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Lettere: nel carcere di Pordenone, stipati come sardelle

jail-cellUn detenuto a Pordenone, accusa di subire estorsioni. Il direttore: mai visto denunce.
“Sono detenuto nella casa circondariale di Pordenone, voglio che tutti i cittadini sappiano in che condizioni ci troviamo qui”. Inizia così la lettera arrivata in redazione, scritta da Cosimo Damiano Giannella, 48 anni originario di Foggia ma residente a Trieste da anni. È in carcere da oltre un anno per reati che vanno dalla ricettazione, all’aggressione e allo stalking.
Giannella dice di scrivere anche a nome di altri detenuti.

“Abbiamo alla mattina due ore e mezza di aria, al pomeriggio invece solo due. Siamo in cinque in una cella da cinque metri quadrati e non abbiamo neanche lo spazio per girarci”. Socializzare in prigione? Gli agenti non ce lo consentono, afferma Giannella. E poi ancora: “Le celle mancano di servizi igienici idonei, come ad esempio il bidet.

L’acqua calda non è a norma. Non ci sono i rilevatori di fumo, gli idranti e il riscaldamento non funziona quasi mai. Facciamo il turno per fare la doccia nelle quattro presenti. I pacchi con il cibo che ci portano i nostri cari vanno a finire in magazzino e quando poi ce li consegnano il cibo è da buttare, con un danno anche monetario”.
La denuncia del 48enne triestino non si ferma qui e si fa più grave quando scrive che la sezione protetti viene a contatto con altri detenuti non protetti. E poi che il carcere ha una capienza di 50 detenuti “ma ne siamo 96 stipati come sardelle”. E conclude: “Ci troviamo a stare qui dentro e a subire estorsioni”.

Accuse pesanti, soprattutto quest’ultima, che il direttore del carcere pordenonese, Alberto Quagliotto respinge senza mezzi termini: “Se uno afferma di essere vittima di estorsione, deve recarsi dal giudice di sorveglianza e denunciare l’estorsore con nome e cognome. A me nessuno ne ha mai parlato e tanto meno ho visto denunce. L’estorsione è un reato grave e va subito denunciata”.
Per gli altri problemi sollevati da Giannella, Quagliotto dice che “sì, il sovraffollamento c’è come in quasi tutte le carceri italiane, e questo è decisamente grave per le persone che devono vivere in pochi metri quadrati”. A questo proposito l’Italia nei giorni scorsi è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani proprio per la generale situazione di sovraffollamento delle carceri. “Non è vero però – aggiunge il direttore Quagliotto – che manchi l’acqua calda e che il riscaldamento funzioni male e nemmeno che venga impedita qualsiasi forma di socialità tra i detenuti. Nel carcere di Pordenone non si sono mai verificati casi gravi di violenza, solo qualche episodio come può capitare in qualsiasi altro ambiente”.

Il Piccolo, 6 febbraio 2013


Italia: Stato canaglia

Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2013

Voglio dare voce a chi necessita di una voce. A chi non ha potere (Yuen Ying Chan Daily News reporter).

jailOrnella Favero, il direttore di Ristretti Orizzonti, oggi ha portato in redazione la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’8 gennaio 2013 (appena tradotta in italiano) che condanna lo Stato italiano per la violazione dell’articolo 3 della convenzione che stabilisce:
– Divieto della tortura. Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
Ornella nelle riunioni in Redazione mi ricorda spesso:
– Non voglio fare un giornale di denuncia, voglio fare un giornale di informazione. Per cui cerco di capire come sono andate le cose e cerco di usare sempre toni sobri. Io credo che la verità si impone per la forza della sobrietà della notizia, non di quanto urli in più.
Ornella ha ragione, ma se lo dice la Corte europea che l’Italia è uno Stato canaglia, lo voglio dire anch’io, anche se sono stato un fuorilegge.
E lo voglio fare urlando dalle sbarre della mia finestra, affinché qualcuno aldilà del muro di cinta mi senta che nelle carceri italiane, spesso, il detenuto subisce un carico di sofferenza superiore a quella prevista dalla sentenza della sua condanna.
Subisce una sofferenza non solo fisica, ma soprattutto mentale perché il prigioniero italiano oltre a perdere la libertà, molte volte getta via dalle sbarre della sua finestra anche il suo cuore.
Spesso nelle nostre patrie galere il detenuto perde anche i propri pensieri perché ti spogliano della tua identità.
E per sopravvivere non ti rimane altro che esprimere la tua libertà e amore con la rabbia verso tutte le istituzioni colpevoli di averti fatto diventare un fantasma.
Per questo molti di noi a volte si dimenticano del male che hanno commesso e si ricordano solo del male che adesso ricevono.
Allora per questo grido che nelle nostre Patrie galere non esistono diritti all’integrità fisica, alla salute mentale, sessuale, familiare, diritti sociali, morali e culturali.
E se lo dice la Corte europea lo posso affermare anch’io che l’Italia è uno Stato canaglia e mi auguro che il resto d’Europa, in una guerra umanitaria, ci venga presto a bombardare di legalità.

 

Carmelo Musumeci
Redazione di Ristretti Orizzonti


Il rugby arriva anche in carcere Monza ha il team dei detenuti

il-lato-materno-del-rugby4Monza – «Siamo vicini di casa, riusciamo a sentire le nostre reciproche urla: quelle che vengono dal campo di gioco e quelle dalle celle dei detenuti. E allora ci siamo detti: perché no?». Così Paolo Carcassi, presidente del Rugby Monza ha raccontato l’inizio di un’idea che oggi è diventata realtà: portare la palla ovale all’interno della casa circondariale di via Sanquirico. Da ottobre diciotto detenuti della sezione comuni sono entrati a far parte della prima squadra di rugby nata all’interno del carcere di Monza. «Per ora stiamo iniziando a conoscere lo sport e le sue regole, poi progressivamente abitueremo i ragazzi al contatto per portarli a disputare tra un po’ una vera partita », spiega Alessandro Geddo, giocatore del Rugby Monza e allenatore della squadra del carcere insieme a Francesco Motta, anche lui giocatore della società monzese.

Al momento in programma non c’è alcuna partita, i giocatori sono ancora acerbi, ma l’intenzione è quella di affrontare una selezione degli atleti degli Old e della Prima squadra della Grande Brianza. Non solo sport ma prima di tutto rispetto: degli avversari e delle regole. Ed è stato proprio il risvolto educativo e sociale del progetto a convincere la direzione a far nascere una squadra di rugby all’interno del carcere. «La prospettiva più ampia che ci siamo dati va ben oltre l’immediato risultato agonistico – ha spiegato Leonardo Nazzaro, educatore del carcere, responsabile dell’area sportiva -. Abbiamo voluto in questo modo offrire un’opportunità di amicizia a chi esce.

Chi fa parte oggi della squadra di rugby potrà contare, una volta uscito, sul sostegno del Rugby Monza, saprà che su quel campo ci sono degli amici. Ed è questa la vittoria più grande». Un impatto sociale ribadito anche dal consigliere comunale con delega allo sport Silvano Appiani, e dal vice sindaco Cherubina Bertola, presenti insieme al prefetto Giovanna Vilasi alla conferenza di presentazione della nuova squadra che si è svolta mercoledì all’interno del carcere.
Sarah Valtolina

Fonte: ilcittadinomb.it


Tolmezzo – L’incredibile avventura degli elicotteROS

Riceviamo e diffondiamo

helyNaufragata la pista sulla trattativa Stato-Mafia, finalmente i ROS scoprono i veri alleati dei clan: gli anarchici! Scoop imperdibile per la stampa locale: dopo al-Quaeda e le BR, quali saranno i prossimi alleati di questi sovversivi? I satanisti? Gli extraterrestri? I testimoni di Geova?
Una storia incredibile quella pubblicata nei giorni scorsi dai media locali, che riporta di fatto l’attenzione sul maledetto carcere di Tolmezzo, anche se cercando di screditare chi solidarizzava con i prigionieri in lotta e non riportando i reali problemi del sistema carcerario italiano.

Uno strano destino quello del capoluogo carnico e la sua prigione, storie di droga e di “mele marce” non fanno più notizia: dentro le sue mura vi sono stati rinchiusi diversi ragazzi che vendevano o detenevano stupefacenti, arrestati proprio dal comandante dei carabinieri Demetrio Condello che poi è stato scoperto essere chi gestiva tutto il traffico della zona!

Questi fatti,e i ripetuti presidi di solidali con i detenuti, ci fanno pensare che qualcuno ha cercato di rifarsi la faccia costruendo ad arte una maxi operazione, con tanto di sventata evasione in elicottero del cosiddetto “Boss” che, guarda caso, è proprio quello che per primo aveva denunciato i pestaggi e le minacce che venivano perpetuate regolarmente all’interno del carcere di Tolmezzo contro i prigionieri!  Anarchici e No Tav in tutto questo, “sono stati usati” secondo i giornali, colpevoli (diciamo noi) di aver portato fuori dalle mura le proteste dei detenuti con presidi e volantinaggi. Il nesso tra gli elicotteri e gli anarchici non è chiaro, ma tutto fa brodo!

Invece, si pubblicano poche informazioni sul carcere quando bisogna portare il punto di vista di chi vi è rinchiuso: la prigione è una delle regioni nascoste del nostro sistema sociale, uno dei buchi neri della nostra vita. La prigione è lo specchio deformato ma rivelatore della società, moltiplica tutti i vincoli ideologici dell’ambiente esterno: rispetto assoluto per la gerarchia, coercizione e obbedienza coatta, sfruttamento e alienazione del lavoro, ricatto sulla ricompensa, ricatto sulla punizione, molteplice repressione della sessualità.

Non appena si cerca di rompere il muro dell’omertà e della rimozione denunciando pubblicamente le angherie, le ingiustizie, le violenze perpetrate ai danni dei prigionieri e le perversioni intrinseche al sistema carcerario, scattano meccanismi di mistificazione della realtà, di criminalizzazione e di repressione. Se la realtà trapela, il potere politico, giudiziario e poliziesco deve negarla e contorcerla per i suoi fini. Se i prigionieri alzano la testa e fanno sentire la loro voce, se i solidali fuori dalle mura fanno loro da cassa di risonanza, il potere fa di tutto per rendere la vita impossibile ai primi e per denigrare e/o intimidire i secondi.

Questo emerge dalla vicenda che riguarda il carcere di Tolmezzo e che colpisce drammaticamente nella loro esistenza Maurizio Alfieri e gli altri prigionieri a cui va la nostra solidarietà.
Sbirri magistrati e giornalisti, sono capaci di architettare una montatura tanto ridicola quanto megalomane pur di cercare di riportare tutto nei ranghi, pur di cercare di mettere tutto a tacere, pur di cercare di preservare il loro potere di vita e di morte sui detenuti e sulla società.
Noi vogliamo sapere, e ci proponiamo di divulgare nelle piazze dei paesi e delle città che cos’è la prigione: chi ci va; come e perché ci si entra; quale è la vita dei/delle prigionieri/e; come sono gli edifici, il cibo, l’igiene, il lavoro; come funziona il regolamento interno, come funziona il controllo medico, perché un uomo  settantenne, diabetico, con una gamba amputata, debba rimanere in galera e morirci, come è successo a Udine qualche giorno fa.
Noi intendiamo spezzare il doppio isolamento in cui si trovano rinchiusi i/le detenuti/e; vogliamo che possano comunicare tra loro, parlarsi da prigione a prigione, da cella a cella.

Noi non torniamo indietro. Non saranno certo queste campagne mediatiche a farci desistere dal lottare contro il carcere e il suo mondo. Qui come altrove le iniziative anticarcerarie si moltiplicano e sempre più prigionieri trovano il coraggio di denunciare ciò che succede all’interno delle prigioni. L’8 e il 9 Febbraio saremo di nuovo in piazza a Udine per rompere il silenzio, forti della consapevolezza che a chi sta a cuore la libertà, non si fa certo scoraggiare dalle infamie di poliziotti e pennivendoli vari. Per noi i BOSS sono quelli seduti in parlamento, nei consigli di amministrazione delle banche come l’MPS, delle industrie assassine come l’ ILVA o delle lobby del cemento come la CMC. Tutta gente che, guarda caso in prigione non ci andrà mai… Non saranno certo giudici e magistrati (specie quelli che entrano in politica) a cambiare questo stato di cose, sta a noi con le nostre voci e i nostri corpi far sì che in questo muro di silenzio e paura si crei finalmente una breccia per farla finita con le carceri e i loro orrori

Coordinamento contro il carcere e la repressione


Carceri, in 10 anni spesi 5 milioni di euro per testare 14 braccialetti

810Pisa, 5 febbraio 2013 – Una spesa di 81 milioni per “testare” 14 braccialetti. E’ un classico esempio di sprechi all’italiana, quello che ricorda “Fare per Fermare il Declino” a monito di una gestione insostenibile degli apparati statali. Il caso della sperimentazione a peso d’oro – dal 2001 al 2011 sono stati introdotti solo 14 braccialetti, costati ai contribuenti 5,7 milioni l’uno – porta il movimento di Oscar Giannino a una considerazione, specie dopo l’appello dell’ex direttore del carcere di Pisa a una maggiore attenzione ai temi della detenzione e del sovraffollamento delle prigioni.

Le proposte di “Fare” al riguardo sono nel documento programmatico: “Secondo noi – spiega Carlo Raffaelli, candidato alla Camera – bisogna limitare in ogni modo la carcerazione preventiva, affinchè non sia più un’anticipazione di pena nei confronti di presunti innocenti. Ciò si ottiene riducendo al massimo il tempo dei processi, che a sua volta è frutto di una razionalizzazione del lavoro dei magistrati, da organizzare secondo criteri manageriali moderni e di produttività. La riforma della giustizia deve essere mirata ad assicurare la certezza della pena, modificando la disciplina della prescrizione e della concessione di benefici ai carcerati. Occorre modificare il sistema carcerario incentivando misure cautelari meno afflittive, incluso il braccialetto elettronico per la cui cattiva gestione dobbiamo ringraziare i governi precedenti, e percorsi di recupero sociale per soggetti non pericolosi. Infine, se nonostante ciò perdurasse un sovraffollamento carcerario, l’eventuale costruzione di nuovi penitenziari dovrebbe essere effettuata attraverso project financing, valutando l’affidamento a privati dei servizi di gestione degli istituti di pena (escludendo ovviamente i servizi di sorveglianza)”.

Fonte


Riad,decapitato dopo 30 anni in carcere

deca(ANSA) – RIAD, 5 FEB – Un saudita, considerato il piu’ vecchio detenuto del Regno, e’ stato decapitato dopo 30 anni in carcere nella speranza di ottenere il perdono della famiglia della vittima. Abdallah Al-Chammari era stato condannato nel 1983 per aver ucciso a bastonate un uomo. Dopo un processo di 5 anni, il tribunale ha concluso che si trattava di omicidio involontario ed e’ stato scarcerato. La gioia e’ stata breve: dopo un nuovo processo, su richiesta della famiglia della vittima e’ stato condannato a morte.


Telefono cellulare scoperto nel carcere di Cassino dalla Polizia Penitenziaria

celCellulare telefonico trovato dalla Polizia Penitenziaria nel carcere di Cassino. Una circostanza certamente non normale che è stata riscontrata nel penitenziario di via Sferracavallo. Un uomo di circa 40 anni, di nazionalità rumena, detenuto per reati vari, impegnato spesso in lavori interni al carcere, è stato trovato in possesso, durante i controlli, di un telefono cellulare.

Una circostanza sospetta e preoccupante che ha portato le autorità carcerarie a intensificare i controlli tra i detenuti i quali, ovviamente, non debbono e non possono avere alcuno contatto con la società esterna se non con opportuni filtri. Ci si interroga su l’uso che l’uomo facesse dell’apparecchi telefonico. Non si esclude che, in realtà, potesse essere lui nasconderlo e che al momento opportuno lo facesse utilizzare da altri, come ad esempio, a qualche detenuto a capo di qualche organizzazione. Ripetiamo, però, questa resta una ipotesi su cui gli agenti della penitenziaria, stanno indagando, così come, ovviamente, si indaga sul canale che ha permesso di far entrare nella struttura detentiva un telefono cellulare.

Fonte: ilpuntoamezzogiorno.it


Calci e pugni agli Agenti di Polizia Penitenziaria dopo rientro dal colloquio nel carcere di Varese

Aggressioni in carcere: ennesimo caso nel carcere di Varese. Durante ispezione a seguito del colloquio con i familiari, detenuto aggredisce poliziotti penitenziari.

kikSi è ribellato agli agenti della Polizia Penitenziaria che lo stavano riportando in cella dopo il colloquio con i parenti. Calci, pugni e schiaffi ai due agenti che in quel momento lo stavano perquisendo per verificare che non fossero stati ceduti oggetti vietati durante l’incontro con i familiari. Questa la motivazione per cui un detenuto italiano di 22 anni al carcere Miogni di Varese è stato deferito alla magistratura.

L’accusa quella di lesione e resistenza a pubblico ufficiale. Il giovane si trova in carcere per numerosi reati collegati alla droga, nonostante la sua giovane età, e pare che abbia dimostrato più di una volta la sua indole violenta. La vicenda è accaduta sabato al carcere varesino, ma la notizia si è diffusa solo nella giornata di ieri. I due agenti sono stati medicati al Pronto Soccorso dell’ospedale di Circolo. Uno dei due ha riportato lesione al volto a causa dei pugni ricevuti ed entrambi hanno avuto una prognosi di dieci giorni.

ASCA


MARCO CAMENISCH solidarietà e amore

Da Radiocane

marco
Alla vigilia delle due giornate di solidarietà internazionale con Marco 
Camenisch, un compagno della Cassa Antirep delle Alpi Occidentali ne 
ripercorre la biografia di rivoluzionario, dalle lotte degli anni 70  
agli ultimi vent'anni trascorsi in un' autentica odissea carceraria, 
iniziata in Italia e che sta continuando in Svizzera, fino alle sue  
ultime vicende giudiziarie.

“In un percorso contrassegnato dalla costante coerenza tra idee e vita 
vissuta, Marco è stato tra i primi a riconoscere il nemico non solo 
nello Stato e nelle sue emanazioni ma anche nei progetti del progresso, 
sbandierato come liberazione ma in realtà portatore di nuove schiavitù, 
del produttivismo che consuma esseri viventi e territori, della 
tecnologia, tentacolo mortifero che attanaglia le coscienze e il pianeta 
intero. E ha saputo inquadrare e combattere tutto questo nell’ottica di 
una trasformazione concreta e radicale dell’esistente.
Lo ha fatto in libertà, scegliendo una vita sbrigliata dalle regole 
imposte e mettendo in pratica l’urgenza delle ostilità nei confronti di 
un ordine sociale ed economico che opprime e avvelena.
Lo ha fatto dal carcere, con le iniziative di denuncia delle condizioni 
di reclusione per lui e per gli altri prigionieri, con gli innumerevoli 
scioperi della fame, con il suo continuo apporto alla crescita e alla 
circolazione delle idee e delle pratiche che chiamano a non rassegnarsi 
al disastro che ci circonda, ma a fronteggiarlo.”

Infine un saluto dalla viva voce di Marco registrato nell'estate 2012.

ascolta il contributo

Due giornate di mobilitazione per la liberazione di Marco Camenisch

5-6 FEBBRAIO 2013
DUE GIORNATE DI MOBILITAZIONE
PER LA LIBERAZIONE DI MARCO CAMENISCH
IN ITALIA E SVIZZERA

marco_webMarco è un anarchico ecologista prigioniero da oltre 20 anni nelle carceri italiane e svizzere per la sua lotta condotta, fino dal 1979, contro l’industria nucleare e la devastazione ambientale. Un anno dopo l’arresto è evaso e dopo 10 anni di latitanza è stato riarrestato.
Nelle carceri non ha mai piegato la testa e continua a contribuire alle lotte con il suo essere ribelle e indomabile; è proprio per questo che lo Stato elvetico si ostina a negargli la scarcerazione, nonostante Marco sia già nelle condizioni legali per essere liberato.
Per non permettere che tale accanimento su Marco si protragga oltre è necessario mobilitarsi per la sua immediata liberazione.
E’ ora di fare sentire a chi lo tiene in catene che il nostro compagno non è solo, e che la sua prigionia sarà sempre fonte di fastidio e guai per gli interessi economici che tanto stanno a cuore allo Stato svizzero.

MARTEDI 5 FEBBRAIO PRESIDIO AL PALAZZO SVIZZERO DI PIAZZA CAVOUR A MILANO, A PARTIRE DALLE ORE 10.00

ALLE ORE 17 APERITIVO E ASSEMBLEA IN VILLA VEGAN OCCUPATA
via Litta Modignani 66 – Milano

Solidali con Marco Camenisch


Kuwait, Twitter manda in carcere

sleeping-twitter-birdUn post su Twitter può trasformarsi in anni di carcere. Succede in Kuwait dove il tribunale ha condannato un uomo a cinque anni di reclusione per aver insultato l’emiro con un commento sul social network. Mohammad Eid al-Ajmi ha ricevuto la pena massima riservata a questo genere di reati. Si tratta dell’ultimo caso di una lunga serie di episodi di repressione dei media online.
EMIRO INVIOLABILE. Negli ultimi mesi il Kuwait ha perseguito diversi utenti di Twitter per aver criticato l’emiro, figura che la Costituzione del Paese descrive come inviolabile. «Chiediamo al governo di ampliare le libertà e rispettare le convenzioni internazionali sui diritti umani», ha detto l’avvocato Mohammad al-Humaidi, direttore della Società per i diritti umani del Kuwait.
CASO NON ISOLATO. Amnesty International ha documentato che dallo scorso novembre in Kuwait sono aumentate le restrizioni alla libertà di espressione e di riunione. Lo scorso giugno un uomo è stato condannato a ben 10 anni di carcere dopo essere stato accusato di mettere in pericolo la sicurezza dello Stato insultando il Profeta Maometto e i governanti  di Arabia Saudita e Bahrain sui social media.

Fonte


Detenuto ultrasettantenne rinchiuso in carcere a Catanzaro

mani-anzianoCosa ci fa in Carcere un uomo di 77 anni ? Se lo è chiesto l’Ecologista Radicale Emilio Enzo Quintieri quando, nelle scorse settimane, insieme al Vice Presidente del Consiglio Provinciale di Catanzaro Emilio Verrengia ed al Senatore della Repubblica Francesco Ferrante (Pd) si è recato presso la Casa Circondariale di Catanzaro Siano prima per raccogliere le sottoscrizioni dei detenuti per la presentazione della Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” e poi per effettuare una Visita Ispettiva in tutto l’Istituto Penitenziario. L’ultrasettantenne infatti, così come molti altri detenuti ristretti in quel Penitenziario, ha voluto sottoscrivere la Lista Radicale promossa dall’On. Marco Pannella. Mentre il cetrarese Quintieri, provvedeva ad annotare le sue generalità rimaneva stupefatto nel rilevare, appunto, la sua età avanzata e chiedeva a quell’anziano detenuto, apparso visibilmente stanco e molto provato, per quale motivo si trovava in carcere. Nella stanza oltre al radicale ed al Consigliere Verrengia vi era presente il personale della Polizia Penitenziaria ed il Comandante del Reparto, il Commissario Aldo Scalzo. Quest’uomo, G.B.B., classe 1936, rispondeva che era stato arrestato dalla Polizia di Stato della Questura di Catanzaro perché sorpreso ad irrigare una piantagione di marijuana e perché, in una baracca, situata nelle vicinanze della piantagione era stato trovato un fucile calibro 12 rubato nel 1991 con 105 cartucce per fucile di vario calibro. Subito dopo il candidato Deputato Emilio Enzo Quintieri chiedeva al detenuto settantasettenne, più precisamente, quale fosse la pena residua che avrebbe ancora dovuto espiare. “il mio avvocato dice che mi manca solo un anno da fare e poi ho finito.”.

Questa vicenda ha dell’incredibile. Non è possibile che una persona di 77 anni debba espiare la sua pena in un Carcere come quello di Catanzaro Siano che, tra l’altro, è gravemente sovraffollato e pieno di criticità. Questo signore non è stato condannato per reati di particolare allarme sociale e non mi pare che sia pericoloso anzi, credo che nelle sue condizioni, sia del tutto innocuo e che quindi potrebbe ottenere la concessione del beneficio della detenzione domiciliare anche perché, l’Art. 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario – afferma l’Ecologista Radicale Emilio Enzo Quintieri – stabilisce che la pena della reclusione per qualunque reato, eccetto quelli ostativi previsti dall’Art. 4 bis, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i 70 anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza e non sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’Art. 99 del Codice Penale. Anzi, al condannato al quale sia stata applicata anche la recidiva prevista dall’Art. 99 può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera i 3 anni. Nel nostro caso il detenuto G.B.B. avrebbe da scontare ancora solo 12 mesi di reclusione e potrebbe beneficiare anche della Legge nr. 199/2010 così come modificata dalla Legge nr. 9/2012 conosciuta meglio come “Legge Svuotacarceri” che, proprio per ridurre il sovraffollamento carcerario, ha previsto la possibilità che le pene non superiori a 18 mesi possano essere eseguite presso il proprio domicilio.

Non capisco dunque – prosegue il candidato alla Camera dei Deputati per la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” – per quale motivo questa persona ultrasettantenne, non socialmente pericolosa, debba restare ancora in Carcere. Mi auguro che la Dott.ssa Angela Paravati, Direttore del Carcere di Catanzaro Siano, indipendentemente dalla richiesta del detenuto o del suo difensore, segnali questa situazione all’Ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro affinché quest’ultimo possa esaminare e valutare con tempestività la concessione  in favore di G.B.B. della misura alternativa della detenzione domiciliare revocando quella inframuraria a cui si trova sottoposto. Sarebbe del tutto assurdo oltre che inumano ed incivile – conclude il radicale Emilio Enzo Quintieri – che questo anziano continui a restare in prigione, specie in quella di Catanzaro nella quale a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti vi sono attualmente rinchiuse 569 persone detenute.

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Iraq: autobomba davanti carcere a Baghdad, un morto

bombaBaghdad– E’ di almeno un morto e cinque feriti il bilancio dell’esplosione di un’autobomba davanti all’entrata di un carcere nella zona settentrionale di Baghdad. Lo ha riferito una fonte del ministero dell’Interno iracheno citata dall’agenzia d’informazione ‘Xinhua’. Non e’ chiaro ancora se la deflagrazione ha provocato l’evasione di detenuti dalla prigione.

Fonte: Adnkronos


Israele, carcere per otto bambini palestinesi per lancio sassi

intifadaRAMALLAH (IRIB) – Il Tribunale di Ofer a ovest di Ramallah, ha emesso ieri le condanne nei confronti di otto bambini della città di Beit Ummar, a nord di Hebron, lo riferisce Mohammed Awad, il portavoce del Comitato popolare nel villaggio di Beit Ummar.

I piccoli Ayesh e Bilal Awad sono stati condannati a 18 mesi di carcere e al pagamento di 4mila shekel, Ahmed e Sami Abu, Abu Maria e Mohab a 14 mesi e una multa di 4000 shekel, mentre il Tribunale ha condannato la durata effettiva di undici mesi  Khalil Abu Maria e la multa a suo carico pari a 5mila shekel. Tutti i bambini sono stati condannati al carcere, con l’accusa di aver lanciato pietre contro veicoli militari israeliani.

Fonte


Brescia: due detenuti si incontrano nell’ora d’aria… e scoprono di essere padre e figlio

Dopo trentasette anni i due, entrambi detenuti nel carcere di Mombello, si incontrano e ricostruiscono le loro vite. Poi il figlio ha ottenuto i domiciliari, ed è uscito. L’uomo è rimasto dentro, tenendo vivo quel legame che grazie alla prigione è riuscito a ricucire.
mano_sbarreDifficile dire se sia più forte la gioia o il dolore, nel conoscere il proprio figlio, e il proprio padre, in carcere. La storia di Vincenzo, 61 anni, detenuto nel carcere di Canton Mombello, e del figlio che non sapeva di avere, anch’egli finito nello stesso luogo di pena, è stata raccolta dal giornale di Brescia. Una vicenda amara, che sembra raccontare che dal proprio destino non si sfugge, che non c’è riscatto possibile, anzi, i propri errori vengono raccolti dai figli, gli stessi guai passano in eredità a loro.
Vincenzo e il figlio si incontrano un giorno durante l’ora d’aria e si guardano con quella misteriosa sensazione di trovarsi di fronte a un altro sé, a un doppio. Sensazione strana in un carcere, dove in celle disumane in cui trovano posto sei persone, quando dovrebbero starcene due, gli altri sono più spesso un fastidio, una presenza asfissiante, l’ennesimo corpo schiacciato in uno spazio che scoppia. Saranno anche vere le leggende sulla solidarietà tra detenuti, ma quando il sovraffollamento raggiunge simili livelli si farebbe volentieri a meno di solidarizzare.
Ma Vincenzo intuisce che quel ragazzo non è un detenuto come gli altri, non è un altro avversario con cui contendere centimetri di vita, e chiede informazioni al compagno di cella del ragazzo. Quello gli rivela che la madre è una donna di Salò che Vincenzo aveva conosciuto molti anni prima.
Nell’incontro successivo, Vincenzo racconta al ragazzo di aver conosciuto sua madre, “portale i miei saluti”, gli dice. Il ragazzo scrive alla madre, le racconta di quel signore che dice di averla conosciuta. La donna risponde direttamente a Vincenzo: “Quel ragazzo che hai conosciuto in carcere è tuo figlio. Ha 37 anni”. Altro che ragazzo, un uomo. Vincenzo è come stordito dalla notizia: è già padre e nonno.
“L’ho riguardato in faccia e ho visto i miei stessi occhi. E così gli ho detto tutto”. Il riconoscimento è commovente ma amaro: come si fa a sopportare di scoprire un figlio, non un ragazzino sventato, ma un uomo di 37 anni, nel carcere in cui si è rinchiusi? E il figlio, riconoscendo il padre in quel detenuto alle soglie della vecchiaia, non avrà pensato che per certe persone non c’è futuro? Che era scritto che anche lui facesse la fine di suo padre, un perdente figlio di un altro perdente?
Ma in carcere pensare è solo una perdita di tempo, bisogna aiutarsi, e aiutandosi, in cella, i due hanno costruito il loro rapporto di padre e figlio. Poi il figlio, almeno lui, è uscito, ha ottenuto i domiciliari, e Vincenzo è rimasto dentro, tenendo vivo quel legame bello e triste al tempo stesso. Ora quando parla del figlio Vincenzo piange, perché è come se rivedesse in lui i suoi stessi errori, l’implacabile ripetersi di uno sbaglio che di generazione in generazione non si riesce a evitare. Se almeno il figlio raddrizzasse la sua vita, allora sì, sarebbe un bel riscatto. Allora sì, che valeva la pena di guardarsi e riguardarsi con un estraneo nell’ora d’aria, per poi sentirsi dire: “È tuo figlio”.

Adnkronos, 3 febbraio 2013


“colpiscine uno per educarne cento…” la magistratura condanna Mario Miliucci a 2 anni e 6 mesi per resistenza

Riceviamo e inoltriamo

marioCome antifascisti abbiamo sempre considerato la Resistenza un valore irrinunciabile e la pesante sentenza della 2° sezione del Tribunale di Roma contro Mario Miliucci -condannato a due anni e sei mesi per “resistenza”- ci sembra in sintonia con le logiche repressive che tendono ad “educare” con manganelli, arresti e condanne le giovani generazioni precarie che si affacciano alle lotte sociali.
La palestra di questa strategia del condannare e punire la abbiamo vista a Genova, con il comportamento delle “forze dell’ordine” nei confronti di una generazione in lotta contro la globalizzazione finanziaria e neoliberista, madre della crisi attuale. La mattanza nelle strade della città ligure, continuata alla DIAZ, negli ospedali e nel carcere di Bolzaneto sono state seguite da condanne abnormi di alcuni manifestanti per il reato -che sarebbe da abolire- di _devastazione e saccheggio_, figlio del fascista codice Rocco, sempre più spesso applicato, insieme alle denunce e agli avvisi orali, dalle questure, alle sentenze di alcuni magistrati contro l’opposizione sociale, mentre nessun autore _materiale _dei pestaggi e delle torture è stato individuato e condannato (in Italia non esiste il reato di tortura, né codici di identificazione degli agenti in servizio di PS).
La stessa logica dei due pesi e due misure e dei tentativi di intimidazione da parte degli apparati repressivi la vediamo in atto contro il popolo della Valsusa, la valle occupata militarmente dallo Stato per garantire spesa pubblica, interessi privati e devastazione ambientale.
Anche per i fatti del 15 ottobre 2011 a Roma, sono state comminate dalla magistratura pesantissime condanne e si è applicata una logica repressiva tipica degli anni ’70 per cui basta essere vicini agli eventi per vedersi addossate accuse e condanne pesantissime, patrimonio del codice penale fascista: pensiamo alle condanne per “devastazione e saccheggio” solo per essere stati fotografati a transitare nei pressi di un blindato in fiamme.
La stessa logica punitiva ha funzionato per Mario Miliucci, che sembra essere l’unico “colpevole” di quella giornata di mobilitazione che il 14 dicembre 2010 vide sfilare a Roma decine di migliaia di studenti medi ed universitari, precari, metalmeccanici e terremotati dell’Aquila, contro la fiducia al governo Berlusconi. Infatti su oltre 20 arrestati Mario è stato l’unico condannato pesantemente, per il reato di “resistenza”.
Sarebbe gravissima la logica del capro espiatorio ed il fatto che la magistratura abbia condannato, oltre alla resistente coscienza critica di Mario, anche il suo cognome, in una sorta di rappresaglia generazionale.
Le lotte contro la crisi attuale, non possono essere fermate con le intimidazioni poliziesche o le rappresaglie di alcuni magistrati, esprimiamo la piena e completa solidarietà e vicinanza a tutti e tutte coloro che lottano -impegnandosi e spesso pagando prezzi sempre troppo alti ed inaccettabili- per un altro mondo possibile.
CONFEDERAZIONE COBAS DI TERNI

 


Monza: navetta del Comune tra la stazione e il carcere

autobus-de-liaisonMONZA – Net taglia le corse dei pullman e il comune di Monza corre ai ripari: da oggi, venerdì 1 febbraio, è stato attivato in via sperimentale un servizio navetta che ristabilisce il collegamento tra la stazione ferroviaria e il carcere: da piazza Castello, nei pressi del teatro Binario 7, sarà possibile arrivare direttamente in prossimità dell’ingresso della casa circondariale di via Sanquirico. Il servizio, svolto con minibus da 16 posti e concordato con la direzione del carcere, prevede sei corse giornaliere: tre al mattino dalla stazione al carcere e tre al pomeriggio dal carcere alla stazione. Sarà attivo dal lunedì al sabato: il mattino la partenza dalla stazione è fissata alle 7.30, 8.30 e 9.30, mentre il pomeriggio le partenze dal carcere sono stabilite alle 12.30, 13.30 e 14.30.
«Con questo servizio mirato – dichiara l’assessore alla Mobilità Paolo Confalonieri – il Comune di Monza ripristina un collegamento importante, che era venuto meno con la revisione delle linee del trasporto pubblico realizzata lo scorso 7 gennaio da Net. Nel corso del mese di febbraio monitoreremo il numero di persone che faranno effettivamente uso dei minibus, al fine, eventualmente, di migliorare o ottimizzare il numero e l’orario delle corse».

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Parma, evasi dal carcere due pericolosi detenuti

Ma è giallo sulla dinamica della fuga. Per la Questura sarebbero fuggiti durante la notte, tra l’appello delle 3 e quello delle 9 del mattino; mentre per il sindacato della polizia penitenziaria sarebbero fuggiti durante l’orario dei colloqui segando le sbarre

applausoSono evasi nella notte senza lasciare traccia due detenuti del carcere di massima sicurezza di Parma. Da sabato mattina dall’istituto penitenziario di via Burla mancano all’appello due albanesi di 29 e 35 anni, “due pezzi grossi della criminalità normale, non detenuti nella sezione 41 bis” spiegano dalla Questura, spariti nella notte di venerdì in un lasso di tempo compreso tra le 3 e le 9 del mattino. A quegli orari risalgono infatti le ultime ispezioni in cella degli agenti di polizia penitenziaria. Le generalità dei due evasi non sono state ancora diffuse, ma entrambi hanno gravi precedenti penali, su uno dei due pende anche una condanna per omicidio.

Le ricerche sono scattate dopo l’ultimo appello, impegnate tutte le forze dell’ordine che stanno setacciando il territorio. Da via Burle bocche cucite sul grave episodio, di cui non sono ancora chiare le circostanze. Ancora da chiarire infatti come i due detenuti siano riusciti a scappare evitando i controlli delle guardie carcerarie, che si sono accorte della loro fuga solo dopo molte ore dall’accaduto.

Nello scorrere delle ore, però, le versioni della fuga diventano due. Secondo un comunicato delSappe, il sindacato di polizia penitenziaria. Il segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante ha spiegato che uno dei due stava scontando una condanna per omicidio e avrebbe già tentato in passato un’evasione da un carcere del Nord. Al vaglio degli investigatori c’è anche l’ipotesi, oltre all’allontanamento durante l’orario dei colloqui, che i due possano essersi allontanati dopo aver segato le sbarre della cella.

In una nota il Sappe “sicuramente la scarsa attenzione che negli ultimi tempi si pone alla sicurezzadelle carceri determina episodi di questo tipo”. “Il personale di polizia penitenziaria continua ad essere ridotto – lamenta il Sappe – Al momento mancano 7500 unità a livello nazionale (650 solo in Emilia Romagna), nei prossimi due anni ne perderemo altre 2000 a causa dei tagli alla spesa pubblica, considerato che potremo assumere solo il 35% circa di coloro che andranno in pensione, l’eccessivo sovraffollamento e la tendenza ad allentare le maglie della sicurezza fanno in modo che il carcere diventi sempre meno sicuro”.

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Processo No Tav, cariche davanti all’aula bunker del carcere di Torino + comunicato

no tavSi svolge tra le tensioni la prima udienza del processo NoTav presso l’aula bunker del carcere le Vallette di Torino. Sono una cinquantina gli imputati per i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2011. Le accuse del PM Ferrando sono: lesioni, violenza, resistenza a pubblico ufficiale. I NoTav hanno organizzato un presidio davanti al carcere, presenti oltre un centinaio di attivisti. Gli imputati hanno letto in aula un comunicato in cui “rifiutano” la scelta dell’aula bunker “associata ai processi di mafia e terrorismo”. Imputati e pubblico lasciano l’aula, il giudice chiede che venga identificata una delle imputate che ha iniziato la lettura del comunicato. La polizia tenta di bloccare l’uscita dall’aula ad un gruppetto di NoTav al fine di effettuare le identificazioni, questo causa una serie di tensione che sfociano in due cariche delle forze dell’ordine: una all’esterno del carcere e un’altra, molto più modesta, all’interno del cortile della stessa aula bunker

Fonte con video

Segue il testo letto in aula ORA E SEMPRE NO TAV!

“La scelta di spostare il processo in questa aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese.

Trasferendo la sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della “pericolosità sociale” e delle emergenze.

Noi invece, rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzandola valle con le conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.

Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in questa aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.

Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte/i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.

Giù le mani dalla Valsusa!

Ora e sempre resistenza!”


Aggressioni in carcere: detenuto aggredisce poliziotto penitenziario a Vercelli

Ennessima aggressione in carcere da parte di un detenuto nei confronti di un agente di Polizia Penitenziaria.

aggressioneQuesta mattina un detenuto ha aggredito improvvisamente e violentemente un agente di Polizia Penitenziaria che, nel carcere di Vercelli, stava accompagnando i detenuti all’ora d’aria. Lo rende noto il Sappe, esprimendo solidarieta’ alla vittima, che ha dovuto ricorrere alle cure dei sanitari del pronto soccorso. “Questa ennesima aggressione ci preoccupa – commenta il segretario generale del Sappe, Donato Capece – anche perche’ a Vercelli gli eventi critici come aggressioni e atti di autolesionismo sono purtroppo all’ordine del giorno e la tensione resta alta, a tutto discapito del nostro lavoro”.

Secondo Capece, “la carenza di personale di Polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture ed impedire l’implosione del sistema”.

AGI


Guantanamo non chiuderà

Cessa l’attività l’ufficio incaricato della chiusura del carcere
 
noNEW YORK – Il Dipartimento di Stato ha chiuso l’ufficio incaricato della chiusura di Guantanamo, il carcere statunitense nell’est di Cuba. Daniel Fried, l’alto funzionario che aveva il compito di studiare attuare la promessa fatta dal presidente americano Barack Obama all’indomani del suo primo insediamento, è stato assegnato ad altri incarichi e non sarà sostituito.
Le responsabilità di Fried sono state assunte dall’ufficio legale del Dipartimento di Stato. Lo ha appreso il New York Times e secondo il giornale la decisione lascia presumere che l’amministrazione Obama non considerà più una priorità realisticamente realizzabile la chiusura della base-prigione per sospetti terroristi nell’isola di Cuba.
L’annuncio ha coinciso con la prima apparizione in tribunale da ottobre di Khalid Shaikh Mohammed e di altri quattro detenuti di Guantanamo che rischiano la pena di morte per il loro ruolo nelle stragi dell’11 settembre. L’udienza a Guantanamo è stata ritrasmessa a circuito chiuso a Fort Meade.
 
Fonte: ANSA

Catania, Muore in carcere per infarto

Morto un boss di peso della violenta mafia della provincia di Caltanissetta. Si tratta di Rosario Lombardo, considerato personaggio di spicco di Cosa nostra di Niscemi, deceduto per infarto nel carcere di Catania, a Bicocca, all’età di 52 anni.

infarto-2-380x270Era finito in cella con l’accusa di associazione mafiosa e per avere progettato di uccidere i figli, due dei quali ancora minorenni, di due collaboratori di giustizia niscemesi, pronti a fare luce sull’organizzazione criminale e sulle strategie economie del clan.

Lombardo era chiamato “Saru cavaddu” ed era ritenuto un boss influente nella determinazione degli equilibri mafiosi. Oggi i funerali del boss nella sua Niscemi: durante le esequie un ladro ha tentato di rubare nell’abitazione di uno dei partecipanti al rito, ma, sorpreso dal proprietario e da conoscenti, è stato linciato.

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Olanda – Si chiudono le carceri per mancanza di criminali

closedLEGALIZZARE ALCUNE DROGHE ha portato di fatto ad un minor numero di criminali in Olanda, paese che oggi e’ in procinto di chiudere otto carceri. Un’altra notizia dopo quella della chiusura della McDonald’s in Bolivia che fara’ morire di invidia gli italiani.L’Olanda chiudera’ otto carceri perche’ non riesce a riempire la capacita’ di 14 mila persone del suo sistema carcerario. Attualmente sono 12 mila i detenuti in questo paese che negli anni novanta aveva il problema del sovraffollamento. Una delle ragioni per cui si e’ avuto un calo del tasso di criminalita’, sembra essere correlato alla legalizzazione di alcune droghe (probabilmente accompagnato da una politica educativa rispetto ai suoi usi ed effetti).Il ministro della Giustizia Nebahat Albayrak ha annunciato che otto prigioni verranno chiuse a breve e che 1200 posti di lavoro andranno persi, anche se stanno valutando l’ipotesi di ospitare i detenuti del Belgio.Negli Stati Uniti, il paese con l’incarcerazione media piu’ alta e un totale di oltre 2,3 milioni di detenuti, una delle obiezioni che sono state fatte prima della legalizzazione della marijuana, e’ che questo avrebbe generato piu’ reati e aumentato il consumo, ma quello che e’ successo in Portogallo e Olanda smentisce queste teorie.L’Olanda ha una popolazione di 16,6 milioni di abitanti e solo 12 mila detenuti, la sola California invece, per esempio, ha una popolazione di 36,7 milioni con 171 mila detenuti nelle carceri, molti dei quali in prigione solo per fumare o vendere marijuana. Ma evidentemente qualcuno negli States preferisce riempire le carceri di giovani piuttosto che lasciarli nelle strade.

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Carcere di Capodimonte: detenuto somalo tenta il suicidio con una corda rudimentale

Tentato suicidio nella serata di ieri alla Casa circondariale di contrada Capodimonte. Per cause ancora in corso di accertamento, un uomo di nazionalità somala, detenuto per presunti reati di pirateria, avrebbe tentato di impiccarsi nella sua cella. A darne notizia è la segreteria locale del Sinappe, il Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria.

suicideIl fatto sarebbe accaduto verso le 19:30 nel reparto autonomo del carcere beneventano. L’uomo, detenuto in una cella singola, avrebbe costruito una corda rudimentale sottilissima, formata da elastici e pezzi di plastica, e l’avrebbe legata alle sbarre della finestra prima di compiere l’insano gesto.

Da qui il tentativo, aiutato anche da uno sgabello. Tempestivo è stato però l’intervento di un agente della polizia penitenziaria, D.M., che ha soccorso l’uomo, già in stato di sofferenza, evitando il peggio.

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Aldrovandi, carcere per tre dei quattro agenti condannati

GIUSTIZIA NON è STATA FATTA! ASSASSINI!

Il tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta del pg. Ora Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto passeranno i prossimi 6 mesi dietro le sbarre invece che ai servizi sociali come richiesto dai loro difensori. Per il quarto poliziotto, Enzo Pontani, sentenza prevista a fine febbraio. La madre di Aldro: “Ora la radiazione dalla polizia”

processo-aldrovandi-ferrara-11Sconteranno i sei mesi residui della condanna in carcere tre dei quattro  poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Il tribunale di sorveglianza di Bologna ha accolto oggi la richiesta del procuratore generale Mirella Bambace per Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto che verranno raggiunti adesso dall’avviso di carcerazione. Della condanna a tre anni e mezzo per i fatti del 25 settembre 2005, grazie all’indulto, devono scontare solo sei mesi. Ma quei sei saranno sotto forma di arresto e non, come richiesto dalle difese, in affidamento ai servizi socialmente utili. Per il quarto agente, Enzo Pontani, la sentenza arriverà a fine febbraio, sempre dalTribunale di Sorveglianza, per un vizio di notifica.

Una sentenza, quella del tribunale felsineo, che segna un precedente nella giurisprudenza italiana. “Dal 1975 ad oggi non si è mai registrato un caso di arresto per un delitto colposo”, argomentava prima della diffusione della notizia l’avvocato Gabriele Bordoni, difensore di Forlani. Una decisione insomma che fa scuola ma che non chiude ancora del tutto la battaglia per ottenere giustizia portata avanti dai genitori di Federico. Che ora attendono il pronunciamento del ministero a livello disciplinare, che potrebbe portare alla sospensione o addirittura alla destituzione dei quattro agenti dal corpo di Polizia dello Stato.

E infatti questa “è la prossima tappa della nostra battaglia per aggiungere un altro tassello, quello definitivo, verso la verità e la giustizia”, conferma il padre di Federico, Lino Aldrovandi. Per lui, che da quel 25 settembre ha iniziato a contare letteralmente i giorni da quando è orfano del figlio, “quella di oggi è una notizia che non mi rende felice, come in molti mi han chiesto, ma è quantomeno un segnale verso il cielo. Federico non tornerà, ma chi lo ha ucciso pagherà quaggiù per quello che ha fatto. Davanti a me rimangono le immagini del suo corpo martoriato e delle sue urla di aiuto, quei “basta!” rimasti inascoltati”.

Per Fabio Anselmo, l’avvocato che ha seguito la vicenda fin dai suoi inizi, “oggi è stato dato un segnale di speranza anche a chi sta portando avanti identiche battaglia, come Ilaria, Lucia e Domenica (rispettivamente sorelle e figlia di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e Michele Ferrulli,vittime di casi simili a quello di Aldrovandi); una speranza che la giustizia sia uguale per tutti”.

“È la condanna massima che il tribunale di sorveglianza poteva esprimere e l’ha espressa”, spiega la madre del ragazzo ucciso, Patrizia Moretti, “Una decisione che acquista un alto valore simbolico, non tanto per il carcere in sé, ma per chi vi è condotto. Premesso che chi uccide una persona merita di entrare in una cella, questo verdetto si allinea a una condanna sociale. Spero che sia il preludio alla loro radiazione dalla polizia. Le forze dell’ordine non devono ammettere né tollerare forme di violenza verso le persone. Questa è la condizione necessaria perché quello accaduto a Federico e ad altri come lui non accada mai più”.

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Siria: battaglia nel carcere di Idlib con almeno 10 morti, i ribelli liberano più di 100 detenuti

Medio Oriente, addestramento di ribelli siriani

I ribelli siriani hanno liberato più di cento detenuti nel corso di una battaglia contro le truppe del regime in un carcere alla periferia di Idlib, nel nordovest del Paese. Lo ha annunciato l’Osdh, l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Almeno dieci ribelli sono stati uccisi nei combattimenti all’interno del carcere, ha indicato l’Osdh, che si basa su una rete di attivisti e medici per le sue ricostruzioni. “I ribelli sono riusciti a liberare più di cento prigionieri dalla scoppio dei combattimenti, ma non hanno assunto il controllo della prigione”, ha spiegato il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman.
I video pubblicati dagli attivisti hanno mostrato i ribelli all’interno del penitenziario, che si trova all’ingresso ovest della capitale provinciale. La città resta sotto il controllo del regime, mentre la provincia di Idlib è in larga parte nelle mani dell’opposizione. Decine di prigionieri sono state mostrate uscire dal carcere – sotto la protezione dei ribelli – mentre alle loro spalle si avvertivano raffiche di arma da fuoco ed esplosioni. La battaglia in carcere segue una giornata in cui 168 persone – 63 soldati, 60 ribelli e 45 civili – sono state uccise in tutta la Siria.

Fonte:  Tm News, 27 gennaio 2013


Spagna: Sul caso della prigioniera in lotta Noelia Cotelo Riveiro

Noelia Cotelo Riveiro è una giovane donna da A Coruña, Spagna nordoccidentale, la sua condanna a servire è stata fissata ad un anno e mezzo, dopo aver rubato una macchina per acquistare della droga. All’interno della prigione, la situazione si è complicata, ed essa si è difesa dai carcerieri. Ora, 5 anni dopo, si trova ancora in carcere.

Noelia-noIl 23 Ottobre 2012, Noelia stava parlando con la sua madre al telefono, spiegando che cosa stava succedendo all’interno del carcere di Brieva (Ávila, Spagna centrale). Ad un certo punto, una guardia femmina l’ha invitata brutalmente a finire la conversazione, urlando verso di lei: “BRUTTA BASTARDA, METTI GIÙ IL TELEFONO”, ma lei ha rifiutato. Dopo una lite con la guardia umana, cinque altri carcerieri l’hanno costretto di lasciare il telefono afferrando il suo polso con forza e rompendolo. L’hanno spostato nella sua cella e l’hanno lasciata ammanettata al letto fino al giorno successivo, senza alcuna assistenza medica. Il giorno dopo, su suggerimento del medico del carcere, è stata trasferita in un ospedale per essere trattata. Le lesioni e le cure prescritte sono dettagliate nella relazione medica.

Durante la notte del 23 Ottobre fino alla mattina del 24, Noelia dormiva ammanettata al letto nella sua cella. Si svegliò ed ha colsi una guardia con il nome di Jesús (il quale avevano partecipato all’aggressione di sopra) che toccava il suo seno e il petto. Preso alla sprovvista e al tentativo di nascondere la propria identità, il carceriere ha gettato il contenuto di una bottiglia d’acqua in faccia di Noelia. Le detenute nelle celle adiacenti sono state svegliate dalla risa e dalla fuga del carceriere.

Inoltre, sembra che una delle valigie di Noelia (con i suoi vestiti invernali) è stata rubata dal magazzino della struttura carceraria. A quanto pare, i suoi vestiti sono stati distribuiti al resto delle prigioniere, dal momento che una di loro, Maria Luisa, ha restituito a Noelia alcuni dei suoi vestiti.

Come tutti sappiamo, questo non è una ricorrenza isolata; vogliamo segnalare la situazione di Noelia, così come quella di molte altre donne e uomini imprigionati che vengono sistematicamente aggrediti. Noelia è stata appena trasferita dalla prigione di Picassent (Valencia), dove aveva presentato una denuncia per maltrattamento.

Dopo questo e la presentazione di una nuova denuncia, Noelia ha iniziato uno sciopero della fame come mezzo di protesta, segnalando e ribellandosi contro la sua situazione, rendendo visibili gli atti i silenzi del sistema. Tuttavia, ha dovuto abbandonare dopo solo 5 giorni perché le guardie della prigione hanno usato il diritto della visita di sua madre per ricattarla e farle pressione per abbandonare la sua protesta.

Durante il mese di Novembre, una guardia femmina ha sbattuto la porta della cella sulla mano rotta di Noelia; le sono state negate le cure mediche; è stata costretta a fare la doccia con acqua fredda; le sue comunicazioni sono state intercettate, e, al fine di isolarla, le sono state negate le visite o le sue ore di visita sono state ridotte. Nei primi di Dicembre, i pasti di Noelia venivano serviti su vassoi preparati da prima, mentre il resto dei prigionieri poteva guardare il loro cibo mentre veniva servito; subito dopo aver mangiato, Noelia dormiva fino la sera, che non era la sua abitudine. Non le è stato permesso di controllare il suo cibo.

Il 9 Dicembre, una marcia è stata richiamata verso la prigione di Brieva a sostegno di Noelia e contro le torture quotidiane e gli abusi subiti in carcere. Decine di persone si presentarono per mostrare il sostegno e la solidarietà con la nostra compagna. Nonostante la forte presenza della Guardia Civile (polizia militare), è stata un’esperienza positiva. Non sono stati in grado di rompere i legami creati dalle grida di sostegno da parte delle donne dall’interno che abbiamo potuto sentire attraverso le mura della prigione.

Il 14 Dicembre, il prigioniero anarchico, Juan Carlos Rico Rodríguez, ha mostrato la sua solidarietà con Noelia attraverso il seguente comunicato.

Oggi, ho saputo attraverso alcuni amici che una compagna nel carcere-macello femminile di Brieva, è stata torturata, e che le guardie carcerarie hanno anche cercato di molestarla sessualmente (cosa che non è “anormale” per niente nelle carceri-macelli Spagnoli) . La nostra compagna si chiama Noelia Cotelo. Mia figlia Noelia (12 anni) e la mia altra figlia Selena (16 anni) sono imprigionate; Noelia si trova a Valladolid (Via Pajarillos 1) e Selena si trova ad Ávila, un altro centro di detenzione giovanile, come sono eufemisticamente chiamate le prigioni per i bambini. Sono stato in prigione per 14 anni. Eppure, sono perfettamente consapevole del fatto che in una società patriarcale come la nostra, le donne imprigionate portano un doppio fardello: il loro status come prigioniere, e come DONNE. Non riesco a eliminare i responsabili diretti di questa violenza contro le donne nelle istituzioni dello STATO OMICIDA con le mie mani (che è ciò che questi tiranni meritano). Perciò, voglio esprimere la mia SOLIDARIETÀ, non solo con Noelia e le mie figlie, ma estenderla anche a tutte le donne del mondo che soffrono la TORTURA della prigione. Dovremmo tenere a mente che qualsiasi tipo di sistema che infligge questo tipo di trattamento sulla popolazione “femminile” all’interno del carcere-macello, così come coloro che lo sostengono, è un sistema/persona malato. E tale “malattia” deve essere estratta dalle radici, qualsiasi sia il costo. In risposta a questa crudeltà, scendo in digiuno simbolicamente il 24 Dicembre, 25 e 31, 2012 e il 1 e 6 Gennaio, 2013.

ELIMINARE UNA VOLTA PER SEMPRE TUTTE QUESTE PRATICHE E LORO CHE LE PRATICANO!

Questo è anche un richiamo alla “società libera”: VENDETTA!

Juan Carlos Rico Rodríguez. Prigione-macello di Aranjuez (Braccio 1, Madrid, Spagna)

neliaIl 14 Gennaio 2013, siamo stati informati che, dopo i disordini del fine Dicembre nel carcere di Brieva, l’orario di aria aperta di Noelia Orario è stato ridotto dalle 3 ore a 1 ora al giorno – o talvolta solo mezz’ora. Oltretutto, la guardia carceraria che l’aveva aggredito sessualmente ha presentato una contro-denuncia contro Noelia, dicendo che era lei l’aggressore; ora lei è quella che soffre le conseguenze, trascorrendo 28 giorni in isolamento.

Dopo tutto questo la nostra compagna non è ancora disposta a contribuire al proprio silenzio ed accettare questi termini. Noelia ha deciso di iniziare uno sciopero della fame a tempo indeterminato l’8 Gennaio, con il sostegno de* suo* compagn* prigionier* in lotta. Le sue richieste sono:

* La fine dei maltrattamenti, delle torture, dei trattamenti degradanti, dei pestaggi, e degli abusi verbali in tutte le carceri;

* La fine della collusione tra medici e giudici;

* Non più un episodio di violenza sessista contro le donne, non più nonnismo e non più un assalto sessuale. Nessun carceriere di sesso maschile negli bracci e le carceri femminili;

* Che nessuna legge o sentenza possa separare una famiglia. No alla dispersione di quelli in prigione. Ogni persona deve rimanere nel suo luogo di residenza. che non ci siano più costanti trasferimenti da un carcere all’altro;

* Che tutte le persone in carcere sono trattate con dignità, che sono forniti con i loro trattamenti, che sono frequentati dal personale medico necessario. Che tale servizio sanitario, qualcosa di così universale, raggiunga tutti. Che non ci siano più MORTI in carcere. Basta con i casi di mallasanità;

* Che non ci vengono dette più bugie – la riabilitazione non è umiliazione. Non abbiamo bisogno di essere assimilati da nessuna parte, abbiamo bisogno di rispetto. L’odio e la violenza generano solo più odio la violenza;

* Che la cosiddetta trasparenza raggiunga le istituzioni penitenziarie e qualsiasi cosa a loro riguardo. Fine all’impunità. Non più insabbiamenti degli omicidi di Stato;

* Che questa farsa volge al termine. Che la povertà non sia punita con la reclusione, che le prigioni traggono profitto dalla povera gente. Che questo sistema mercantilista finisca. Siamo persone, non monete.

Il 16 Gennaio, Noelia ha chiesto di visitare il medico perché aveva un’infezione all’orecchio che si era diffusa alla bocca, diventando molto infiammata. Ma le guardie della prigione hanno risposto che nessun medico l’avrebbe ricevuta, ma se voleva, un carceriere chiamato Adelardo l’avrebbe assistita. Un po’ prima, questo stesso carceriere le ha dato un dosaggio sbagliato di metadone e quasi la fece morire di overdose. Quando arrivò, Noelia gli chiese se poteva andare da un medico, e lui rispose che non aveva bisogno di un medico, perché sarebbe morta lì. Dopo questo incidente con il carceriere Adelardo, Noelia è stata spostata in un’altra cella con una finestra aperta… perfetta per la sua infezione all’orecchio. Si noti che non c’è il riscaldamento nel carcere di Brieva (dove le temperature massime sono 10°C) e che la maggior parte dei suoi abiti invernali sono stati rubati.

Il 25 Gennaio, c’è stato un raduno in piazza Paeria (Lleida) a sostegno di Noelia, che è ancora in sciopero della fame.

Noelia non è sola!
Abbasso le prigioni! Non più prigionieri!

Se volete scrivere e mostrare il vostro sostegno:
Noelia Cotelo Riveiro
CP. Brieva
Ctra. de Vicolozano; 05194
Brieva – (Ávila)
Spain

Fonte

 


Valdivia, Cile: protesta detenuti repressa con botte e cani!

abuso_di_potere_largeDai compagni di PublicacionRefractario si viene a sapere che i prigionieri del modulo 31,  del carcere -impresa (Concessionada) di Llancahue, il 5 gennaio scorso hanno protestato contro gli abusi nei loro confronti. I secondini e il personale anti-sommossa hanno represso la protesta assalendo con i cani e picchiando i prigionieri. I detenuti hanno contattato vari gruppi di media e praticamente hanno fatto sapere che un detenuto è sul punto di perdere un rene a causa delle percosse.

I 16 prigionieri del modulo hanno detto, inoltre, che i carcerieri hanno rotto loro gli oggetti di igiene personale di rompere la loro igiene personale e spruzzato sul loro cibo un gas-pepe, oltre alla furiosa  aggressione.

Secondo l’ospedale della prigione il detenuto ferito non aveva lesioni di ogni tipo, poi uno dei paramedici ha rivelato con una spiegazione imbarazzante che “questo era dovuto al fatto che l’uomo era nero, così non gli è stato possibile vedere le ferite “.

L’Istituto Nazionale dei Diritti Umani ha lanciato un appello contro le guardie con l’accusa di tortura, ha nominato un procuratore speciale della corte di appello (Dario Carreta), ha arrestatoo  il ministro della giustizia (Patricia Perez) ed il capo della gendarmeria(Luis Masferrer) determinando l’avvio di una indagine sui fatti accaduti.

Fonte


Registrazione 24 novembre 2012

In allegato i file della discussione con Alfredo Maria Bonanno “Prospettive di lotta contro il carcere” tenutasi il 24 novembre 2012 al FOA Boccaccio di Monza.

Alfredo(1) DiscussioneAlfredo DiscussioneAlfredo2

Buon ascoltovolantino 24 25


Carceri in GB, donne, minori e adulti, violati i diritti

Ragazzini nel carcere con gli adulti: choc in Inghilterra

jail 4Minorenni trasferiti nelle strutture penitenziarie ordinarie, in violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite: nel Regno Unito si grida allo scandalo.

Minorenni nelle galere per adulti. Una eventualità che viola gli accordi internazionali sul tema dei diritti dei minori. Il fatto scrive il quotidiano Independent, è avvenuto in Inghilterra e il ministro britannico della Giustizia Minorile, Jeremy Wright, ha ammesso che nel 2011 alcuni minorenni sarebbero stati trasferiti dalla custodia minorile, alle carceri. La questione era già all’attenzione della politica inglese da qualche tempo e, come già detto, vìola l’articolo 37 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite, che obbliga “la separazione carceraria tra adulti e minori, a meno sia necessario per il minore rimanere in costante presenza di adulti”.

Dopo essere stata dibattuta per la prima volta in Parlamento lo scorso 10 gennaio, la questione dovrà essere affrontata con grande rapidità per non incorrere nelle sanzioni delle Nazioni Unite.

Gb non rispetta condizioni carcere donne

teen-faces-sexual-exposing.nIgnorati standard dettati da Onu, centinaia i casi

La Gran Bretagna e’ lontana anni luce dagli standard delle Nazioni Unite sulla detenzione carceraria femminile e secondo uno studio le condizioni in cui le donne sono tenute in prigione sono in un gran numero di casi “ingiuste, sbagliate, non rispettose dei diritti umani”. Lo studio, condotto da Rachel Halford, direttrice del gruppo ‘Donne in carcere’, sostiene che il Regno Unito pur avendo firmato 2 anni fa un protocollo sui nuovi standard dell’Onu non ha finora ottemperato a tali direttive.

Fonte 1 e 2