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‘Casa Transilvania’, 108 anni carcere

Processo ad Ancona: 19 imputati racket prostituzione.

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– ANCONA – Centootto anni di reclusione e 138 mila euro di multa complessivi sono stati chiesti dalla procura distrettuale di Ancona nel processo ‘Casa Transilvania’ a carico di 19 imputati di origine romena, accusati a vario titolo di reati che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata a favorire e sfruttare la prostituzione di ragazze connazionali, violazione di domicilio e lesioni personali.

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Droga e prostituzione, arrestato agente polizia penitenziaria

0701-drug-jail_full_600Droga all’interno del carcere della Novate e prostitute per i detenuti che usufruivano di permessi premio. È stato arrestato al termine di un’indagine condotta dalla polizia municipale un 42enne originario di Torre del Greco, assistente capo della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Piacenza. Con lui sono finite in manette la compagna 50enne ed una terza persona di 45 anni che fungeva da autista per le ragazze. Nei guai anche un medico, che avrebbe ripetutamente fornito certificazioni di false malattie con i quali l’agente giustificava le proprie assenze sul lavoro.

L’indagine, coordinata dalla Procura di Piacenza, è partita nei mesi scorsi a seguito di alcuni controlli sul territorio: sono state alcune prostitute a raccontare di persone che avevano offerto, a loro o ad altre ragazze, la disponibilità di un appartamento in affitto dove consumare rapporti sessuali. Appartamento, nella zona di viale Dante, che si è rivelato essere riconducibile all’assistente capo e della compagna. Proprio lo stesso agente, sfruttando la sua presenza all’interno del carcere, avrebbe organizzato appuntamenti per i detenuti in permesso premio dietro pagamenti di denaro. Almeno cinque le ragazze coinvolte, alle quali venivano chiesti 20 euro per l’affitto dell’appartamento: ad occuparsi del trasporto delle prostitute era un 45enne di San Rocco al Porto, a sua volta arrestato.

A questa attività, secondo quanto emerso, si era affiancato anche un giro di spaccio di stupefacenti all’interno delle Novate, portato avanti con l’aiuto della moglie di un detenuto, fermata durante le indagini e trovata in possesso di 25 grammi di hashish, che consegnava la droga al 42enne per introdurla nella struttura.

Nella vicenda è rimasto coinvolto anche un medico piacentino 50enne, accusato di aver certificato in maniera illecita le ripetute assenze dal lavoro dell’agente. Le visite, hanno spiegato gli inquirenti, non venivano fatte, ma era lo stesso assistente a comunicare alla segreteria del professionista il numero dei giorni da indicare sul certificato. Il medico, che ha ricevuto una misura di interdizione dalla professione della durata di due mesi, è stato denunciato sulla base del cosiddetto “decreto Brunetta” sui dipendenti pubblici, che prevede una pena fino a cinque anni oltre alla radiazione dall’albo.

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CIE – Prima schiave poi detenute…

schiaveTra le immigrate rinchiuse al Cie di Ponte Galeria (Roma) quattro su cinque sono vittime di tratta. E dopo essere fuggite da criminali che le hanno costrette a prostituirsi, diventano prigioniere della legge Bossi-Fini(23 gennaio 2013)Rita è salita sull’aereo in partenza da Roma Fiumicino con gli occhi gonfi di lacrime. Destinazione Lagos, Nigeria. Trecento chilometri a nord est da Benin City. La città da cui tre anni prima era partita inseguendo il sogno europeo, cadendo nel tranello di false promesse dei trafficanti di essere umani. L’undici gennaio scorso è stata rimpatriata contro la sua volontà. Mettendola in serio pericolo. Rita è una schiava, vittima della tratta. Il suo corpo è una merce a buon mercato. Arrivata con grandi sogni da realizzare e abbandonata al proprio destino sui marciapiedi della fortezza Europa.

Insieme ad altre donne e uomini ha affrontato un viaggio lungo due mesi. Sessanta giorni di pane e acqua. Senza potersi lavare né rinfrescare dopo ore di traversata nel deserto. Ogni giorno un autobus differente. Così fino in Iran. Qui è stata rinchiusa in una casa di transito affollata da altri fantasmi come lei. Poi ancora un pullman l’ha portata al confine tra Iran e Turchia: la frontiera doveva attraversarla a piedi. Infine un ennesimo autobus per raggiungere Smirne, la terza città turca . C’è rimasta otto mesi, trincerata in un’altra baracca di transito, piena di persone che, come lei, erano in attesa di arrivare in Europa. Lei, diretta in Grecia, ci prova in tutti i modi a conquistare le coste dell’isola di Lesbo. Tenta la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta volta. Respinta. Ancora prima di aggrapparsi all’ultima speranza: il barcone delle forze dell’ordine.

Poi arriva il giorno fortunato e la Grecia diventa realtà per Rita. Appena il tempo di poggiare il piede sulla terra promessa e viene arrestata come clandestina. Comincia la trafila di carte e richieste. Ottiene la protezione internazionale e riceve il cedolino del permesso di soggiorno da richiedente asilo. Era salva, pensava. Non le rimaneva che contattare Queen, la sua futura sfruttatrice, che le ha pagato il biglietto fino ad Atene, portandola a casa sua. A quel punto del suo lungo viaggio scopre di aver contratto un debito di 45 mila euro: l’ha costretta con le botte e le minacce a prostituirsi, forzandola a andare in strada tutte le notti, dalle dieci di sera alle cinque di mattina. A Rita non restava che subire. Non poteva rifiutarsi, neanche quando era malata. Una vita impossibile, da cui riesce a divincolarsi. Nonostante la paura della maledizione del rito voodo a cui la madame l’aveva sottoposta, e che tutte le ragazze nigeriane temono più di ogni altra cosa. Convinte che spezzare il patto siglato possa comportare la morte o la follia.

Dopo due mesi di vita negli inferi della prostituzione alla mercè di violenti e malattie, Rita ha avuto il coraggio di fuggire dalla sua aguzzina. E fugge fino in Italia. Arriva a Padova dove le si aprono le porte del Centro di indentificazione ed espulsione. “Appena portata al Cie, siamo state allertata dalla dalla Caritas di Padova, l’hanno incontrata, più e più volte, spiegandole che in Italia esiste l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione che poteva proteggerla”, osserva Francesca De Masi, responsabile dell’associazione Be Free che assiste le donne vittime di tratta all’interno del centro di Ponte Galeria a Roma.

E attacca: “Una volta arrivata a Ponte Galeria, abbiamo steso insieme una denuncia contro la sua sfruttatrice, l’abbiamo portata al Tribunale di Roma, consapevoli, da un lato, che la tratta è un crimine transanzionale, e quindi anche se una ragazza ha subito lo sfruttamento in un altro Paese è comunque vittima di una gravissima violazione dei diritti umani, e deve imprescindibilmente essere tutelata; dall’altro lato, eravamo però conscie della miopia delle nostre Istituzioni, per cui in Italia si contano sulle dita delle mani i giudici, le forze dell’Ordine, le procure, i governi, che pongono attenzione su tale problema, troppo impegnati come sono a perseguire i “clandestini” e a sbatterli nelle gabbie, reali e simboliche, in cui le persone straniere vengono rinchiuse, cancellandone la storia di vita, di sfruttamento,e tutti i traumi subiti”.

di Giovanni Tizian

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