegamento con uno dei sistemi satellitari di geolocalizzazione, il classico GPS o il più patriottico (tutto made in Russia) Glonass. In pratica erano davvero degli orologini di plastica da pochi centesimi.
A questa truffa vanno poi sommate decine e decine di altri casi più “classici”, fondamentalmente basati su estorsioni e bustarelle imposte dai responsabili del servizio penitenziario ai fornitori, su materiali non rispondenti ai capitolati d’acquisto e via dicendo; ed è chiaro che la somma totale di 10 miliardi di rubli, essendo frutto di un’inchiesta interna, è molto probabilmente assai inferiore alla realtà.
Come che sia, sembrerebbe che davvero il presidente Vladimir Putin stia cercando di ripulire almeno in parte le spaventose incrostazioni di corruzione e malaffare che appesantiscono in modo micidiale tutte le strutture amministrative. Il presidente ha indicato questa come una delle massime priorità del suo terzo mandato, ed effettivamente è ormai da diversi mesi che le notizie relative a inchieste e repulisti nei ministeri e nei servizi federali stanno occupando le prime pagine. Subito prima delle truffe nel servizio penitenziario erano state diffuse le notizie sull’ammontare dei danni provocati dalle malversazioni all’interno di uno dei sancta sanctorum del regime russo, il servizio di amministrazione e approvvigionamento della difesa (Oboronservis), in cui la sola vendita illegale di proprietà immobiliari del dipartimento ha portato oltre 13 miliardi di rubli di danni per l’erario – ed enormi guadagni illeciti nelle tasche di una serie di funzionari in divisa. Per lo scandalo Oboronservis sono finora finiti in carcere parecchi ufficiali d’alto grado, a partire dall’ex ministro della difesa Anatoly Serdyukov.
Resta tuttavia da capire se la pulizia che viene ora sbandierata su tutti i media sia effettivamente tale o se non sia condotta in modo da colpire soltanto alcuni casi indifendibili lasciando sostanzialmente inalterato il sistema che consente alla corruzione di proliferare. La Russia, ricordiamo, è agli ultimi posti in assoluto nella graduatoria mondiale sulla trasparenza e la corruzione nelle strutture amministrative pubbliche. In ogni caso, va comunque notato, il rilievo e lo spazio che queste vicende hanno sui media non potrà non avere effetti sull’opinione pubblica e sulla capacità stessa dei media di affrontare più in generale il tema della corruzione.
Trani: meningite in carcere, l’autopsia conferma causa morte dell’agente Giovanni Bassi
Le indagini hanno confermato la morte per meningite. Giovanni Bassi, agente di Polizia Penitenziaria è morto poche ore il suo ricovero in ospedale. Sarebbe morto per una grave e veloce forma di meningite il 42enne tranese Giovanni Bassi, l’agente di Polizia Penitenziaria deceduto sabato mattina nel reparto rianimazione dell’ospedale di Trani poche ore dopo il suo ricovero. È quanto emerge dai primi risultati dell’autopsia eseguita ieri pomeriggio dal medico legale Biagio Solarino nominato dal sostituto procuratore di Trani, Raffaella De Luca, cui è giunta la denuncia dei familiari di Bassi, assistiti dagli avvocati Michele Sodrio e Luigi Puca. L’esame autoptico dovrà anche accertare se Bassi (che ha lasciato moglie e due figli) si sarebbe potuto salvare qualora il medico del pronto soccorso dello stesso nosocomio tranese, dove il 42enne si era recato venerdì sera, non l’avesse congedato, ritenendo, a quanto pare, che i sintomi fossero riconducibili ad un’influenza.
Fonte: Asca, 28 marzo 2013
Monza – Auto e Furgoni rotti e inutilizzabili, Allarme in carcere
Furgoni Rotti, auto blindate «rubate» Agli ALTRI istituti: l’unica Soluzione E organizzare pullman delle Nazioni Unite Che raccoglie i detenuti Nelle Varie carceri della Lombardia e poi li accompagna for example al Tribunale di Milano per i Processi. All’andata e al Ritorno.Vieni fossato Uno scuolabus. «Siamo Ridotti garantito da pegno», l’amara constatazione di Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari. La SUA Denuncia non e Una Questione di principio. NON E UN puntiglio. «Dobbiamo dividerci i fido Mezzi una Disposizione Con Tutti Gli ALTRI istituti di pena della Regione – spiega il sindacalista -.Quelli in alla casa circondariale di Monza Dotazione Sono ormai Praticamente inutilizzabili.Regolarmente funzionanti Sono soltanto a causa Furgoni blindati, ma NON SONO affatto sufficienti.
IN MEDIA OGNI Giorno Il Nostro Servizio traduzioni accompagna Qualcosa venire 20-30 detenuti Fuori dall’istituto non soltanto per Processi ma also per visite ed Esami Nelle Strutture Sanitarie del Territorio. Tutti Servizi that necessitano di Mezzi idonei. E invece ci ritroviamo OGNI Giorno di lottare, un contenderci con i Colleghi delle More Carceri mi fido means that Sono funzionanti natura rimasti in Circolazione ». Fino a qualche anno fa era il Problema auto blindate Alle Limitato. Adesso SI E Esteso una quasi Tutto il parco macchine. Si Tratta di Furgoni that have Sulle Spalle centinaia di Migliaia di chilometri, Che Hanno viaggiato finchè Hanno resistito. In alcuni revisione CASI SI circolava also Senza.L’Esame, in officina, non l’avrebbero mai Passato. Lo Conferma lo Stesso segretario Generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno: «Circa l’85% degli automezzi della Polizia Penitenziaria Destinati Alle traduzioni E da considerarsi Illegale arroccato Privo dei collaudi di Affidabilità o arroccato Quei collaudi non have been superati – Denuncia -. Nonostante cio i baschi blu continuano ad assicurare, a Loro Rischio e Pericolo, i Servizi per garantire il Diritto alla Difesa e alla salute dei detenuti. Per QUESTO condividiamo Il giudizio del Ministro Severino, Che Più volte ha defined eroi Le Donne e Gli Uomini della Polizia Penitenziaria ma Agli eroi, prima o poi, devono also Essere Assicurati Mezzi, strumenti e Diritti ».
NON VOGLIONO affatto Essere considerati Responsabili dell’eventuale mancata Presenza dei detenuti Nelle aule dei Tribunali di Tutta Italia una Causa di inconvenienti con i Mezzi di Trasporto. «Finchè riusciamo a organizzarci, se i vari istituti della Lombardia detenuti have that Un giorno Sono convocati in tribunale Uno same, Allora altera parte delle Nazioni Unite pullman all’alba Che raccoglie Tutti i reclusi e li accompagna – spiega Benemia -. Ma in molti CASI QUESTO dispersion Comporta Una di tempo e Agenti Che restano impegnati Tutto Il Giorno a volte inutilmente. In molti Casi, invece, SI potrebbero dotare Gli istituti della Tecnologia Necessaria per Udienze tariffa in videoconferenza ».
Violenza nel carcere di Voghera, detenuto picchia tre agenti
Una stampella usata come arma contro quattro agenti di polizia penitenziaria, tre dei quali hanno dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso. E’ accaduto l’altro pomeriggio all’interno della casa circondariale di Voghera e ora ci si interroga sulle politiche di “apertura” che l’intera Amministrazione penitenziaria sta seguendo.
«Quello che si è verificato a Voghera è senza dubbio un episodio isolato — dice Gian Luigi Madonia, segretario regionale della Uil di categoria — deve comunque far riflettere e, se occorre, far compiere qualche passo indietro. L’istituto sta vivendo un momento storico di sostanziale serenità, anche dal punto di vista lavorativo, con molti obiettivi raggiunti ed altrettante conquiste sindacali, ma non deve rimetterci il personale. Il responsabile dell’aggressione deve essere immediatamente trasferito e sottoposto a idonee misure di vigilanza, più restrittive».
L’episodio al quale il sindacalista si riferisce è quello che ha avuto per protagonista un detenuto comune di nazionalità italiana al rientro dall’infermeria. Dopo un’incomprensione con un medico specialista, si è scagliato contro alcuni agenti di polizia penitenziaria. Tre agenti sono stati trasportati al pronto soccorso con prognosi fino a 20 giorni. «E’ stato un fulmine al ciel sereno quello che si è abbattuto sull’istituto di Voghera — aggiunge Madonia — che, già da qualche tempo, aveva raggiunto equilibrio e serenità, soprattutto per la gestione detenuti. La direzione ha rivalorizzato i rapporti con il territorio e sono state potenziate le opportunità di trattamento per i detenuti. Una clima reso tangibile anche grazie all’apporto di tutti: polizia penitenziaria, personale civile, volontari». Nonostante gli organici limitati, perché mancano 40 persone all’organico.
«E con questi numeri l’istituto è prossimo all’ampliamento per l’apertura di un nuovo padiglione.Ma è anche preoccupante la scarsissima presenza di ispettori e sovrintendenti, figure fondamentali di raccordo tra vertici dell’istituto e personale — conclude il sindacalista della Uil — La carenza dei sottufficiali è di circa 25 unità. Come si può pensare di fare trattamento e garantire sicurezza senza almeno un adeguamento del personale? E’ utile che l’amministrazione penitenziaria avvii uno studio sulla destinazione d’uso del penitenziario di via Prati Nuovi che senza uomini sarebbe una struttura fuori legge e ad alto rischio».
Radiocane – Corrispondenze galeotte
diffondiamo da informa-azione
Nella lingua italiana galeotto è termine ambiguo: se da un lato evoca la pena carceraria, di cui evidenzia il nesso costitutivo con l’imporsi del sistema capitalista, dall’altro lato richiama la funzione d’intermediaro d’amore, di transito all’incontro.
Le corrispondenze galeotte si propongono quindi di rispondere a un richiamo e di superare qualche muro. Col dovuto rimbalzo.
In questo contributo, una chiacchierata con Massimo, che ci racconta alcuni aspetti della sua recente esperienza in carcere, e Federica che introduce una delle iniziative di lotta che si terranno in contemporanea sotto tre carceri sabato 30 marzo
ascolta il contributo:
http://www.radiocane.info/corrispondenze-galeotte/