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Malawi. Emergenza carceri: 13 mila detenuti a rischio per mancanza di cibo

caimanoPadre Giorgio Gamba, un missionario monfortiano da anni in Malawi in cui si occupa in particolare della dignità dei detenuti, lancia l’allarme sulla condizione in cui versano le carceri del Paese, dove da giorni non arrivano viveri. Notizie sulla situazione – riportate dalla Misna – sono state diffuse anche sui giornali locali. I media hanno ricordato come la società nazionale che gestisce la distribuzione interna dei prodotti agricoli si fosse impegnata per la consegna nelle carceri di settemila sacchi di grano che non sono mai arrivati, mettendo a rischio la sopravvivenza di 13 mila reclusi. Secondo il direttore del sistema carcerario del Paese africano, Kennedy Nkhoma, se le scorte dovessero arrivare, sarebbero appena sufficienti a colmare un deficit legato, da una parte, a una riduzione delle consegne governative, e dall’altra al forte aumento dei prezzi che le derrate hanno registrato sui mercati. In un anno, infatti, le consegne sono diminuite del 57% e contemporaneamente, a causa dei cattivi raccolti, il prezzo di un sacco da 50 kg di grano è passato da 4500 a 10 mila kwacha, più o meno da 9 a 20 euro.


Repressione contro gli anarchici – Madda, Alfredo e Nicola, Anna, Sergio, Stefano e Alessandro

bandiera-nera-Per-BylundAttentato Adinolfi: restano in carcere i due anarchici insurrezionalisti

Genova. Restano in carcere Nicola Gai e Alfredo Coppito, i due anarchici insurrezionalisti accusati dell’attentato all’ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, del 7 maggio scorso a Genova.

La seconda sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato il ricorso della difesa dei due.
Gai e Coppito sono detenuti nel carcere di Sanremo dopo l’arresto avvenuto il 14 settembre dello scorso anno.

 

Repressione – Nuovo 270 bis per Anna Beniamino

AGGIORNAMENTI SU REPRESSIONE – 7 marzo. Mi è stato notificato stamattina, da quattro ceffi di Ros e Digos di Genova, l’ avviso di garanzia per
”270 bis c.p.p. (partecipazione ad una associazione che si propone atti di violenza contro persone, quali Roberto Adinolfi ed istituzioni con finalità di terrorismo ed eversione del’ ordine democratico )” oltre all’ accusa di porto in luogo pubblico o aperto di armi da fuoco (accertato il gennaio 2013 ).
In questo nuovo procedimento siamo indagati Alfredo, Nicola ed io. Contestualmente è stato notificato il sequestro delle armi da fuoco di proprietà del padre di Nicola, regolarmente denunciate e già presenti nel corso delle scorse perquisizioni. L’acrobazia inquisitoria è la seguente: in sede di incidente probatorio su due caschi sequestrati a casa di  Nicola, è stato verificato che erano presenti tracce di polvere da sparo non compatibili con il munizionamento utilizzato nel ferimento Adinolfi, tali tracce presupporrebbero che i caschi fossero utilizzati con altre armi ovvero quelle in disponibilità del padre che verranno ora fatte oggetto di perizia. Traduzione di tutto questo: che le perizie hanno avuto esito negativo, visto che sto continuando ad aggiornare sulla situazione repressiva in corso e a solidarizzare con i compagni in carcere ad Alessandria ed altrove , visto che il procedimento x 280 cp. per Nicola ed Alfredo è in procinto di chiudersi per fine indagini, quindi  dovrebbero finalmente concedermi i colloqui con Alfredo, arriva puntuale  questa ennesima forma di pressione dalla procura genovese. Se il tentativo è quello di spezzare  la solidarietà tra noi sappiano che non ci riusciranno ,ne ora ne mai .Solidarietà ad Alfredo, Nicola   ed a tutti i compagni in carcere, in Italia e ogni dove…

Per l’ anarchia.
Anna Beniamino

per contatti: nidieunimaitres@gmail.com

 

Prigionieri – Sergio, Stefano e Alessandro trasferiti da Alessandria a Ferrara

Sergio, Stefano e Alessandro , per iniziativa della Procura di Milano (seppure la stessa non abbia ancora emesso un mandato di cattura nei confronti di quest’ultimo ),sono stati trasferiti oggi 6 marzo nel carcere di Ferrara. Sembra che il senso sia quello di evitare rapporti tra loro tre e Alfredo e Nicola, detenuti anche loro nella sezione AS2 di Alessandria.

Sergio Maria Stefani,
Stefano Gabriele Fosco,
Alessandro Settepani

C.C. Via Arginone, 327
44122 Ferrara

La competenza per il processo è passata per Stefano, Elisa, Sergio e Giuseppe alla Procura di Milano. Per i primi tre c’è già stato il riesame (per Giuseppe ci sarà a fine mese) che ha dato esito negativo per la loro scarcerazione.
Per Sergio al Tribunale della Libertà di Milano è caduto il punto B dell’ordinanza di custodia cautelare (attentati alla Bocconi e al direttore del Cie di Gradisca) ed è stato introdotto il reato di istigazione a delinquere adducendo come prova gli scritti, i comunicati, le lettere diffuse dal compagno durante la precedente carcerazione per l’operazione Shadow. Ieri c’è stata anche l’udienza per decidere se potrà avere finalmente i colloqui con Katia, cosa per cui è ancora in sciopero della fame.
Per Stefano ed Elisa in sede di riesame è caduto il 280 mentre sono rimasti il 270 e l’istigazione a delinquere. Le motivazioni addotte in sede di riesame per tenerli in carcere riguardano principalmente l’attività del blog Culmine, attraverso il quale gli inquirenti sostengono di aver riscontrato il “contributo ideologico” alla presunta associazione sovversiva, il “superamento dei limiti di comunicazione e conoscenza” oltre a mettere sotto accusa la solidarietà e il supporto ai prigionieri.
Per Paola, Giulia, e Alessandro è arrivata la notifica di chiusura delle indagini per quanto riguarda il 270 avente base in Perugia.
La Cassazione per Alessandro ha stabilito che per entrambe le associazioni la competenza territoriale è della procura di Perugia.
In attesa di ulteriori aggiornamenti.

Cassa di solidarietà Aracnide

 

anarchia3Lettera e aggiornamenti da Madda

Petrusa,19/02/13

Ciao Compà,
scusate il ritardo nel confermarvi l’arrivo del materiale richiesto, è perchè ho finito le buste e solo oggi mi sono arrivate! Beddi, vedete che qui mi stan facendo troppo incazzare. Di ciò che vi avevo richiesto, han lasciato entrare solamente il codice, il mio scritto impaginato e alcuni fogli di giornale, mentre il resto è fermo in direzione, in attesa di una decisione.  Stessa cosa vale per l’opuscolo di OLGA.
A causa del procedimento aperto dal carcere palermitano  (per ciò che è accaduto negli ultimi mesi), ci sono indagini in corso, e ho capito che con questo pretesto han bloccato tutto. Come se bloccare dei libri potesse essere“utile alle indagini”, o “prevenire reati” o garantire la “sicurezza interna”! Ora, io ho fatto richiesta di parlare con chi me li ha bloccati (il direttore) e vediamo… Se a giorni non si presenta mi muoverò in altri modi… Con calma utilizzo le loro fottute formalità (che tanto  so già che mai portano a qualcosa) solo perchè così non possono dire che non ci ho provato… Anche perché in nessun altro carcere mi han mai trattenuto libri (neanche sotto le varie censure) […]
Comunque, oltre a tutto questo, ancora sto in isolamento… Mi han dato altri dieci giorni dopo i quindici accollatami appena finito il 14 bis, per una zuffa con le guardie a Palermo (che ha portato a questo trasferimento. Pensare che avevo sperato che cambiando aria avrei preso un attimo di respiro, e invece…)… Inutile pensare a queste cose in certi luoghi! Qua non la vedo tanto differente da Palermo… Già se inizia così! Ma…
Comunque, il giorno 25 febbraio ho udienza a Trapani e chiederò i domiciliari in Sardegna. Quindi aspetto a vedere che deciderà ‘sto giudice!  […] Ora mi pare di essere nuovamente al 14 bis, non avendo, oltre al fornellino, nemmeno la tv, che per un incidente è da sistemare ( e mi vogliono pure far pagare il danno!). […]
Qua la struttura è piccola, poche detenute (le ho viste solidali però!) il freddo costante come in ogni carcere e il trattamento riservatomi è il medesimo da AS2, con le solite dinamiche interne di minaccia di rapporto. Me ne hanno accollato uno per una stronzata che se ve la racconto non si sa se ridere o piangere!  […]
Ah, in questo carcere non fanno entrare i bolli per corrispondenza, così se volete rigirare questo fatto oltre alla situazione esposta sopra mi fareste un piacere. […]
Chiudo con una forte stretta sempre colma d’odio per chi reprime
e d’amore per la completa Libertà
Madda

Da una successiva lettera, datata il 4 marzo, apprendiamo che si trova attualmente in sciopero della fame. Dopo essere stata trasferita dal Pagliarelli di Palermo al carcere di Petrusa, sta scontando ancora un ciclo di 8 giorni di isolamento, dopo averne già fatti prima 15 e poi in 10 (in tutto ormai un mese!). Due settimane fa ha chiesto di parlare con il direttore, al fine di ricevere chiarimenti circa questo prolungarsi della misura punitiva: vuole accertarsi di non essere ancora in isolamento per fatti già scontati, visto che i procedimenti sono tutti partiti da Palermo. Non avendo ancora ottenuto la possibilità di parlare con il direttore, è entrata in sciopero della fame dal giorno 28 febbraio.

Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali

 


Colpito da arresto cardiocircolatorio, detenuto salvato dagli agenti

sufferAVELLINO – Colpito da arresto cardiocircolatorio, un detenuto del carcere di Bellizzi è stato salvato dalla Polizia Penitenziaria. L’episodio a poche ore dalla violenta aggressione ad una agente. Apprezzamento è stato espresso dal Sappe ai colleghi del reparto «che con il loro tempestivo intervento hanno salvato la vita ad un detenuto, intervenendo immediatamente». Un intervento determinante, che ha consentito al medico e al personale infermieristico del presidio ospedaliero di attivare il defibrillatore e rianimare l’uomo, permettendo al cuore di tornare a battere.

«Nell’istituto è immediatamente giunto il personale del 118 e l’uomo, poco più che quarantenne, è stato condotto all’Ospedale Moscati di Avellino, in pronto soccorso per essere sottoposto ad un delicato intervento al cuore e adesso, seppur le condizioni sono gravi, si trova fuori pericolo di vita».

Donato Capece, segretario generale del Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. «Si è trattato di un gesto eroico, da valorizzare, che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel 2011 e 2012 la Polizia Penitenziaria ha sventato oltre 2.000 tentativi di suicidio di detenuti e impedito che più di 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze».

Fonte


Repressione 15 Ottobre – Davide Rosci trasferito nel carcere di Rieti

indignati-romaApprendiamo la notizia del trasferimento di Davide Rosci nel Carcere di Rieti. Davide, già ai domiciliari per i fatti del 15 Ottobre, è stato condannato in primo grado a 9 anni (diventati 6 per la scelta del rito abbreviato), per devastazione e saccheggio e resistenza e lesioni pluriaggravate a pubblico ufficiale per i fatti del 15 Ottobre.
Il 18 Febbraio era stato prelevato dal posto di lavoro e trasportato nel carcere teramano di Castrogno per una tentata evasione dai domiciliari risalente al 26 Gennaio.

SOLIDARIETA’ A DAVIDE! SOLIDARIETA’ A TUTTI/E GLI/LE INQUISITI/E E CONDANNATI/E DI ROMA!

Per scrivergli:

DAVIDE ROSCI
Casa Circondariale di Rieti.
Via Maestri del Lavoro 2 C
02100 Rieti


Poliziotta picchiata nel penitenziario di Bellizzi Irpino La vittima ha riportato il distacco della retina dell’occhio

franca2‘Nel giorno della festa della donna una poliziotta e’ stata violentemente picchiata in carcere’. A denunciarlo e’ il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che legge con preoccupazione questo episodio, ‘ennesimo sintomo di criticita’ del penitenziario campano’. ‘Nella sezione femminile della Casa Circondariale di Avellino -spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe- ospitante tra l’altro l’unico asilo nido per bambini inferiori ai tre anni del Sud Italia per detenute madri, nel tentativo di sedare una lite tra due detenute, una Agente del Corpo della polizia penitenziaria, poco piu’ che ventenne, e’ stata colpita violentemente allo zigomo sinistro’.’La giovane collega -prosegue Capece- assegnata da poco dalla Scuola di formazione all’istituto irpino, e’ stata trasportata d’urgenza al pronto soccorso, ove le e’ stato diagnosticato il distacco della retina dell’occhio. Ormai le condizioni di vita del personale, dal punto di vista operativo, sono sempre piu’ precarie e critiche anche se da poco il reparto femminile di Avellino e’ stato incrementato’, sottolinea il leader dei baschi azzurri del Sappe.

‘La situazione penitenziaria resta allarmante -rimarca il Sappe- e le risposte dell’Amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole, come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa ed abolisce posti di servizio dei Baschi Azzurri mantenendo pero’ in capo alla Polizia penitenziaria il reato penale della ‘colpa del custode’.
‘Queste frequenti -conclude Capece- e violente aggressioni mettono drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari’.


Carceri: nel 2012 tradotti 358mila detenuti, per un costo di 40 milioni

spreco-di-soldi-pubbliciRoma, 5 mar – «Nel 2012 la polizia penitenziaria ha effettuato 176.836 servizi di traduzione per un totale di 358.304 detenuti tradotti per un costo complessivo che si può prefigurare tra i 40/45 milioni di euro».

Lo dichiara Eugenio SARNO, Segretario Generale della UILPA Penitenziari, che illustra nel dettaglio l’enorme movimentazione di detenuti.

«I detenuti tradotti per motivi di giustizia sono stati 214.980, quelli tradotti per motivi sanitari 82.422, per assegnazione di sede 56.307, per permessi con scorta 4.595. Le traduzioni effettuate in ambito extraregionale sono state 22.309, in ambito regionale 57.024, in ambito locale 97.773. Le traduzioni con autoveicoli 169.308 , quelle per via aerea 4166, per via mare 444, pedonali 2919. I detenuti tradotti classificati comuni o a media sicurezza – prosegue SARNO – sono stati 272.839, quelli classificati ad Alta Sicurezza 76.644, i detenuti tradotti e sottoposti al 41-bis sono stati 1.293, i collaboratori di giustizia o loro familiari 3.647, gli internati 3.876».

Dalla comparazione dei dati emergono aspetti particolarmente inquietanti, sia in relazione alla sicurezza che in relazione ai costi di gestione.

«A regolamento vigente quei circa 360mila detenuti tradotti avrebbero dovuto prevedere un impiego di non meno di 800mila unità di polizia penitenziaria (almeno 2 unità per i comuni, almeno 3 per gli Alta Sicurezza, almeno 4 per i 41-bis) con una media di 2,2 unità per ogni detenuto tradotto. Invece le unità di polizia penitenziaria impiegate in servizi di scorta sono state 554.354 con una media di 1,5 unità di polizia penitenziaria per detenuto tradotto. Va segnalato, però, che tale media (già penalizzante) si riduce notevolmente in alcune realtà territoriali. In Campania (terra di camorra) la media risulta essere di 1,2 unità per detenuto; Nel Lazio 1,3 ; In Calabria (terra di ndrangheta) 1,4. Tra l’altro ci pare poter affermare – sottolinea il Segretario Generale della UILPA Penitenziari – che una adeguata politica di investimenti e di gestione potrebbe abbattere considerevolmente i costi, a partire da un piano carceri che consegua l’obiettivo di abbattere le traduzioni a lungo percorso. Per questo non possiamo non ribadire il nostro convincimento che occorrerebbe prevedere la costruzione di nuove carceri nelle macro-aree di Milano, Napoli, Roma e Palermo. Purtroppo del piano carceri abbiamo perso ogni traccia, anche perché inopinatamente assegnato ad un Commissario Straordinario esterno all’Amministrazione Penitenziaria. Considerato che circa il 60% delle traduzioni viene effettuato per motivi di giustizia sarebbe opportuno prevedere l’implementazione dei servizi di video-conferenza. Servizi, oggi, previsti solo per i 41-bis ( ma non sempre funzionali ed attivi)».

«Analogamente – sottolinea Eugenio SARNO – una qualche considerazione va svolta sull’esorbitante numero di detenuti tradotti per motivi sanitari. Se è vero, come è vero, che circa 71mila detenuti sono stati movimentati per visite ambulatoriali e che in moltissime realtà penitenziarie gli ambulatori (pur attrezzati) sono stati chiusi, forse sarebbe il caso di rivedere tali decisioni ed affermare un modello per cui è lo specialista a recarsi in carcere e non il detenuto ( con conseguente movimento di uomini e mezzi ) a recarsi in strutture esterne replicanti i laboratori già presenti in istituto. In questo quadro desolante ed allarmante è doveroso informare che circa l’85% degli automezzi della Polizia Penitenziaria destinati alle traduzioni è da considerarsi illegale perché privo dei collaudi di affidabilità o perché quei collaudi non sono stati superati. Nonostante ciò i baschi blu continuano ad assicurare, a loro rischio e pericolo, i servizi per garantire il diritto alla difesa ed alla salute dei detenuti. Per questo condividiamo il giudizio del Ministro Severino, che più volte ha definito eroi le donne e gli uomini della polizia penitenziaria. Ma agli eroi, prima o poi – chiosa polemicamente SARNO – devono anche essere assicurati mezzi, strumenti e diritti».


Diaz, carcere o pene alternative per i poliziotti condannati: ad aprile la decisione, ma dalla polizia silenzio sui provvedimenti disciplinari

diaz021Genova. Il Tribunale di Sorveglianza di Genova dal 10 aprile prossimo sarà chiamato a decidere le modalità con le quali i 17 alti funzionari della Polizia di Stato condannati in via definitiva per falso e calunnia nel processo Diaz dovranno scontare la pena (dagli otto mesi all’anno, per effetto dell’indulto che ha cancellato tre anni).

Le alternative teoriche sono la detenzione in carcere, l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare.

La Corte di Cassazione, nella sentenza emessa il 6 luglio scorso, aveva usato espressioni molto dure contro di loro, negando la concessione delle attenuanti generiche e sottolineando “l’assenza di qualunque segno di resipiscenza”, cioè di pentimento rispetto al reato commesso.

Se è vero che essendo i funzionari tutti incensurati sembra piuttosto probabile che la misura prescelta dal Tribunale di sorveglianza sia l’affidamento in prova, una recente decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che ha disposto il carcere per gli agenti condannati per l’omicidio colposo di Federico Aldovrandi (comunque non espulsi dalla Polizia) costituisce un recente precedente che può preoccupare i condannati.

Le udienze (non pubbliche) davanti al Tribunale di Sorveglianza potrebbero essere anche l’occasione per sapere, in assenza di ogni comunicazione da parte del Ministero dell’Interno, se i funzionari condannati sono stati espulsi dalla Polizia o solo sospesi con la possibilità di farvi rientro, come è stato finora per tutti gli altri nove poliziotti condannati in via definitiva in altri processi del G8 di Genova, che hanno conservato il loro posto di lavoro, nonostante la sospensione imposta per via giudiziaria (interdizione temporanea dai pubblici uffici) dalle sentenze di condanna.

Inoltre, per quanto riguarda il processo Diaz gli altri 8 agenti condannati solo per lesioni gravi con pena poi prescritta (tutti appartenenti al disciolto settimo nucleo del I reparto mobile di Roma, quello comandato da Vincenzo Canterini) molto probabilmente non hanno subito né subieranno alcun procedimento disciplinare (facoltativo, in questo caso) e continueranno quindi il loro servizio in Polizia senza alcuna conseguenza per la mattanza di quella notte.

Le parti civili del processo Diaz lamentano la assoluta mancanza di assunzione di responsabilità e di scuse da parte dei condannati. A livello istituzionale c’è stata solo la frase dell’attuale capo della Polizia Antonio Manganelli, dopo la sentenza di Cassazione (“ora è il tempo delle scuse”), bilanciata però dall’espressione di personale solidarietà per i condannati espressa dall’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro. Le parti civili sottolineano anche come tutti i risarcimenti siano stati pagati dal ministero e vi sia la concreta possibilità , vista una legge approvata dal 2010, che non vengano mai richiesti ai condannati.

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Carcere: in dodici ore una tentata evasione e un tentato suicidio

dscf2277_midChe la situazione nelle carceri pugliesi e nazionali stia diventando sempre più preoccupante lo stanno a dimostrare i fatti che si susseguono in maniera impressionante e che svelano un malessere che ormai non è più possibile arginare, se non grazie all’eroico sacrificio della Polizia Penitenziaria lasciata sola dall’Amministrazione penitenziaria prima, e dalla politica poi, a fronteggiare una situazione sempre più drammatica.
Il primo episodio è accaduto verso le ore 14 circa di ieri 6 Marzo durante l’ora d’aria un detenuto straniero di circa 30 anni circa in attesa di giudizio per molestie, ha scavalcato il muro di recinzione dei passeggi per tentare di evadere dal carcere.
Resosi conto di quanto stava accadendo gli agenti di servizio al controllo dei passeggi sono prontamente intervenuti con una scala e sono andati a fermare il detenuto che resosi conto di essere stato scoperto non ha opposto resistenza.
L’atro episodio è accaduto esattamente a dodici ore di distanza verso le ore 2 di questa notte quando, grazie al pronto intervento dell’agente addetto al controllo della sezione è stato evitato un suicidio di un detenuto italiano di circa 40 anni condannato a cinque anni di reclusione per reato vari, il quale aveva tentato di impiccarsi con una corda ricavata da un lenzuolo alla finestra della stanza.
Il SAPPE , sindacato autonomo polizia penitenziaria da tempo sta denunciando, tra l’indifferenza dei vertici del DAP che continuano a giocare alla “vigilanza dinamica” oppure studiano patti di responsabilità con i detenuti dimenticando che il carcere non è un convento di suore di clarisse, che la situazione non è più sopportabile ed è pronta ad esplodere con effetti deflagranti per tutti se non si pongono i dovuti rimedi.
A Foggia per esempio circa 680 detenuti per appena 380 posti disponibili ed una carenza di almeno 50 poliziotti penitenziari, la situazione è preoccupante e si continua a chiedere ai lavoratori della Polizia Penitenziaria che percepiscono stipendi da fame, sacrifici sempre più gravi , mentre nelle ovattate stanze ministeriali dirigenti pagati decine di migliaia di euro pensano a tutt’altro.
Come si diceva prima se la situazione non è esplosa è grazie al coraggio ed all’abnegazione dei poliziotti penitenziari che ultimante proprio a Foggia come in altre carceri, sono stati fatti oggetti di aggressione con gravi ripercussioni sull’incolumità personale.
A questi eroi nascosti che fanno un lavoro oscuro e pericolosissimo il SAPPE esprime il proprio ringraziamento considerato che sono figli ripudiati da un amministrazione penitenziaria ingrata, pronta a punire per il minimo errore ma che si dimentica del sacrificio e della professionalità di migliaia di lavoratori che dovrebbe ringraziare e premiare ogni giorno, per quello che fanno a tutela della legalità e delle istituzioni.

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Pescara, detenuto si suicida in carcere

suicide_imagePESCARA – Ha preso una bomboletta di gas da campeggio e ha deciso di suicidarsi. E’ successo nel carcere di Pescara, dove un detenuto straniero, la scorsa notte, e’ andato in bagno e’ si e’ tolto la vita.

Ad accorgersi dell’accaduto sono stati i compagni di cella che, questa mattina, si sono insospettiti dell’assenza dell’uomo e hanno dato l’allarme.

Il detenuto, stando a quanto si apprende, gia’ in passato aveva tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene.

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Droga e prostituzione, arrestato agente polizia penitenziaria

0701-drug-jail_full_600Droga all’interno del carcere della Novate e prostitute per i detenuti che usufruivano di permessi premio. È stato arrestato al termine di un’indagine condotta dalla polizia municipale un 42enne originario di Torre del Greco, assistente capo della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Piacenza. Con lui sono finite in manette la compagna 50enne ed una terza persona di 45 anni che fungeva da autista per le ragazze. Nei guai anche un medico, che avrebbe ripetutamente fornito certificazioni di false malattie con i quali l’agente giustificava le proprie assenze sul lavoro.

L’indagine, coordinata dalla Procura di Piacenza, è partita nei mesi scorsi a seguito di alcuni controlli sul territorio: sono state alcune prostitute a raccontare di persone che avevano offerto, a loro o ad altre ragazze, la disponibilità di un appartamento in affitto dove consumare rapporti sessuali. Appartamento, nella zona di viale Dante, che si è rivelato essere riconducibile all’assistente capo e della compagna. Proprio lo stesso agente, sfruttando la sua presenza all’interno del carcere, avrebbe organizzato appuntamenti per i detenuti in permesso premio dietro pagamenti di denaro. Almeno cinque le ragazze coinvolte, alle quali venivano chiesti 20 euro per l’affitto dell’appartamento: ad occuparsi del trasporto delle prostitute era un 45enne di San Rocco al Porto, a sua volta arrestato.

A questa attività, secondo quanto emerso, si era affiancato anche un giro di spaccio di stupefacenti all’interno delle Novate, portato avanti con l’aiuto della moglie di un detenuto, fermata durante le indagini e trovata in possesso di 25 grammi di hashish, che consegnava la droga al 42enne per introdurla nella struttura.

Nella vicenda è rimasto coinvolto anche un medico piacentino 50enne, accusato di aver certificato in maniera illecita le ripetute assenze dal lavoro dell’agente. Le visite, hanno spiegato gli inquirenti, non venivano fatte, ma era lo stesso assistente a comunicare alla segreteria del professionista il numero dei giorni da indicare sul certificato. Il medico, che ha ricevuto una misura di interdizione dalla professione della durata di due mesi, è stato denunciato sulla base del cosiddetto “decreto Brunetta” sui dipendenti pubblici, che prevede una pena fino a cinque anni oltre alla radiazione dall’albo.

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Nord Corea: i campi di prigionia si allargano e inglobano i villaggi

koreaI famigerati “campi di prigionia” esistenti in Corea del Nord, dove sono detenuti oltre 200mila prigionieri politici e dissidenti, per motivi di coscienza e anche di religione, si ingrandiscono e vanno a inglobare i villaggi circostanti: è quanto denuncia Amnesty International, dopo l’analisi di nuove immagini satellitari. In un comunicato inviato a Fides, Amnesty rinnova la richiesta alle Nazioni Unite di “istituire una commissione indipendente d’inchiesta sulle gravi, sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani, compresi crimini contro l’umanità, in corso nel Paese”. Nei mesi scorsi l’Ong aveva ricevuto notizie sulla possibile costruzione di un nuovo “Kwanliso” (campo di prigionia politica), adiacente al campo n. 14 di Kaechon, nella provincia di Pyongan Sud. Per questo Amnesty aveva chiesto alla società “DigitalGlobe” di fornire immagini satellitari. L’analisi delle immagini rivela che, dal 2006 al febbraio 2013, la Corea del Nord ha costruito 20 chilometri di perimetro intorno alla valle di Ch’oma-bong (70 km a nordest della capitale Pyongyang) e ai suoi abitanti, con nuovi punti d’accesso controllati e con torri di guardia. Gli analisti hanno anche individuato la costruzione di nuovi edifici che potrebbero essere dormitori per operai, forse collegati all’espansione dell’attività mineraria nella regione. In tal modo il governo “rafforza i controlli sul movimento della popolazione (oltre 100mila persone) che vive nei pressi del campo n. 14, annullando, di fatto, la distinzione tra i detenuti del campo di prigionia e gli abitanti della valle”, nota il comunicato. Amnesty International è “preoccupata per le condizioni di vita della popolazione residente all’interno del nuovo perimetro e per le future intenzioni del governo nordcoreano”. Si stima che oltre 200mila persone, compresi bambini, sono detenute nei campi di prigionia politica e in altri Centri di detenzione della Corea del Nord, sottoposte a violazioni dei diritti umani, come l’obbligo di svolgere lavori pesanti, il diniego del cibo come forma di punizione, la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Molti detenuti non hanno commesso alcun reato, e sono unicamente legati a persone ritenute infedeli al regime, dunque sottoposte a una sorta di “punizione collettiva”.

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Anche in carcere un hacker non si smentisce

Nicholas Webber, sebbene giovanissimo, ha una consolidata e variegata esperienza di criminale informatico. Ed è riuscito a dimostrare le proprie abilità anche in carcere.

hackerNel 2011 Nicholas Webber finisce in galera, condannato a cinque anni di reclusione, per aver realizzato un sito web con cui ha portato a compimento frodi per milioni di euro.

Ma nella prigione HMP Isis, situata nel sud di Londra, i detenuti partecipano a programmi di formazione tecnologica. Ed è toccato anche a Webber. Peccato che il suo curriculum sia ricco di crimini informatici.

In sostanza Webber è riuscito a violare le protezioni del main frame del carcere e a penetrarvi, facendo scattare l’allarme sicurezza durante una lezione.

Il suo insegnante, Michael Fox, è stato allontanato dalla prigione ed è iniziata la procedura di licenziamento per giusta causa davanti al giudice del lavoro di Croydon. Fox ha sempre dichiarato di non essere a conoscenza del background di Webber, che per altro non avrebbe dovuto trovarsi in quella classe.

L’incidente si è verificato ad un anno dall’apertura del carcere. 110 milioni di sterline spese non hanno però impedito il verificarsi di una serie di malfunzionamenti. In primis i problemi al sistema di riconoscimento biometrico dei detenuti. Infatti, ognuno di essi deve lasciare la propria impronta digitale elettronica ad ogni spostamento all’interno della struttura.


Ospedali psichiatrici giudiziari, gli ultimi lager

069_ManicomioVolterra_121-copiaDovrebbero venir chiusi il 31 marzo. Ma mancano le nuove strutture. Un saggio pubblicato in Brasile racconta come superare la realtà degli Opg: giudicare l’imputato e rivedere il concetto di pericolosità. In Italia, alla vigilia della chiusura, siamo ancora indietro.

Non era questione nei programmi elettorali, perché una legge c’è. Ma potrebbe essere questione per il prossimo governo, un prova a proposito di diritti, democrazia, rispetto della costituzione, civiltà. Il tempo a disposizione è breve. Sembra un paradosso la fretta che entra in una istituzione immobile, chiusa attorno a persone che hanno perso ogni diritto, anche quello di contare, cioè misurare, il proprio tempo.
Peggio di un ergastolo: esseri umani a disposizione di un ordine superiore, il magistrato e lo psichiatra, per una attesa che troppe volte si chiude con la morte, naturale o violenta, per suicidio (quarantaquattro suicidi negli ultimi dieci anni) o per sfinimento, talvolta solo per la consapevolezza di essere gli ultimi tra gli ultimi, più a fondo di tutti nel pozzo dei derelitti.
Il 31 marzo scade il termine: come prevede la legge 9/2012 (firmatari Ignazio Marino, Daniele Bosone, Michele Saccomanno), gli Opg, cioè gli ospedali psichiatrici giudiziari, dovranno chiudere, liberare la varia umanità dolente che imprigionano, la varia umanità che dovrebbe trovare altre strade per vivere, cambiare, progredire. Quali strade ancora non si sa.
Una volta gli Opg erano soltanto “manicomi criminali”. Il nuovo nome è una maschera d’ambiguità e d’ipocrisia: “ospedali” fa pensare a una organizzazione sanitaria, “psichiatrici” dovrebbe indicare qualcosa che riguarda malattia e cura, “giudiziario” lascia cedere a una tribunale, a un codice, alle norme.
L’unico tribunale è quello che ha sottratto al “folle reo” anche la possibilità di essere giudicato come ogni altra persona, colpevole o innocente; la psichiatria è debole di per sé e per la debolezza delle strutture e pronta a cedere, per pigrizia o per insipienza, di fronte alla gravità della colpa, all’idea che quella condizione di segregazione sia ineluttabile e tutto sommato la più comoda per la società; l’ospedale è materialmente peggio di un carcere e le sbarre e i chiavistelli semplicemente “custodiscono” l’abbandono.
Sarebbero bastate le poche immagini diffuse dalla televisione, dopo la visita nei nostri manicomi criminali della commissione d’inchiesta guidata da Ignazio Marino, per muovere lo sdegno, suscitare lo scandalo. Dopo la prima riprovazione sembra che tutto si sia spento. Prevale il senso comune di un Paese di poca cultura, che s’indigna a momenti, di fronte a uomini aggrappati alle inferriate di una prigione o stesi legati ad un letto di contenzione, ed è pronto a dimenticare la propria indignazione, quando una diversità qualsiasi minaccia la tranquillità, un paese che sempre considera il matto “delinquente” doppiamente pericoloso, perché è matto e perché delinque.
Pazienza se il reato è un nonnulla, una reazione eccessiva, una collera, un pugno, magari soltanto “ubriachezza molesta”… Il giudizio di infermità mentale, di incapacità ad intendere e volere sottrae il “folle reo” al diritto di un processo, alla considerazione delle responsabilità e delle attenuanti e lo condanna al rischio di “fine pena mai”, a un destino da dimenticati (dalla stessa famiglia).
Succede che uno qualsiasi uccida qualcuno, succede che venga giudicato, che debba scontare una pena, ma che possa godere di patteggiamenti e di sconti di pena e dopo dieci anni possa ritrovare la libertà. Così non accade a un matto, la cui “pericolosità sociale” è un’ipoteca sul futuro, una croce che nessun altro si porta addosso, una sanzione preventiva, una mostruosità.
Un bel saggio, di un criminologo brasiliano, Virgilio de Mattos, analizza con grande chiarezza questi temi (presentandoci anche un’esperienza di superamento del manicomio criminale, nello stato di Minas Gerais).
Scrive de Mattos: “In primo luogo deve essere assicurato il diritto alla responsabilità dell’imputato, essendo inaccettabile ritenere che un soggetto affetto da disagio psichiatrico non debba rispondere dei suoi atti. Non vi deve essere correlazione alcuna tra il disturbo mentale e il reato commesso. In secondo luogo occorre comprendere che il concetto di pericolosità non possiede alcun fondamento scientifico, essendo frutto più di un pregiudizio che di una situazione concreta riferito al futuro comportamento del paziente”.
Una via d’uscita, questo il titolo del libro, pubblicato da Edizioni Alphabeta Verlag nell’Archivio critico della salute mentale, è una storia brasiliana (e molto italiana: basti pensare ai rapporti tra Franco Basaglia e il Brasile, documentati in uno splendido libro, Conferenze brasiliane), che rappresenta una condizione diffusa, universale e realtà diverse, in alcuni casi più crude che in altri, che racconta infine una stessa croce imposta in tutti i manicomi giudiziari del mondo: l’esclusione fino alla sparizione dietro le sbarre, materiali e metaforiche, di chi non riuscirà mai a liberarsi dallo stigma di matto e criminale.
Per de Mattos tutti i cittadini devono essere considerati imputabili e penalmente giudicabili, mantenendo tutte le previste garanzie: un processo cioè che permetta di ricostruire i fatti, la possibilità di un contradditorio e di un’ampia difesa legale. A tutti deve essere inflitta, in caso di responsabilità accertata, una pena secondo i limiti fissati dalla legge, con la possibilità di patteggiamenti, di cambiamento di regime, di libertà condizionata. Se sussiste il disturbo mentale e se si accerta la relazione tra la patologia e il reato, si potranno considerare attenuanti. Si dovrà soprattutto considerare un percorso di cura e poi, scontata la pena, un modo per tornare alla società.
“La magia del diritto penale scrive de Mattos è molto semplice: se c’è una compromissione psichica non esiste reato. Ma ci può essere una sanzione anche se non c’è reato. Basta che la sanzione si travesta da misura di sicurezza. Lo farà per difendere la società e l’autore stesso del reato, affetto dall’incapacità di intendere e di volere”.
In Brasile, come racconta il libro, un’esperienza diversa si è provata. Qui si chiamano in causa sensibilità nuove, attenzione e disponibilità: seguire il malato, accompagnare il folle reo, contro la scappatoia della segregazione. “I dati sono eloquenti: oltre mille malati di mente autori di reato sono stati seguiti in poco più di cinque anni … e la percentuale di recidive è stata prossima allo zero, principalmente per i reati contro la persona”. Con costi, aggiunge il criminologo brasiliano, decisamente inferiore a quelli conseguenti all’internamento.
Alla scadenza del 31 marzo i sei ospedali psichiatrici giudiziari in Italia (Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto) non dovrebbero esistere più. I loro millecinquecento ospiti dovrebbero essere trasferiti in parte in sezioni carcerarie in parte in speciali case di cura (da venti posti letto ciascuna), affidate alle Asl. La legge subirà probabilmente un rinvio: vi sono incertezze nell’interpretazione e le strutture non sono pronte. Ma soprattutto, nella fretta di allestire camerate e infermerie, un’altra volta ci si è dimenticati del “soggetto”, cioè del malato, di quel “pazzo criminale”, tanto pazzo e tanto criminale, che non lo si punisce neppure per il reato che ha commesso, lo si seppellisce per la sua futura pericolosità, per la sua imprevedibilità, per la sua insuperabile cronicità. La sanzione è l’esclusione. Con l’obbligo della cura. Quale cura? Dentro stanzoni lerci, freddi, in condizioni igieniche penose, tra muri cadenti e marci per la muffa, tra poche suppellettili consunte dall’uso e dalla sporcizia, gente solitaria, mai raggiunta da un piano terapeutico o riabilitativo.
Per ora, se va bene, cadranno le mura di Aversa o di Barcellona Pozzo di Gotto o di Montelupo Fiorentino. C’è il rischio che altre mura si alzino, fresche d’intonaci e vernici, senza niente attorno, senza cure e senza diritti per chi è destinato, senza condanne, a viverci dentro.

Fonte: L’unità


Monza: detenuto di 48 anni ritrovato morto in cella, ancora da chiarire i motivi del decesso

morte-in-carcereGiovanni Uccellatore, 48 anni, muore in carcere a Monza. Oggi l’autopsia sulla salma, per accertare le cause del decesso.
All’esame autoptico, dunque, l’ultima parola per accertare cosa ha stroncato la vita di Giovanni Uccellatore, 48 anni, paternese, ritenuto uomo di punta del clan Rapisarda-Morabito, riferimento del clan catanese dei Laudani. Rinchiuso nel carcere di Monza, Uccellatore doveva scontare ancora 14 anni di reclusione inflittigli con l’operazione “Baraonda”, condotta a Paternò dai carabinieri della locale Compagnia nel 2010.
E proprio ieri Uccellatore era atteso a Catania, in Tribunale, dove si sta celebrando il processo d’appello per l’operazione “Baraonda”. Lui, uno dei pezzi storici del clan Rapisarda, già da dieci anni dietro le sbarre, in seguito a una prima sentenza di condanna arrivata dopo l’operazione “Rocca Normanna”. Un lungo passato maturato nell’ambito della criminalità locale, con condanne per associazione mafiosa, estorsioni, e tutta una serie di altri reati.
Secondo la ricostruzione dei fatti, raccontata al legale di Uccellatore, l’avvocato Luigi Cuscunà, l’uomo, sarebbe morto per un infarto. Uccellatore sembra soffrisse di ipertensione grave, tanto che l’avvocato Cuscunà più volte aveva avanzato richiesta di scarcerazione, sempre negata. Per Uccellatore la morte è arrivata domenica notte. Pare che i primi sintomi siano arrivati intorno all’1 circa. Poi l’aggravarsi della situazione alle 3,30, quando è spirato.
Uccellatore è sempre rimasto in carcere, i medici hanno solo avviato contatti con l’ospedale senza mai trasferire concretamente l’uomo. Intanto, come detto, oggi l’autopsia, solo dopo si saprà quando la salma verrà trasferita a Paternò, dove verranno celebrati i funerali.
Intanto, i familiari dell’uomo sono partiti alla volta di Monza. Sul caso è stato aperto un fascicolo. Ascoltato a testimonianza di quanto accaduto quella notte in ospedale anche il detenuto che condivideva la cella con Uccellatore. “Verificheremo se ci sono responsabilità – evidenzia l’avvocato Luigi Cuscunà, se vi sono state negligenze nel trattare il caso, a salvaguardia della salute del detenuto”.

Fonte: La sicilia


Bologna – Aggiornamenti dal CIE

diffondiamo

cie-300x299Dai contatti degli ultimi mesi con alcune persone rinchiuse nel CIE di Bologna (via Mattei) emerge una situazione insopportabile.
Il CIE di Bologna, come quello di Modena, è passato tra agosto ed ottobre dalla gestione della cooperativa ‘La Misericordia’ (Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia) di Daniele Giovanardi (famiglia onorevole e intenzione di guadagnare soldi sulla pelle dei rinchiusi mascherata da misericordiosa vocazione cristiana) all’’Oasi’ (zoppicante cooperativa siciliana, che dalla gestione del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Cassibile chiuso dopo diverse interrogazioni parlamentari, oggi gestisce 3 CIE, quelli di Bologna, di Modena e di Trapani – loc. Milo). Come si è aggiudicata il bando l’Oasi, che da mesi non riesce a pagare gli stipendi a chi lavora per lei nei CIE di Trapani e di Modena? Con un bando al ribasso. Dai 70euro a rinchiuso dati alla Misericordia, si è passati a 28euro con l’Oasi.
Oggi sembra che i CIE non funzionino più: da fonte di guadagno questi lager sono diventati un peso economico difficilmente gestibile. Questo potrebbe spiegare perché, dopo anni che esistono e rinchiudono e torturano persone – colpevoli di non avere le carte che permettano loro di passare o vivere entro determinati confini statali – in un complice silenzio, oggi vengono additati da istituzioni e visitati da associazioni; dopo anni di silenzio menefreghista o di tiepido dispiacere, improvvisamente si riscopre che un CIE è un lager e ci si indigna, ci si commuove, si proclama la necessità di chiuderli.
Il CIE di Bologna è stato visitato nelle ultime settimane da Desi Bruno (garante dei diritti dei detenuti dell’Emilia Romagna), Virginio Merola (sindaco di Bologna), dall’associazione Medici per i Diritti Umani (che ha pubblicato delle foto dell’interno del CIE: http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/02/28/news/qui_peggio_che_stare_in_galera_cos_si_vive_all_interno_del_cie-30612725/ ).
Da dentro ci raccontano che da quest’autunno le condizioni sono peggiorate, anche prima dell’avvento dell’Oasi nella gestione. Il cibo è diventato ancora più scarso e immangiabile, le lenzuola e i vestiti non si riescono a far lavare per settimane, avere delle sigarette è un’impresa. Uno dei rinchiusi raccontava di una malattia alla pelle che lo tormentava, e che preoccupava molto il suo compagno di cella che temeva di essere infettato, ma non veniva mandato in ospedale né visitato seriamente; pochi giorni dopo, in seguito alla visita di Desi Bruno, sui giornali usciva la notizia di 4 casi di scabbia.
Abbiamo notizia di almeno un colloquio con gli avvocati saltato a causa della “mancanza di personale”, secondo quanto detto loro dal personale interno. Un prigioniero raccontava che il suo avvocato d’ufficio si era fatto rivedere solo due giorni prima della scadenza per presentare il ricorso contro il decreto di espulsione dall’italia.

Un paio di settimane fa uno dei rinchiusi si è cucito le labbra. Per tre giorni è rimasto così. Il quarto giorno è stata mandata a parlargli una psicologa mandata da Desi Bruno, che lo ha fatto uscire dal CIE: aveva sette giorni di tempo per rimanere in Italia, prima di essere di nuovo “irregolare”.

Da questo sabato altre due persone si sono cucite le labbra: un uomo e una donna. Hanno tentato di mandarci le foto, ma non ci sono riusciti. Uno di loro ha la febbre alta.


Carcere. Situazione esplosiva nel reparto per malati HIV a Rebibbia

malati-di-aisdROMA – Uno dei quattro reparti  in Italia,dedicato ai detenuti affetti da HIV, e quindi reparto di interesse nazionale, G 14 di Rebibbia N.C., era il fiore all’occhiello del carcere. Pensato per ovviare all’isolamento sanitario dei malati di HIV ha un’infermeria, una cucina, un laboratorio informatico, una cappella e una biblioteca.

Le celle sono sempre aperte e i detenuti partecipano a progetti che facilitano la socializzazione e il lavoro, parte integrante del trattamento come la terapia clinica.

Da qualche tempo, però, la situazione è peggiorata al punto da spingere il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni a denunciare «un clima potenzialmente esplosivo che, fino ad oggi, non è deflagrato per il lavoro svolto dal nostro ufficio,  dai volontari, dai sanitari e dagli agenti di polizia penitenziaria».

Attualmente nel G 14 ci sono 22 persone, tutte malate di HIV. L’età media è fra  i 45 e i 50 anni. Oltre all’HIV, i presenti hanno patologie psichiatriche, l’epatite, cardiopatie e dermatiti.  Buona parte dei detenuti è di difficile gestione – negli ultimi 10 giorni si sono registrati tre casi di autolesionismo – sei sono casi psichiatrici conclamati. In tre sono in sciopero della fame e rifiutano i farmaci per motivi di giustizia (attesa liberazione anticipata, permessi premio, ricoveri in ospedale).

«Molti – ha detto il Garante – sono, per le loro condizioni, incompatibili con il carcere. Il fisico di ognuno è segnato dalle malattie e dalle dipendenze. Ma a costringerli in una cella sono le posizioni giuridiche, le misure alternative revocate, i cumuli di pena, i nuovi reati o, più semplicemente, il fatto di non avere una dimora. Il vissuto determina l’assenza delle famiglie e i problemi economici, con molti detenuti che dipendono dai nostri operatori, dai volontari anche per le più piccole necessità».

Su questa situazione si è abbattuto il taglio indiscriminato della spesa.  Per la prima volta, nel 2013 non saranno finanziate le attività per i tossicodipendenti, rimaste senza copertura economica. Il carcere non  ha più fondi né per la mediazione culturale, né per i progetti del G14, né per quelli delle comunità terapeutiche che operano in carcere. A ciò si aggiunga che la storica direttrice del reparto è stata trasferita al Prap ed è stata sostituita da un’altra persone che, in contemporanea, deve occuparsi anche della struttura protetta dell’ospedale Pertini e del nucleo traduzioni.

«La somma di queste criticità – ha concluso il Garante – ha fatto salire la tensione alle stelle e creato una situazione di emergenza. Di fatto la gestione del reparto è affidata alla polizia penitenziaria, agli infermieri ed agli operatori del trattamento. Ciò che si percepisce è un clima di esasperazione dove è sempre più netta la sensazione di essere stati abbandonati dalle istituzioni, con concreti rischi di recrudescenza e di inasprimento delle condizioni di detenzione. Per evitare l’irreparabile occorre che ciascuna componenti torni a fare il proprio lavoro: gli educatori ed il personale sanitario e di sicurezza devono essere messi in condizione di poter lavorare; la magistratura deve tornare a scegliere ciò che è meglio per ciascun detenuto; occorre che vengano riattivati, anche con l’aiuto delle politiche regionali, percorsi alternativi al carcere; occorre che il territorio e la società civile tornino ad aprirsi. Occorre in sostanza, lavorare tutti insieme per far tornare il reparto il fiore all’occhiello che era»

Fonte


Crotone, si è impiccato in cella il giovane che aveva rapinato il commerciante d’oro

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CROTONE. Si è suicidato nel carcere di
Crotone Pasquale Maccarrone, il
giovane di 27 anni arrestato ieri dalla
polizia con l’accusa di essere uno dei
responsabili della rapina fatta nel giugno
del 2012 in cui restò gravemente ferito il
commerciante d’oro Luciano Colosimo. Maccarrone si è impiccato, utilizzando un lenzuolo che ha legato al letto a castello, nella cella in cui era rinchiuso da solo. Insieme a Maccarrone era stati arrestati, con la stessa accusa, due romeni.

Fonte


Carcere – Sulle motivazioni del trasferimento di Madda ad Agrigento e sua situazione attuale

diffondiamo da informa-azione notizie sulle motivazioni del trasferimento di Madda ad Agrigento e sulla sua situazione attuale:

17443519_militanti-imparino-non-parlare-le-che-accusano-gli-anarchici-0Segue (tardivo) resoconto delle vicende relative al trasferimento di Madda dal carcere “Pagliarelli” di Palermo a quello di Agrigento, da lei comunicate ad alcuni compagni.

Il tutto ha origine il giorno 25 di gennaio. Durante le fasi finali di un colloquio con la sorella, le due si abbracciano, al che la guardia inizia a sbraitare per l’ “evidente” violazione del regolamento.

Alla prima sbirra se ne aggiungono altre due ed insieme cominciano a spintonare Madda durante il tragitto di ritorno. A “placare gli animi” interviene la coordinatrice, che riporta la compagna in cella, e di lì immediatamente in infermeria. Madda si ritrova davanti due medici e una psicologa che cercano di instaurare un “dialogo” ma vengono prontamente liquidati.

Di nuovo riportata in cella, Madda se la vede svuotare dalla poche cose presenti (era allora sottoposta a 14/bis), per poi venire edotta dell’ordine della psicologa di restare nuda (solo slip) a causa del suo stato di presunta “agitazione”.

Al suo ovvio rifiuto segue la solita prassi: dopo aver indossato i guanti, in tre le saltano addosso e partono una scarica di calci e pugni alla testa e alla schiena, oltre a varie tirate di capelli. Dopo poco al pestaggio si aggiunge pure uno sbirro del maschile, che precede l’arrivo di un’intera squadretta. I secondini decidono per l’intervento del medico che dovrebbe somministrare una puntura sedativa a Madda. Scongiurata in qualche modo questa “soluzione, i secondini optano per il riordino della cella e per le manette, con la quale Madda viene caricata sul blindato, destinazione Agrigento.

Le notizie che ci giungono da Agrigento sono queste: a Madda vengono ancora sottoposti alcuni cicli di isolamenti della durata di 10 giorni, le è ancora applicata la censura con conseguente trattenimento di parte della corrispondenza (e dei libri) e non le vengono fatti passare i francobolli.

Per scrivere a Madda:

Maddalena Calore
C. C. “Petrusa”
P.zza P. di Lorenzo 4
92100 Agrigento


Arabia Saudita: domani 7 esecuzioni, condannato lancia ultimo appello a fermare la pena capitale

rszbambini-500x325Un appello a fermare la pena capitale a cui sarà sottoposto domani con altri sei sauditi. È quello lanciato da Nasser al-Qahtani, che è riuscito a parlare con Associated Press grazie a un telefono cellulare trafficato di nascosto nel carcere di Abha General, dove è detenuto. L’uomo è stato arrestato come membro di una rete di 23 persone che hanno partecipato a furti in gioiellerie tra il 2004 e il 2005. Al-Qahtani spiega di aver dovuto confessare sotto tortura e di non aver avuto accesso agli avvocati.
Il principale imputato, Sarhan al-Mashayeh, sarà crocifisso per tre giorni, mentre gli altri saranno uccisi dal plotone di esecuzione. “Non ho ucciso nessuno. Non avevo armi mentre ho compiuto il furto, ma la polizia mi ha torturato, mi ha picchiato e ha minacciato di attaccare mia madre per costringerla a dire che avevo delle armi con me, mentre io avevo solo 15 anni. Non merito la pena di morte”, dichiara il giovane. Gruppi per i diritti umani hanno chiesto alle autorità saudite di fermare le esecuzioni.
Al-Qahtani, che oggi ha 24 anni, sostiene che gran parte della rete di cui faceva parte era composta da minorenni al momento dei furti. Il gruppo è stato arrestato nel 2006. Sette sono stati condannati a morte nel 2009. Sabato re Abdullah ha ratificato la pena e li ha inviati nel carcere di Abha, nella provincia sudoccidentale di Asir. Le autorità hanno fissato domani come giorno per le esecuzioni. Negli otto anni di detenzione, Al-Qahtani ha visto tre volte il giudice, ma quest’ultimo, spiega, non gli ha assegnato un avvocato e non ha ascoltato i suoi racconti, quando diceva di essere stato torturato. “Gli abbiamo mostrato i segni delle torture e dei pestaggi, ma non ci ha ascoltato”, ha continuato il giovane.

Fonte: la presse


Aggiornamenti dal Cie di Torino

diffondiamo

1459_Foto3Il Cie di corso Brunelleschi continua ad essere in buona parte inutilizzabile. Nonostante le notizie diffuse dai giornali, le camerate andate a fuoco durante le rivolte del 22 e 24 febbraio sono tutt’ora inagibili. Due dei cinque arrestati sono stati scarcerati: uno è stato liberato con un foglio di via dall’Italia, l’altro è stato riportato al Cie ed espulso immediatamente.

I reclusi sono ad oggi poco più di 60 (su 180 posti teoricamente disponibili). Dai giorni delle rivolte almeno 20 sono stati espulsi, 6 o 7 rilasciati con un foglio di via e due dovrebbero essere stati trasferiti a Trapani. In nessuna area, negli ultimi 10 giorni, ci sono stati nuovi ingressi.

Da tutte le aree comunicano che da un paio di giorni viene distribuito un riso che “puzza”. Tutti sono sicuri che il pasto sia  condito con una forte dose di tranquillanti e qualcuno ha pensato bene di restituirlo dritto sulla testa dei militari che lo consegnavano…

Ieri un recluso ha trascorso la notte sul tetto dell’area viola per la paura di essere espulso. Qualche giorno fa aveva ingoiato un grosso numero di pile e lamette, ma, nonostante il parere contrario dei medici, era stato riportato al Cie. Sembra che abbia cercato di impiccarsi sul tetto. Questa mattina è stato riportato in ospedale apparentemente in gravi condizioni per gli oggetti ingeriti.

macerie @ Marzo 6, 2013


Carcere – Proposta per la creazione di un bollettino

C_19bc75ac62Sul numero di “Invece” di febbraio 2013 – numero 21, è stata diffusa la seguente una proposta di intervento anticarcerario. 
Per contattare i compagni: invece@autistici.org

Contro il carcere, una proposta

Giorno dopo giorno aumenta il numero delle persone che in questo mondo risultano di troppo. Inutili. Aggravando le pene per alcuni reati già esistenti e creandone di nuovi, lo Stato indica dove queste eccedenze debbano essere stipate, in carcere. Così continua costantemente a crescere il numero dei prigionieri, privati  oltre che della libertà anche del benché minimo spazio vitale, ammassati gli uni sugli altri al di là di ogni limite d’immaginazione.
Purtroppo al peggioramento delle condizioni di detenzione non sta corrispondendo una reazione adeguata da parte dei prigionieri. Trent’anni di pace sociale, fuori come dentro, hanno scavato un solco profondo nella volontà di lottare, nel sentire che è possibile farlo come nella capacità di organizzarsi. Ogni tanto da quotidiani locali o siti specializzati si viene a conoscenza di piccole proteste e mobilitazioni o di atti di ribellione all’interno delle carceri che non riescono però quasi mai a raggiungere un’ampiezza e una radicalità maggiori. Ciò che sta invece scadenzando il tempo con una regolarità agghiacciante sono i suicidi di uomini e donne che non trovano altro modo per dire: “basta!”.
Fuori, le principali voci che di tanto in tanto si levano sono quelle dei pannella di turno o delle varie organizzazioni che denunciano il sovraffollamento nelle carceri italiane. Poco altro si muove. Le lotte  o le azioni condotte da chi ritiene che il carcere vada distrutto e non reso più umano non risultano particolarmente significative e restano per lo più slegate da ciò che avviene dentro. Difficilmente, per sostenere una lotta o un particolare fatto repressivo avvenuto dentro, si riesce a fare qualcosa in più di un presidio.
Presidi che per quanto preziosi, dato che consentono di far sentire la propria solidarietà ai prigionieri in lotta e al contempo ribadire ai carcerieri che chi è dentro non è solo, come uniche o principale armi di una lotta contro il carcere risultano spuntati. Da soli infatti non sono in grado non tanto evidentemente di buttar giù le odiate mura ma neanche di rompere efficacemente quell’isolamento che sbarre e mura producono. E rompere l’isolamento a cui tutti i prigionieri sono condannati è uno degli obiettivi che chi fuori vuole lottare contro il carcere dovrebbe porsi.
Alcuni anni fa, in occasione di uno sciopero della fame contro l’ergastolo portato avanti da ergastolani ed altri prigionieri che avrebbe dovuto protrarsi anche a tempo indeterminato, alcuni compagni diedero vita a “La Bella”, un bollettino che intendeva sostenere questa lotta anche dando voce a chi la conduceva. Pur critici riguardo la scelta dello sciopero della fame e consapevoli che la fine dell’ergastolo non avrebbe risolto il problema della prigionia, diversi compagni sostennero questa lotta considerandola particolarmente importante perché autorganizzata da prigionieri di un po’ tutte le carceri italiane.
L’esser nata in occasione di una mobilitazione così partecipata dentro, garantì a La Bella una diffusione e un’attenzione nelle carceri che normalmente le pubblicazioni di movimento non hanno, dato che spesso i giornali anticarcerari “militanti” risultano magari anche molto interessanti ma vengono percepiti come qualcosa di lontano cui non è possibile per un prigioniero comune partecipare attivamente. La Bella invece, pur nel suo piccolo, fu sin da subito sentita da molti come uno spazio di confronto reale in cui i prigionieri potevano dialogare tra loro, scambiarsi notizie, suggerimenti, critiche e eventualmente proposte. Uno spazio condiviso poi non solo con chi intendeva lottare dentro, ma anche con chi voleva farlo fuori. Così ad esempio, grazie ai contributi tanto dei compagni quanto dei prigionieri, si sviluppò un confronto sull’efficacia delle pratiche da adottare in una lotta che superò la specificità per cui La Bella era nata.
Diversi prigionieri espressero critiche decise nei confronti dello sciopero della fame, ritenuto, oltre che autolesionista, inefficace data la cecità dell’opinione pubblica, proponendo poi altre pratiche come lo sciopero della spesa che consentivano invece di “colpire” le autorità carcerarie laddove può far loro più male, nei profitti.
Oggi sono diverse le mobilitazioni che avvengono in alcune carceri o sezioni per ottenere dei miglioramenti delle condizioni di prigionia. Indipendentemente dalla limitatezza delle loro rivendicazioni queste lotte sono importanti perché la determinazione, la capacità di osare e di organizzarsi non sono elementi fissi, immutabili, ma, dentro come fuori, si modificano anche in base alle esperienze vissute direttamente. Per tutti, compagni compresi, l’unico modo per imparare a lottare è farlo.
Oggi allora un bollettino simile, consentendo a mobilitazioni, proposte, atti di ribellione collettivi o individuali di oltrepassare le mura delle singole carceri oltre che consentire di avere un quadro complessivo più chiaro di cosa si muove oggi nelle carceri italiane, potrebbe favorire lo sviluppo di lotte nelle carceri ridando al contempo slancio e idee agli interventi anticarcerari fuori, facendoci trovare meno impreparati.  A scanso di equivoci questa proposta non rappresenterebbe la soluzione alle mancanze degli attuali interventi anticarcerari, non può da sola colmare i vuoti accumulatisi negli anni per l’incapacità di agire con efficacia, ma rappresenterebbe piuttosto una valida intelaiatura per ripensare e riiniziare un intervento  contro il carcere che sia meno estemporaneo.
Se a differenza de “La Bella” oggi un eventuale bollettino non nascerebbe in occasione di una lotta e quindi la sua diffusione e soprattutto la chiarezza dei suoi intenti richiederebbero, almeno inizialmente, maggiori sforzi ed attenzioni, la sua minor specificità potrebbe del resto favorire un radicamento maggiore nelle varie carceri in cui i compagni hanno già delle corrispondenze attive e un minimo di continuità d’intervento. Anche le giornate di colloqui con i familiari potrebbero essere una buona occasione tanto per diffondere il bollettino quanto per discuterne dei contenuti.
Se questa proposta dovesse incontrare l’interesse di altri compagni o prigionieri, Invece potrebbe ospitare  suggerimenti, critiche ed approfondimenti a riguardo in previsione magari di organizzare un incontro evidentemente autonomo da questo giornale per discuterne apertamente.

i compagni di Invece


Agente aggredito da un detenuto in carcere

121019bestiaUn agente di polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto nel carcere di San Gimignano. Lo rende noto la Cisl-Fns. E’ accaduto stamane intorno alle 10: l’agente è stato preso a pugni in volto da un detenuto bosniaco di 24 anni, con fine pena nel 2013 per reati di rapina.

L’intervento dei colleghi ha evitato conseguenze peggiori. L’agente è stato trasportato con l’ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale di Campostaggia di Poggibonsi.

 L’uomo è stato medicato e dimesso con una prognosi di 10 giorni. Il segretario generale della Cisl-Fns, Giuseppe Sottile “condanna il miserabile atto” di “aggressione brutale nei confronti del poliziotto” e sottolinea come il penitenziario sia “gravemente sovraffollato di detenuti di oltre il 40% della capienza regolamentare, con una presenza quotidiana superiore a 400 unita”.

Detenuto fugge dal centro di recupero

60067049BERNA – Un uomo di 51 anni, che si trovava nel centro di recupero St. Johannsen di Berna, ha fatto perdere le proprie tracce. L’uomo era stato arrestato nel 1998 e ha scontato una pena di 8 anni. Beneficiava della possibilità di svolgere un lavoro all’esterno. Al termine della giornata lavorativa, ha salutato i colleghi e con un “ciao, me ne vado” non è più ritornato presso il centro che lo ospitava. L’accompagnatore che era con lui non è riuscito a trattenerlo. Dopo 15 minuti dalla sua fuga è scattata l’inchiesta.

Stando a quanto ha anticipato il Blick si tratta di René G. Era stato condannato a otto anni di carcere per aver ucciso il figlioletto di 4 mesi. Fra qualche mese avrebbe goduto della libertà totale. Il suo comportamento nel centro di recupero non aveva mai suscitato il dubbio di una sua imminente fuga. La polizia si è già messo alla ricerca dell’evaso, ma non ha fornito indicazioni o foto sull’uomo, tranquillizzando la popolazione locale che non correrebbe alcun pericolo.

Non è la prima volta che qualcuno evade dal centro di recupero di  St. Johannsen di Berna. In passato ci sono state due persone che sono riuscite a fuggire dalla struttura, e sono tuttora uccell di bosco.

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Sparò al direttore di banca Infarto in carcere: è grave

tumblr_m2c8hpAYo91rsdqlco1_1280PADOVA — Ha avuto un malore e si è accasciato nella cella del carcere di Treviso, dove si trova da circa due settimane. Luciano Franceschi, 54enne imprenditore di Borgoricco che l’11 febbraio scorso ha sparato a Pierluigi Gambarotto, direttore del credito cooperativo di Campodarsego, si trova ora in gravi condizioni nell’ospedale Ca’ Foncello. Franceschi, agli arresti per tentato omicidio volontario, è stato sottoposto ad accertamenti e cure e le sue condizioni sarebbero stazionarie. Dal punto di vista giudiziario invece la sua posizione sembra vacillare: è stato infatti depositato il verbale delle dichiarazioni fatte in ospedale dal direttore della banca colpito al ventre, e sembra che le due versioni, quella di Gambarotto e quella di Franceschi, siano discordanti. Il ferito dice infatti di aver discusso inizialmente con Franceschi della rinegoziazione di un fido, sul quale l’imprenditore avrebbe posto delle condizioni inaccettabili dal punto di vista della banca.

Alla risposta negativa del direttore, Franceschi avrebbe cominciato ad agitarsi, e quando Gambarotto si è alzato per accompagnarlo alla porta, il 54enne di Borgoricco avrebbe preso la pistola sparandogli all’addome. L’indagato invece aveva detto che ci sarebbe stata un momento di concitazione, e che non aveva intenzione di sparare al direttore, ma solo di mettergli paura e creare panico in banca, sequestrando tutti per attirare l’attenzione sulla «causa venetista». Relativamente alle dichiarazioni di Gambarotto, c’è da dire che l’uomo è apparso lucido e consapevole nel racconto di quell’incontro, salvo poi svelare qualche difficoltà nel definire nel dettaglio i momenti immediatamente precedenti allo sparo. Probabilmente il trauma subito non consente al direttore della banca di mettere ancora ordine negli attimi prima dei due colpi che gli hanno perforato l’addome. Di certo c’è che secondo la sua versione Franceschi avrebbe alzato la pistola all’improvviso e premuto il grilletto. Gambarotto è ancora in ospedale, ma sta migliorando, la sua vita è rimasta appesa a un filo per una settimana, ha subito un lungo intervento, ma da una decina di giorni circa l’uomo è fuori pericolo. E per un beffardo gioco del destino ora è proprio l’uomo che gli ha sparato ad essere in gravi condizioni in ospedale. Prima di sentirsi male Franceschi ha fatto richiesta di scarcerazione davanti al tribunale del Riesame.

Il documento ai magistrati lo ha scritto di suo pugno e in completa autonomia, all’insaputa anche del legale che lo sta seguendo, l’avvocato penalista padovano Giovanni Lamonica. Si tratta di un altro gesto di dimostrativo contro lo Stato italiano, una presa di posizione che in carcere si è andata rafforzando, stando a quanto diceva qualche giorno fa il fratello Enzo. Sembra infatti che tra i pensieri di Franceschi dall’11 febbraio a oggi i problemi finanziari dei caseificio di Borgoricco siano andati in secondo piano. Quelle ansie che lo avevano preso per aver sforato il fido, che lo preoccupavano dopo la perdita della moglie, sono state travolte dalla volontà di portare avanti la causa del Veneto libero e indipendente rispetto a uno Stato visto solo come un’invasore che chiede tasse senza dare nulla in cambio. L’obiettivo è infatti proseguire, anche dal carcere con la battaglia di carte e burocrazia che lo porteranno, dice lui, fino a Bruxelles. Di certo quello Stato italiano che Franceschi non riconosce dovrà processarlo per quei due colpi sparati contro un direttore di banca che peraltro conosceva da tempo. In ogni caso ora Franceschi dovrà superare l’attacco di cuore che lo ha colpito sabato e che lo vede sul letto di un ospedale, sottoposto a cure che gli stanno salvando la vita, prestate gratis da quello stesso Stato che lui detesta.

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Aggressioni ripetute in carcere ai Poliziotti penitenziari anche a Pavia

Continuano le aggressioni in carcere da parte dei detenuti nei confronti dei Poliziotti penitenziari. Carceri sovraffollate con carenza d’organico di Polizia Penitenziaria.

Witcher BestieAggressioni ad agenti, violenze ripetute: episodi, molto gravi, che sono soltanto uno specchio di una situazione che non è più sostenibile da parte del personale che opera presso il carcere di Vigevano. Di qui viene un allarme carceri che non risparmia nemmeno Pavia. Nei giorni scorsi, per due volte, nella prigione della Lomellina agenti della Polizia Penitenziaria sono stati oggetto di aggressioni che li hanno costretti ad andare all’ospedale. In un primo caso un detenuto ha dato in escandescenze nella propria camera e, una volta all’ora d’aria, si è scagliato contro chiunque incontrasse. Nel secondo, un detenuto insofferente allo stato di detenzione, ha preso per il collo un agente di vigilanza.

Dati altrettanto allarmanti arrivano dal carcere di Pavia, che sta letteralmente scoppiando. Rispetto a una capienza sulla carta di 247 persone, infatti, i detenuti sono quasi il doppio, 488. Inferiore a quanto previsto in pianta organica anche il numero di agenti impegnati che è di 241 persone, a fronte delle 285 ipotizzate. Ma il carcere di Torre del Gallo è destinato ad ampliarsi. A maggio, dopo qualche ritardo a causa di problemi strutturali che hanno fatto slittare l’inaugurazione, si aprirà un nuovo padiglione, il rischio è però che non venga adeguata la pianta organica.

E, come è destinata ad ampliarsi la casa circondariale di Pavia, lo è anche quella di Voghera dove al momento, però, si sta leggermente meglio. A fronte di una capienza di 163 detenuti, si trovano ristretti in 211. Inferiori al previsto pure gli agenti che sono 165 e non 187 come dovrebbe essere.

Fonte; il giorno


La protesta al Cie: «Due persone con le labbra cucite»

Labbra-cuciteBOLOGNA – «Anche oggi al Cie di Bologna ci sono due persone, un uomo e una donna, con le labbra cucite per protesta, contro la propria situazione e contro le condizioni della struttura». Lo rileva la Garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, avvocato Desi Bruno, precisando di aver saputo ieri di queste due persone e di aver accertato che «ancora oggi sono nelle stesse condizioni». Questa protesta autolesionista, cominciata anni fa in carcere, è praticata anche nei Centri di identificazione ed espulsione per immigrati (Cie). La Garante spiega che l’uomo «proviene dal carcere e si chiede come mai si trovi al Cie. La donna l’ha fatto perchè non riesce a comunicare: anche ieri mancava il mediatore arabo»

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L’ingiustizia Minorile

area_pen_internaLa situazione delle carceri minorili in Italia non è esattamente la riproduzione in scala ridotta della sistematica infrazione dei diritti basilari di quelle per adulti, ma non ci si allontana troppo.

La fotografia espressa dall’ultimo bollettino statistico elaborato dal Dipartimento di Giustizia Minorile racconta di un disagio che cresce inesorabilmente. Di fronte a una capienza ormai quasi saturata, il numero di minorenni inviati alle carceri è aumentato quasi del 20% dal 2006. Ma è l’identità dei detenuti il dato che desta più preoccupazione: mentre nel 2006 gli stranieri superavano nettamente gli italiani, ora accade esattamente il contrario. Sui 509 minori che passano le loro giornate negli Istituti Penitenziari, 309 sono italiani. La differenza di nazionalità rappresenta anche una differenza di genere: mentre le italiane minorenni autrici di reato rappresentano l’1% dei loro coetanei maschi, tra i detenuti non italiani la percentuale di donne raggiunge il 15%.

Anche per quanto riguarda le Comunità, centri di accoglienza destinati non esclusivamente ai minori autori di reato, la situazione non è buona. Si è passati da un totale di 463 minori collocati diariamente in queste strutture nel 2006 ai 958 nel 2012. Se questo fosse successo a scapito della misura più dura, il carcere, lo si potrebbe interpretare come un segnale positivo. Ma visto l’aumento descritto di sopra, si può solamente concludere osservando che i minori entrati nel circuito penale sono aumentati drammaticamente. I soggetti presi a carico dagli Uffici Sociali, enti locali del Dipartimento di Giustizia Minorile, sono passati infatti da 15.000 a 20.000. Questi enti devono quindi far fronte a una vera emergenza sociale, che riguarda soprattutto i minori italiani, senza poter attingere da nuove risorse.

Osservando i dati sull’ingresso nel circuito penale scorporati per nazionalità e genere, si nota come tra gli stranieri il numero di ragazze sia stabile da sette anni, mentre quello dei ragazzi sia raddoppiato. Per quanto riguarda gli italiani si osserva il contrario: con un aumento rispettivamente del 75 e del 50%. Confrontando questo dato coi precedenti, si osserva come per le ragazze italiane l’uso del carcere sia una misura residuale, anche perché l’Istituto Penale di Pontremoli, l’unico a servire l’Italia settentrionale, ha solo 16 posti ed è sempre completo.

In definitiva, a fronte di una costante spending review il budget, già risicato, della giustizia minorile non permette di far fronte a tutte le spese sostenute dalle Comunità (il tipo di centro più utilizzato) per l’alloggio dei minorenni autori di reato. Questo mentre le situazioni di povertà e di devianza sociale aumentano costantemente, con una crescita sistematica delle infrazioni più gravi da parte degli italiani e un conseguente aumento dell’uso delle carceri. Di questo passo, il traguardo del sovraffollamento sarà raggiunto anche per quanto riguarda i minorenni.

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Terni, Detenuti in sciopero della fame, situazione invivibile

Dal carcere di Terni viene un grido di aiuto: urla negli orecchi di tutti noi.

images (3)I detenuti del carcere di Terni hanno cominciato lo sciopero della fame. Raccogliamo l’appello ad esprimere la vostra solidarietà cliccando “mi piace” o “condividendo” l’appello su facebook per far pressione sulle forze politiche locali che si dicono democratiche affinché intervengano e, da parte dei movimenti, verificare la possibilità di creare una mobilitazione nella vita reale. Entrate in facebook sulla pagina del Comitato No Debito Terni  ( http://www.facebook.com/comitatonodebito.terni ), trovate il post “lettera dal carcere di Terni”.

Qui di seguito una drammatica lettera dal carcere di Terni

“Sono isolato, senza TV, senza coperta di casa e non posso usare altre per allergie e asma, la finestra chiusa a chiave, senza caloriferi, siamo peggio degli animali, avvisati i compagni/e per un presidio, radio Onda Rossa per parlare sempre di Terni e su internet, 15 giorni fa è morto impiccato un ragazzo per come ci fanno vivere.
Sono ancora senza vestiario, non sono al 14 bis ma qui trattano peggio di un lager senza diritti, neanche al passeggio la domenica pazzesco…
Un abbraccio a tutti/e e V.V.B. Maurizio”.

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Un passo verso la libertà

noise_warningOggi, il risveglio in quel di Monza è stato sollevato da una buona notizia.

Il nostro compagno Peppino, agli arresti domiciliari, con tutte le restrizioni, ha ricevuto una delle tante agognate lettere da parte delle guardie, gli è stato tolto il divieto di comunicazione. In attesa della sua completa liberazione per i fatti di Cuneo.

Il processo si terrà il 26 giugno a Cuneo.

Ricordiamo che la nostra lotta contro gli oppressori non si ferma, la solidarietà la porteremo sotto le mura del carcere di SanQuirico questa domenica!

SIAMO TUTTI CON Pè

LIBERO SUBITO

LIBER* TUTT*


Gli stati modificati della/nella reclusione: l’impatto con la detenzione

diffondiamo da Polvere da sparo

images (2)“La soglia del reclusorio è più tagliente del più affilato rasoio. Chi l’attraversa non può evitare uno sfregio la cui rimarginazione non è affatto scontata.
La prima rasoiata isola il neo-recluso dai suoi mondi consueti, lo decontestualizza totalmente e in un lampo lo getta in uno stato di spaesamento radicale. Il noto, il familiare, l’abituale, scompaiono dal suo orizzonte sensoriale ed egli brancola, smarrito, nel vortice d’un risucchio che lo aspira entro un orrido di cui non percepisce altro che i pericoli.

Lo stato di spaesamento trova nella vertigine la sua forma più consueta.
Secondo Daniel Gonin, medico penitenziario e coordinatore di una ricerca condotta nelle carceri francesi per conto del Consiglio di Ricerca del Ministero della Giustizia, almeno “un quarto degli entranti in prigione soffre di vertigini (…). Quando questi malesseri si manifestano in forme spettacolari, per poco non arrivano a far cadere per terra coloro il cui equlibrio è piu’ precario. Tuttavia, anche se in forme meno gravi, condizionano ogni detenuto, costituendo una sorta di mordenzatura sulla quale si fissano progressivamente tutte le modificazioni sensoriali del recluso” [1].
La seconda rasoiata investe il flusso polimorfo degli stimoli ambientali che, improvvisamente, viene disseccato. La riduzione drastica degli stimoli ambientali riduce, in chi la subisce, un grappolo di fenomenologie riconducibili alle transe di ipostimolazione.
Arnold Ludwig nella sua celebre catalogazione degli stati di coscienza osserva che la riduzione delle stimolazioni esterne può essere considerata il dispositivo induttore portante degli stati conseguente alla reclusione [2].
Le persone soggette alla Riduzione degli Stimoli Ambientali accusano, secondo le ricerche, disfunzioni sensoriali, motorie, percettive, cognitive ed emozionali. Ed inoltre, in un estremo tentativo di difesa, esse recuperano memorie cruciali sepolte, che possono favorire un processo di adattamento come pure suscitare ansie aggiuntive le cui radici restano sfuggenti [3].
Stati di allucinazione visiva, auditiva, tattile; del gusto e dell’olfatto; difficolta’ a camminare, scrivere, leggere; distorsioni della percezione del tempo e dello spazio; sconvolgimenti dell’alimentazione, del sonno,della sessualita’ accompagnano chi vive quest’esperienza spesso anche per lunghi periodi dopo la sua fine.
Queste prime manipolazioni collocano a tutti gli effetti le torsioni relazionali esercitate dall’istituzione nell’ordine della tortura;
traducono le pene reclusive inflitte dai giudici in manipolazioni dei sensi e della coscienza le cui implicazioni sono del tutto trascurate da chi le innesca. Come pure trascurate sono pure le reazioni. Prima fra tutte, la morte [4]. Che e’ l’esito, talvolta immediato, di una dissociazione fallita; dell’incapacita’ o del rifiuto di elaborare, nel vortice della vertigine, un Senso qualsivoglia per la propria esistenza nella nuova condizione. D’altra parte, l’elaborazione, sia pur embrionale, di un Senso, se per un verso mette al riparo dalla morte, per un altro spinge una parte di se’ a vestire la divisa del carceriere e con cio’ ad avviare una dinamica penosissima di dissociazione.”

1. D.Gonin, Il corpo incarcerato, Torino 1994, Edizioni Gruppo Abele.
2. A. Ludwig “Alerated states of conscousness”, in Archives of General psychiatry, 26, 1968.
3. Anthony Suraci, Environmental Stmolus Reduction, Rew. Ment. Dis. 138, 1964, 172-180.
4. R.Curcio, S.Petrelli, N.Valentino “Nel bosco di Bistorco”, Roma, 1997, Sensibili alle foglie.

Questo uno stralcio di un testo di Renato Curcio,
per ora come assaggio del materiale che ho voglia di mettere,
perché per smontare il carcere abbiamo bisogno di iniziare a minare quello, anzi quelli, che abbiamo dentro di noi.
Quello che costruiamo, non sempre inconsapevolmente, all’interno dei rapporti nei contesti gruppali,
così come in relazione con le istituzioni che volenti o nolenti siamo costretti ad affrontare nella vita.
Perché per liberarsi dal carcere, dal fine pena mai, e da ogni dispositivo di obbedienza,
eeeeeeeh, c’è da faticà.

Adottate il logo contro l’ergastolo, è un modo per sancire che nei vostri luoghi, fisici o virtuali, non esiste l’aberrazione della reclusione perpetua.