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Nella notte tre detenuti di origine romena sono evasi dal carcere dei Miogni, a Varese, “segando le sbarre della cella e guadagnando la fuga con modalità in corso di accertamento”. Ne ha dato notizia Angelo Urso, segretario nazionale Ulilpa penitenziari. Si tratta di Mikea Victor Sorin, nato nel 1983, detenuto per sfruttamento della prostituzione, condannato definitivamente a due anni con fine pena giugno 2013; Marius Georgie Bunoro, nato nel 1989, imputato in attesa di giudizio per furto aggravato, e Parpalia Daniel nato nel 1984, imputato in attesa di giudizio per furto aggravato.
Secondo le ricostruzione della squadra mobile di Varese i tre uomini, che dormivano nella stessa cella, hanno segato le sbarre della finestra e sono riusciti a calarsi dal muro di cinta utilizzando lenzuola legate. Ad accorgersi dell’evasione sono stati gli agenti della polizia penitenziaria, che nel corso della notte non hanno più visto i tre uomini nella loro cella. La polizia ha allestito dei posti di blocco anche sulle strade che conducono al vicino confine con la Svizzera, nell’ipotesi che i tre evasi possano tentare la fuga all’estero.
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Magrebini minacciano con spranghe i vigilanti e scappano dal Cie di Gradisca
Altri ospiti hanno incendiato un cumulo di materassi nel tentativo di danneggiare tutta la struttura. Situazione sempre più grave e ormai insostenibile nel Centro
Tentata fuga e rivolta al Cie di Gradisca. Ennesima conferma della situazione infernale che si vive nel centro immigrati di Gradisca.
Primo episodio. Secondo fonti della polizia una trentina di trattenuti servendosi delle chiavi, hanno tentato la fuga uscendo dall’ingresso principale e poi dividendosi in tutte le direzioni.
Per cinque magrebini il tentativo è riuscito dopo avere affrontato il personale di vigilanza armati di spranghe.
Secondo episodio. Un gruppo di immigrati ha dato fuoco ai materassi all’interno delle camere nel tentativo, non riuscito, di incendiare la struttura.
La situazione diventa ogni giorno più esplosiva e mette a repentaglio l’incolumità del personale che gestisce il centro-prigione. Anche le forze dell’ordine sono sotto pressione. Così il pronto soccorso dell’ospedale di Gorizia costantemente invaso da immigrati rinchiusi al Cie e che si producono in atti di autolesionismo nel tentativo di scappare.
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E ‘collegato alla prigione costiera (km 19 della strada per Daule) ed è conosciuto come La Roca, può essere considerato un carcere di massima sicurezza, tuttavia, ieri, attorno alle 19:00, diciannove detenuti sono riusciti a fuggire dalla parte posteriore, da informazioni ufficiali.
Né le autorità penitenziarie, né i membri delle Forze Armate e speciali gruppi operativi (GOE) di intervento e di soccorso (GIR), che, hanno fatto parte della ricerca degli evasi, hanno dato informazioni.
Il colonnello William Ramos, capo della operazione di ricerca, ha detto che in effetti i fuggitivi erano 19 e che appartenevano ai gruppi criminali noti come I Choneros, Zambrano, Vernaza e Lopez, considerati altamente pericolosi. Viene anche menzionato Caranqui Oscar, che sta scontando una condanna per narcotraffico.
Sul suo account Twitter, il Ministero della Giustizia ( @ Justicia_Ec ) ha confermato la fuga e che si indaga su quelli appartenenti al gruppo dei Los Choneros, ma ha negato che tra loro c’ era Caranqui.
Durante questa trascrizione di stampa si sa che la zona è stata transennata. Non è stato stabilito per quanto tempo l’operazione di rastrellamento andrà avanti, ma sicuramente fino quando la ricerca all’interno e all’esterno della prigione si sarà dimostrata esauriente.
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Un ragazzo tunisino di 24 anni per scappare dalla polizia del Cie (centro identificazione ed espulsione) di corso Brunelleschi ha tentato un doppio tentativo di fuga, ma è stato bloccato.
Aymen, questo il nome del ragazzo, ha prima ingerito dello shampoo convinto di poter scappare durante la degenza in ospedale, ma una volta arrivato all’ospedale Martini il suo tentativo non è andato a buon fine, la polizia lo ha subito bloccato. Infine, il giovane ha rifiutato le cure mediche e durante il trasporto in ambulanza verso il centro ha tentato nuovamente di scappare sfondando il vetro posteriore del mezzo e colpendo con calci e pugni gli agenti polizia.
Il tunisino è stato quindi arrestato per danneggiamento aggravato e resistenza a pubblico ufficiale.
Solidarietà ad Aymen!
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Il 16 dicembre 2012, cinque persone cercano di evadere dal CIE di Palaiseau [una ventina di km a sud di Parigi, NdT]. In quattro ce la fanno, ma la quinta persona, Ibrahim, resta nelle mani della polizia, che lo pesta. Viene arrestato e due giorni dopo passa in tribunale, accusato di aver tenuto fermo uno sbirro, al fine di rubargli un badge magnetico che ha permesso agli altri di evadere. Viene poi messo in detenzione preventiva a Fleury-Mérogis [prigione che si trova nel sud della regione di Parigi – è la più grande d’Europa, NdT], fino al 18 gennaio 2013, quando viene condannato a due anni di prigione e a versare 1200 euro ai due sbirri che lo hanno denunciato per lesioni. Visto che l’evasione da un CIE non è reato, sbirri e giudici cercano di appioppargli altri capi d’imputazione.
Ibrahim si trova ora detenuto a Fleury-Mérogis. Non ha fatto appello contro la sua condanna. Quando si è isolato, senza avvocato, straniero e non si parla francese, è quasi impossibile capire che si hanno solo dieci giorni per fare appello. Se si è poveri e clandestini, si viene schiacciati ancor di più dalla giustizia.
Da una prigione all’altra, dalla prigione per stranieri alla casa di reclusione, la strada è tracciata, in un senso come nell’altro. Il potere prenderà sempre a pretesto le rivolte, i tentativi di evasione, i rifiuti di imbarcarsi [sugli aerei, per le espulsioni dei clandestini, NdT], per rinchiudere sempre di più i recalcitranti. E, all’inverso, quando si esce di prigione e si è clandestini, nella maggior parte dei casi quello che ci attende sono il CIE e l’espulsione.
Quando si è rinchiusi in un CIE, quando tutti i ricorsi legali sono stati inutili e l’espulsione è imminente, le sole alternative sono l’evasione e la rivolta. Ecco perché casi come questo si ripetono: qualche giorno prima dell’evasione di Palaiseau, tre persone sono fuggite dal CIE di Vincennes, e speriamo che siano sempre liberi. A Marsiglia, nel marzo 2011, alcuni detenuti hanno incendiato la prigione per stranieri del Canet. Da allora, due persone sono in libertà vigilata in attesa del processo, dopo essere passate per la casella prigione preventiva.
Nel caso di Ibrahim come in quello degli accusati dell’incendio di Marsiglia, è importante essere solidali con quelle e quelli che si rivoltano per la propria libertà, siano essi colpevoli od innocenti. Perché finchè ci saranno prigioni, documenti e frontiere, la libertà non resterà che un sogno.
Fuoco a tutte le prigioni!
Libertà per tutte e tutti!
Per non lasciare Ibrahim isolato di fronte alla giustizia, si può scrivergli:
Ibrahim El Louar
écrou n°399815
Bâtiment D4 – MAH de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 Sainte-Geneviève-des-Bois
Gli vengono inviati dei soldi. Se volete contribuire, potete mandare del denaro a Kaliméro – Cassa di solidarietà con gli accusati della guerra sociale in corso.
Se volete mandargli dei vestiti o pacchi, o per ogni contatto, mail: evasionpalaiseau@riseup.net
Informa-azione da non-fides.fr
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Fughe rocambolesche e buchi nei muri: evasioni raddoppiate negli ultimi anni
Negli ultimi tre anni le fughe dagli istituti penitenziari sono più che raddoppiate. Solamente del 2009 i detenuti evasi erano stati nove. Nel 2012 sono stati ventidue. Per lo più uomini ma anche tre minori. In gran parte la fuga avviene dalle strutture penitenziarie (14), ma anche dagli ospedali (4), dal regime di semilibertà (1), dal lavoro esterno (1). Per capirne qualcosa di più abbiamo intervistato Eugenio Sarno, Segretario Generale della UILPA Penitenziari, uno dei principali sindacati degli agenti carcerari.
Quali sono i metodi più frequenti utilizzati per la fuga?
Dalle statistiche il metodo classico di fuga rimane quello con buco o sbarre segate, discesa dal muro di cinta e poi fuga a gambe levate. È però in forte aumento il dato delle evasioni dalle strutture ospedaliere. Nel 2012 sono state il 20% del totale. Nello scorso anno sono state effettuate circa 65 mila traduzioni di detenuti verso reparti ospedalieri, solo 5.800 però si sono trasformate in ricoveri effettivi.
Nei casi di evasione quanto può essere determinate una complicità esterna al carcere?
In genere un’evasione è un evento organizzato e quindi c’è per forza una complicità esterna. Un progetto di evasione parte quasi sempre da un’osservazione da parte dei detenuti dei luoghi in cui sono reclusi. Ad esempio molte volte le evasioni si sono rese possibili per la concomitanza della presenza di cantieri edili che hanno facilitato la fuga. In qualche altro caso, invece, come l’eclatante evasione di Avellino, la fuga è stata facilitata dalla presenza di bidoni e di pedane accatastate proprio in prossimità del muro di cinta. Direi poi che la fatiscenza delle strutture penitenziarie facilita l’opera di “trivellaggio” della mura come è ben dimostrato dai “buchi” del carcere di Avellino, Vallo della Lucania e quello più recente scoperto in tempo aRebibbia. I carcerati utilizzano i ferri delle sbarre delle brande oppure le posate o i coperchi di pentolame che vengono piegati e utilizzati come piccole vanghe o scalpelli. Il segare le sbarre rimane il metodo più frequente per le fughe. Proprio per quanto riguarda le sbarre è evidente che la maggior parte degli istituti, costruiti circa due secoli fa, non hanno quelle con l’anima in acciaio. Pertanto è relativamente semplice, per loro, tagliare quelle in ferro cosiddetto “dolce”.
Perché si riesce ad evadere così frequentemente rispetto agli anni precedenti?
L’aumento delle evasioni è sicuramente da imputare al sovraffollamento delle carceri. Oggi siamo sotto organico di sette mila unità. Basti pensare che nel 2000 con 42 mila detenuti c’era un organico di 40 mila agenti, oggi con 67mila detenuti, e circa 20 carceri nuove, l’organico della polizia è di circa 36.500 mila unità. Ovviamente, al di là dell’abbassamento degli indici di sicurezza, favorisce questa serie di evasioni una promiscuità dei detenuti che impedisce di applicare politiche della sicurezza compatibili con la qualità di vita dei detenuti.
In percentuale, quanti dei detenuti evasi vengono rintracciati e ricondotti in carcere?
Grazie all’attività del nostro Nic, Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, negli ultimi anni è stato possibile riassicurare alla giustizia oltre il 60% degli evasi.
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NUMERI SULLE EVASIONI 2012
Pisa carcere “Don Bosco”: 2
Roma “Regina Coeli”: 2
Milano ICAM: 1 donna
Firenze M. Gozzini:1 in regime di semilibertà
Brescia carcere di Canton Mombello: 1
Bologna Ospedale: 1 minorenne
Palmi carcere: 1
Aosta : Lavoro esterno 1
Carcere di Mamone Lodè :1
Bologna “Istituto penale per minori” : 2 minorenni
Verona – Ospedale: n 1
Foggia– Ospedale: 1
Catania – Ospedale: 1
Avellino carcere di Bellizzi: 4
Solamente nelle prima 4 settimane del 2013 le tentate evasioni sono state 4, tutte dalle carceri mentre quelle riuscite sono state 2 una dall’ IPM di Roma lo scorso 29 gennaio e uno presso la Stazione carabinieri di Parma il 2 febbraio. In totale i carcerati evasi sono già 4 tutti uomini di cui 2 adulti e 2 minori.
Fonte
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Baghdad– E’ di almeno un morto e cinque feriti il bilancio dell’esplosione di un’autobomba davanti all’entrata di un carcere nella zona settentrionale di Baghdad. Lo ha riferito una fonte del ministero dell’Interno iracheno citata dall’agenzia d’informazione ‘Xinhua’. Non e’ chiaro ancora se la deflagrazione ha provocato l’evasione di detenuti dalla prigione.
Fonte: Adnkronos
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Più di venti detenuti sono fuggiti da una prigione nella città brasiliana di Rio de Janeiro attraverso le fogne.
Le autorità carcerarie del penitenziario di Vicente Piragibe hanno dichiarato di aver rimprigionato solo quattro fuggitivi.
Inoltre, essi affermano che nessuno degli altri prigionieri sono risaliti dal sistema fognario.
La polizia sta interrogando le guardie che trattieni 1700 detenuti.
Fonte
Traduzione CordaTesa
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Ma è giallo sulla dinamica della fuga. Per la Questura sarebbero fuggiti durante la notte, tra l’appello delle 3 e quello delle 9 del mattino; mentre per il sindacato della polizia penitenziaria sarebbero fuggiti durante l’orario dei colloqui segando le sbarre
Sono evasi nella notte senza lasciare traccia due detenuti del carcere di massima sicurezza di Parma. Da sabato mattina dall’istituto penitenziario di via Burla mancano all’appello due albanesi di 29 e 35 anni, “due pezzi grossi della criminalità normale, non detenuti nella sezione 41 bis” spiegano dalla Questura, spariti nella notte di venerdì in un lasso di tempo compreso tra le 3 e le 9 del mattino. A quegli orari risalgono infatti le ultime ispezioni in cella degli agenti di polizia penitenziaria. Le generalità dei due evasi non sono state ancora diffuse, ma entrambi hanno gravi precedenti penali, su uno dei due pende anche una condanna per omicidio.
Le ricerche sono scattate dopo l’ultimo appello, impegnate tutte le forze dell’ordine che stanno setacciando il territorio. Da via Burle bocche cucite sul grave episodio, di cui non sono ancora chiare le circostanze. Ancora da chiarire infatti come i due detenuti siano riusciti a scappare evitando i controlli delle guardie carcerarie, che si sono accorte della loro fuga solo dopo molte ore dall’accaduto.
Nello scorrere delle ore, però, le versioni della fuga diventano due. Secondo un comunicato delSappe, il sindacato di polizia penitenziaria. Il segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante ha spiegato che uno dei due stava scontando una condanna per omicidio e avrebbe già tentato in passato un’evasione da un carcere del Nord. Al vaglio degli investigatori c’è anche l’ipotesi, oltre all’allontanamento durante l’orario dei colloqui, che i due possano essersi allontanati dopo aver segato le sbarre della cella.
In una nota il Sappe “sicuramente la scarsa attenzione che negli ultimi tempi si pone alla sicurezzadelle carceri determina episodi di questo tipo”. “Il personale di polizia penitenziaria continua ad essere ridotto – lamenta il Sappe – Al momento mancano 7500 unità a livello nazionale (650 solo in Emilia Romagna), nei prossimi due anni ne perderemo altre 2000 a causa dei tagli alla spesa pubblica, considerato che potremo assumere solo il 35% circa di coloro che andranno in pensione, l’eccessivo sovraffollamento e la tendenza ad allentare le maglie della sicurezza fanno in modo che il carcere diventi sempre meno sicuro”.
Fonte
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E’ successo all’istituto penale di Casal del Marmo. A tentar la fuga due romeni, entrambi arrestati poco dopo. La vittima ha riportato un trauma cranico alla nuca e una profonda ferita al volto
Sono evasi dall’istituto penale minorile di Casal del Marmo dopo aver colpito un educatore alla testa con un martello, ma sono stati bloccati poco dopo dalla polizia penitenziaria con l’aiuto di un carabiniere fuori dal servizio. A tentare la fuga sono stati due giovani romeni, entrambi maggiorenni (negli istituti penali minorili sono presenti detenuti fino a 21 anni di età).
I due sono stati arrestati per evasione e lesioni, ma l’accusa potrebbe aggravarsi per tentato omicidio dopo il referto medico dell’educatore ferito. La vittima ha perso conoscenza per diversi minuti ed è poi rinvenuto nel pronto soccorso dell’ospedale San Filippo Neri. Ha riportato un trauma cranico alla nuca e una profonda ferita al volto, sotto lo zigomo.
I due giovani romeni sono scappati intorno alle 12, mentre erano impegnati all’interno del carcere in un’attività rieducativa: dopo aver ferito alla testa l’educatore con un martello, hanno scavalcato un muro. Gli evasi sono stati bloccati in due diversi momenti nei pressi della stazione Monte Mario, poco distante dal luogo della fuga. Probabilmente, erano intenzionati a salire su un treno. Decisivo ai fini dell’arresto, l’aiuto di un carabiniere in borghese che si trovava sul posto.
Fonte: repubblica.it
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I ribelli siriani hanno liberato più di cento detenuti nel corso di una battaglia contro le truppe del regime in un carcere alla periferia di Idlib, nel nordovest del Paese. Lo ha annunciato l’Osdh, l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Almeno dieci ribelli sono stati uccisi nei combattimenti all’interno del carcere, ha indicato l’Osdh, che si basa su una rete di attivisti e medici per le sue ricostruzioni. “I ribelli sono riusciti a liberare più di cento prigionieri dalla scoppio dei combattimenti, ma non hanno assunto il controllo della prigione”, ha spiegato il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman.
I video pubblicati dagli attivisti hanno mostrato i ribelli all’interno del penitenziario, che si trova all’ingresso ovest della capitale provinciale. La città resta sotto il controllo del regime, mentre la provincia di Idlib è in larga parte nelle mani dell’opposizione. Decine di prigionieri sono state mostrate uscire dal carcere – sotto la protezione dei ribelli – mentre alle loro spalle si avvertivano raffiche di arma da fuoco ed esplosioni. La battaglia in carcere segue una giornata in cui 168 persone – 63 soldati, 60 ribelli e 45 civili – sono state uccise in tutta la Siria.
Fonte: Tm News, 27 gennaio 2013
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MODICA – 28/01/2013 – I poliziotti erano andati a prelevarlo ma l´uomo se l´era filata da una porta secondaria
Fugge da casa, dov’era ai domiciliari, per non farsi trovare dai poliziotti che avevano bussato alla porta per condurlo in una casa di cura e custodia del centro Italia. Adesso si ritrova di nuovo rinchiuso nel carcere di Piano del Gesù a Modica Alta. Quest’ultimo colpo di testa è costato caro al modicano Salvatore Cataldi, 46 anni, di recente finito in manette per aver picchiato un´avvocatessa 40enne a Ragusa dopo che quest’ultima si era rifiutata di difenderlo in un’aula di tribunale. Proprio a seguito di questo episodio, gli agenti si erano presentati ieri mattina al domicilio dell’uomo per notificargli il provvedimento di custodia emesso dal tribunale di Messina, che, come accennato, disponeva il ricovero in un centro specializzato.
Cataldi, invece di aprire ai poliziotti, se l’è filata da una porta secondaria sul retro, di cui gli agenti ignoravano l’esistenza. C’è voluto poco per scoprire la fuga del modicano, che, poche ore dopo, si è convinto a far rientro a casa, dove i poliziotti lo stavano ancora attendendo. A causa di questo ennesimo colpo di testa, però, la destinazione è cambiata: non più la casa di cura, ma la cella del carcere. Salvatore Cataldi non è nuovo ad episodi del genere: oltre a picchiare l’avvocatessa di Ragusa, l’uomo aveva tempo fa danneggiato il portone dello studio di un altro avvocato di Modica, spingendosi addirittura a minacciare un giudice nel corso di un’udienza al tribunale di Ragusa.
Era stato il gip del tribunale modicano a concedere i domiciliari a Cataldi, dopo che questi, nell’interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere sull’episodio delle botte all’avvocatessa.
Fonte
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27gennaio2013 – Circa 30 detenuti del penitenziario Profesor Anníbal Bruno, nella città di Recife,
(Brasile nord-orientale) son riusciti ad evadere dalla prigionia dopo una rivolta,
così riferisce la polizia.
I fatti sono avvenuti questa mattina, quando i prigionieri approfittando delle visite
dei familiari, hanno preso in ostaggio mogli e fidanzate per fuggire dal centro, ubicato
nella zona ovest di Recife.
La polizia militare riferisce che la sommossa ha portato ad un bilancio di 5 detenuti
e di due guardie, feriti da proiettili, e che sedici fuggiaschi sono stati catturati poche
ore dopo nelle vicinanze della prigione.
Qualche testimone riferisce che colpi di arma da fuoco abbiano anche ucciso, ma questo
non è stato ancora confermato dalle autorità.
“I prigionieri hanno approfittato della visita dei familiari per fuggire, la polizia
penitenziaria, per garantire la sicurezza, non ha reagito per evitare che potesse accadere
qualcosa ai parenti dei detenuti, proteggerne la vita ed evitare qualsiasi tipo di scontro”
ha detto ai media il colonnello Romero Ribeiro.
Secondo il funzionario, i prigionieri hanno preso in ostaggio poliziotti, sequestrato
le armi e usato alcuni parenti come scudi, uscendo dalla porta della prigione.
La polizia sta contando i prigionieri all’interno del carcere per sapere con
esattezza quanti evasi ci sono, che secondo i media locali, possono arrivare a 40.
Inoltre i controlli nelle vicinanze del lager sono state intensificate, molti detenuti
sono stati catturati mentre si nascondevano in case della zona.
La prigione rinchiude circa 1400 detenuti, tre volte la sua capacità. Il gruppo degli
evasi riusciti a scampare alla cattura, è formato dai criminali più pericolosi.
Fonte
Traduzione by CordaTesa
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PADOVA, 26 GEN – E’ stata attivata l’Interpol per rintracciare un moldavo condannato per omicidio evaso dal carcere di Padova grazie al primo giorno di permesso concessogli dal giudice di sorveglianza. Il permesso gli era stato concesso il 18 gennaio scorso, ma Sergi Vitale, 28 anni da 6 detenuto a Padova, in carcere non è più rientrato. Condannato a 19 anni, deve scontare una pena che scade nel 2020. Era stato arrestato nel 2004 con altri due connazionali per aver ucciso a colpi d’ascia un romeno. (ANSA).
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Ieri mattina, nel carcere di Uribana, a ovest del Venezuela, è scoppiata una violenta rivolta che è terminata in un bagno di sangue. I detenuti hanno manifestato contro i militari, agenti della Guardia Nazionale e del Gruppo di pronto impiego, inviati per perquisire il carcere in cerca di armi, così ha riferito il Primo Ministro Iris Varela.
Inizialmente, la perquisizione è avvenuta senza problemi, ma dopo che un gruppo di detenuti si è rifiutato di fare come i militari chiedevano sono cominciati i primi spari. Probabilmente, questo ha scaldato gli animi di entrambi e alla fine ci sono stati ben 54 morti, tra detenuti , militari e personale di servizio al carcere, oltre 80 feriti, di cui almeno 30 in modo grave.
Secondo Ruy Medina, direttore dell’ Emergency Central Hospital “Antonio Maria Pineda de Barquisimeto”, i primi 20 detenuti feriti sono arrivati in ambulanza a metà mattinata ed hanno ricevuto le cure necessarie ed alcuni sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. Il direttore dell’Ospedale ha anche aggiunto che molti feriti sono in condizioni delicate. “Alle 08:00 abbiamo avuto una stima provvisoria di quasi 90 feriti, la maggior parte da armi da fuoco, mentre un numero davvero allarmante di almeno 50 morti giaceva in ospedale“.
In breve, il pronto soccorso è stato preso letteralmente d’assalto dai parenti che si sono recati in ospedale per verificare le condizioni di salute dei propri familiari. Medici e infermieri hanno minacciato i parenti ed è intervenuta la polizia.
Poi i familiari hanno circondato il carcere e sono dovute intervenire le autorità per calmare la folla e dare loro spiegazione sulla situazione. Nel pomeriggio alcuni prigionieri sono stati trasferiti in altre carceri e si ritiene che nella confusione un pericoloso prigioniero sia fuggito dall’ospedale. Le forze militari sono rimaste a presidiare il penitenziario fino a tarda notte.
L’operazione è stata ordinata dal Procuratore Generale ed ha avuto inizio alle ore 7.00 di ieri mattina, ma già da giovedì notte, la Guardia Nazionale aveva installato postazioni in prossimità dell’edificio penitenziario. Il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha condannato la violenza e “il comportamento incompetente ed irresponsabile del governo”.
Le carceri Venezuelane sono tristemente famose per il sovraffollamento e la proliferazioni di armi e di droga. Il carcere di Uribana, in particolare, ospita 2.498 uomini e 143 donne.
Fonte
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Il Commissario Generale Gustavo Peña, che da pochi giorni ha preso il posto di José Benítez come Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale calcolava stanotte i danni dopo la violenta rivolta che per 15 ore si è concretizzata da ieri fino le prime ore di stamane. Sempre questa mattina si è appresa la notizia che 6 evasi sono stati ricatturati, anche se non è chiaro il numero reale dei detenuti evasi.
23gennaio2013 – Dopo la violenta rivolta attuata da circa 150 reclusi nel Complesso Penitenziario di Sáenz Peña,
il nuovo Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale, commissario Generale Gustavo Peña il pomeriggio di martedì si è riunito con i suoi agenti riconoscendo che “è una situazione molto delicata, dove sono di pubblico dominio i fatti accaduti. Grazie a Dio oggi tutto è tornato alla normalità”.
A proposito della rivolta commenta:” l’obiettivo è concludere questa situazione critica, che si è venuta a creare e ritornare a cominciare, a sviluppare una pianificazione al riguardo del personale, cercare una convivenza armonica, ascoltando anche le critiche verso le autorità”.
Ristrutturazione
Al seguito dell’assunzione di Peña, verrà effettuata una ristrutturazione su tutti i livelli, in quanto” necessita di un lavoro che implica il coinvolgimento di varie strategie nelle diverse aree, perchè questo è un sistema carcerario, è un tema complesso per cui si ha bisogno di un punto di vista completo. Si deve ricercare la convivenza armonica e il rispetto imprescindibile dei diritti umani garantendo la sicurezza sul lavoro”.
La situazione con gli agenti penitenziari.
Al riguardo della manifestazione di protesta attuata questa mattina dagli agenti del Servizio Penitenziario che compiono servizio al Sáenz Peña, il nuovo direttore manifestò:”Analizzeremo quello che è accaduto con il personale, uno dei punti importanti sarà ascoltarli e sulla base di ciò si risolverà il tutto, quello che noi vogliamo è dialogare con il personale e che loro abbiano le garanzie necessarie per poter lavorare in tranquillità”.
Peña ha segnalato anche che gli agenti in servizio devono essere equipaggiati d’accordo alle esigenze necessarie “non possiamo improvvisare con qualsiasi altro elemento”.
Gravi danni nel penale.
Ancora si stanno calcolando gli ingenti danni effettuati nel Complesso Penitenziario, il nuovo Capo ha riconosciuto che i danni riscontrati dopo la rivolta di Lunedì sono molto ingenti.
“E’ stato bruciato il locale dove i reclusi ricevevano classi, si è bruciata per completo la biblioteca e i computer, si sono distrutti sedie e banchi”. Ha concluso il direttore Peña.
I fuggiaschi sono ancora 7! ne sono stati ripresi, purtroppo 13 su 20
Fonte diariochaco.com
Traduzione Cordatesa
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questo e’ quello che scrivono i pennivendoli
I carabinieri hanno bloccato il tentativo di evasione progettato da due pericolosi malviventi detenuti a Tolmezzo
Una fuga di quelle degne del migliore film d’azione con tanto di elicottero che atterra nel cortile del penitenziario. Fosse andato in porto, il tentativo di evadere diMaurzio Alfieri di 49 anni, detenuto per associazione a delinquere (fa parte di una gang milanese specializzata in rapine) e Valerio Salvatore Crivello di 39 anni, detenuto per vari reati, avrebbe suscitato sicuramente un acceso dibattito sulla sicurezza del carcere di Tolmezzo, considerato tra i più efficienti del Nord. I due e i loro numerosi complici, però, non avevano fatto i conti con la determinazione della Polizia penitenziaria e con la capacità dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale e territoriali, di fare bene il loro mestiere.
I dettagli dell’operazione “Escape” che ha sventato il tentativo sono stati illustrati ogginel corso della conferenza stampa alla quale erano presenti il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Roberto Del Piano, il procuratore capo di TolmezzoGiancarlo Bonocore, il comandante del Ros di Udine capitano Gabriele Passarotto, il commissario Raffaele Barbieri, comandante della Polizia penitenziaria della casa circondariale di Tolmezzo e il capitano Mauro Bonometti, comandante della compagnia carabinieri di Tolmezzo.
La rete è stata tirata dagli investigatori ieri, quando ormai erano chiari modalità e organizzazione del tentativo, ma i carabinieri al caso lavoravano da tempo, dall’agosto del 2012, quando emergono segnale sul fatto che uno degli agenti ha rapporti poco chiari con alcuni detenuti.
La guardia carceraria corrotta, M.E. di Tolmezzo, è stata subito trasferita ad altro istituto con una scusa, per essere sostituita da un carabiniere infiltrato dei Ros che si è finto un agente di polizia penitenziaria pronto a fare “favori”. In due date, il quattro ottobre e il 17 dicembre, Romolo Alfieri, fratello di uno dei detenuti, ha consegnato all’esterno di un locale, poco distante dal casello autostradale di Amaro, quattro coltelli a serramanico e circa un etto di hashish: “Un piccolo tesoro da utilizzare all’interno del carcere – come ha spiegato Bonocore – per tessere alleanze con altri detenuti e consolidare i rapporti ottenendo preziosa collaborazione in vista della fuga”.
Il piano era di noleggiare un elicottero spacciandosi per ricercatori e, una volta partiti dall’eliporto di Tolmezzo, distante in linea d’aria tre chilometri e mezzo, dirottarlo costringendo il pilota ad atterrare verosimilmente dentro uno dei cortili della casa circondariale. “Il messaggio è molto chiaro – ha sottolineato il commissario Barbieri: le mele marce nella Polizia penitenziaria non hanno futuro e chi si sporca le mani non ha futuro”.
L’operazione è riuscita molto bene ed è la dimostrazione di cosa si possa ottenere quando le varie forze di polizia collaborano. Emerge tuttavia il malcelato disappunto del Procuratore per il parziale accoglimento delle richieste di custodia cautelare in carcere, concesse dal Gip solo per Alfieri già detenuto, trasferito a Saluzzo, e per uno degli altri dodici indagati, Cosimo Damiano Alario, che ha fornito la droga, ufficialmente operaio ma ritenuto molto vicino agli ambienti della n’drangheta , mentre per altri due, fra i quali Romolo Alfieri, pure arrestato in flagranza di reato, è stato disposto l’obbligo di dimora.
Desta un certo sconcerto il fatto che Maurizio Alfieri sia diventato una sorta di icona dei movimenti di protesta dopo aver fomentato in carcere varie azioni di protesta, diventando così una sorta di paladino dei diritti dei carcerati, mentre invece si tratta semplicemente di un criminale.
Fonte> ilfriuli.it
Riceviamo e diffondiamo
GRAVE PROVOCAZIONE NEI CONFRONTI DI MAURIZIO ALFIERI
Ritorsioni e rappresaglie nei confronti di Maurizio Alfieri, dal 18 dicembre nella sezione di isolamento del carcere di Saluzzo, continuano da tempo. Ma ora hanno raggiunto un livello tale per cui è davvero fondamentale che la solidarietà nei suoi confronti diventi quel “giubbotto antiproiettile” a cui Maurizio la paragona spesso nelle sue lettere.
Ecco i fatti relativi all’ultimo periodo di carcerazione a Tolmezzo.
Poco prima che Maurizio venisse trasferito, una guardia (dedita a traffici di alcol e fumo con i detenuti) aveva chiesto a un familiare di Maurizio di portare due coltelli e un po’ di fumo nel tale posto alla tale ora per farli entrare in carcere. Il familiare, con molta ingenuità, porta quanto chiesto ma assieme alla guardia trova un… carabiniere in borghese. Dopo il colloquio in carcere, il familiare viene arrestato e, durante l’interrogatorio, il giudice gli parla di un fantomatico piano da parte di Maurizio per evadere con un elicottero assieme ad un altro detenuto. Dopo tre giorni di carcere, al familiare vengono concessi gli arresti domiciliari.
Maurizio, che ha subito scritto al giudice per scagionare il familiare, ammette solo di aver fatto entrare e usato un po’ di fumo (su proposta, da lui ingenuamente accolta, della guardia) e precisa di aver rifiutato le insistenti richieste da parte di quest’ultima (doppiamente infame) di far entrare della cocaina.
Aggiungiamo questo all’episodio di un altro coltello “scoperto” nella cella di Maurizio – e segnalato da un delatore in cambio di qualche “privilegio” – il giorno del suo trasferimento a Saluzzo, e a recenti interessamenti del ROS dei carabinieri nei confronti suoi e di un altro detenuto: il quadro appare tutt’altro che casuale. Chi c’è dietro questa operazione sporca? La direttrice del carcere di Tolmezzo? Il ROS? Qualche Ministero?
Chiunque sia, è evidente il progetto di applicare a Maurizio il 14 bis, che in passato ha già subìto per ben tre volte, o qualcosa di peggio.
Chiunque sia, sappia che Maurizio non è solo.
Ai compagni, alle donne e agli uomini di cuore e di coraggio dimostrarlo nei fatti.
P.S. Anche nel raccontare questa grave provocazione, Maurizio non perde occasione per ringraziare i compagni che hanno organizzato le recenti iniziative solidali a Roma e a Tolmezzo e per salutare quelli rinchiusi in AS2 ad Alessandria.
AGGIORNAMENTO – A quanto pare la macchinazione segnalata da Maurizio si è repentinamente tradotta in un’operazione repressiva guidata dai ROS. In attesa di raccogliere maggiori informazioni e testimonianze, riportiamo quanto diffuso dalle veline di regime sull’ANSA:
TRIESTE, 23 GEN – I carabinieri del Ros stanno eseguendo 4 provvedimenti cautelari, emessi su richiesta della procura della repubblica di Tolmezzo,per tentata evasione, corruzione, traffico di droga e armi. L’operazione, che comprende anche 12 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati in stato di liberta’, in Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte, ha sventato un progetto di evasione spettacolare con uso anche di un elicottero dal carcere di Tolmezzo e un traffico di hashish ed armi.
Solidarieta’ e stima per Maurizio!
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60 carcerati scappano dalla prigione di Jambi alle 3.30 di Sabato. Il guardiano della prigione Budi Privanto dice che sei degli evasi sono stati ricatturati, mentre gli altri 54 sono ancora liberi (notizia riportata da tribunews.com). I prigionieri sono scappati, continua il guardiano, durante la distribuzione del pranzo pomeridiano. Le guardie hanno aperto le porte in tutti i blocchi allo stesso momento (simultaneamente) prima della distribuzione del cibo. I 60 detenuti avevano probabilmente gia’ pianificato le loro evasione e hanno colto l’occasione per scappare immediatamente. I reclusi sono corsi al cancello (privo di sorveglianza) nella parte piu’ a sud della prigione, hanno forzato la porta e velocemente si sono dileguati in una vasta piantagione di olio di palma che si trova di fronte alla prigione. Il signor Budi dice che la fuga e’ stata anche resa possibile dalla mancanza di sorveglianza in quel momento. Infatti, Sabato solo 5 guardie stavano vigilando i 288 prigionieri. ‘Dobbiamo ammettere che ci manca la forza lavoro, e il sabato e’ anche un giorno in cui alcuni di noi non lavorano.
Fonte: thejakartapost.com
Traduzione: De Monik (grazie)
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Uno dei tre albanesi che all’alba di lunedì hanno tentato la fuga dal carcere di San Giovanni di Alghero, lavorava in una officina all’interno della casa di reclusione,
Non è stato difficile per lui procurarsi alcuni seghetti con i quali nella notte tra venerdì e sabato hanno concluso il lavoro di segare le sbarre.
Poi con una corda realizzata unendo diverse lenzuola arrotolate, sono usciti dalla finestra della cella fino al cortile sottostante che si trova a una decina di metri di altezza .
Uno di loro è riuscito a salire sul tetto della direzione del carcere ma in quel momento è stato subito inquadrato dalle telecamere della sala di regia.
Da quell’istante ogni mossa dei tre albanesi è stata controllata. Il sottufficiale di servizio ha allertato gli uomini in turno notturno, tre agenti per 130 detenuti. Dopo un primo tentativo di saltare il muro di via Catalogna , oltre 15 metri, un’impresa a rischio di rompersi l’osso del collo, uno dei tre ha raggiunto il muro di cinta dalla parte di via Vittorio Emanuele, in corrispondenza del del passo carraio, dove l’altezza è inferiore.
Ma proprio sul muro è stato raggiunto da un agente di Polizia Penitenziaria che gli ha puntato la pistola d’ordinanza. L’albanese, e gli altri due compagni di fuga, hanno a quel punto capito che l’evasione era fallita.
Nel frattempo nel carcere di San Giovanni erano già arrivati gli uomini del Commissariato di Polizia e subito dopo i Vigili del Fuoco, allertati sempre dalla cabina di regia .
Nel giro di un’ora gli agenti del carcere, in collaborazione con i poliziotti, avevano rimesso le manette ai polsi dei tre e li avevano rinchiusi nuovamente in cella a disposizione della Procura della Repubblica per i reati commessi nel tentativo di evasione.
I tre stavano scontando condanne per reati di droga, contro il patrimonio ed estorsione. Uno di loro aveva soltanto qualche mese da scontare, gli altri due diversi anni. Nel corso della perquisizione personale a uno dei tre sarebbe stato trovato addosso un telefonino . Secondo gli agenti della Polizia Penitenziaria e gli uomini del Commissariato, i tre avevano dei complici all’esterno, si parla anche di una donna, che avrebbero dovuto accoglierli e proteggerne la fuga.
La mancata evasione dei tre detenuti dal carcere di San Giovanni testimonia l’efficienza del servizio di vigilanza interna nonostante una situazione a dir poco tragica per quanto riguarda l’organico in servizio attivo.
Fonte: buongiornoalghero.it
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Evade dai domiciliari e aggredisce un militare in borghese all’esterno della base logistica di Cecina.
Alla vista dei carabinieri ha minacciato e cercato di aggredire fisicamente anche loro
I carabinieri hanno rintracciato il responsabile, un trentaduenne di Cecina, e lo hanno arrestato poco dopo per evasione, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale. Il fatto è accaduto lo scorso mercoledì mattina, quando i carabinieri sono intervenuti a seguito di una chiamata della base logistica di Cecina.Secondo la chiamata un militare, in borghese e libero dal servizio, era stato aggredito fuori della base dal trentaduenne. L’aggressione, sia fisica che verbale, era avvenuta per futili motivi. L’uomo aveva minacciato anche altri militari accorsi in difesa del collega.I carabinieri, dopo aver raccolto le prime testimonianze hanno intuito di chi poteva trattarsi e si sono subito diretti presso l’abitazione del trentaduenne. Quest’ultimo, alla vista degli uomini dell’Arma ha minacciato e cercato di aggredire fisicamente anche loro. Portato in caserma è stato quindi dichiarato in arresto per evasione, visto che si trovava ai domiciliari, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale e trattenuto in camera di sicurezza. A seguito dell’udienza di convalida, l’uomo é stato trasferito nel carcere di Livorno.
Fonte: ANSA
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Per tentare di ottenere l’estradizione del giovane basco arrestato a Roma e da 7 mesi ai domiciliari, Madrid ha deciso di farsi rappresentare da uno degli avvocati più noti d’Italia. Franco Coppi, difensore di Andreotti e poi di Gianni de Gennaro.
“La Spagna non molla l’osso”. E’ con questa colorita ma efficace espressione che Marco Lucentini, uno degli avvocati del collegio di difesa di Lander Fernandez, ha descritto la principale novità emersa dall’udienza che si è tenuta oggi, al tribunale di Roma, sulla richiesta di estradizione avanzata dal governo spagnolo nei confronti del giovane cittadino basco arrestato a Roma il 13 giugno e da 7 mesi ormai agli arresti domiciliari nel suo domicilio di Garbatella.
La principale novità all’interno di una riconfermata strategia di accanimento e persecuzione nei confronti di Lander, da parte delle autorità spagnole, si chiama Franco Coppi, classe 1938, avvocato di fama nazionale. E’ lui che hanno scelto a Madrid per affiancare e potenziare l’accusa rappresentata dal pm, in nome delle difesa diretta del punto di vista e degli interessi del governo di Madrid. Non è un caso, spiega l’avvocato Lucentini, che se il pm si è limitato a poche battute, nel chiedere che la terna di giudici si pronunci a favore dell’estradizione, la vera e propria requisitoria l’abbia fatta proprio il legale nominato dal governo spagnolo. Non un avvocato a caso: fu infatti Coppi a difendere personaggi come Giulio Andreotti, Don Pierino Gelmini, Antonio Fazio nel processo per lo scandalo all’Antonveneta, e poi due imputati nel caso della scuola di Rignano Flaminio, e poi ancora Sabrina Misseri, Vittorio Emanuele di Savoia e non ultimo l’ex capo della polizia Gianni de Gennaro nel processo sui fatti della scuola Diaz di Genova, nel 2001.
In aula oggi c’era anche un funzionario dell’ambasciata spagnola a Roma, a dimostrazione dell’interesse prioritario che Madrid ripone in una vicenda che dal punto di vista puramente giudiziario è assai relativo, viste le accuse sostanzialmente banali rivolte a Lander – accusato di aver incendiato un autobus vuoto e senza produrre danni o rischi per le persone, nel lontano 2002 – ma che evidentemente ha un alto valore politico per un paese ancora fortemente impegnato nella caccia al basco.
E’ chiaro che Madrid non vuole sorprese, e vista l’inconsistenza assoluta delle argomentazioni a favore della richiesta di estradizione di Lander Fernandez – oggi nessun ulteriore elemento probatorio è stato portato in aula dall’accusa – punta ad investire tutto sul peso del nuovo pezzo da novanta. “Coppi rappresenta le ragioni dello stato richiedente – spiega Lucentini – ed in quanto tale ha sottolineato l’elemento che il governo spagnolo utilizza per dimostrare che Lander Fernandez agiva con finalità di terrorismo e all’interno dell’attività di un non meglio precisato gruppo violento, motivo per il quale il reato di danneggiamento che altrimenti sarebbe già ampiamente prescritto si trasforma improvvisamente in qualcosa di molto più grave e tuttora punibile”. Accusa che, come più volte spiegato dai legali e dagli attivisti del comitato di solidarietà con Lander, Un caso basco a Roma, è priva di qualsiasi fondamento e si basa esclusivamente sui teoremi che la magistratura e il potere politico utilizzano da alcuni anni per mandare in galera centinaia di attivisti sociali e sindacali, esponenti dell’associazionismo e dei centri sociali, ed oggi più in voga che mai visto l’aumento della conflittualità dovuto ad una situazione sociale di crisi verticale e insostenibile da settori sempre più ampi non solo della popolazione basca ma di tutto lo stato spagnolo. D’altronde, spiega il legale, se l’accusa non facesse riferimento alla pretesa finalità di terrorismo dell’episodio contestato all’imputato non ci sarebbero gli estremi per la suddetta consegna alle autorità di Madrid, visto che secondo la nostra legislazione ma anche quella spagnola il reato sarebbe prescritto.
“Se la Spagna arriva a conferire un mandato difensivo ad uno dei penalisti più noti d’Italia per perorare la causa della richiesta di consegna a proposito di un episodio minore e oltretutto avvenuto più di dieci anni fa è evidente che esiste un interesse e un investimento politico importante” spiega Lucentini, secondo il quale si è assiste ad una insistenza spropositata da parte spagnola affatto giustificata dalla caratteristiche del procedimento in corso a carico di Lander. D’altronde, già al momento dell’arresto del giovane a Roma, i media spagnoli fecero un gran battage, inventandosi anche che il giovane era in possesso di documenti falsi e di una pistola, circostanze completamente false e strumentali a dimostrare all’opinione pubblica nazionalista spagnola l’importanza della richiesta di estradizione e del mandato di cattura spiccati nei confronti di un ragazzo che viveva a Roma da un anno e mezzo alla luce del sole, senza nascondersi.
Conclusa l’udienza occorrerà attendere alcuni giorni per il pronunciamento della terna di giudici. Dopodiché il ricorso in Cassazione bloccherebbe comunque una eventuale estradizione in attesa del pronunciamento del massimo organo giudiziario. Non finisce quindi comunque qui il percorso di iniziativa e solidarietà iniziato immediatamente dopo l’arresto e coagulatosi all’interno della campagna ‘Un caso basco a Roma’: decine di manifestazioni, presidi, assemblee e seminari all’interno di facoltà universitarie, sedi politiche, centri sociali. E un appello, sottoscritto da decine tra parlamentari e giuristi che smaschera e contesta il carattere vendicativo ed emergenzialista della legislazione spagnola scritta ad hoc per giustificare una persecuzione politica prima ancora che giudiziaria contro gli attivisti baschi.
Stamattina, in contemporanea con l’udienza, un centinaio di attivisti e attiviste di diverse realtà sociali e politiche della capitale e non solo hanno manifestato a Piazzale Clodio, esponendo bandiere basche e striscioni di solidarietà con Lander e tutti i prigionieri politici baschi, gridando slogan e informando i passanti sulle ragioni della mobilitazione. Un ulteriore appuntamento dopo il blitz di ieri di fronte al Ministero della Giustizia, per investire del problema i rappresentanti del governo Monti. Perché, qualsiasi cosa decideranno i tribunali, l’ultima parola spetta comunque al Ministero di Via Arenula e da qui l’importanza di una mobilitazione che finora ha investito migliaia di persone e ha permesso la pubblicazione dell’appello su ben quattro quotidiani nazionali.
Fonte: contropiano.org
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Molti sono i sistemi che fino ad oggi sono stati usati dai detenuti da ogni parte del mondo per tentare di evadere dalla loro prigione dove si ritrovano, di caso in caso, a scontare la loro pena per il loro reato, ma, di certo, tra i tanti e i diversi modi, quello usato da alcuni detenuti brasiliani ha destato la sorpresa di molti.
Un felino complice dei detenuti brasiliani – Un gruppo di prigionieri brasiliani, scoperti solo pochi giorni fa, utilizzavano un gatto come complice per far entrare in galera e far arrivare alle loro celle telefoni cellulari e strumenti per organizzare una fuga: l’originale idea è stata resa nota dai media
della città di Arapiraca. Quello che agli occhi delle guardie sembrava un innocuo gattino era in realtà l’aiutante e il complice di narcotrafficanti e assassini che erano rinchiusi a scontare la loro pena nella prigione di Alagoa, nel Nordest del Brasile.
Lo smascheramento del gatto – A scoprire l’ingegnoso sistema dei criminali, che avevano addestrato il gatto ad andare e venire dal carcere con i preziosi ‘carichi’, è stato un poliziotto. La guardia, infatti, la notte di Capodanno, vedendo il felino entrare dalla porta del carcere con passo appesantito, e capendo che qualcosa non andava, ha fermato il furtivo animale e ha controllato. Nel controllo ha scoperto l’arcano, ovvero, che il gatto era usato da tramite per far entrare all’interno della struttura carceraria oggetti che servivano ai detenuti per la fuga. In effetti, il poliziotto ha trovato addosso al gatto una piccola borsa con lime, punte di trapano e un telefono cellulare con caricatore. Il micio andava e veniva spesso dalla prigione e i parenti dei detenuti a volte lo avevano riportato con loro dopo alcune visite. Per i detenuti ora si prospettano controlli più serrati.
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Nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio, 27 minori sono evasi dal Centro Juvenil de Diagnóstico y Rehabilitación di Lima.
Citato da Radio Programas del Perú (RPP), il ministro dell’Interno peruviano, Wilfredo Pedraza, ha sostenuto che il loro arresto è “questione di ore”.
Finora la polizia ha effettuato l’arresto di 8 dei 27 fuggitivi nel quartiere di San Miguel, dove si trova il carcere minorile.
Tra i fuggitivi c’è anche “Gringasho”, di 17 anni, considerato dalle autorità e dalla stampa locale uno dei sicari più pericolosi del paese. In passato era riuscito ad eludere la sorveglianza e scappare da altri centri penitenziari peruviani.
Non è ancora chiaro come i 27 – fuggiti in due gruppi di 13 e 14 persone in momenti diversi – abbiano messo in atto il loro piano. Il procuratore di Lima, Jorge Sáenz, non ha escluso il coinvolgimento di alcuni secondini del centro.
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Sette maghrebini evadono utilizzando delle chiavi: ricercati. Al via un’indagine. Metà dei 70 immigrati chiusi nel centro hanno preso parte all’azione. Bottiglie piene di sabbia e sassi contro le forze dell’ordine
Nuova rivolta e fuga al Cie di Gradisca. Sette ospiti di nazionalità maghrebina sono riusciti a fuggire dopo aver aperto con le chiavi tre porte e scavalcato la rete di recinzione nella parte posteriore del centro immigrati. I sette sono fuggiti nella campagna approfittando dell’oscurità. Alla rivolta hanno partecipato trentacinque immigrati, la metà delle persone attualmente detenute all’interno della struttura. Gli immigrati hanno utilizzato contro le forze dell’ordine e gli operatori delle bottiglie piene di sassi e sabbia e hanno svuotato contro di loro alcuni estintori.
Attualmente la situazione è sotto controllo, resta alto l’allarme tra le forze dell’ordine incaricate di vigilare sul perimetro esterno della struttura. Sarà probabilmente avviata un’indagine sulle modalità della fuga: il fatto che i sette immigrati fossero in possesso di alcune chiavi rende infatti necessario scoprire come siano riusciti ad appropriarsene.
Fonte: ilpiccolo.gelocal.it
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Ennesima rivolta al Cie di Bologna, anche durante l’ultima notte dell’anno: quattro nordafricani, ospiti della struttura di via Mattei, hanno tentato la fuga, ma la loro azione e’ stata bloccata dalla polizia. In due sono stati fermati quando avevano ormai scavalcato le recinzioni. E’ successo verso l’una e la calma e’ stata riportata verso le 2.30. C’e’ stato anche un lancio di oggetti verso le forze dell’ordine.
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una fuga incredibile avvolta nel mistero
CHICAGO (USA) – La domanda sorge spontanea: come può verificarsi una fuga da un carcere grattacielo statunitense, senza che nessuno se ne accorga?! Questo è un vero quesito: non è chiaro se ciò sia merito dei due detenuti che sono riusciti a fuggire, di nome Jose Banche, 37 anni, e Kenneth Conley, 38 anni, o se sia semplicemente colpa degli agenti penitenziari, che non si sono accorti proprio di un bel nulla.
La vicenda, come avrete capito, si è svolta in quel di Chicago, negli Stati Uniti d’America. La fuga dei due detenuti è stata davvero rocambolesca: sono riusciti a scappare da un grattacielo di ben 27 piani utilizzando il classico metodo visto nei film, ovvero formando una corda fatta di lenzuoli e corde. Ora, ovviamente, è stato dato il via alla caccia all’uomo.
La prigione federale della città, dalla quale i due sono riusciti ad evadere, è chiamata Metropolitan Correctional Centre. Il mistero più grande, ora, è: come avranno fatto i detenuti ad uscire dalla finestra della cella?! Si tratta infatti di una feritoia senza sbarre, con un’apertura di poco più di 15 centimetri. I due erano in prigione in seguito ad una rapina in banca, ed erano stati visti per l’ultima volta lo scorso lunedì notte, per il solito appello.
Fonte: curiosone.tv
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Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri
Nel weekend il parlamento boliviano ha dato l’ok definitivo alla legge per l’indulto. Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri. Evo Morales, dopo una serie di tentennamenti, si è visto pressochè “costretto” a firmare il provvedimento per sbloccare la situazione.
Il vicepresidente della Bolivia e presidente del parlamento, Álvaro García Linera ha dichiarato che si tratta di una decisione “umanitaria” di Evo Morales per “favorire i detenuti che non sono accusati di reati gravi come omicidio, stupro, terrorismo o separatismo”. Il ministero dell’Interno spiega che l’indulto è destinato ai detenuti che hanno commesso reati minori, che hanno scontato i due quinti della pena, che hanno tra i 16 e i 25 anni e, soprattutto, le donne in gravidanza”, come anche le persone condannate dalle legislazione antidroga, “ma con pene minori ai dieci anni di carcere”, ade sempio coloro che hanno commesso questo tipo di reato per la prima volta o hanno trasportato quantità minime di droga.
Inoltre potranno beneficiare dell’indulto i detenuti condannati per il primo delitto che rientrino tra gli uomini con più di 58 anni, le donne con più di 55 anni, i giovani fino a 25, i disabili gravi che abbiano scontato un terzo della pena e i malati terminali. Vi potranno accedere anche i genitori con figli a carico sotto i 12 anni che vivono in carcere e abbiano scontato un quinto della loro pena, oltre ai prigionieri per reati minori con sanzioni fino a 8 anni che abbiano già trascorso un terzo del tempo previsto in cella.
La misura era stata richiesta con urgenza dalla Direzione del regime penitenziario proprio per “motivi umanitari”: l’organismo ha sottolineato l’urgenza di decongestionare le carceri boliviane, che ora come ora ospitano 13.840 reclusi, 3.000 in più del 2011. Le proteste organizzate nelle carceri negli ultimi giorni puntavano ad ottenere l’indulto ma anche il versamento alle autorità penitenziarie di arretrati per il mantenimento dei carcerati.
La situazione sanitaria nelle carceri della Bolivia è pessima. La fatiscenza delle strutture e l’eccessivo affollamento portano al diffondersi di malattie che in Europa sono ormai sconosciute come la tubercolosi. L’assistenza sanitaria è assente e quel poco che c’è si deve alle organizzazioni di volontariato e alle chiese locali. Rompersi una gamba in carcere può significare rimanere storpi per sempre. Ma il dato più incredibile è che le carceri in Bolivia sono piene di donne e bambini. Infatti se la famiglia del detenuto non ha mezzi di sostentamento, tutti seguono in prigione l’uomo. A Palmasola dei circa 5.000 abitanti del carcere solo 3.000 sono detenuti. Gli altri sono familiari al seguito.
Fonte: Today.it
Commenti disabilitati su Bolivia, dopo le sommosse nelle carceri Evo Morales firma l’indulto | tags: bolivia, carcerati, carcere, detenuti, indulto, libertà, Morales, penitenziario, proteste, rivolta, scontri, sommosse | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Fuggiaschi, Tutti
Purtroppo,
Sventata evasione dal carcere di Busto Arsizio: la Polizia Penitenziaria ha fermato un sudamericano che aveva già progettato la fuga come nel più classico dei film polizieschi. Durante i controlli notturni le guardie si sono accorte che il detenuto non prendeva mai sonno. Da qui i primi sospetti: la Polizia Penitenziaria ha così deciso di trasferire di cella l’uomo, in modo da perquisire quella dove alloggiava con un altro carcerato. In effetti, i sospetti erano fondati: una volta entrati nella stanza i poliziotti hanno trovato tutto quello che cercavano.
Lo straniero aveva nascosto sotto il letto a castello una lunga e solida corda rudimentale realizzata con ritagli di lenzuola e coperte, una corda molto resistente. La componente di metallo posta al lato del letto come protezione si prestava inoltre ad essere utilizzata come gancio per tenere ben salda la corda alla finestra del bagno, già divelta: con un seghetto l’uomo aveva realizzato anche due piccole fessure in una delle sbarre protettive di ferro. Per non farsi scoprire aveva inoltre riempito le fessure con del sapone. Anche la battitura sulle sbarre eseguita dai poliziotti non consentiva di avvertire l’anomalia.
La finestra è affacciata su un piccolo cortile non molto distante dal muro esterno dell’istituto penitenziario. Per il carcerato sarebbe stato quindi facile, una volta calatosi dalla finestra, scalare la cinta e fuggire dalla casa circondariale. L’uomo è ora tenuto in stretta sorveglianza: sarà trasferito in un altro istituto.
Fonte: poliziapenitenziaria.it
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Le violenze sono scoppiate a seguito di un tentativo fallito di evasione da un penitenziario a Gomez Palacio, nel nord del Paese.
Secondo tentativo di evasione dal carcere di Gómez Palacio, in Messico, nel giro di due mesi. L’ultima volta la tentata evasione era stata bloccata sul nascere e due detenuti erano rimasti uccisi negli scontri. Ieri, invece, la situazione è degenerata in pochissimo tempo, tanto da richiedere l’intervento dei militari dell’esercito, e 17 persone – 11 detenuti e 6 guardie –sono rimaste uccise.
La rivolta è scoppiata intorno alle 17 di ieri, all’indomani di un’ispezione della struttura che aveva portato al sequestro di numerosi telefoni cellulari, armi e piccoli elettrodomestici introdotti illegalmente dai detenuti. Evidentemente non tutte le armi sono state sequestrate: un gruppetto di detenuti ha cominciato a sparare contro le torri di guardia e gli altri militari presenti nella struttura, mentre un altro gruppetto di carcerati ha tentato di fuggire passando attraverso un tunnel e cercando di superare la recinzione posteriore.
Nel panico generale, scrive El Pais, i militari hanno esploso diversi colpi in aria a scopo di avvertimento. Non avendo sortito alcun effetto, hanno preso a sparare contro i detenuti in fuga, uccidendone undici. A questi morti si aggiungono le sue guardie rimaste uccise nel conflitto, prima che intervenisse l’esercito e ristabilisse l’ordine.
Al di là di quest’ultimo episodio di violenza e del precedente, la struttura Gómez Palacio, nello stato di Durango, è stata oggetto anche in passato di scontri e scandali. Nel 2010, ad esempio, l’ex direttore del penitenziario era finito in manette per aver autorizzato alcuni detenuti vicini al cartello degli Zetas ad uscire dal carcere per regolare i conti con alcune persone all’esterno.
Si stima che le carceri messicane, e questa non fa eccezione, siano controllate per il 60% dalla criminalità organizzata e non è escluso che la rivolta di ieri sia collegata proprio ai gruppi criminali che da anni stanno dilaniando il Messico. Il fatto che il giorno prima fossero stati sequestrati armi ed altri oggetti potenzialmente pericolosi, ha spinto le autorità a credere che qualcuno dall’esterno – o forse addirittura qualche guardia corrotta – abbia contribuito a reintrodurre a tempo di record un nuovo arsenale.
Le indagini sono ancora in corso.
Fonte: Crimeblog
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Non rientrano dal lavoro esterno
Reggio Emilia, 15 dicembre 2012 – Doppia evasione al carcere di Reggio Emilia. Ieri sera, due detenuti di origine marocchina, condannati per droga, di eta’ compresa fra i 30 de i 32 anni, con una pena da scontare fino al 2017, non hanno fatto rientro nel penitenziario. Lo riporta in una nota il segretario del Sappe, Giovanni Battista Durante.
I due erano fuori, perche’ ammessi al lavoro all’esterno. Verso le 23 di ieri e’ scattato l’allarme e sonoiniziate immediatamente le ricerche da parte delle Forze di polizia.
Tale evento, riflette Durante, “non deve comunque scoraggiare la concessione delle misure di recupero e reinserimento sociale, come il lavoro all’esterno e le misure alternative alla detenzione”. Sarebbe “forse opportuno che anche in Italia, come in molti altri paesi europei, si iniziasse ad usare il braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti che lavorano all’esterno del carcere, ovvero che usufruiscono di misure alternative alla detenzione, considerato che in 10 anni sono stati spesi 110 milioni di euro per il contratto con la Telecom e che tale contratto e’ stato recentemente rinnovato per un ulteriore costo di 9 milioni di euro”.
Fonte: Il resto del carlino
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