Tag Archives: carceri israeliane

Israele, oltre mille palestinesi detenuti iniziano lo sciopero della fame

Hanno risposto ad un appello lanciato da Marwan Barghouthi, leader della seconda intifada condannato a vita: “Sottoposti a trattamenti degradanti e inumani”. Il ministro della Sicurezza interna annuncia sanzioni per chi partecipa alla protesta.

Oltre mille detenuti palestinesi hanno iniziato stamattina uno sciopero della fame nelle carceri israeliane. “Circa 1.300 detenuti palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame e questo numero potrebbe aumentare nelle prossime ore”, ha detto un Continue reading


Giovedì 17 aprile presidio in Solidarietà al prigioniero politico palestinese Ahmad Sa’adat

presidio 17 aprile

Il caso di Ahmad Sa’adat, leader nazionale palestinese, Segretario Generale del Fronte Popolare di Liberazione Nazionale della Palestina e membro eletto del Consiglio Legislativo Palestinese, è uno degli oltre 5000 casi di prigionieri politici palestinesi, ma è un caso di critica importanza e estremamente paradigmatico – il caso di un leader palestinese, preso di mira per “crimini” di carattere politico, per il suo impegno verso la resistenza palestinese e il rifiuto di compromessi riguardo ai chiari principi della liberazione palestinese e per il suo ruolo storico come leader del movimento dei prigionieri.

Continue reading


Detenuto palestinese ottiene la libertà dopo 130 giorni di sciopero

cordatesaAl-Khalil (Hebron)-InfoPal. Le autorità di occupazione israeliane hanno deciso di rilasciare Ayman Hamdan, il prigioniero palestinese in sciopero della fame da 130 giorni consecutivi.

Hamdan, di Betlemme, sud della Cisgiordania, uscirà il prossimo dicembre, dopo aver scontato l’ultima detenzione amministrativa emessa nei suoi confronti.

In un comunicato stampa diramato mercoledì 4 settembre, il Centro al-Ahrar per gli studi sui detenuti e i diritti umani ha reso noto che Ayman Hamdan, in sciopero della fame Continue reading


Israele approva i negoziati e la liberazione di detenuti palestinesi

cordatesaIl governo israeliano ha approvato la scarcerazione di oltre 100 prigionieri palestinesi. Questa misura è stata presa nell’ambito degli sforzi per rilanciare il processo di pace tra Israele ed i palestinesi.
Secondo i media israeliani, la decisione è stata presa dopo un acceso dibattito. 13 ministri hanno votato a favore della liberazione, mentre 7 contro.
I prigionieri palestinesi saranno liberati gradualmente dopo l’inizio dei colloqui Continue reading


Samer Issawi sarà liberato, stop sciopero fame

samer-issawiGerusalemme, 23 aprile 2013, Nena News – Samer Issawi ha interrotto o starebbe per interrompere lo sciopero della fame che ha portato avanti in carcere per oltre otto mesi dopo un accordo raggiunto dal suo avvocato con le autorità israeliane che prevede il suo rilascio a Gerusalemme in breve tempo. La notizia è stata confermata dalla sorella Shirin. Issawi, ormai in fin di vita in ospedale, nei giorni scorsi aveva rifiutato di essere liberato «all’estero», ossia di essere deportato in un altro paese.

Si attendono di conoscere i termini dell’accordo. Secondo alcune fonti il detenuto sarà liberato tra otto mesi dopo aver scontato una condanna per aver violato i termini della sua precedente scarcerazione (avvenuta nell’autunno del 2011) che lo obbligavano a non uscire da Gerusalemme. Secondo altre fonti, Continue reading


Territori palestinesi: in tre mesi un migliaio di persone nelle carceri israeliane

images (5)Dall’inizio del 2013 le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 1.070 cittadini palestinesi, un aumento dell’8,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

È quanto emerge dall’ultimo rapporto del Dipartimento palestinese dei prigionieri di guerra, riportato ieri dall’agenzia di notizie palestinese Ma’an, secondo il quale dal 1967 le autorità israeliane hanno effettuato più di 800.000 arresti di palestinesi, ovvero il 20% del numero totale di palestinesi oggi residenti nei .

Su 78.000 casi di detenzioni registrate dalla  (nota anche come rivolta di , scoppiata il 28 settembre del 2000), sono stati arrestati quasi 950 donne, circa 9.000 minori, più di Continue reading


Muore detenuto palestinese, Hamas evoca Intifada

Thousands of Palestinians attend rare Fatah rally in Hamas-run Gaza(ANSAmed) – TEL AVIV/RAMALLAH, 02 APR – Hamas evoca una “nuova Intifada” dopo la morte di Maysara Abu Hamadiya (64 anni), un palestinese condannato all’ergastolo nel 2002 per aver partecipato all’organizzazione di un attentato suicida a Gerusalemme, sventato. La notizia del decesso ha scatenato disordini nei Territori e nelle carceri israeliane.

Affetto da un tumore alla gola, Abu Hamadiya è spirato oggi in un ospedale di Beer Sheva (Neghev), dove era stato ricoverato due giorni fa per un aggravamento della sue condizioni. Immediata la condanna del presidente palestinese Abu Mazen secondo cui Israele va considerato responsabile della sua morte. La gravità della malattia di Abu Hamadiya, ha aggiunto il ministro per i detenuti Issa Karake, era nota da mesi ma è stata “trascurata”. “Israele si è macchiato di un crimine orrendo”, ha aggiunto Karake, secondo cui questa morte – la seconda in due mesi di un palestinese detenuto in Israele – deve essere oggetto di indagini internazionali.

Anche sulla affiliazione politica di Abu Hamadiya la versione israeliana differisce da quella palestinese. A Hebron (Cisgiordania) era noto come una figura di spicco di al-Fatah. Ma secondo Israele negli ultimi anni aveva stretto legami con Hamas.

E da Gaza, Hamas ha espresso cordoglio per la sua morte e ha invocato una nuova intifada nei Territori. Subito dopo la sua morte, incidenti si sono verificati in diversi penitenziari di Israele. In Cisgiordania gravi disordini sono stati segnalati a Hebron (dove dimostranti hanno lanciato bottiglie incendiarie contro soldati israeliani) e a Nablus. Domani nei Territori sarà osservata una giornata di lutto.


Quattro palestinesi del’48 entrano nel loro 28° anno consecutivo di carcere

n762789514_986290_1173Ramallah-InfoPal. Quattro prigionieri palestinesi dai territori del’48 sono entrati nel loro ventottesimo anno consecutivo di detenzione nelle carceri israeliane.

In un comunicato stampa diramato lunedì 25 marzo, il Centro studi Asra Filastin (Prigionieri della Palestina) ha reso noto che Rushdi e Ibrahim Nayef Abu Mukh, 53 e 52 anni, Walid Nimr Daqqa, 53 anni e Ibrahim Abdel Razek Baiadsa, 52 anni, hanno concluso il loro 27° anno di detenzione nelle carceri israeliane. I quattro detenuti in questione furono arrestati nel marzo del 1986, e condannati all’ergastolo con l’accusa di appartenere al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), e per il rapimento di un soldato israeliano, ucciso durante l’operazione.

Nel comunicato, il centro ha sottolineato che le autorità di occupazione hanno rifiutato di includere i quattro detenuti nell’accordo di scambio di prigionieri, concluso con il movimento di resistenza islamico, Hamas, nel 2011, in quanto possessori di carte d’identità blu (carta d’identità israeliana concessa ai palestinesi del’48).

Nello stesso contesto, i due detenuti di Gerusalemme, Raja al-Haddad, 35 anni, e Ayman al-Sharbati 46, sono entrati nel loro 16° anno consecutivo di detenzione nelle prigioni dell’occupazione.

Fonte


Israele: morto un secondo detenuto palestinese in carcere israeliano in Cisgiordania

palestinaUn secondo detenuto palestinese è morto ieri in un carcere israeliano in Cisgiordania. Ne dà notizia il sito di al Arabiya, aggiungendo che l’Anp ha lanciato una inchiesta su questo nuovo decesso. Secondo la famiglia, citata dall’emittente araba, Ayman Abu Sufian, 40 anni, era diabetico e prima di morire aveva la pressione alta. Abu Sufian era stato arrestato mercoledì dalle autorità israeliane. Il 23 febbraio era morto in un carcere israeliano un altro detenuto palestinese, Arafat Jaradat, 30 anni. Le cause del decesso, che ha innescato violente proteste in tutta la Cisgiordania, non sono state ancora accertate, ma anche per il Presidente palestinese Abu Mazen l’uomo è stato torturato. Migliaia di palestinesi manifestano in Cisgiordania da settimane per esprimere la loro solidarietà ad almeno 11 loro concittadini detenuti da Israele, da tempo in sciopero della fame per protestare contro la politica di detenzione di Israele.

Fonte TM News


In carcere senza motivo, cronaca di quotidiani soprusi israeliani

Cinque giorni di carcere, senza poter bere per quasi 48 ore, senza la possibilità di contattare le autorità competenti o i familiari e in condizioni igieniche pessime.
È stato questo in sintesi il viaggio in Israele di Francesco, un ragazzo 30 anni, che il 28 gennaio scorso era partito alla volta di Tel Aviv per quella che avrebbe dovuto essere una vacanza di una decina di giorni in Terra Santa e che si è invece tramutata in una detenzione forzata, per la quale ancora oggi non sono state fornite motivazioni ufficiali.
“Già da Roma i controlli sono stati eccessivi – racconta a Rinascita Francesco, partito dal terminal 5 dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino – un piccolo interrogatorio viene fatto già alla partenza da agenti israeliani, che successivamente separano i propri concittadini dai semplici viaggiatori ebrei e dalle altre persone in partenza, attribuendo loro un diverso livello di sicurezza”.
Urlo_Mod_by_ClaMzeroSi tratta di un valore che va da 0 a 6, in base al rischio che ogni passeggero potrebbe rappresentare per la sicurezza del Paese e che viene segnalato applicando una targhetta adesiva scritta in ebraico su ogni passaporto. Dopo questa prima fase il turista italiano passa per la perquisizione e il controllo dei bagagli a mano, che gli saranno restituiti dopo oltre due ore di attesa. Francesco viene quindi accompagnato all’interno dell’area duty free dello scalo romano ed è qui che scopre che gli agenti hanno deciso di separare lui, una ragazza e due giovani palestinesi dal resto dei viaggiatori, e che a loro è stata affibbiata una scorta che li seguirà perfino in bagno fino al momento dell’imbarco.
“Hanno fatto prima riempire l’aereo e poi hanno fatto salire noi per non farci avere contatti con gli altri passeggeri”, prosegue il ragazzo, precisando però che durante il volo il trattamento riservato loro è stato assolutamente normale.
Giunti a Tel Aviv i quattro vengono nuovamente separati dagli altri, poiché le procedure di controllo dei viaggiatori ai quali è stato assegnato un punteggio superiore a 3 sono ben diverse da quelle degli altri. Francesco viene quindi privato nuovamente dei suoi bagagli a mano, fatto spogliare e i suoi vestiti passati ai raggi x.
“E fin qui rientra tutto nella normalità – spiega il giovane turista – circa il 25 per cento delle persone che si recano in Israele subiscono questa trafila. Un gruppo di 40 persone provenienti dalla Turchia per un giro religioso, è stato obbligato a restare un paio d’ore in sala d’attesa per approfondire i controlli”. Attesa che per Francesco è durata più di otto ore, nel corso delle quali è stato interrogato a più riprese dagli agenti della sicurezza dell’aeroporto Ben Gurion.
“Il colloquio verte inizialmente sulle generalità, sul tipo di lavoro che si fa e cose simili. Poi si entra invece nel merito del viaggio, mi hanno chiesto il perché fossi lì, se avessi prenotato alberghi, se avessi con me appunti, computer, videocamera o macchina fotografica e se conoscessi qualche palestinese”, racconta ancora il ragazzo, precisando che l’agente ha insistito molto su quest’ultimo punto. Sebbene a farlo innervosire sia stato il non aver né un posto prenotato per il pernotto, né annotazioni sulle aree da visitare, né il computer e neppure una scheda di memoria per la macchina digitale. Ma Francesco è abituato a viaggiare senza prefissare date precise per i suoi spostamenti, facendosi consigliare di volta in volta dove alloggiare e sa inoltre bene che le autorità aeroportuali israeliane sono solite copiare i dati contenuti nei dispositivi elettronici, motivo per quale aveva scelto di acquistare direttamente sul posto una nuova memory card. È a questo punto che il militare inizia a fargli domande sui suoi recenti viaggi nei Paesi arabi e in particolare in Libano, dove si è recato per lavoro, chiedendogli dove avesse alloggiato. Francesco risponde senza problemi, ma l’impossibilità per l’agente doganale di verificare la veridicità delle sue risposte, visto anche che il giovane per scelta non possiede uno smartphone con il quale tracciare i suoi ultimi spostamenti, lo fa innervosire.
“A quel punto mi ha chiesto l’indirizzo e il telefono di casa mia e di quella dei miei genitori e ha iniziato a ripetermi più volte domande fatte in precedenza, per farmi cadere in contraddizione, ma senza riuscirci”, aggiunge Francesco, che rivela di essere stato costretto nuovamente a spogliarsi e a subire altri controlli. Il tutto senza la possibilità di bere o di poter contattare qualcuno, dalla famiglia, all’ambasciata italiana a Tel Aviv.
“A mezzanotte e mezza vengo infine informato che il mio visto è stato rifiutato e vengo quindi portato in un altro ufficio per essere schedato – ci dice ancora – mi vengono prese le impronte e fatta una foto. Una procedura standard che subiscono tutti i rifiutati, ai quali non sarà permesso di tornare in Israele per 10 anni successivi al rifiuto”.
Francesco viene quindi accompagnato in un edificio esterno all’aeroporto che gli agenti chiamano Asility, una struttura di accoglienza momentanea in attesa del rimpatrio, che lui non esita a definire “una prigione, al pari di quelle del Burkina Faso e Burundi”.
“Una volta sequestratomi il bagaglio a mano e il cellulare mi portano al primo piano dove ci sono le celle e mi mettono dentro. Chiudono la porta blindata che ha solo un piccolo vetro che permette di vedere fuori, e mi ritrovo in una stanza di 5 metri per 6 che conteneva: tre letti a castello e un bagno, con solo il water e un lavabo dal quale usciva acqua non potabile”, rivela Francesco, che parla di condizioni igieniche pessime.
“All’interno – prosegue trentenne italiano – c’erano un ragazzo sudafricano in evidente stato di depressione e un sessantenne svedese che si lisciava la barba e parlava da solo fissando il muro. Ogni tanto quest’ultimo bussava alla porta e chiedeva acqua, le guardie dicevano sempre di sì ma non portavano nulla”. Solo dopo 48 ore di prigionia i militari si sono degnati di portare una brocca d’acqua, neppure la necessità di predere alcuni medicinali da parte di Francesco riesce a smuovere i carcerieri, sebbene almeno i pasti venissero serviti con regolarità. Alla fine del secondo giorno arriva però la telefonata della speranza del console italiano, avvisato dai familiari e dagli amici di Francesco preoccupati per il suo inspiegabile silenzio. Il diplomatico si mostra sorpreso e infuriato dall’atteggiamento delle autorità aeroportuali e si premura che Francesco abbia tutto il necessario, nonostante non possa aiutarlo a ripartire prima del volo fissato dagli agenti israeliani per il primo febbraio. “Quando sei in un posto così anche una telefonata di dieci minuti con una persona che ti parla in un certo modo e si mette a tua disposizione, ti rincuora – spiega il giovane turista – Per di più la chiamata del console in persona ha stupito le guardie della struttura essendo una procedura anomala”.
“In cinque giorni non ho preso nemmeno 10 minuti d’aria e ho perso la cognizione del tempo a causa dei fari fissati sul soffitto della cella che rimanevano sempre accesi, giorno e notte. Non mi son potuto lavare o cambiare, per bere ho detto che dovevo prendere medicine ma se ne fregavano”, rivela ancora Francesco, che sottolinea come nei suoi confronti e in quelli degli altri detenuti non sia stata fatta non violenza fisica, ma una terribile violenza psicologica, facendolo sentire “trattato come un terrorista”.
La cosa più triste di tutta questa vicenda, però, è la scelta forzata di Francesco di non presentare nessuna protesta formale al suo rientro in Italia, conscio del fatto che tanto non servirebbe a nulla, poiché, afferma: “Tutte le autorità del mondo sanno di queste procedure eppure nessuno fa niente, se ne fregano”. Quello riservato al trentenne italiano è infatti un destino che molti subiscono in silenzio ogni giorno e che rappresenta una violazione della dignità umana, poiché si viene sbattuti in carcere per aver, di fatto, solo osato chiedere il visto d’ingresso in Israele.
E, infine, come se tutto questo non bastasse, Francesco ha scoperto solo al suo ritorno in Italia che il bagaglio imbarcato era partito ben 24 ore dopo di lui per Tel Aviv a causa dei controlli. Bagaglio che ha ricevuto, poi, solo dopo due settimane dal suo rientro in Italia, con tutti i disagi del caso.

Fonte


Dati ufficiali: 203 detenuti palestinesi morti nelle carceri israeliane

israRamallah-InfoPal. Dati ufficiali palestinesi rivelano che dopo il decesso di Arafat Jaradat, avvenuto sabato 23 febbraio nel carcere israeliano di Megiddo, il numero dei morti tra i detenuti palestinesi è salito a 203.

In un comunicato stampa diramato sabato, il Dipartimento di Statistica nel ministero dei Detenuti palestinesi ha ritenuto la tortura, la più probabile causa del decesso di Arafat Jaradat, in carcere da sei giorni.

Il ministero ha anche richiamato l’attenzione sul fatto che decine di prigionieri sono deceduti pochi giorni, settimane o mesi, dopo il loro rilascio, a causa di malattie contratte durante la loro detenzione.


Condizioni detenuti palestinesi: sciopero della fame a Pentone

resizerDa ieri, a Pentone (Cz), Rosario Citriniti (centro di documentazione sulla Palestina) ha avviato uno sciopero della fame per le condizioni dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane e, in particolare, per lo stato di salute di Samer Issawi. L’iniziativa risponde all’appello di Amnesty International. Una tenda è stata montata a Pentone, paese della presila catanzarese che ospita il centro, nei pressi della chiesa (non è stato possibile sistemarsi nella chiesa stessa).

Il prigioniero palestinese Issawi, scambiato con il caporale israeliano Shalit nell’ottobre 2011, in sciopero della fame da 204 giorni, rischia di morire.

L’iniziativa a Pentone è cominciata ieri perché gli organismi nazionali e/o internazionali prendano provvedimenti per la garanzia dei diritti dei detenuti palestinesi, la scarcerazione dei prigionieri in carcere senza accuse né processi, la salvaguardia dei detenuti in sciopero della fame. Da mesi, infatti, i detenuti palestinesi hanno adottato questa forma di protesta per richiamare l’attenzione sulla loro condizione. Lo sciopero della fame nel centro presilano è stato avviato in risposta agli appelli di Amnesty International, dell’Arcivescovo Atallah Hanna e delle organizzazioni palestinesi.

Le condizioni dei detenuti palestinesi – 4520 detenuti nelle carceri israeliane di cui 10 donne, 164 bambini (16 hanno meno di 21 anni) e 8 parlamentari palestinesi. Dal 67 ad oggi più di 800mila palestinesi sono stati arrestati: il 20 % della popolazione palestinese – il 40% della sola popolazione maschile – è stato in carcere. Ogni anno 700 bambini vengono arrestati. Sono i dati, aggiornati a novembre 2012, presentati da Grazia Careccia, capo dipartimento di Ricerca Legale e Advocacy internazionale Al-Haq-Ramallah, a Padova alla giornata ONU per i diritti del popolo palestinese. Restituiscono il dominio di Israele nei territori occupati della Palestina e l’oppressione subita dai palestinesi.

Arrestati nel cuore della notte, sottoposti a umiliazioni e misure degradanti, tenuti in custodia (quindi «senza che si sappia perché una persona sia in carcere») fino a un anno, i palestinesi vivono assoggettati dal regime militare di Israele e sono sottoposti alle regole di Israele. Che sono, però, diverse per i palestinesi e per gli israeliani. Ad esempio, se un processo per un israeliano dura 9 mesi, per un palestinese si protrae per 18 mesi. Se i palestinesi sono trattenuti senza accuse per interrogatori fino a 90 giorni, gli israeliani lo sono per 64 giorni.

Grazia Careccia, lo scorso dicembre, si è soffermata sulla pratica dell’internamento o – come viene chiamata dagli israeliani – “detenzione amministrativa”: «è un caso di privazione della libertà degli individui molto particolare perché avviene in mancanza di accuse e di un vero e proprio processo – ha spiegato – la potenza occupante dice: c’è un pericolo di sicurezza, però questa persona non ha commesso nessun reato, tuttavia l’unico modo che ho per proteggere la mia sicurezza è internare questa persona». Secondo il diritto internazionale, l’internamento è un provvedimento di carattere eccezionale e deve essere limitato nel tempo. Ma Grazia Careccia precisa che Israele ricorre costantemente all’internamento e lo reitera in modo illimitato. Inoltre viola i diritti alla presunzione di innocenza, alla difesa e a un equo processo.

Fonte