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Bolivia, dopo le sommosse nelle carceri Evo Morales firma l’indulto

Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri

Nel weekend il parlamento boliviano ha dato l’ok definitivo alla legge per l’indulto. Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri. Evo Morales, dopo una serie di tentennamenti, si è visto pressochè “costretto” a firmare il provvedimento per sbloccare la situazione.

Il vicepresidente della Bolivia e presidente del parlamento, Álvaro García Linera ha dichiarato che si tratta di una decisione “umanitaria” di Evo Morales per “favorire i detenuti che non sono accusati di reati gravi come omicidio, stupro, terrorismo o separatismo”. Il ministero dell’Interno spiega che l’indulto è destinato ai detenuti che  hanno commesso reati minori, che hanno scontato i due quinti della pena, che hanno tra i 16 e i 25 anni e, soprattutto, le donne in gravidanza”, come anche le persone condannate dalle legislazione antidroga, “ma con pene minori ai dieci anni di carcere”, ade sempio coloro che hanno commesso questo tipo di reato per la prima volta o hanno trasportato quantità minime di droga.

Inoltre potranno beneficiare dell’indulto i detenuti condannati per il primo delitto che rientrino tra gli uomini con più di 58 anni, le donne con più di 55 anni, i giovani fino a 25, i disabili gravi che abbiano scontato un terzo della pena e i malati terminali. Vi potranno accedere anche i genitori con figli a carico sotto i 12 anni che vivono in carcere e abbiano scontato un quinto della loro pena, oltre ai prigionieri per reati minori con sanzioni fino a 8 anni che abbiano già trascorso un terzo del tempo previsto in cella.

La misura era stata richiesta con urgenza dalla Direzione del regime penitenziario proprio per “motivi umanitari”: l’organismo ha sottolineato l’urgenza di decongestionare le carceri boliviane, che ora come ora ospitano 13.840 reclusi, 3.000 in più del 2011. Le proteste organizzate nelle carceri negli ultimi giorni puntavano ad ottenere l’indulto ma anche il versamento alle autorità penitenziarie di arretrati per il mantenimento dei carcerati.

La situazione sanitaria nelle carceri della Bolivia è pessima. La fatiscenza delle strutture e l’eccessivo affollamento portano al diffondersi di malattie che in Europa sono ormai sconosciute come la tubercolosi. L’assistenza sanitaria è assente e quel poco che c’è si deve alle organizzazioni di volontariato e alle chiese locali. Rompersi una gamba in carcere può significare rimanere storpi per sempre. Ma il dato più incredibile è che le carceri in Bolivia sono piene di donne e bambini. Infatti se la famiglia del detenuto non ha mezzi di sostentamento, tutti seguono in prigione l’uomo. A Palmasola dei circa 5.000 abitanti del carcere solo 3.000 sono detenuti. Gli altri sono familiari al seguito.

Fonte: Today.it


CAOS CARCERI: 69mila carcerati per 49mila posti letto, una vergogna

Questa volta l’hanno chiamata “legge di stabilità”, termine un po’ accademico e anche un po’ pomposo rispetto alla vecchia “finanziaria”. Un tempo si diceva che tutte le “finanziarie”, nel rush finale della votazione, diventavano una sorta di “assalto alla diligenza” dove corporazioni, enti tra i più strani e conturbanti, altre iniziative “tipicamente italiane” riuscivano ad aggiudicarsi un pezzetto della “torta” in discussione. E’ forse per questa ragione che il “governo dei tecnici”, presieduto da Mario Monti, ha scelto una discontinuità lessicale per distinguersi nell’innovazione anche sui conti e sui programmi dello Stato. Solamente che, anche da una prima spulciata, qualche milionata (in euro) finisce sempre ad alcuni annuali abbonati e nello stesso tempo ci si dimentica di reali bisogni, di ottime iniziative che sembravano ormai acquisite. C’era la “legge Smuraglia”, ad esempio, che riguardava direttamente il lavoro che svolgono i detenuti sia all’interno del carcere, sia all’esterno, quando godono del regime di semilibertà. Un percentuale consistente della popolazione carceraria italiana.

Cosa prevede la legge Smuraglia ? Che le imprese che assumono, fanno lavorare i detenuti hanno oneri sociali ridotti, in termini più semplici il costo del lavoro è inferiore. Ora, proprio in questi giorni, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha ricordato lo scandalo delle carceri italiane. Marco Pannella continua il suo sciopero della fame e della sete di fronte a questo scempio. Non è una stravaganza. Per la condizione delle sue carceri e per il modo in cui si è costretti a vivere in carcere, l’Italia è stata più volte richiamata e additata come pessimo esempio dall’Onu, dalla Corte di giustizia europea, dalla stessa Unione europea. Per avere solo un indicatore, basti pensare che far vivere una persona in meno di tre metri quadrati è considerato una tortura. Detto questo, il lavoro per i detenuti è ancora qualche cosa di più, un autentico valore aggiunto per recuperare una persona, per ridarle una speranza di vita e di reinserimento nella vita sociale. Patrizio Gonnella è il presidente dell’Associazione “Antigone” e da anni si batte e opera attivamente per di diritti di chi ha sbagliato ed è recluso in carcere.

Che cosa è successo, Gonnella?
Con la legge di stabilità hanno definanziato la “legge Smuraglia”. In altri termini, le agevolazioni che avevano le imprese sociali, le cooperative soprattutto, nell’assumere e fare lavorare i detenuti, sia quelli all’interno del carcere, sia quelli che sono in semilibertà, non avranno più oneri sociali ridotti, non godranno più di facilitazioni e quindi assumere una persona in stato di detenzione avrà un costo del lavoro uguale a quello di una persona libera. Si può immaginare e prevedere quale conseguenza avrà un simile provvedimento. Con la crisi che si sta vivendo, con tutte le imprese in difficoltà, molti non saranno più assunti, alcuni verranno licenziati e resteranno senza lavoro.
E’ molto importante il lavoro per un detenuto?
Guardi, il lavoro per una persona che sta in carcere è una specie di “ponte” con il mondo esterno. Spesso è di importanza fondamentale. Sia chiaro, c’è lavoro e lavoro. Chi fa solamente lavori generici, le pulizie ad esempio, occupa il più delle volte il suo tempo in qualche modo. Ma in questi anni, molti detenuti hanno imparato un mestiere. C’è chi ha insegnato loro come fare i pasticceri o altri mestieri artigianali. In questo caso si hanno dei lavori qualificati, di ottima qualità e nello stesso tempo si innesta un processo di formazione che dà veramente un ruolo e una speranza a tanta gente che ha sbagliato e vuole riscattarsi. E’ questo l’aspetto più bello che si è visto in questi anni pur nella sofferenza e nella paurosa carenza delle strutture carcerarie italiane.

E’ una buona percentuale quella dei detenut i lavoratori?
Sì, possiamo dire che si stava migliorando. Certo che se lei definanzia la legge che agevola di fatto, che favorisce questo tipo di contratto particolare di lavoro, scoraggia non solo le imprese per le agevolazioni che avevano, ma scoraggia gli stessi detenuti, la stessa popolazione carceraria, per le difficoltà che crea e perchè si sente del tutto emarginata.
Come si può giudicare la condizioni dei carcerati e delle carceri italiane?
In questo caso è inutile fare tanti giri di parole e fare discorsi complessi. Basta fornire solo un dato indicativo: a fronte di una popolazione carceraria di 69mila persone, ci sono 49mila posti letto. Che cosa si può aggiungere di più di fronte a una simile emergenza, anzi a una simile vergogna?

Di: Gianluigi Da Rold


Tentativo d’evasione con corda sventato nel carcere di Busto Arsizio

Purtroppo,

Sventata evasione dal carcere di Busto Arsizio: la Polizia Penitenziaria ha fermato un sudamericano che aveva già progettato la fuga come nel più classico dei film polizieschi. Durante i controlli notturni le guardie si sono accorte che il detenuto non prendeva mai sonno. Da qui i primi sospetti: la Polizia Penitenziaria ha così deciso di trasferire di cella l’uomo, in modo da perquisire quella dove alloggiava con un altro carcerato. In effetti, i sospetti erano fondati: una volta entrati nella stanza i poliziotti hanno trovato tutto quello che cercavano.

Lo straniero aveva nascosto sotto il letto a castello una lunga e solida corda rudimentale realizzata con ritagli di lenzuola e coperte, una corda molto resistente. La componente di metallo posta al lato del letto come protezione si prestava inoltre ad essere utilizzata come gancio per tenere ben salda la corda alla finestra del bagno, già divelta: con un seghetto l’uomo aveva realizzato anche due piccole fessure in una delle sbarre protettive di ferro. Per non farsi scoprire aveva inoltre riempito le fessure con del sapone. Anche la battitura sulle sbarre eseguita dai poliziotti non consentiva di avvertire l’anomalia.

La finestra è affacciata su un piccolo cortile non molto distante dal muro esterno dell’istituto penitenziario. Per il carcerato sarebbe stato quindi facile, una volta calatosi dalla finestra, scalare la cinta e fuggire dalla casa circondariale. L’uomo è ora tenuto in stretta sorveglianza: sarà trasferito in un altro istituto.

Fonte:  poliziapenitenziaria.it


Tre agenti accusati di aver ucciso a badilate quattro cuccioli di cane della colonia agricola di Is Arenas

Una storia assurda arriva dall’Unione Sarda: tre agenti penitenziari hanno massacrato a badilate i cani di alcuni detenuti nel carcere di Is Arenas, alle porte di Cagliari. I cuccioli bersaglio della loro ferocia quattro meticci adottati e accuditi dagli ospiti della colonia penale.

Sono quindi finiti sotto inchiesta il sovrintendente G. D., 45 anni, e gli assistenti I. P., 45, e A. S., 49. Dovranno rispondere di uccisione di animali, omessa denuncia e atti persecutori.

E’ stato un testimone a far partire l’indagine, un cittadino marocchino detenuto a Is Arenas, A. C. Ha assistito alla strage. Stando al suo racconto, nel 2011 A. S. disse di aver ricevuto l’ordine di uccidere i cani. Le proteste dei detenuti non sortirono nessun effetto e S. massacrò a badilate tre dei quattro cuccioli. Il quarto fu ritrovato qualche giorno dopo da P. che completò l’opera.

Il detenuto C. a questo punto si sarebbe rivolto al sovrintendente D. per denunciare l’accaduto; quest’ultimo gli avrebbe risposto: “Stai zitto o ti trasferiamo in un altro istituto”. Ancora non si conosce il movente della mattanza, forse la tensione tra agenti e reclusi. Il direttore della colonia penale di Is Arenas, Pierluigi Porcu, invita alla prudenza: “Aspettiamo l’esito delle indagini, ho piena fiducia nel lavoro della magistratura. Non mi era giunta alcuna notizia di un fatto del genere e sono piuttosto scettico visto che si tratta di tre poliziotti assegnati al distaccamento a questure che amano molto gli animali. Non li ritengo capaci di un simile gesto”.

Fonte: cronacaeattualita.blogosfere.it

 


Proteste carceri, 3 agenti feriti a Foggia

Foggia – “COME se non bastasse il sovraffollamento cronico detentivo delle Carceri Pugliesi a quota 4.400 presenze in solo undici strutture penitenziarie contro una regolamentare tolleranza di posto letto pari a 2.450 persone stipate su letti a castello che toccano il più delle volte ed in quasi tutte i penitenziari il soffitto di alcune celle, una situazione di convivenza e promiscuità forzata bastevole, da ieri 19.12.2012 manifestano in modo collettivo attraverso il rifiuto del vitto dell’amministrazione e la terapia sanitaria tutte le 42 detenute presenti nel Super Carcere di Borgo San Nicola a Lecce, una manifestazione che si è protratta per tutta la giornata”. Lo dice Domenico Mastrulli, Vicesegretario Generale Nazionale sindacato OSAPP.

La protesta delle recluse di Lecce è stata attivata per solidarietà al leader del Partito Radicale On.Marco Pannella per lo sciopero della fame e della sete in atto al fine di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul dramma carceri e richiesta di AMNSTIA si è sviluppata con il dichiarato rifiuto del vitto dell’amministrazione penitenziaria e quello della Terapia Sanitaria a cui sarebbero assoggettate le ristrette.

Foggia invece, ieri mattina tutti i detenuti ristretti nella Sezione Reclusione hanno dato vita ad una protesta, consistente nel rifiuto del vitto dell’amministrazione(latte e frutta),per l’insufficiente erogazione di acqua calda che non permette la fruizione della doccia alla maggior parte dei ristretti e la scarsa erogazione del sistema di riscaldamento dei reparti.

Intanto,nel pomeriggio di ieri 19.12.2012 ,dopo la protesta mattinale dei reclusi verso le ore 18,20 chiamati ad intervenire come pronto intervento nei Reparti tre appartenenti ai Baschi Azzurri in giunti nella “Sezione Particolare” dove sono ristretti 37 reclusi per sedare una accesa diatriba quasi violenta innescatasi tra reclusi in una cella occupata da tre persone, mentre uno di questi(l’aggressore dei poliziotti) voleva la meglio su uno degli occupanti e negava l’entrata al quarto detenuto in via di sistemazione nella cella gettando ogni indumento di proprietà di quest’ultimo fuori dalla stanza del Nuovo Complesso I destra cella n. 3 ,ha aggredito i tre Poliziotti di cui un sovrintendente procurandogli prognosi da tre a sei giorni a testa.

“Da informazioni assunte trattasi di un detenuto violento dedito alle aggressioni ai danni della Polizia Penitenziaria e di altre forze dell’ordine tale L.G. di Lecce condannato definitivo fine pena 16 maggio 2014 per resistenza e violenza a P.U., evasione dagli arresti domiciliari, concorso in tentata rapina.Uno dei tre agenti aggrediti in quel momento Vigilava ben due Sezioni Contemporaneamente una di 37 e l’altra di 13 per un totale di 50 detenuti tutti elementi a Sorveglianza particolare”.

Mastrulli: “Il problema carceri,il problema violenza ed aggressioni sui poliziotti,il problema Foggia si ripresenta sempre più invasivo ma soluzioni ed interventi benché richieste e sollecitate al Capo e Vice Capo Dipartimento tardano ad arrivare mentre altri poliziotti,come il caso di ieri sono vittime inconsapevoli di un sistema arrugginito penitenziario”.


Detenuto trans non avrà permessi

Vergognoso

Vallese: condannato a 11 anni, voleva uscire dal carcere per diventare donna

LOSANNA – Voleva uscire dal carcere (maschile), cambiare sesso e tornare poi in carcere, questa volta femminile, e continuare a scontare la pena di 11 anni inflittagli per aver ucciso la moglie. Ma il Tribunale federale ha confermato il veto emesso dal Tribunale cantonale alla richiesta di rilascio con la condizionale.

Nel febbraio 2002 l’uomo uccise la moglie nel loro appartamento a Sion, dopo che la donna gli aveva annunciato di volersi separare. Quattro anni dopo il Tribunale cantonale vallesano lo aveva condannato per omicidio intenzionale. Nel 2010 la richiesta di sospensione della pena per potersi sottoporre all’operazione che lo avrebbe fatto diventare una donna; uno psichiatra del CHUV – l’ospedale universitario vodese – aveva diagnosticato che l’uomo era affetto da transessualismo, la condizione in cui l’identità sessuale fisica non corrisponde a quella psicologica e aveva affermato che a causa della sofferenza psichica del soggetto, non era più possibile differire il trattamento ormonale. Avendo nel frattempo scontato metà della pena, l’uomo – in carcere a Martigny senza contatti con altri detenuti – nel settembre 2011 chiese di poter beneficiare di un rilascio su condizione, eccezionalmente anticipata. A marzo di quest’anno la Camera penale del tribunale cantonale ha però detto di no e ora il verdetto è stato confermato dai giudici federali.  Il TF rileva che il rilascio su condizione a metà della pena deve rimanere l’eccezione, considerando che il transessualismo non è una malattia così grave da comportare la liberazione dal carcere per ragioni umanitarie. La vicenda tuttavia non è conclusa. Il detenuto aveva nel contempo chiesto anche di poter beneficiare di una interruzione della pena. Il dipartimento vallesano della sicurezza ha risposto di no, ma è stato inoltrato ricorso alla Corte di diritto pubblico del Tribunale cantonale, che dovrebbe pronunciarsi prossimamente.

Fonte: corriere del ticino


Presidio carcere a Cremona 22/12/12


Opg. Oggi tre operazioni di sequestro in Toscana, Sicilia e Abruzzo

La Commissione d’inchiesta sul Ssn, nel corso di una conferenza stampa convocata per tracciare il bilancio di una anno di attività sulla salute mentale e gli Opg, ha comunicato di aver dato avvio, con l’ausilio dei carabinieri, a tre operazioni di sequestro di strutture in Toscana, Sicilia e Abruzzo.

19 DIC – La Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale ha dato avvio questa mattina a tre differenti operazioni di sequestro con l’ausilio dei carabinieri in Toscana, Sicilia e in Abruzzo. L’operazione s’inquadra nell’ambito dell’inchiesta sulla salute mentale e gli ospedali psichiatrici giudiziari condotta in quest’anno dalla stessa Commissione. Le strutture sottoposte a sequestro sono: il reparto denominato “Pesa”, l’ultima area vecchia e degradata ancora in attività dell’Opg, all’interno dell’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino (Fi); l’intero ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me); e infine alcuni container in cui alcune decine di giovani pazienti psichiatrici dell’Aquila, dopo il terremoto del 2009, erano costretti a recarsi per poter prendere parte a progetti terapeutico-riabilitativi.

“I carabinieri del nucleo Nas hanno confermato di aver terminato le operazioni di sequestro presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino e quello di Barcellona Pozzo di Gotto ”. A dichiarato è Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Ssn a margine della conferenza stampa in cui è stato annunciato il sequestro di due ospedali psichiatrici giudiziari.

Marino ha poi spiegato che “i 15 pazienti dell’Opg toscano ora dovranno essere trasferiti entro sette giorni. In Sicilia invece si avrà un termine massimo di 30 giorni per il trasferimento di 205 pazienti”. Il presidente della Commissione ha poi rivolto un ringraziamento all’opera dei “carabinieri del Nas che in questi anni hanno svolto un lavoro importantissimo per la Commissione d’inchiesta che ha potuto, anche in questa delicata circostanza, esercitare i propri poteri con rigore grazie al loro intervento”.

Per quanto riguarda la struttura di Montelupo Fiorentino nel provvedimento di sequestro si legge, tra l’altro, che “continuano a essere radicalmente deficitarie” le condizioni strutturali ed igienico-sanitarie, recando “pregiudizio ai diritti costituzionalmente garantiti” come il diritto a forme di detenzione che non siano contrarie al senso di umanità, il diritto alla salute e il diritto all’incolumità. In totale nell’Opg ci sono ora 102 internati, per lo più concentrati in un reparto completamente nuovo che è stato occupato solo di recente, in attesa della chiusura definitiva dell’OPG prevista dalla legge per il 31 marzo 2013.

La situazione dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, pur facendo registrare alcuni miglioramenti in diverse aree, segnalati nel provvedimento di sequestro, “mantiene –secondo quanto riportato nel provvedimento di sequestro – una conformazione del tutto inidonea per una struttura che dovrebbe garantire standard da residenza psichiatrica e soffrono di una condizione di intollerabile sovraffollamento (fino a 12 pazienti per cella)”. Il direttore dell’Opg ha anche confermato che mancano figure mediche specialistiche per l’assistenza agli internati: persone che soffrono di cuore, disabili in sedia a rotelle, pazienti affetti da ernie e da altre disfunzioni gravi non possono essere assistiti. Lo stesso vale per la terapia psichiatrica e psicologica. Nel caso dell’Opg siciliano, che dovrà essere definitivamente chiuso entro 30 giorni, gli internati da trasferire sono 205.
“Si tratta di provvedimenti gravosi di cui la Commissione d’inchiesta si assume la responsabilità con rigore – ha spiegato ancora il presidente della Commissione Marino – dentro gli Opg non si può assistere un internato che ha un infarto, per non parlare di persone con patologie gravemente invalidanti, come la gangrena dovuta al diabete, che hanno aspettato periodi interminabili prima di essere trasferiti in un vero ospedale per una amputazione. Nonostante i miglioramenti notati nei due Opg sottoposti a sequestro, abbiamo constatato che il diritto alla salute non è assolutamente garantito: queste strutture purtroppo restano carceri-ghetto che in alcun modo assomigliano a un ospedale”.

Il difficile superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari
Oggi le strutture psichiatriche giudiziarie in Italia sono 6. Oltre a Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino di cui si è detto, ci sono quelle di Aversa (Ce), Napoli Secondigliano (Na), Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere (Mn). Lo scorso 17 febbraio con l’approvazione della legge 9 per il “superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari” era stato fissato il 31 marzo 2013 come data ultima per la chiusura dei sei centri, a favore dell’apertura di piccoli ospedali regionali dotati di circa 20 posti letto con l’attrezzatura e il personale adeguato all’assistenza dei pazienti. Questa riforma è stata finanziata con 120 milioni per il 2012 e 60 per il 2013 per la realizzazione delle nuove strutture. Inoltre, la legge prevede 38 milioni per il 2012 per l’assunzione del personale e altri 55 milioni ogni anno a partire dal 2013, anche per l’assistenza alternativa all’Opg (progetti riabilitativi sul territorio).

Oggi però permane un grave ritardo nell’applicazione della legge. Il governo, nonostante le numerose sollecitazioni della Commissione, non ha emanato il decreto di destinazione delle risorse per le nuove strutture e l’assunzione del personale. Questo significa che i tempi stabiliti per la chiusura degli OPG difficilmente verranno rispettati.

“Siamo in enorme ritardo – ha spiegato Marino – a dimostrazione di ciò, rispetto ai 158 milioni di euro stanziati dallo Stato per il 2012, le regioni italiane non hanno speso neanche 1 euro. Per questa ragione, il 15 ottobre 2012 mi sono recato dal Presidente del Consiglio Mario Monti per esprimere grande preoccupazione e suggerire al governo, a nome della Commissione di inchiesta, una soluzione: si nomini una figura che abbia pieni poteri per applicare la legge votata dal Parlamento e che possa gestire il percorso di chiusura e le risorse economiche messe a disposizione. Siamo consapevoli che attraversiamo un momento di grave crisi economica, che il fondo sanitario nazionale è stato tagliato di altri 30 miliardi e che le Regioni sono chiamate ad affrontare sfide complesse, ma si tratta della vita di più di mille persone e la chiusura degli Opg è un passo di civiltà irrinunciabile”.

Fonte: quotidianosanità.it


Messico,scontri in carcere:17 morti

Le violenze sono scoppiate a seguito di un tentativo fallito di evasione da un penitenziario a Gomez Palacio, nel nord del Paese.

Secondo tentativo di evasione dal carcere di Gómez Palacio, in Messico, nel giro di due mesi. L’ultima volta la tentata evasione era stata bloccata sul nascere e due detenuti erano rimasti uccisi negli scontri. Ieri, invece, la situazione è degenerata in pochissimo tempo, tanto da richiedere l’intervento dei militari dell’esercito, e 17 persone – 11 detenuti e 6 guardie –sono rimaste uccise.

 

La rivolta è scoppiata intorno alle 17 di ieri, all’indomani di un’ispezione della struttura che aveva portato al sequestro di numerosi telefoni cellulari, armi e piccoli elettrodomestici introdotti illegalmente dai detenuti. Evidentemente non tutte le armi sono state sequestrate: un gruppetto di detenuti ha cominciato a sparare contro le torri di guardia e gli altri militari presenti nella struttura, mentre un altro gruppetto di carcerati ha tentato di fuggire passando attraverso un tunnel e cercando di superare la recinzione posteriore.

 

Nel panico generale, scrive El Pais, i militari hanno esploso diversi colpi in aria a scopo di avvertimento. Non avendo sortito alcun effetto, hanno preso a sparare contro i detenuti in fuga, uccidendone undici. A questi morti si aggiungono le sue guardie rimaste uccise nel conflitto, prima che intervenisse l’esercito e ristabilisse l’ordine.

Al di là di quest’ultimo episodio di violenza e del precedente, la struttura Gómez Palacio, nello stato di Durango, è stata oggetto anche in passato di scontri e scandali. Nel 2010, ad esempio, l’ex direttore del penitenziario era finito in manette per aver autorizzato alcuni detenuti vicini al cartello degli Zetas ad uscire dal carcere per regolare i conti con alcune persone all’esterno.

Si stima che le carceri messicane, e questa non fa eccezione, siano controllate per il 60% dalla criminalità organizzata e non è escluso che la rivolta di ieri sia collegata proprio ai gruppi criminali che da anni stanno dilaniando il Messico. Il fatto che il giorno prima fossero stati sequestrati armi ed altri oggetti potenzialmente pericolosi, ha spinto le autorità a credere che qualcuno dall’esterno – o forse addirittura qualche guardia corrotta – abbia contribuito a reintrodurre a tempo di record un nuovo arsenale.

Le indagini sono ancora in corso.

 Fonte: Crimeblog

 

 


Corteo contro la repressione

Il corteo finirà sotto il carcere di S.Vittore
Il 27 ottobre a Cusago un rave party viene duramente represso con un
violento attacco della celere. Il bilancio dell’operazione riporta una
ragazza in coma per diversi giorni, un cane ucciso e decine di ragazz*
feriti, diversi dei quali gravi. Nel sostanziale silenzio dei media, che
si sono limitati a riportare il comunicato della questura, si è
realizzato uno degli atti di polizia più violenti e insensati degli
ultimi anni. L’operazione evidenzia chiare responsabilità da parte della
Questura di Milano con l’avallo del DPA (Dipartimento delle Politiche
Antidroga), responsabile di una dura politica repressiva e
proibizionista. Le violenze di quel giorno, giustificate con motivazioni
ipocrite sulla tutela della salute dei partecipanti, hanno avuto il
chiaro intento di criminalizzare e reprimere un’esperienza libera ed
auto-organizzata.

L’attacco si inquadra in un contesto più ampio di crescita delle azioni
repressive, dalle quali si evince chiaramente quale sia la risposta
messa in campo dalle istituzioni nella gestione del diffuso clima di
conflitto sociale che stiamo respirando in Italia, come in tante altre
parti di Europa. In questi mesi si assiste ad un inquietante aumento
delle azioni violente da parte delle forze dell’ordine, con cariche a
freddo contro persone, siano queste studenti, lavoratori o appartenenti
a qualsiasi altro soggetto sociale politicamente attivo, “colpevoli” di
manifestare dissenso per le politiche governative o per la difesa dei
propri diritti, sgomberi di spazi sociali e di case occupate,
perquisizioni, arresti e disparate misure restrittive a carico di
attivisti, nel corso di operazioni repressive studiate a tavolino per
delegittimare i movimenti di lotta.

Non possiamo accettare questa deriva violenta e autoritaria, in cui lo
Stato usa il proprio braccio armato, le forze dell’ordine, ma sempre più
spesso anche l’esercito, come in Valsusa, in difesa degli interessi di
un sistema economico che ha dimostrato da tempo la propria
inadeguatezza.

E’ in questo scenario che quanto accaduto a Cusago non può restare
senza risposta: tutt* ci sentiamo chiamati in causa per difendere spazi
di libertà, temporanei o stabili, nei quali continuare a coltivare la
nostra opposizione al sistema vigente, attraverso lo sviluppo di
pratiche controculturali vecchie e nuove, pratiche con cui affermiamo la
nostra alterità rispetto alla mercificazione dell’esistenza che
contraddistingue il modello sociale in cui stiamo vivendo.

Riteniamo quindi indispensabile riportare all’attenzione collettiva
temi fondanti come autogestione e autoproduzione; riaffermiamo con forza
la legittimità delle pratiche di riappropriazione di spazi, tempi e
saperi. Rivendichiamo l’attualità dell’occupazione come atto in grado di
ridare vita, temporaneamente o in maniera stabile, a zone autonome e
liberate. Sfruttando gli sprechi e l’abbandono ci sottraiamo alle
logiche del potere e del profitto, creiamo spazi pubblici di socialità
in grado di autoregolarsi, sperimentiamo nuove modalità di relazione tra
le persone.

Su questi presupposti si è costruito un percorso di confronto, aperto
ed eterogeneo, tra soggetti di tutta Italia che in veste differente
hanno a cuore la creazione di nuovi ragionamenti e pratiche comuni:
tribe, spazi sociali, singole persone hanno popolato assemblee pubbliche
durante le quali si è sancita la necessità di dare una prima forte
risposta di piazza a tutte queste esigenze latenti, dando forma anche a
interconnessioni tra differenti percorsi politici e sociali.

Il 22 dicembre manifesteremo per rivendicare le nostre azioni e
denunciare questo clima di tensione attraverso una presenza consapevole
nelle strade e nelle piazze, in grado di spezzare il meccanismo
recriminatorio che ci circonda e portare la nostra voce e il nostro
pensiero. Il corteo si concluderà con un presidio davanti al carcere di
San Vittore, luogo simbolico e spina nel cuore del tessuto urbano
milanese, per portare la nostra solidarietà a tutti coloro che subiscono
l’oppressione dello stato e far sentire la nostra presenza attraverso la
musica.

Concentramento h 14.30 – Piazzale Cairoli
Per info o adesioni: reclaimthestreets2k12@inventati.org


Due detenuti evasi dal carcere di Reggio Emilia

Non rientrano dal lavoro esterno

Reggio Emilia, 15 dicembre 2012 – Doppia evasione al carcere di Reggio Emilia. Ieri sera, due detenuti di origine marocchina, condannati per droga, di eta’ compresa fra i 30 de i 32 anni, con una pena da scontare fino al 2017, non hanno fatto rientro nel penitenziario. Lo riporta in una nota il segretario del Sappe, Giovanni Battista Durante.

I due erano fuori, perche’ ammessi al lavoro all’esterno. Verso le 23 di ieri e’ scattato l’allarme e sonoiniziate immediatamente le ricerche da parte delle Forze di polizia.
Tale evento, riflette Durante, “non deve comunque scoraggiare la concessione delle misure di recupero e reinserimento sociale, come il lavoro all’esterno e le misure alternative alla detenzione”. Sarebbe “forse opportuno che anche in Italia, come in molti altri paesi europei, si iniziasse ad usare il braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti che lavorano all’esterno del carcere, ovvero che usufruiscono di misure alternative alla detenzione, considerato che in 10 anni sono stati spesi 110 milioni di euro per il contratto con la Telecom e che tale contratto e’ stato recentemente rinnovato per un ulteriore costo di 9 milioni di euro”.

Fonte: Il resto del carlino


Suicidio nel carcere di Foggia

Foggia, 12 dicembre, detenuto s’impicca in carcere: si chiamava Arcangelo Navarrino
avrebbe dovuto scontare una pena di 20 anni

Ennesima tragedia nel carcere di Foggia. Un detenuto di 44 anni originario di Fasano si è impiccato in cella con un lembo del lenzuolo legato alla finestra. La notizia è stata data dal sindacato degli agenti penitenziari Osapp.

E’ il secondo dopo quello del detenuto di Polignano a Mare avvenuto a febbraio

Fonte FoggiaToday

 


Morto in carcere, indagati cinque medici a Trani

Chiuse le indagini per la morte di Gregorio Durante, 34enne di Nardò, mandato in isolamento nonostante sofrisse di crisi epilettiche. Secondo l’accusa, l’uomo, non è stato curato e assistito adeguatamente. I familiari: la sua vicenda come quella di Stefano Cucchi

Il sospetto è fondato. Secondo l’accusa fosse stato ricoverato per tempo in ospedale forse non sarebbe morto. Invece, emerge dai verbali, i sanitari che lo avevano in cura in carcere avrebbero agito con superficialità nonostante le condizioni di salute dell’uomo fossero gravi, tanto che non riusciva a camminare, non mangiava e non comunicava più, rifiutando anche di assumere farmaci. Il magistrato della procura di Trani Luigi Scimè ha chiuso l’inchiesta sulla morte di Gregorio Durante, il detenuto 34enne di Nardò trovato cadavere il 31 dicembre del 2011 all’interno della cella numero 5 della sezione “Italia” del carcere, e ha notificato 5 informazioni di garanzia nei confronti di altrettanti medici che si occuparono del caso

Si tratta di Francesco Monterisi, Michele De Pinto, Gioacchino Soldano, Francesco Russo e Giuseppe Storelli, accusati di concorso in omicidio colposo. Le condizioni di salute dell’uomo, trapela da fonti inquirenti, avrebbero suggerito l’adozione immediata di idonei trattamenti diagnostici e terapeutici presso un reparto ospedaliero. Invece il detenuto rimase in carcere e morì, ha stabilito l’autopsia, a causa di una crisi respiratoria indotta da un’intossicazione da fenorbital, farmaco utilizzato per il trattamento dell’epilessia.

Gregorio Durante, accusato di aver ucciso il 1 aprile del 1984 l’assessore della pubblica istruzione del comune di Nardò Renata Fonte, soffriva di crisi epilettiche associate a crisi psicomotorie a causa di una encefalite contratta nel 1995, quando aveva 17 anni. Stava scontando una condanna a 6 anni di reclusione per uno schiaffo che, pur essendo in regime di sorveglianza, aveva dato a un ragazzo, nel corso di un diverbio avuto perché il giovane stava per fare cadere per le scale, con uno sgambetto, la compagna di Durante, Virginia, all’epoca incinta. Gregorio, ricordano le cronache, fu inizialmente ricoverato in ospedale a Bisceglie e poi dimesso il 13 dicembre. Due giorni dopo i suoi legali depositarono un’istanza di sospensione dell’esecuzione della pena, che sarebbe terminata nel 2015, o in alternativa di detenzione domiciliare per gravissimi motivi di salute ed incompatibilità con il regime carcerario.

A detta dei familiari, che paragonarono il caso di Gregorio a quello di Stefano Cucchi, il detenuto morto nel 2009 nel carcere di Regina Coeli a Roma, forse per le botte ricevute dagli agenti di polizia penitenziaria, il personale del carcere si sarebbe convinto che l’uomo fingesse di essere malato tanto da punirlo con tre giorni di isolamento all’aria aperta. Dal penitenziario di Trani si sono sempre difesi sostenendo che l’uomo era stato sempre seguito e curato, che medici e magistrato di sorveglianza avevano anche predisposto il trasferimento in una struttura psichiatrica giudiziaria, delle poche ancora rimaste in Italia, ma non c’erano posti liberi.

di GIOVANNI DI BENEDETTO

da Repubblica


Rivolta nel CIE di Torino

Con estrema gioia riportiamo quanto successo fuori e dentro le odiose mura

Da Macerie:

FLAMBE’

A due settimane dalla rivolta del 30 novembre, una nuova protesta riscalda gli animi dei prigionieri del Cie di Torino. Ancora una volta, è bastato un piccolo saluto per accendere la miccia: quando, nel pomeriggio, una trentina di solidali si raduna fuori dal Centro, alcuni reclusi delle aree rossa, blu e viola salgono sui tetti e incendiano diversi materassi. Palloni da calcio e palline da tennis vengono lanciate oltre le mura, e un piccolo falò viene acceso sul marciapiede. La polizia interviene con gli idranti per spegnere gli incendi sui tetti e, a quanto pare, un muro interno dell’area rossa viene buttato giù per ricavarne pietre da gettare agli sbirri. A protesta terminata, la polizia perquisisce l’area rossa alla ricerca di pezzi di vetro (o di banane rinforzate?) e,  poco dopo, nell’area blu i reclusi lanciano bottiglie contro le guardie.


Avellino, quattro detenuti evadono

Le forze dell’ordine sono ancora alla ricerca di tre dei quattro detenuti evasi dal carcere di Bellizzi Irpino in provincia di Avellino. Il quarto è stato ripreso dai carabinieri a Potenza. La Polizia penitenziaria e i Carabinieri stanno effettuando una vasta battuta a caccia dei tre evasi, anche con l’ausilio di un elicottero. I tre evasi dal carcere di Avellino, attualmente ricercati, sono, secondo quanto riferisce la Uil Pa Penitenziari, Cristiano Valanzano, nato a Vico Equense (Napoli), fine pena nel 2028, Salvatore Castiglione, nato a Crotone, fine pena nel 2036 e Fabio Pignataro, nato a Mesagne (Brindisi), fine pena nel 2025.

 – Gli evasi hanno procurato un foro di uscita dal bagno della cella rimuovendo un intero blocco di mattoncini, poi si sono calati con un lenzuolo annodato. Raggiunto il muro di cinta, si è appreso da Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari e da Pasquale Montesano, segretario nazionale dell’Osapp, i detenuti hanno posizionato un contenitore dell’immondizia sul quale hanno posato alcune pedane che hanno funzionato da scala.

I carabinieri li hanno intercettati a bordo di un’auto rubata – La fuga è stata scoperta stamane durante la conta dei detenuti: l’evasione sarebbe avvenuta nella nottata o nelle prime ore della mattinata. I quattro evasi sono stati poi intercettati dai carabinieri nella zona del Potentino a bordo di un’auto rubata. Uno dei quattro è stato arrestato, gli altri tre si sono dati alla fuga. Secondo le notizie in possesso ai sindacati, si tratta di detenuti comuni che erano reclusi al secondo piano della sezione ‘Giovani adulti’ tutti con condanne gravi: il fine pena più breve dei quattro era al 2028.

La Uil: fare luce sulle responsabilità – “La rocambolesca evasione messa in atto da quattro pericolosi delinquenti, ristretti alla Casa Circondariale di Avellino, non può non generare preoccupate riflessioni sull’evento odierno, ma più in generale sulle criticità operative che oberano, sino a portarlo alla completa inefficienza, il sistema penitenziario italiano”. Lo sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari.

PURTROPPO
E’ durata poco più di 24 ore la fuga dei quattro pregiudicati evasi ieri notte dal carcere di Bellizzi Irpino (Avellino). Dopo che ieri era stato bloccato il tarantino Daniele Di Napoli, preso in provincia di Potenza mentre era alla guida di un’automobile rubata, i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza hanno arrestato gli altri tre fuggitivi. Si tratta di Cristiano Valanzano, di Castellammare di Stabia, Salvatore Castiglione, di Crotone, e Fabio Pignataro, di Mesagne (Brindisi). I tre sono stati individuati nelle campagne di Sibari di Cassano allo Jonio nei pressi di un casolare diroccato in cui avevano trascorso la notte.


Tonelli – fuggitivo racconta, tra carceri e OPG

RIMINI – La fuga dalla comunità di recupero di Marradi, nascosto nel bagagliaio di un’auto. E il viaggio lungo 36 ore che lo porterà oltre confine, in una Paese straniero, una località sconosciuta sulla quale vuole mantenere il segreto. E poi i ricordi degli anni trascorsi in carcere o nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Fabio Tonelli, 38 anni, gli ultimi dei quali passati in una cella per espiare le colpe di un’eterna lite con i vicini di casa. Chi è Tonelli? L’uomo che da del “lei” a sua madre, ripudiato dai genitori, un avvocato mancato, uno dei primi a subire la condanna per stalking a Rimini, un attaccabrighe: un folle o solo un po’ borderline? Non ci cimenteremo in una risposta che non ha trovato d’accordo gli stessi psichiatri.

Quel che riteniamo importante in queste righe è la testimonianza in presa diretta di una persona che ha vissuto la dolorosa detenzione in un ospedale psichiatrico giudiziario. E che sa trovare le parole per raccontare la sua disavventura.
Tonelli, che nel tempo è stato definito una personalità “dissociata”, o affetto da un“narcisismo maligno”, con consapevole lucidità, in un carteggio pervenuto alla Voce, motiva i suoi dissapori con il mondo intero. “A San Vittore rimasi pochi mesi perché la direzione non mi voleva per quello che ero, per quello che raccontavo e per quello che facevo”.

Con la stessa franchezza spiega perché é fuggito dalla comunità di don Nilo dove si trovava ricoverato, dopo aver espiato la sua pena perché ritenuto giuridicamente pericoloso. Scrive: “La magistratura italiana è così pressapochista da non rendersi neppure conto che le misure di sicurezza successive a fine pena detentiva godono di particolare discredito in molti paesi europei e sono invise davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Infatti si tratta di misure pseudosanitarie. Se una persona fosse ammalata dovrebbe essere curata subito e non dopo anni trascorsi in carcere senza cure”.

Se la magistratura italiana decidesse di mettersi sulle sue tracce o di chiedere al Paese che lo ospita di estradarlo, “farebbero il mio gioco perché sarei pronto a fare diventare il mio un caso internazionale, frutto di un provvedimento abnorme e attuato per perseguitarmi”.
Pungola, Tonelli, e diventa anche ironico quando racconta come funzionano le comunità di recupero. “Sono stato ospite di una comunità per tossicodipendenti ed ero l’unica persona a non essere mai stata tossicodipendente. Il mio programma di recupero era identico al loro e consisteva nel raccogliere castagne nella loro piantagione, lavoro ritenuto presupposto indispensabile per uscire dal tunnel della droga. Mi trovavo a Marradi in misura di sicurezza per presunta pericolosità sociale giuridica (mentre la pericolosità psichiatrica è stata esclusa da tutti i consulenti che lo hanno visitato, ndr). Secondo il giudice non potevo lasciare la struttura se non accompagnato”. Ma infine il giudice del tribunale di Sorveglianza di Firenze si è arreso e gli ha concesso di andare da solo alle udienze, nei vari processi (in cui è spesso imputato e talvolta vittima). “Come si giustifica la pericolosità sociale pur attenuata e la presunzione di rifare reati se poi vai di continuo da Marradi a Rimini da solo e stai via tutto il giorno per udienze e treni? E dire che se fossi stato pericoloso, avrei ben potuto presentarmi sotto casa della famiglia Bugli (la famiglia di Riccione con cui si innescato il conflitto con il vortice di querele e contro querele, ndr).

Ma la pagina più toccante del “diario di Tonelli dalla località segreta”, il fuggiasco la scrive sulla sua esperienza di paziente di Opg (ospedale psichiatrico giudiziario). “Quando ho visto che luoghi erano gli Opg ho ritenuto di credere che in carcere si hanno ancora taluni diritti, mentre in Opg tanti diritti sono assenti e si è nelle mani dello psichiatra – carceriere. Credo che se non avessi rinunciato all’attenuante del vizio totale di mente e non avessi fatto il giro delle carceri del nord a quest’ora sarei stato lobotomizzato e non potrei scrivere queste memorie”.
Per i presunti abusi subiti nell’Opg di Reggio Emilia, due anni fa Tonelli sporse denuncia contro la direzione della struttura. Un anno dopo, mentre si trovava al carcere di Montorio a Verona, andarono i carabinieri a interrogarlo per tre ore e mezza. I carabinieri indagavano in seguito alla sua denuncia sull’uso punitivo della medicina psichiatrica e sull’ipotesi di tortura”.

Nella sua denuncia ha menzionato persone internate provenienti dal forlivese e dal cesenate, oltre che dal riminese. Persone sottoposte al cosiddetto “<ergastolo in bianco”. Dimenticate cioè in quelle strutture di cura. “A Reggio ho anche incontrato Alessandro Doto il ragazzo che uccise l’addestratrice di delfini a Riccione. “Ma soprattutto ho visto cose assurde. Ho visto persone assolte per vizio totale di mente che si trovavano lì per resistenza a pubblico ufficiale, internate da 9 anni. Ho visto persone di 80 anni e oltre sulla sedia a rotelle, internate provvisoriamente a Reggio. Alcuni mi hanno raccontato di essere stati legati al letto per giorni, perfino settimane. Il mio compagno di cella fu scarcerato dopo che io gli scrissi il Riesame contro la misura di sicurezza provvisoria. Molte di queste persone sono abbandonato da parenti ed amici e non possono essere scarcerate perché nessuno li prende in affido. C’è un cesenate, che molti anni fa uccise il suocero, che è stato rinchiuso nell’Opg per vizio totale di mente e sta scontando, inconsapevolmente, un ergastolo in bianco.
Anche Tonelli fu legato al letto, avendo rifiutato le cure. Più avanti aveva poi imparato a gettare i farmaci nel water “gli infermieri erano compiacenti e mi tenevano il gioco con il medico psichiatra affinché la mia situazione non si aggravasse e non fossi di nuovo legato al letto”.

Nella località segreta in cui si trova oggi Tonelli, ha cominciato a prendere qualche contatto per una futura attività lavorativa. Un patronato che cerca docenti i lingua italiana per immigrati che da questo paese vanno in Italia gli ha promesso di ricontattarlo in gennaio. Talora mi chiedo quanto tempo durerà questo viaggio prima che possa ritornare nella mia Rimini, in un’Italia diversa”.

Fausta Mannarino

 


Notizie dal carcere di Monza

Notizia di un nuovo suicidio nel carcere di Monza

MONZA – La civiltà di un paese si misura dalle sue prigioni. Morire di carcere, in Italia, anno 2012, si può. E non nel sud, all’Ucciardone, a Poggioreale. A Monza, dove una struttura disegnata per 400 reclusi ne accoglie il doppio. Martedì un detenuto campano ha tentato il suicidio nell’istituto di pena cittadino: nonostante l’intervento della polizia penitenziaria e del personale medico, il 50 enne è spirato tra i letti dell’ospedale brianzolo. Il SAPPE, sindacato di polizia penitenziaria, segnala che si trattava di un collaboratore di giustizia.

SEMPLICI COINCIDENZE? – Ignote le ragioni del gesto. Forse si è sentito abbandonato dallo Stato, come l’imprenditore che marted’ sera ha minacciato di buttarsi dall’Arengario dopo aver denunciato i suoi estorsori ed essere finito sul lastrico. O forse non ne poteva più della vita carceraria. Non stupirebbe, visto che nei giorni immediatamente successivi al subentro a Palazzo Madama la neo senatrice Anna Mancuso ha presentato come primo atto un’interrogazione al ministro della Giustizia per verificare le condizioni igieniche dell’istituto monzese: freddo, muffe, umidità, celle sovraffollate. Un problema che affligge tutta la penisola.

Mancuso del resto non è sola: sabato 24 e domenica 25 gli avvocati della Camera Penale di Monza hanno organizzato “Cella in piazza“, un’installazione in Arengario che mostra come si vive (in tre) in una stanza di quattro metri per due. Numeri che spiegano quanto sia facile in queste condizioni frequentare una vera e prorpia università del crimine e ingrossare le file dei recidivi, quelli che “lasciano la giacca in galera” per tornare a riprenderla periodicamente.

LA LEZIONE DI BECCARIA? “STIAMO PEGGIO” – Gran parte dei detenuti ospitati nelle patrie galere è in attesa di giudizio; molti sono stranieri, tanti sono tossicodipendenti o senza fissa dimora, condizione questa che rende impossibile ricorrere agli arresti domiciliari a meno di riscontrare la disponibilità di una persona o di una comunità terapeutica ad accoglierli. «Il carcere in Italia non è più costituzionale» – commenta in un’intervista recente rilasciata all’ Avanti Angiolo Marroni, Garante per i Diritti dei detenuti del Lazio. «La pena – spiega Marroni – è diventata solo punizione. Leggendo ‘Dei delitti e delle pene‘ di Cesare Beccaria viene da sorridere: oggi succedono fatti peggiori di allora». Beccaria però scriveva nel 1764, quando la Rivoluzione Francese non era ancora compiuta e ai criminali si tagliava la testa.

ABUSI ED ERGASTOLO – Non bastassero le carenze strutturali, ci si mette la cronaca, che purtroppo spesso supera l’immaginazione. E’ di questi giorni la notizia di un insospettabile sacerdote brianzolo accusato di aver preteso prestazioni sessuali dai detenuti in cambio di qualche pacchetto di sigarette e di uno spazzolino da denti. Immaginarsi.

Ma c’è un ultimo stadio, l’ultimo, da cui non si fa ritorno. Il girone dantesco dei disperati termina con gli ergastolani, la categoria del “fine pena: mai“. Sull’ergastolo, e in particolare su quello ostativo previsto per reati efferati, è tuttora acceso il dibattito. Nessuno spazio ai benefici di legge: vietati permessi premio, affidamento in prova e lavoro all’esterno. Il caso di Carmelo Musumeci è ritenuto emblematico: entrato in carcere con la sola licenza elementare, in cella si è laureato in giurisprudenza diventando autore di tre libri. Chi e come decide se una persona è cambiata? Non tutti i detenuti lo sono, e non basta certo una laurea a dimostrarlo. Ma è un’altra delle domande che attendono risposta.

Da MonzaToday 23 novembre 2012

E un’installazione dei Radicali in centro Monza per sponsorizzare la loro iniziativa della settimana passata.

 

Monza, 25 novembre 2012 – Una cella per detenuti in piazza per denunciare l’inciviltà del carcere. E’ un’iniziativa organizzata dagli avvocati della Camera penale di Monza, unitamente alle Camere Penali del Distretto di Corte D’Appello di Milano, con la collaborazione del Comune di Monza.

Da venerdì fino a oggi, in occasione della ‘Cella in Piazza’, nella piazza dell’Arengario di Monza è stata posizionata una cella vera, per dimensioni ed arredi, realizzata dai detenuti e dai volontari della Conferenza regionale del Volontariato Giustizia del Veneto, per essere ‘visitata’ dai cittadini che vogliono rendersi conto di cosa vuol dire vivere come i detenuti in tre in una stanza di quattro metri per due.

Un problema, quello del sovraffollamento e dei disagi delle carceri, che affligge soprattutto le case circondariali della Lombardia dove, per una capienza di 5384 detenuti, ne vengono invece ‘ospitati’ quasi 9.450. Per partecipare alla giornata contro l’insostenibilità della condizione carceraria, anche la Camera penale di Monza presieduta da Marco Negrini ha proclamato l’astensione dalle udienze dei suoi avvocati e ha organizzato, all’interno del Coordinamento delle Camere penali del Distretto, un convegno sul tema ‘Il carcere non può aspettare’, dove un detenuto nel carcere di Opera, Orazio, ha voluto offrire la sua testimonianza.

“Ero una persona normale, poi sono finito in carcere e sono detenuto da 16 anni e mezzo – ha raccontato Orazio – Un’esperienza terribile, se ce l’ho fatta è grazie a mia moglie, ai miei 5 figli e ai miei nipoti. Ho ancora davanti agli occhi il primo giorno quando ho visto il cancello del carcere, è stato indescrivibile. Ho sempre cercato di scontare la mia detenzione anche nel rispetto delle persone che in carcere ci lavorano, come gli agenti di sorveglianza. Ma in cella con me ha provato ad esserci un detenuto sieropositivo che vomitava sangue, un pazzo che si legava al cancello della cella con un sacco della spazzatura. Ora esco il mattino e torno la sera grazie al responsabile del carcere di Opera e ho a che fare con le persone anziane e in queste ore dimentico di essere un detenuto e mi sembra di rivivere. Perchè stare in carcere è vita persa e non è vero che è comunque un’esperienza”.

Al convegno ha partecipato anche Marco Cappato, consigliere comunale a Milano e presidente del Gruppo Radicale. “L’Europa ci condanna per l’illegalità della situazione delle carceri e la lunghezza della giustizia – ha dichiarato Cappato – Noi chiediamo una soluzione strutturale, quella dell’amnistia, una proposta che va verso l’obiettivo della sicurezza e della legalità ancor prima che verso la dignità dei detenuti”.

di Stefania Totaro

Da Il Giorno Monza e Brianza


due giorni anticarceraria alla FOA Boccaccio

CordaTesa & FOA Boccaccio presentano:

Sabato 24 novembre
h 16
Prospettive di lotta contro il carcere
discussione con Alfredo Bonanno

aperitivo

h 21

“Newen tuleayn pu peni ka pu lamngen amulepe weychan”
Forza fratelli e sorelle, la lotta continua!(2012)
documentario di Eloy Zecca sulla situazione del Popolo Mapuche

a seguire
Progetto acustico sperimentale da un mondo post-atomico

Domenica 25 novembre
h 16
Strategie della repressione
discussione a partire dall'opuscolo “Eserciti nelle strade” Alcune questioni intorno al rapporto 
NATO Urban Operation In The Year 2020
con nonostante Milano

h 21
“Infanzia incarcerata” (2011) di Adriano Zecca.
Nel cuore della Bolivia, in una fatiscente e sovraffollata prigione situata nel 
centro della città di Cochabamba, oltre un centinaio di bambini, 
vittime innocenti delle colpe dei padri, sono costretti a condividere 
con essi la drammatica esperienza della reclusione trascorrendo i primi 
anni della loro infanzia in condizioni di disagio e grave pericolo. 
Storie di uomini e donne, la maggior parte di queste, segnate dalla sventura. 
Condannati sulla base della famigerata legge antidroga 1008, voluta ed imposta 
dal governo degli Stati Uniti, finiscono per pagare molto caro il prezzo del sottosviluppo e 
della povertà di un paese che per lunghi anni ha vissuto sotto la morsa della dittatura militare 
prima e del malgoverno poi.

cordatesa.noblogs.org
boccaccio.noblogs.org

FOA Boccaccio 003-via Rosmini 11, Monza

Carceri sovraffollate e in pessime condizioni: la denuncia di Antigone

L’Italia è il Paese con le carceri più sovraffollate dell’Unione europea. Ci sono 140 detenuti ogni cento posti, mentre il tasso d’affollamento medio in Europa è del 99,6 per cento. In totale i detenuti negli istituti italiani sono 66.685. Ben 1.894 in più rispetto al gennaio 2010, quando fu decretato lo stato d’emergenza per il sovraffollamento carcerario. Di contro la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari è di 46.795 posti. Le cifre e le carenze del sistema carcerario italiano emergono dal nono rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione “Senza Dignità” stilato dall’associazione Antigone, presentato oggi a Roma. Un documento di indagine cui per la prima volta si affianca un web-documentario Inside Carceri realizzato da Next New Media.

Un’inchiesta all’interno di 25 istituti con schede e testimonianze della vita carceraria, come quella di Giuseppe Rotundo, un ex detenuto che contattato via Skype racconta di essere stato pestato da tre agenti nel carcere di Lucera (Foggia). Nel video Rotundo denuncia di essere stato convocato dopo aver insultato una guardia. Una volta fatto spogliare, ha raccontato, è stato colpito con pugni e calci, e poi lasciato nudo. Gli agenti hanno inoltre denunciato Rotundo imputato per “aver usato violenza e minaccia per opporsi a pubblici ufficiali” e a potuto soltanto in un secondo momento denunciare a sua volta i poliziotti. Gli esempi delle condizioni in cui versano le carceri italiani si trovano in tutto il Paese. Nella casa circondariale di Brescia Canton Mombello la capienza ufficiale dovrebbe essere di 208 unità. Nelle 90 celle i detenuti sono invece 521. Nelle celle più piccole, attorno agli 8, 9 metri quadri vivono non meno di cinque detenuti, in quelle più grandi si arriva a 8. A Busto Arsizio la capienza regolamentare della casa circondariale è di 167 posti, i detenuti sono 435. A Cagliari il tasso di affollamento è del 150 per cento. Nel reparto maschile della casa circondariale di Latina arriva al 200 per cento, con molti detenuti costretti a dormire con il materasso a terra. A Fermo, struttura piccola e quindi in teoria di più facile gestione, le celle più grandi hanno letti a castello da due o tre piani e in alcune stanze i detenuti non soltanto non riescono a stare tutti in piedi contemporaneamente, ma sono costretti a mangiare a turno perché non c’è spazio per più sedie. I dati sul sovraffollamento non tengono inoltre conto delle molte celle e sezioni chiuse per inagibilità: al momento circa 5.000 posti in meno.

Nelle cifre, nota Antigone c’è anche qualcosa che non torna. Secondo i dati ufficiali, la capienza regolamentare è di oltre 46mila posti. I dati sono aggiornati al 31 ottobre. Appena due mesi fa, la capienza era invece di 45.568 posti. “A che gioco giochiamo?”, si chiedono gli estensori del rapporto, “a noi non risulta l’apertura né di nuove carceri né di nuovi padiglioni nei vecchi istituti di pena”. Uno sguardo al bilancio aiuta a inquadrare la situazione. Nel 2007 con una presenza media giornaliera di oltre 44mila detenuti il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva a disposizione 3 miliardi e 95 milioni di euro. Nel 2011 con la presenza media che saliva a oltre 67mila detenuti, il bilancio subiva invece un taglio del 10 per cento, che non andava a intaccare i costi del personale, ma gli investimenti in edilizia e mezzi e quelli per il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione e il trasporto dei carcerati.

È in queste condizioni che quando manca un mese alla fine del 2012, i detenuti morti in carcere sono stati già 93, di cui 50 per suicidio. Se poi si passa a valutare la salute dei detenuti la situazione non è rassicurante, sebbene l’età media sia aggiri attorno ai 35 anni. Mancano dati nazionali affidabili, sottolinea Antigone, ma prendendo come esempio le carceri toscane salta agli occhi come il 73 per cento dei detenuti soffra di qualche malattia, in particolare disturbi psichici o dell’apparato digerente. Secondo il rapporto, però, costruire nuove carceri non è però la panacea per tutti i mali. Prima di tutto occorre rivedere il codice penale e particolar modo le leggi sulla recidiva, sull’immigrazione e sulle droghe. Le tre che generano il maggior flusso di ingressi in carcere. Basta un raffronto con l’estero per capire. In Italia il 38 per cento dei detenuti è stato condannato per aver violato la legge sulle droghe. Percentuale che cala al 14 per cento in Francia e Germania ed è al 28 per cento in Spagna. Proprio dall’estero arrivano esperimenti che possono aiutare a non guardare al sistema carcerario come afflitto dai soliti irrisolvibili problemi. Dalla Germania il basso ricorso alla custodia cautelare, che in Italia contribuisce invece al 42 per cento della popolazione carceraria. Dalla Spagna i cosiddetti “Modulos de respeto”, un particolare regime detentivo che prevede celle aperte tutto il giorno e dà al detenuto maggiori opportunità di socialità, di formazione professionale e di istruzione. Dalla Norvegia le liste d’attesa e le carceri aperte che garantiscono sempre la presenza di posti liberi negli istituti e che, ovviamente, non sono applicate a tutti, ma con a monte una selezione a seconda del rischio di reiterazione del reato e da cui sono esclusi i condannati per reati gravi.

di Andrea Pira

tratto da Il fatto quotidiano, 19 novembre 2012


Storie Armate: RAF

CordaTesa & FOA Boccaccio presentano:

ore 21
APPESA A UN FILO
Vita e morte di Ulrike Meinhof
testo di E. Dragonetti, N. Pannelli, R. Tagliabue
di e con Elena Dragonetti e Raffaella Tagliabue

scene di Laura Benzi
musiche originali SIMENZO“Il mondo d’oggi può essere espresso anche per mezzo del teatro,
purché lo si descriva come un mondo trasformabile.” (Bertolt Brecht)E’ un percorso di fatti. Non c’è nulla di inventato. Ulrike Meinhof, giornalista, militante del partito comunista e madre, ad un certo punto della sua vita, con un salto da una finestra, sceglie di lasciare tutto, famiglia, lavoro e ruolo socialmente riconosciuto. Fonda con Andreas Baader e Gudrun Ensslin la RAF (Rothe Armée Fraction), il principale gruppo armato clandestino nella Germania dei roventi anni ’70. Arrestata nel giugno del ’72 trascorre quattro anni in un braccio speciale del carcere di Stammheim, in completo isolamento e sottoposta a regime di privazione sensoriale, la cosiddetta tortura bianca. Nel maggio del ’76 viene trovata impiccata nella sua cella.
Una commissione di inchiesta internazionale al termine del lavoro di indagine dichiara insostenibile la tesi del suicidio.La vita, le scelte e la morte di una donna raccontate e indagate da due attrici, due donne. La forma è quella di una narrazione che segue fedelmente l’ordine cronologico degli eventi e che si modella sul percorso esistenziale della Meinhof. Il racconto viene intervallato dagli scritti originali di Ulrike, che abbiamo deciso di mantenere sia per il loro carattere incisivo e di evidente attualità, sia per rispettarne fedelmente la linea di pensiero.
Il nostro è il tentativo di sfruttare il passato per rileggere il presente. Per averne una visione più consapevole.
E in un tempo in cui si legittima ancora la tortura come metodo punitivo, le parole della Meinhof, torturata tramite privazione sensoriale, ci permettono di restituire la voce negata ai prigionieri politici e di denunciare la loro condizione.a seguire
DIBATTITO CON EMILIO QUADRELLIDurante la serata ci sarà una mostra storica sulla Rote Armee Fraktion

c/o FOA Boccaccio via Rosmini 11 Monza

Monza: detenuto tenta il suicidio, un agente lo salva in extremis

È stato un attimo, pochi istanti per evitare il peggio. Mostrando una gran dose di prontezza e sangue freddo un agente del carcere di Monza domenica ha impedito che un detenuto si togliesse la vita impiccandosi alle grate della cella. Erano le 11 quando l’agente di Polizia penitenziaria ha riaccompagnato in cella due detenuti. Lì ad aspettarli ci sarebbe dovuto essere un giovane italiano di trent’anni.
Jail--bars3L’uomo, approfittando dell’assenza dei compagni di cella che stavano rientrando dopo l’ora d’aria in cortile, ha preso la cintura dell’accappatoio e ha deciso di porre fine nella maniera più tragica al suo disagio. Si è legato la corda intorno al collo e si è appeso alle grate in ferro della finestra. Solo un caso ha evitato che il gesto dell’uomo si compisse. Appena entrati in cella sia l’agente di Polizia sia i due detenuti hanno immediatamente soccorso l’uomo liberandolo dal cappio.
È subito intervenuto il medico per visitare il detenuto che però non ha per niente apprezzato l’iniziativa di salvataggio. Ora il giovane si trova in una cella del reparto di isolamento priva di alcun oggetto che potrebbe nuocergli, come da prassi, in attesa che si chiariscano i motivi del suo gesto. “Questi episodi alla luce di un sovraffollamento in continuo incremento avvengono di frequente su tutto il territorio nazionale, passando in genere sotto silenzio fino a quando non si registra un decesso”, ha commentato Giuseppe Bolena, segretario provinciale dell’Organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria. Per il collega che ha saputo con il suo intervento salvare la vita al detenuto è già stata fatta richiesta di un riconoscimento ufficiale da parte della direzione.

Da Il Cittadino Monza e Brianza

13 settembre 2012


Monza, piove dentro le celle Sessantacinque detenuti sfollati

Monza, 1 settembre 2012 – Sessantacinque detenuti sfollati d’urgenza fra venerdì notte e questa mattina. Una ventina di celle dichiarate inagibili oltre alla sessantina già chiusa ormai un anno fa sempre per le pesanti infiltrazioni d’acqua. E un corto circuito che ha lasciato senza luce né acqua un’intera sezione dell’Alta Sicurezza.

infiltrazioniE’ di nuovo emergenza nel carcere di Monza. La violenta e abbondante pioggia fra venerdì e sabato ha riportato a galla un problema con cui detenuti e agenti avevano dovuto fare i conti la sera del 5 agosto 2011 quando un violento nubifragio fece finire sott’acqua anche le salette colloqui, l’ufficio matricola, la palestra e l’auditorium. «Ormai il tetto del carcere è diventato uno scolapiatti – sbotta Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -. Dopo un anno e decine di segnalazioni e denunce nulla è cambiato. Anzi, la situazione è addirittura peggiorata».

I detenuti della sezione numero 5 dell’Alta Sicurezza – rimasta senza energia elettrica e senza acqua – sono stati trasferiti in altri istituti della Lombardia. L’altro reparto cosiddetto AS è agibile solo a metà. Il fatto è che «sono stati fatti dei piccoli interventi tampone sul tetto ma quando piove molto ecco cosa succede – continua Benemia -. Detenuti e agenti sono costretti a vivere e lavorare in condizioni pietose e insane».

Da Il Giorno Monza Brianza 02/09/2012


Carceri, ieri superata la soglia 66.000 detenuti, per 45.572 letti

ROMA – Come era facilmente prevedibile, alle 17 di ieri i detenuti nelle carceri italiane hanno nuovamente superato la quota 66mila (66.065 presenze, per l’esattezza, per 45.572 posti-letto). Ed è altrettanto prevedibile che entro pochi mesi, i dati del sovraffollamento penitenziario assumeranno di nuovo rilevanza e pericolosità.

RivoltaL’appello della polizia penitenziaria. E’ in sintesi la nuova lettera che l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp 2)  ha trasmesso ai responsabili dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. “Le cifre di un incremento di 350 detenuti in soli tre giorni – scrive il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci – questa volta hanno riguardato principalmente la Sardegna (+84), la Sicilia (+54), la Toscana (+44), la Campania (41), il Lazio (+26) e il Piemonte (+24), ovvero regioni che già da tempo hanno superato i posti-letto disponibili e che adesso si apprestano a superare anche la capienza cosiddetta tollerabile, come già avviene per Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto, mentre del tutto insostenibile diventa anche la penuria di personale di polizia penitenziaria”.

Carenze nell’organico: “I detenuti gestiranno le carceri?”.
Infatti – si legge ancora nella lettera – “rispetto alle 7mila unità che mancano all’organico del Corpo, mai integrato dal 1992 (quando i detenuti erano meno di 40mila), in Piemonte ci sono 850 poliziotti penitenziari in meno, 700 ne mancano nel Lazio e in Toscana, 650 in Sicilia e 350 in Campania: con la spending review che blocca l’80% delle assunzioni, già da quest’anno e per i prossimi tre anni, ci aspettiamo persino carceri autogestiti dagli stessi detenuti”

Da Repubblica 25/08/2012


Io no-tav, vi racconto la mia esperienza in carcere

Pubblichiamo una riflessione di Zeno, sulla sua esperienza in carcere per la questione TAV. Ora, dopo 4 mesi di arresti domiciliari, è finalmente libero. Ha appena compiuto 20 anni.

BUSSOLENO: MARCIA IN VAL DI SUSA CONTRO IL CANTIERE TAV TORINO-LIONEAlle 6 del mattino del 26 gennaio 2012 sono stato arrestato e condotto nel carcere Due Palazzi dalla Digos di Padova su ordine del procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, che conduce l’inchiesta sui fatti del 3 luglio 2011 a Chiomonte (val di Susa), quando migliaia di persone assediarono il cantiere della TAV per difendere il loro territorio dalla devastazione ambientale e il paese intero da un gigantesco spreco di denaro pubblico. Dopo due giorni insieme agli altri detenuti, sono stato spostato nella sezione di isolamento. Il 9 febbraio il Tribunale del Riesame mi ha concesso gli arresti domiciliari, in cui mi trovo tuttora, da ormai quattro mesi.

Questo scritto è uno spaccato parziale e un po’ confuso di quella che è la vita in un carcere italiano e uno spunto per alcune riflessioni, a cui una società che si dice civile non dovrebbe sottrarsi.
In carcere entri ammanettato, è la regola. I funzionari di PG incaricati del trasporto ti accompagnano fino al braccio dove ci sono gli uffici, precisamente all’Ufficio Matricola, e ti consegnano nelle mani degli agenti di polizia penitenziaria, da cui da quel momento dipenderanno quasi tutte le decisioni che riguardano la tua vita all’interno di quelle mura.
In Matricola vieni registrato su un grande librone tipo quello degli alberghi, viene aperto il tuo fascicolo e ti prendono le impronte digitali, con un inchiostro che poi ci mette giorni a venir via. Sempre in Matricola ti prendi un bel “Comunista di merda!” e un “Che cazzo guardi!”, frasi non contenute nel protocollo, ma utili per farti capire che aria tira lì dentro e chi è che comanda.
Finita la parte burocratica passi nello stanzino vicino dove un altro agente (guai a chiamarli “guardie”!) estrae uno per uno ogni oggetto contenuto nella borsa che hai con te, prestando particolare attenzione anche al minimo frammento di fazzolettino di carta, potenziale contenitore di sostanze stupefacenti. Poi ti viene ordinato di toglierti i vestiti e te ne stai nudo come un verme mentre ogni piega, risvolto, cucitura, perfino delle mutande, viene ispezionato. A quel punto devi pregare che l’agente non si infili i guanti di lattice.
Dopo che ti sei rivestito si passa alla registrazione degli oggetti di valore: cellulare, documenti ecc. tutto in una busta, i soldi invece ti vengono accreditati sul libretto carcerario e ti serviranno per comprare quello che ti serve. Anche la borsa ti viene sequestrata, i vestiti che puoi tenere li devi buttare in un sacco nero, tipo quelli della spazzatura.
Il passo successivo è la visita medica: ti misurano la pressione, “Sei alcolizzato?” “No”, “Tossico?” “No”, “Malattie gravi?” “No”, “Okay a posto”, il medico firma e fine della visita.
E’ solo a questo punto che vieni accompagnato alla cella a cui sei stato assegnato ed è a questo punto che realizzi fino in fondo la tua situazione.
In una cella della Casa Circondariale vivono dalle 6 alle 8 persone, ma dovrebbero starcene al massimo 4. E’ uno spazio di pochi metri quadrati in cui ci sono due letti a castello in tripla fila (quello più alto è a più di 2 metri da terra e non sono pochi quelli che si fanno parecchio male cadendo), un angolo “cucina” con lavandino e un tavolino, un’altro tavolino per mangiare e un mobiletto dove riporre gli effetti personali di tutti. Una porta da’ sul bagno, in cui l’acqua calda arriva un’ora al mattino e un’ora verso sera.
In un carcere in cui i posti disponibili sarebbero 95, ma i detenuti sono 220-230, devi essere molto fortunato per avere un letto, se questo non c’è vieni accompagnato al magazzino dove ti prendi un materassino di gommapiuma tutta mangiata e le lenzuola e ti devi sistemare per terra durante la notte, incastrando il tutto sotto un letto durante il giorno, visto che altrimenti non ci sarebbe nemmeno lo spazio per muoversi. Se i tuoi compagni di cella sono gentili, ti insegnano come fare il letto in modo “ermetico”, annodando strette le lenzuola sotto il materasso perchè gli spifferi non ti congelino i piedi. Le finestre sono così isolanti che quando tira vento si crea corrente anche se sono chiuse, i termosifoni funzionano poco e male: il freddo è uno dei maggiori nemici con cui combattere e impari subito i vantaggi del doppio calzino e del doppio maglione. La pulizia della cella è di responsabilità dei suoi occupanti, sempre se sei fortunato hai dei compagni che hanno trovato nel lavare e pulire il loro passatempo preferito e ne hanno fatto un’attività compulsiva, con il risultato che c’è più pulito che in casa tua!
Se sei fortunato, vieni assegnato ad una cella in cui i tuoi compagni hanno un po’ di soldi nel libretto e sono lì da almeno qualche mese: questo significa che hanno diviso la spesa e arricchito al cella di fornellini a gas, la moka, delle pentole, il materiale per le pulizie, il telecomando, il sapone, la carta per scrivere, le carte da gioco. Ti rendi conto di come cose che nelle vita “fuori” ti sembrano assolutamente naturali e insignificanti in quella situazione possano migliorare sensibilmente la tua esistenza.
Se sei fortunato, i tuoi compagni sono generosi e dividono con te queste cose, altrimenti ti tocca aspettare il martedì e il sabato, i giorni in cui viene consegnata la spesa.
Funziona così: il giorno prima vengono distribuite nelle celle le liste dei prodotti acquistabili al sopravitto (lo “spaccio” del carcere) e ognuno scrive la quantità di cose che vuole. Il giorno dopo ti vengono consegnate e ti scalano la spesa dal conto sul libretto. Inizialmente ti sembra un buon sistema, ma poi ti accorgi di come ogni consegna sia momento di grande tensione: spesso non viene consegnato quello richiesto o viene consegnato nella quantità sbagliata senza nessuno a cui rivolgersi per sistemare la cosa, ma soprattutto la tensione si crea perchè si evidenzia la differenza tra chi ha parenti che ricaricano periodicamente il libretto e chi, solo come un cane, non ha i soldi neanche per un pacchetto di tabacco. Questa diseguaglianza innesca un sistema di relazioni perverso che porta a fare di un pacchetto di cicche o una confezione di batterie l’obiettivo della propria giornata, per cui scambiare qualsiasi cosa, concedere favori, fare promesse, spaccare una faccia o infilare armi improvvisate nella pancia del proprio vicino. Si crea un circolo vizioso di potere misero, violenza e sopraffazione nel quale vige il “mors tua vita mea”, un’etica iper-individualista che disgrega le relazioni sociali, gli istinti solidali e cooperativistici delle persone.
La tua giornata è scandita così:
alle 7.30 il lavorante della cucina consegna il latte e il pane; dalle 9 alle 11 si può uscire all’aria; a mezzogiorno viene consegnato il pranzo; dalle 13 alle 15 altra aria; dalle 18 alle 19 si può fare “socialità” in una stanza con un calcetto e un ping-pong; alle 19 consegna della cena; alle 20.30 chiusura della porta blindata delle celle.
Altre possibili variazioni sul tema potrebbero essere: convocazione in Matricola, visita dell’avvocato, convocazione dallo psicologo, dal prete o dall’educatore, partita a calcetto (devi metterti in lista, due volte a settimana), cambio lenzuola, ispezione e “battitura”, cioè quando gli agenti prendono a martellate le inferriate delle finestre per assicurarsi che non siano state manomesse.
Il tempo in cella non ti passa mai, sempre accompagnato da tre imprescindibili costanti: la televisione, il caffè e il fumo.
La TV rimane accesa tra le 20 e le 24 ore giornaliere, quasi sempre a volume altissimo e sintonizzata su programmi improponibili, utili solo a estraniare la mente delle persone e far dimenticare la situazione reale in cui ti trovi. Il controllo del telecomando è prerogativa di colui che in cella ha acquisito la maggiore autorità e la presenza stessa di questo prezioso strumento con annesse batterie funzionanti è un lusso di cui non tutte le celle possono fregiarsi. Si vedono quasi sempre telefilm o qualunque altra cosa che abbia la minore attinenza possibile con la realtà al di fuori delle mura del carcere, i telegiornali sono motivo di interesse solo quando vengono pronunciate le parole “indulto” o “amnistia”, le uniche vere speranze per molti davanti a cui si prospetta un periodo di carcerazione di 5, 10 o 20 anni. Ti viene la pelle d’oca quando tutto il carcere esplode in un boato di grida, cori e sbarre percosse al solo sentire pronunciare queste due magiche parole. E devi reprimere il tuo istinto di spiegare che al momento attuale non c’è alcuna speranza che si verifichino queste evenienze, perchè dovresti togliere anche questa unica speranza a cui tanti si aggrappano?
Il caffè è in produzione continuativa dalla mattina presto fino a notte fonda, è un rito a cui inizialmente cerchi di sottrarti limitandoti nel consumo come se fossi a casa, ma a cui presto cedi per unirti agli altri in questo momento di raccoglimento intorno al tavolino e finendo per ripeterlo tra le 10 e le 15 volte al giorno!
La cicca diventa compagna di vita per tutti, compresi quelli che prima non fumavano, nonchè il prodotto maggiormente scambiato e conteso nel mercato interno che si crea tra i detenuti.
La maggior parte del tempo in cella lo passi disteso a letto, tuo unico nido d’intimità in un luogo tanto promiscuo e unica maniera di combattere il freddo che ti prende quando esci dalle coperte.
Il cortile dell’”aria” è una quadrilatero di cemento, circondato da sbarre e diviso a metà dal corridoio attraverso al quale vi si accede: da una parte i maghrebini, soprattutto tunisini, dall’altra italiani, slavi e i maghrebini che per qualche motivo non possono stare con i loro connazionali. Quando vai all’aria le prime volte è buona prassi farsi accompagnare da qualcuno dei tuoi compagni, che “garantiscono” per te, ti presentano e ti introducono alle basilari regole di convivenza in quell’universo parallelo che è il carcere. Impari quali sono i personaggi a cui rivolgersi se si ha bisogno di qualcosa, quelli da evitare perchè inaffidabili, violenti o amici delle guardie e i reati commessi da ognuno. Subito ti fa un po’ impressione parlare con rapinatori, assassini, trafficanti di droga, ma ti dimentichi in fretta dei motivi per cui sono lì, impari a dare importanza solo allo stretto presente, senza curarti tanto del passato ne’ troppo del futuro, perchè alla fine lì dentro tutti sono allo stesso livello sotto molti punti di vista.
Non c’è niente da fare in cortile, l’unica attività è girare per due ore lungo il perimetro per sgranchirti le gambe e respirare un po’ di aria fresca, affiancandoti di volta in volta a quelli con cui vuoi fare quattro chiacchere.
Una cosa fondamentale che devi imparare da subito è il comportamento da tenere con gli agenti: sei costretto a mettere da parte ogni istinto ribellistico, sei inserito in un ambiente in cui non hai alcun vantaggio dalla sfida, la disobbedienza, lo sguardo cattivo. E’ un meccanismo talmente ben rodato che lo stesso detenuto è controllore di se stesso e degli altri, ancora una volta l’individualismo spinto a cui il sistema riduce le relazioni all’interno del carcere impedisce qualunque presa di coscienza collettiva, soffoca ogni possibilità di rivendicazione anche dei diritti più banali. Difficilissimo incrinare tutto questo e solo a costo di accettare privazioni, difficoltà e sacrifici. La figura della guardia non è quella cinematografica che impone “militarmente” il potere, infatti le guardie non sono nemmeno armate, ma viene esercitato un potere più sottile che solo un’istituzione totale come quella del carcere concede, nonostante non manchino gli episodi di violenza sui detenuti.
Percepisci come questa convivenza forzata in un luogo ristretto livelli, senza ovviamente eliminarla, la contrapposizione teoricamente ferrea carceriere-carcerato, finendo per far accettare del tutto supinamente i piccoli e grandi soprusi quotidiani, come se facessero in modo ineluttabile parte del gioco. La sostanziale partecipazione delle guardie all’intreccio di scambi, favori e piccoli traffici e la loro tendenziale neutralità, anche fisica, nelle dispute tra detenuti spingono molti a considerare più comoda e lucrosa l’individuazione del proprio “antagonista” non tanto in colui che gira la chiave della propria cella e garantisce la propria privazione della libertà, quanto semmai nel proprio compagno di cella o sezione.
Quasi subito ti accorgi di come venga utilizzato un altro potente mezzo di controllo: l’uso massiccio e ampiamente incoraggiato di sonniferi, tranquillanti e psicofarmaci. La tossicodipendenza con la conseguente astinenza, lo sfasamento totale dei ritmi vitali in un ambiente del genere, la necessità di staccare la mente dalla realtà che si vive, sono tutti elementi che spingono la maggioranza dei detenuti a imbottirsi di sostanze, consegnate quotidianamente nelle celle, la maggior parte senza nemmeno ricetta, essendo per altre sufficiente andare in infermeria e lamentare una semplice insonnia. Qualcuno ti dirà “Preferisco dormire 14 ore al giorno e restare rincoglionito le altre 10 che dover svegliarmi ogni mattina e pensare che senso dare al mio tempo in questo luogo”. E dall’altra parte è solo un vantaggio avere da controllare una massa di persone docili e sonnacchiose.
Capisci come questa sia un’arma a doppio taglio: aumentando la dipendenza dai farmaci, basta un errore nella somministrazione per scatenare reazioni e crisi dagli esiti anche disastrosi, ma soprattutto non facilita quel lavoro psicologico di riscoperta di sè e di cambiamento che la detenzione dovrebbe toricamente avviare.
Se per qualche motivo finisci in cella d’isolamento la situazione cambia radicalmente, in peggio. La sezione è un piccolo edificio separato dagli altri con una decina di celle al suo interno, ogni cella, sporca e scrostata, è grande più o meno 3×2, con solo un letto, un tavolino e il water. Se sei fortunato trovi la TV, sennò niente. Secondo il regime di isolamento le ore di aria si riducono da quattro a una soltanto, da trascorrere in un cortiletto lungo e stretto rigidamente da solo, guardato a vista tutto il tempo da una guardia. Vieni privato di ogni occasione di socialità con gli altri detenuti e in pratica passi la totalità della giornata chiuso in cella. Essendoci al massimo 5-6 persone per volta è una sezione piuttosto trascurata sotto molti aspetti: i pasti arrivano alle 11 del mattino e alle 17.30, la posta viene spesso dimenticata o consegnata in ritardo, la spesa può non arrivare. Devi abituarti a fare i tuoi bisogni a mezzo metro da dove mangi, con la concreta probabilità che una guardia, passando, ti sorprenda proprio nel momento topico. La doccia non c’è, devi chiedere di essere accompagnato in una stanza a parte, incredibilmente sporca, in quanto è il luogo dove vengono purgati coloro che devono espellere gli ovuli ingeriti, una vera schifezza.
Devi sforzarti a non cadere nell’apatia totale, a cogliere come preziosi quei momenti di distrazione dalla monotonia sfibrante della solitudine: due parole col vicino di cella, due parole con una guardia un po’ più loquace, le visite in Matricola o dallo psicologo, utile peraltro solo a farti a tagliare l’aria. Aspetti con ansia la consegna pomeridiana della posta perchè sai che per una mezzora sarai occupato a leggere e potrai percepire su quella carta la solidarietà che ti circonda. Benedici l’avvocato che ha trovato il tempo di venirti a trovare. Aspetti il mercoledì e il sabato, i giorni nei quali i tuoi genitori possono venire a trovarti, dovendo subire l’umiliazione di ore e ore di attesa per entrare, senza un luogo dove ripararsi, qualcuno che spieghi loro cosa fare o quantomeno faccia trasparire, oltre alla rigida applicazione delle procedure, un po’ di comprensione umana. Eserciti la pazienza, quando vedi come alle guardie basterebbero gesti semplicissimi per migliorare la tua situazione e quella dei tuoi vicini ma non se ne curano minimamente: un accendino allungato tra le sbarre, un pezzo di sapone, un giornale del giorno prima, una telefonata per verificare l’orario di una visita medica, semplici richieste rimesse totalmente al capriccio di coloro che stanno “dall’altra parte”, senza alcuna presa di responsabilità rispetto a quello che succede.
Ad un certo punto, dopo giorni passati in un’attesa angosciante passando da momenti di grande speranza ad altri di sconforto e rassegnazione, ti viene ordinato di raccogliere in fretta tutte le tue cose, perchè l’udienza ha avuto esito positivo e puoi uscire di lì. Butti tutto nel solito sacco nero, regali le cibarie che ti rimangono ai tuoi vicini e con una gioia che fatichi a controllare ti avvii verso l’uscita. Nell’attesa dei tuoi genitori che ti riportino a casa ti fumi quattro cicche di fila per sfogarti e guardi dall’esterno quelle mura in cui sei rimasto confinato.
Ti rendi conto di aver vissuto qualcosa che non si può esprimere a parole nella sua interezza, capisci di essere entrato in un vero e proprio “universo parallelo”, completamente avulso dal mondo circostante, in cui regole e valori sono stravolti, così come vengono stravolte le esistenze di coloro che vi passano. Ti riconnetti alla vita “fuori” sapendo che tu esci, ma altre decine di migliaia di persone rimangono “dentro” e dovranno subire quello che tu hai provato in maniera appena accennata per mesi, anni, decenni. Maturi al tuo interno tante domande che quell’esperienza ti ha instillato:
E’ accettabile che una società releghi tanti uomini in quella condizione?
Quale uomo merita di vedere la sua vita consumarsi nell’assenza di speranza?
E’ prerogativa di una società democratica violare i diritti umani e spingere un uomo al suicidio?
E’ accettabile che un detenuto non abbia alcun modo di far valere i propri diritti, anche quelli legalemente riconosciuti?
Come si fa a non rendersi conto che il carcere per come è adesso non è altro che un luogo di riproduzione all’ennesima potenza delle stesse relazioni devianti che hanno portato al commettere un reato?
Un carcere non dovrebbe essere luogo di recupero e rieducazione?
E poi, rieducazione a cosa?
E’ ammissibile che una persona si faccia anni in carcere in attesa di giudizio?
Come è possibile continuare a trattare la tossicodipendenza e in generale il problema sostanze seguendo i dogmi del proibizionismo, quando più della metà dei detenuti è dentro per reati legati a questo tema e un terzo è tossico?
Sono solo alcuni degli interrogativi che ti nascono dentro toccando con mano la dura realtà del carcere e che continui a portarti dentro.
Soprattutto però ti porti dentro i volti e le storie di marginalità e sofferenza di quelli che hai incontrato, alcuni capaci, nonostante l’ambiente duro e disumano, di gesti buoni e generosi, che assumono il valore di veri e propri atti di resistenza.
E’ anche pensando a loro che ti convinci sempre di più della necessità di moltiplicare gli sforzi per lottare contro questo sistema malato e ingiusto che colpisce sempre i più deboli: anche in questo campo sarebbe quanto mai necessaria la ripresa di conflitto dal basso, che rivendichi risorse, diritti e un profondissimo cambiamento sul piano culturale. Compito quanto mai arduo, con una politica sempre più cieca, autoreferenziale e impermeabile alle necessità di chi veramente subisce drammaticamente, ogni giorno, le conseguenze di scelte fatte secondo becero populismo elettorale o freddo calcolo economico.
ZENO ROCCA
Fonte: notav.info

Il carcere di Monza scoppia, sciopero della fame per 350 detenuti

Sciopero della fame nel carcere di Monza. Da mercoledì mattina circa 350 detenuti della casa circondariale di via Sanquirico (circa la metà del totale) hanno deciso di rifiutare il cibo aderendo all’iniziativa lanciata a livello nazionale da Marco Pannella sullo stato della giustizia civile e penale.

sciopero-della-fame2Il motivo dello sciopero sono le condizioni della struttura e il sovraffollamento delle celle, problemi che si trascinano da anni senza una soluzione. A peggiorare la situazione, in queste ultime settimane, ha contribuito il forte caldo che ha trasformato le sezioni della casa circondariale in veri e propri forni.

Da MBnews 19/07/2012


Milano: il carcere di San Vittore scoppia, 1.600 detenuti per 780 posti

Il carcere di San Vittore a Milano scoppia: troppi detenuti, 1.600, in spazi che potrebbero contenerne 780 (questa la capienza massima prevista sulla carta per l’istituto di pena). Anche nella casa circondariale della metropoli lombarda è dunque emergenza sovraffollamento, problema comune a molte strutture italiane, con tutti i rischi igienico-sanitari che le celle strapiene comportano. A segnalare le criticità Lamberto Bertolè e Mirko Mazzali, rispettivamente presidente e vice presidente della sottocommissione Carceri del Comune di Milano.

san vittoreAl termine di una visita a San Vittore, i due consiglieri fanno il punto: “Segnaliamo le condizioni molto critiche del sesto raggio di cui abbiamo visitato il primo e il secondo piano. Altri reparti come il terzo raggio, dove i numeri lo consentono, versano in condizioni decisamente più consone”.

Tutto questo, continuano, “rafforza la convinzione che sia urgente e necessario provvedere alla ristrutturazione dei raggi chiusi, a cominciare dal quarto, scelta che potrebbe alleggerire le condizioni complessive del carcere. Tramontata l’ipotesi del trasferimento e riaffermata l’importanza che il carcere rimanga nella città, ci sembra una questione non più rinviabile”.

Bertolè e Mazzali concentrano l’attenzione anche sulla caserma degli agenti penitenziari che “versa in condizioni pessime, a cominciare dal degrado complessivo e, in particolare, delle docce e dei servizi igienici, insufficienti anche per numero”.

Tra le priorità, continuano, “segnaliamo anche l’importanza di garantire il kit d’ingresso a tutti i detenuti e l’insufficienza del numero degli agenti penitenziari che, in alcuni momenti della giornata, non possono garantire condizioni di sicurezza e la gestione delle emergenze”.

I due consiglieri riservano invece parole positive invece al reparto di cura La Nave per detenuti con problemi di tossicodipendenza, gestito dalla Asl di Milano in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria: “Riesce a garantire progettualità, proposte stimolanti e momenti di socializzazione, consentendo ai detenuti di non trascorrere in cella 21 ore su 24. Si tratta di un progetto innovativo che andrebbe esportato anche in altre realtà”, spiegano. Il report si conclude con un ringraziamento alla direzione del carcere “per il lavoro svolto. Insieme agli operatori e ai volontari ci sembra che, in una situazione molto difficile, i loro sforzi contribuiscano a rendere le condizioni dei detenuti meno lontane dai dettami costituzionali”.

 

Cappato (Radicali): carcere San Vittore è in situazione illegale

 

Dichiarazione di Marco Cappato, Presidente del Gruppo Radicale Federalista Europeo: “Stamane con una delegazione del Consiglio comunale abbiamo visitato il carcere di San Vittore a Milano. La condizione di assoluta illegalità nella quale sono costretti sia i detenuti che gli agenti è confermata e aggrevata: la capienza è di 500 detenuti, la capienza “tollerata” è di 785, ma i detenuti sono 1.600. Sono ormai passati quasi 7 mesi da quando, il 22 Dicembre 2011, il Consiglio comunale – su iniziativa del Radicale Lucio Bertè- aveva approvato una mozione che impegna il Sindaco Pisapia “a deliberare la formazione di una Commissione tecnica ad hoc con competenze medico sanitarie, di igiene edilizia e sicurezza degli impianti, per rilevare le condizioni di vita nelle carceri milanesi”.

L’Assessore Majorino si era poi impegnato a formare la Commissione, ma tale impegno è finora rimasto lettera morta. Chiedo al Sindaco e all’Assessore di attivarsi affinché finalmente la Commissione tecnica sia costituita e operativa, al fine di tenere sotto stretto monitoraggio la violazione dei diritti umani fondamentali di detenuti e agenti.

Per quanto riguarda l’iniziativa dei “Quattro Giorni di nonviolenza, sciopero della fame e silenzio” per la Giustizia e l’Amnistia, che inizierà domani 18 luglio, ho potuto riscontrare un buon livello di conoscenza e partecipazione da parte dei detenuti, in un clima di attesa e di speranza per un provvedimento di clemenza. Per fare un esempio, tra i 104 detenuti del Centro clinico, sono 64 quelli che hanno inviato ieri una lettera a Radio radicale annunciando l’adesione allo sciopero della fame”.

Adnkronos, 17 luglio 2012


SUL DDL “SVUOTACARCERI”

In Italia, tra i detenuti che stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4% ha un residuo pena inferiore ad un anno,addirittura il 64,9% inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l’accesso alle misure alternative della semilibertà dell’affidamento in prova al servizio sociale.

prisonSi tratta di numeri impressionanti che dimostrano inequivocabilmente come nel nostro Paese il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; il che continua ad accadere nonostante le statistiche abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il detenuto che sconta la pena in misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28%), mentre chi la sconta in carcere torna a delinquere con una percentuale addirittura del 68%.

Il ministro della Giustizia ha presentato un disegno di legge rubricato “Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”.
L’iniziativa del ministro appare subito coraggiosa e senza precedenti, in quanto per la prima volta viene previsto che la detenzione domiciliare possa essere applicata anche ai recidivi, il tutto attraverso una procedura di concessione praticamente automatica, e quindi sottratta alle valutazioni discrezionali della magistratura di sorveglianza.L’obiettivo dichiarato è quello di compiere un primo importante passo verso il lento e graduale deflazionamento dell’attuale popolazione carceraria.

Appena approdato in Commissione Giustizia della Camera, il disegno di legge è stato sottoposto ad un fuoco incrociato di critiche da parte della Lega,dell’Italia dei Valori e del Partito democratico, i quali si sono subito opposti con forza alla richiesta del Governo di trasferire l’esame del provvedimento alla sede legislativa.

In pratica, l’impostazione originaria del disegno di legge è stata stravolta laddove viene stabilito che la detenzione presso il domicilio non si possa applicare “quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti”. La nuova disposizione abroga ogni sorta di automatismo nell’applicazione della detenzione domiciliare e ai fini della concessione del beneficio – richiede la verifica di un requisito soggettivo del condannato di delicata interpretazione: è necessario,infatti, che il magistrato di sorveglianza esprima un giudizio prognostico positivo sulla idoneità della misura alternativa ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. Il legislatore però non si è soffermato sui criteri che dovranno regolare questa valutazione dell’organo giudicante, lasciando così alla magistratura di sorveglianza l’arduo compito di provvedere in merito.
Stando così le cose, è facile prevedere che la prognosi circa l’idoneità della detenzione domiciliare ad evitare il pericolo di consumazione di altri reati verrà basata, nel caso di concessione della misura prima dell’inizio della esecuzione della pena,sul comportamento tenuto dal condannato successivamente e antecedentemente al reato, con la conseguenza che se il soggetto è persona recidiva, con significativi precedenti penali e carichi pendenti sulle spalle, difficilmente potrà usufruire di questo beneficio.
E quindi, pur essendo vero che in teoria questa nuova forma di detenzione domiciliare potrà essere concessa anche ai recidivi, di fatto, il numero dei condannati con precedenti penali che riuscirà a scontare la pena nel proprio domicilio senza transitare per il carcere sarà davvero modesto.
Se invece il condannato si trova già in carcere, il pericolo di ricaduta nel reato da parte del detenuto andrà valutato sulla base della relazione di sintesi delle attività di osservazione scientifica della personalità. Il problema è che questo tipo di relazione non viene quasi mai prodotta secondo i tempi prescritti dalla normativa, e questo a causa della forte carenza degli educatori penitenziari.

In conclusione, le nuove disposizioni sulla detenzione domiciliare lasceranno la situazione carceraria sostanzialmente invariata, il che renderà sempre più drammatica la condizione dei quasi 68mila detenuti ristretti all’interno dei 205 istituti di pena italiani. Di tutto questo la Lega, l’Italia dei valori e il Partito democratico saranno presto chiamati ad assumersi le proprie responsabilità di fronte all’intera comunità penitenziaria.


SECONDO SUICIDIO NEL CARCERE DI REGGIO EMILIA

 

Ennesimo suicidio nelle sovraffollate carceri italiane: Aldo Caselli,
44 anni, detenuto nel carcere di Reggio Emilia, si e’ tolto la vita
stanotte. L’uomo, secondo quanto si e’ appreso, avrebbe annodato le
lenzuola alle sbarre della cella per impiccarsi. Quello di oggi,
secondo le stime del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria,
e’ il 26/o suicidio dall’inizio dell’anno.
pena-di-morte-esecuzioneAldo Caselli era in carcere da pochi giorni, ma era stato arrestato
altre volte per reati vari. Il fatto e’ avvenuto tra le 22.30 e le 23.
Nel carcere di Reggio Emilia, il 27 marzo si era suicidato un altro
detenuto, inalando il gas delle bombolette usato per cucinare e
riscaldare cibi e bevande. Sempre a Reggio Emilia, nello stesso
periodo, due internati avevano tentato il suicidio nell’ospedale
psichiatrico giudiziario, dove ci sono piu’ di 300 persone, ed erano
stati salvati dalla polizia penitenziaria.

A Reggio Emilia i detenuti sono circa 350, a
fronte di una capienza di 160 posti detentivi.


CORDA TESA

 

 

Corda Tesa si occupa di indagare le cosidette istituzioni totali: carceri, ospedali psichiatrici ma anche C.I.E., vera e propria aberrazione della reclusione, in cui ciò avviene solamente in base alla propria nazionalità. E’ in questi luoghi che si manifesta in maniera completa la perdita dell’autonomia dell’individuo, che vede la propria esistenza regolata da leggi, le quali scandiscono i suoi ritmi, rendendo anche evidente quanto l’ordine sociale sia basato su codici e regole che non possono tollerare alcun tipo di devianza, per la propria realizzazione.

Il nostro obiettivo è
quello, non soltanto di rendere note informazioni spesso nascoste o
ignorate, ma anche di riuscire in qualche modo ad interagire con queste
realtà tramite il contatto con individui che vivono quotidianamente
dentro questi sistemi altri della società.

Ovviamente il nostro
sguardo nei confronti di queste realtà non può che essere critico e
vicino ad idee tendenti alla propria abolizione, consci che in questi
luoghi il potere rinchiude chi è più indifeso e maggiormente esposto
alle ripercussioni della legge perché non in grado di difendersi.

Ma anche perché crediamo
che, soprattutto in questo preciso periodo storico, sia importante
tornare ad occuparsi di questi luoghi che sempre più tornano a far
sentire la loro presenza, diventando lo specchio attraverso cui leggere
lo sviluppo della società.

Questi luoghi occultati,
rimossi e resi estranei al comune sentire delle persone rappresentano i
laboratori in cui sperimentare quello che poi verrà attuato sul corpo
dell’intero ordinamento sociale.

L’esclusione che operano
tende ad isolare, emarginandole e rendendole inoffensive, quelle
persone che rappresentano gli scarti della concezione sociale del tardo
capitalismo.

Il carcerato, il malato
rappresentano il lato oscuro e nascosto della vittoria della merce.

Componente fondamentale
nel nostro ragionamento è anche la consapevolezza che queste figure sono
fondamentali per l’ordine del capitale, il quale trova nella loro
esistenza ragione per esistere e per continuare.

Per questo motivo il
carcere produce criminali, la medicina produce malati. Il paradosso di
tutto ciò è legato al fatto che tutte queste figure producono anche
ricchezza, nel senso che una società ha bisogno di carceri, di ospedali,
di C.I.E., per far lavorare, per creare figure professionali che non
avrebbero modo di esistere senza queste realtà emarginate. Ma la più
idonea ipotesi dell’esistenza di queste istituzioni totali risiede nel
concetto che queste permettono alla società, al potere di infierire
timore nella popolazione, punendo quei comportamenti e quegl’
atteggiamenti che risultano essere scomodi da una parte, ma sfruttabili
come modelli scorretti di comportamento sociale.

Tutto questo è anche
aiutato dalla fitta campagna dei media che danno ampio risalto ai fatti
compiuti da individui appena usciti dal carcere o da malati
psichiatrici, al piccolo reato compiuto dall’immigrato o, più in
generale, dalla povera gente,creando nella struttura sociale il concetto
che esista una categoria criminale e l’idea che quest’ultima sia il
vero pericolo per la convivenza civile.

Quando poi dei detenuti
vengono liberati prima della fine pena o godono di attenuanti,
subito viene creata ad arte l’impressione che in carcere si entra e si
esca con facilità estrema, facendo credere, all’opinione pubblica
nazionale, che in Italia non esista né pena né giustizia e che si possa
godere di un’ impunità garantita e data per scontata.

L’idea che trasmettono i
media fa parte di una campagna di terrore tesa in principio a creare
paura ma di fatto a creare consenso per la vittoria della legalità
(triste parola dietro cui si nasconde l’accettazione delle regole che ci
controllano e ci rendono mansueti, il rifiuto della devianza e la
socializzazione forzata che ci troviamo costretti a vivere).

Tutti questi elementi
fanno parte della campagna di mistificazione del reale che ormai investe
la nostra quotidianità e che trasforma nel pericolo più temibile, più
pericoloso e da punire senza alcuna pietà, il ladruncolo, il consumatore
di sostanze stupefacenti, l’attivista politico, il malato psichiatrico o
più in generale il deviato.

Tutte persone che la
società dell’apparire, del vacuo e del benessere vuole togliere di
mezzo, rinchiudendoli e affidandoli a specialisti.

Gli agenti e i creatori
dello sfruttamento, coloro che delinquono nel nome della merce, nascono
come criminali sociali (soltanto perché inseriti all’interno dell’ordine
dominante e agenti per conto del capitale) ma diventano in seguito
vittime.

Le case farmaceutiche
uccidono, le banche rubano, la legge non è uguale per tutti.

Queste parole
qualunquiste fanno parte del sentire comune di chiunque ma non riescono a
creare indignazione, volontà di ribellarsi, alle continue ingiustizie
che vengono perpetrate verso gli innocenti, o verso i piccoli
criminali(deviati per necessità, il più delle volte), anziché a coloro
che commettono crimini inimmaginabili ed impensabili, a volto scoperto.

La tolleranza zero
diventa così l’unico modo, l’unico cavallo di battaglia di una società
de-ideologizzata, satura di disvalori, che crea continuamente nuove
paure e nuovi nemici.

Del resto, il popolo
terrorizzato è più disposto a rinunciare alla propria libertà nel nome
della propria sicurezza e per mantenere i propri privilegi.

In questo è bravo anche
il dominio che fa sì che venga resa impossibile sia una vicinanza e una
consapevolezza dei rinchiusi (impedendo così che essi possano
trasformarsi in un possibile motore di rivolta ed instabilità), sia una
nascita, in quei luoghi, di pratiche di resistenza alla realtà. Ciò che
traspare dai quei luoghi ultimi, emarginati è che questi siano luoghi di
disperazione e punizione, dove scompaiono le regole della dignità
umana.

Abbiamo scelto il nome
CordaTesa perché si presta a svariati interpretazioni e significati:

Corda tesa come una corda lanciata
verso l’abbandono e la solitudine che abitano e animano questi luoghi,
spezzando l’isolamento verso quell’umanità che viene dimenticata quando
delle sbarre gli si richiudono alle spalle.

Corda tesa come la corda
penzolante, troppo spesso con un corpo appeso, che rappresenta il solo
modo di dimenticare questa solitudine, sola via di fuga da un reale che
non si vuole, da un mondo che rifiuta ed emargina.

Corda tesa come una corda di uno
strumento musicale che ad ogni giro della chiavetta si tende sempre più
fino a giungere ad un punto di rottura e a spezzarsi, perché la tensione
è arrivata al massimo del tollerabile.120606180270_equilibrista_result2


Corda tesa come la corda su cui tutti noi,
inconsci acrobati, ci troviamo a camminare sperando di non precipitare o
che non ci si spezzi sotto i piedi.