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Carcere – Comunicato collettivo di 245 prigionieri del carcere di Saluzzo

Riceviamo e diffondiamo un documento firmato da 245 prigionieri del carcere di Saluzzo. Ricordiamo il presidio che si terrà sotto quelle mura il 16 febbraio 2013.

comunicato-stampa-blogComunicato

Noi sottoscritti detenuti della Casa di Reclusione di Saluzzo, con la seguente, vogliamo rendere testimonianza di tutti gli abusi che quotidianamente subiamo presso l’istituto di Saluzzo ad opera della direzione e di tutti gli organi dirigenziali.

Faremo alcuni esempi di quello che siamo costretti a subire nell’attesa che siano presi seri provvedimenti e che vengano rispettati i diritti di noi detenuti come previsto da norme e leggi.

Chiediamo che:

Art. 6 O.P. – La direzione si faccia carico di voler provvedere alla consegna di coperte, piatti e posate per tutti i nuovi giunti, perché è ignobile che chiunque arrivi in questo istituto non abbia coperte per ripararsi dal freddo e piatti con posate per mangiare.

Art. 8 O.P. – Chiediamo che ci venga concesso di poter avere detersivi, spazzolone, scopa e stracci e secchi per l’igiene della cella, così come shampoo, saponi, dentifrici, spazzolini, etc., per l’igiene e la cura della persona.

Art. 12 O.P. – Facciamo presente che i prezzi del sopravvitto lievitano ogni mese, oltre ad essere prodotti di sottomarca dei discount li paghiamo come generi di prima qualità ed i prezzi non coincidono mai con il listino della spesa perché subiscono sempre aumenti, non consono rispetto a quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario perché i prezzi subiscono variazioni di mercato ed ogni tre mesi devono essere visionati come previsto dall’O.P.

Art. 11 O.P. – Il vitto prevede che nei giorni feriali e festivi sia passato una sola volta al pranzo, così chi non ha la possibilità di potere cucinare viene costretto ad un digiuno forzato, come avviene attualmente per l’elevato numero di detenuti indigenti e extra-comunitari. (*)

Caloriferi – La direzione, nonostante il freddo gelido e le elevate temperature invernali, nel pomeriggio spegne i caloriferi dalle ore 15.30 sino alle ore 18.15 per poi spegnerli di nuovo alle ore 20.30 e riaccenderli alle ore 7.30 senza tenere conto del freddo insopportabile e delle rigide temperature esterne e interne.

Art. 36 O.P. D.P.R. N°230 – In questo istituto non vengono consegnati gli opuscoli dove c’è scritto “Diritti e doveri” di ogni singolo detenuto, così come sancito dal D.P.R. N°230 dove è scritto chiaramente che: il regolamento interno deve essere portato a conoscenza di detenuti e internati. Questo non avviene, contravvenendo alla seguente norma del 30-6-2000 n° 230.

Usufruizione dei benefici – Tantissimi detenuti con pene residue e irrisorie si vedono negati ogni beneficio, a nessuno viene concesso di poter usufruire di pene alternative come: l’affidamento, la semilibertà oppure permessi premio; il piano trattamentale è accessibile solo per pochissimi ristretti, dato il numero esiguo degli educatori, impossibilitati a seguire 420 detenuti.

Lavoro detenuti – Il lavoro per i detenuti è concesso solo a pochissime persone, in più vengono retribuiti con miseri stipendi, pagati per 2 o 4 ore, mentre le ore lavorative svolte superano le 6 / 8 ore, così come viene sfruttata la manodopera a favore dell’Amministrazione Penitenziaria.

Per concludere: vogliamo sottolineare l’importanza di questa nostra petizione che sarà portata all’attenzione dell’opinione pubblica sul sito internet “informa-azione.info“, per sensibilizzare le persone su quanto accade nell’istituto di Saluzzo, date che tantissimi scioperi della spesa non hanno sortito nessun effetto e non hanno portato la direzione a risolvere i nostri problemi.

Inoltre:

Desideriamo ringraziare tutti/e i/le compagni/e che verranno qui fuori a manifestare in solidarietà con tutti noi detenuti e prigionieri; un abbraccio a tutti/e i/le detenuti/e in lotta contro abusi, pestaggi, prevaricazioni e quant’altro avviene in tantissimi carceri d’Italia, affinché questo obbrobrio finisca e vengano rispettati i diritti di noi detenuti; solidarietà a tutti/e i detenuti nelle sezioni di isolamento, trattenuti contro la loro volontà e che lottano per il rispetto dei diritti di tutti/e i/le detenuti/e; e solidarietà per i compagni di Alessandria nella sezione AS2.

Per terminare:

Ci riserviamo in futuro di intraprendere altre forme di proteste pacifiche e iniziative volte ad ottenere il rispetto della dignità umana oltre che i nostri diritti, perché prima che detenuti siamo esseri umani.

P.S. Un ringraziamento particolare a tutti/e i/le volontari/e che prestano il loro aiuto ai detenuti.

In fede i detenuti

[Seguono 245 firme]


Antigone presenta monitoraggio Osservatorio europeo su condizioni detenzione

Presentato a Roma da Antigone l’Osservatorio europeo. Otto i Paesi coinvolti: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. In Italia oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare.
cordatesaÈ nato il primo Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione. A presentarlo oggi a Roma, presso la Sala Convegni della Casa circondariale Regina Coeli, è l’associazione Antigone. L’Osservatorio è sostenuto dalla Ue e coordinato dalla stessa Antigone, che avrà il compito di monitorare il sistema penitenziario su scala europea. I paesi coinvolti sono otto: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. Durante la conferenza stampa sono stati forniti dati e numeri inediti sulla situazione carceraria in Europa.
L’Osservatorio, che mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, ha l’ambizione di fungere da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600 mila persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea. “Lo scambio di buone prassi che il network costruito dall’Osservatorio permette – è stato sottolineato in sede di presentazione – è una risorsa fondamentale per la soluzione degli specifici problemi di ciascun sistema penitenziario nazionale”.
La fotografia dell’Europa. In Italia la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato i problemi principali delle prigioni italiane, primo tra tutti un tasso di affollamento pari al 146 per cento. Oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, “una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25 per cento”. I detenuti stranieri nelle carceri italiane sono il 37 per cento del totale mentre circa il 30 per cento della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti. “L’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over.
Sfortunatamente le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate”.
Non sta bene nemmeno la Francia, che ha assistito negli scorsi anni a una crescita drammatica della popolazione detenuta. I detenuti sono oggi il 36 per cento in più rispetto al 2001.
“Grandi progetti di edilizia carceraria non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento e – data la natura delle costruzioni – hanno invece creato altri problemi, quali un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti più violenti”.
Il tasso di suicidi continua a essere molto elevato e le politiche securitarie impongono misure di sicurezza estremamente rigide all’intera popolazione carceraria, compresi i detenuti caratterizzati da una bassa pericolosità sociale. “Queste condizioni si sono dimostrate controproducenti in termini di sicurezza pubblica, comportando piuttosto un alto tasso di recidiva”.
In Grecia il sistema penitenziario è caratterizzato da un grave sovraffollamento e da condizioni di vita estremamente degradate.
Si aggiungono a questi problemi quelli della carenza di personale, dell’abuso della custodia cautelare, di una massiccia presenza di detenuti stranieri e di persone accusate o condannate per crimini legati alla droga. La lunghezza delle pene inflitte è andata aumentando e con essa anche la lunghezza del periodo tempo effettivamente trascorso in prigione. “La retorica governativa legata all’umanizzazione del sistema penitenziario, alla promozione delle alternative alla detenzione e alla riduzione della popolazione detenuta si scontra con una prassi che vede un mero ammassare le persone nelle carceri senza alcuna prospettiva”.
La Lettonia, con i suoi 300 detenuti ogni 100 mila abitanti, presenta il tasso più alto di carcerazione tra i paesi dell’Osservatorio, nonché uno dei più alti nell’intera Ue.
Quasi il 30 per cento dei detenuti è in custodia cautelare. Il numero di stranieri in carcere è molto contenuto.
Anche in Polonia, oltre venti anni dopo la trasformazione politica, il sistema penitenziario sta ancora affrontando seri problemi. “C’è la necessità di una riforma più radicale. Sono ancora gravissime le questioni del sovraffollamento, delle condizioni degradate di detenzione, della mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti”. Con l’ingresso nell’Unione Europea, la Polonia si è trovata di fronte nuove sfide, tra cui il crescente numero di detenuti stranieri e la necessità di adeguare le proprie carceri agli standard europei.
Nonostante il Portogallo abbia un tasso di criminalità relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei, la popolazione detenuta non è inferiore a quella che si aveva negli anni ’90, quando si crearono drammatiche condizioni di sovraffollamento. Dopo qualche anno in cui era andato diminuendo, infatti, il numero dei detenuti sta nuovamente crescendo in fretta. La nuova ondata di sovraffollamento si è abbattuta sul Paese a partire dal 2012, e non si vedono per ora prospettive di miglioramento. Vari sono stati inoltre gli episodi di morte in carcere i quali non hanno trovato una spiegazione ufficiale.
In Spagna, tra i principali problemi delle carceri c’è sicuramente quello del sovraffollamento, che impedisce di scontare la pena in condizioni dignitose. Gravissima anche la situazione relativa all’assistenza sanitaria. “A seguito della crisi economica, l’amministrazione penitenziaria spagnola è andata riducendo le prestazioni mediche. La popolazione detenuta è soggetta a un alto tasso di malattia e la carenza di cure specialistiche, in particolare rispetto alla salute mentale e alle specificità di donne e bambini, si fa dunque sentire in carcere con più forza che altrove”. La crisi economica ha indebolito anche il diritto alla difesa, mentre paradossalmente vanno aumentando i servizi privati all’interno delle carceri.
Infine il Regno Unito, che lungo gli ultimi due decenni ha assistito, anno dopo anno, a una crescita della popolazione detenuta. Insieme a ciò si è avuta un’esplosione nell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena.
Più detenuti in Gb, in Italia maggior sovraffollamento
I dati del monitoraggio dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione. In Italia 139,7 detenuti ogni 100 posti. La percentuale di donne detenute è compresa tra il 3 per cento della Polonia e l’8 per cento della Spagna. Stranieri, Grecia al top
La presentazione dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione da parte di Antigone è stata supportata dai dati resi noti dallo stesso Osservatorio sulle principali differenze tra gli 8 sistemi penitenziari nazionali monitorati (Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito). “I dati riportati, e le tendenze degli ultimi anni – affermano i promotori – , possono essere usati come indicatori di politiche nazionali più o meno virtuose che verranno studiate e confrontate tra loro nei prossimi mesi”.
Popolazione detenuta 2012. Degli otto Paesi dove opera l’Osservatorio, è il Regno Unito ad avere il maggior numero di detenuti: 95.161 (in costante crescita: erano 82.572 nel 2008 e 84.725 nel 2010). Seguono Polonia (85.419, quasi 5 mila in più del 2010), Spagna (69.037, quasi 5 mila in meno del 2010) e Italia (65.701, erano 68.345 nel 2010 e 55.831 nel 2008). I sistemi penitenziari monitorati ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400 mila detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. “Anche se in molti paesi il numero dei detenuti è in questi anni cresciuto, questa tendenza non è univoca o necessitata. In Italia o in Spagna ad esempio la popolazione detenuta è calata negli ultimi due anni”, si afferma.
cordatesaTassi di detenzione. I tassi di detenzione indicano il numero di persone detenute per ogni 100 mila cittadini e rappresentano la misura del ricorso al carcere in ciascun paese. I tassi di detenzione più alti si registrano in Lettonia (297) e in Polonia, due nuove membri dell’Unione che in passato hanno fatto parte del blocco sovietico. In Europa meridionale, invece, i tassi di detenzione più alti si registrano in Spagna (148,7). In Italia il tasso è al 107,7.
Sovraffollamento. Il sovraffollamento è rappresentato dal numero di detenuti effettivamente stipati in 100 posti e, come mostrato dall’Osservatorio, è un problema molto serio per l’Europa mediterranea. “D’altro canto – si afferma – la capienza dei sistemi penitenziari è misurata in modo molto diverso nei vari paesi, e ad esempio per la legislazione italiana ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 mq, in Lettonia solo 2,5 mq. Si tratta inoltre di un valore medio. In ogni paese ci sono istituti che sono molto più affollati della media, ed altri che lo sono molto”. Ciò premesso, i dati dicono che è l’Italia il Paese con il maggiore indice di sovraffollamento (139,7 detenuti ogni 100 posti, erano 153, 2 nel 2010 e 129,9 nel 2008). Alta anche la Grecia (136,5) e la Francia (113,2).
Donne detenute. La percentuale di donne detenute in Europa è compresa tra il 3 per cento della Polonia ed quasi l’8 per cento della Spagna. In molti paesi questa percentuale è andata calando negli ultimi anni (come in Grecia, in Spagna e nel Regno Unito), mentre è andata crescendo in Lettonia ed in Polonia. Come detto, della Spagna la percentuale più alta (7,6 per cento), mentre l’Italia rimane sostanzialmente stabile con il 4,3 per cento (era il 4,4 per cento nel 2010 e nel 2008). Detenuti stranieri. “La percentuale di detenuti stranieri è uno dei temi sui quali i paesi monitorati differiscono maggiormente”.
Estremamente alta, e decisamente in crescita, in Grecia (63,2 per cento della popolazione carceraria, contro il 55,5 per cento del 2010 e il 48,3 del 2008), è generalmente molto alta nell’Europa mediterranea, in particolar modo in Italia (35,8 per cento, comunque in calo rispetto al 36,6 per cento del 2010 e al 37,4 per cento del 2008) e in Spagna (33,3 per cento, ugualmente in calo). Il fenomeno è sostanzialmente inesistente in Lettonia (1,3 per cento) e in Polonia (0,7 per cento).
Condanne definitive. In Italia la percentuale di detenuti che scontano una condanna definitiva è del 58,8 per cento (era il 54,2 nel 2010 e il 43,6 nel 2008). La percentuale più alta si registra nel Regno Unito (94,1 per cento), seguita da Polonia (89 per cento) e Francia (88,8 per cento). Alte anche le percentuali di Spagna (81,9) e Portogallo (80,5).
In generale la percentuale di detenuti in custodia cautelare è ampiamente sotto il 30 per cento, con l’evidente eccezione dell’Italia, dove questa percentuale è stata a lungo sopra il 50 per cento ed è attualmente sopra il 40 per cento.
Morti in carcere. La frequenza delle morti in carcere è determinata dividendo il numero di detenuti presenti in un anno per il numero dei detenuti morti in carcere quell’anno, ed è certamente un possibile indicatore del livello di criticità delle condizioni di detenzione in un certo paese. I dati cambiano molto: da una morte ogni 600 detenuti in Polonia ad una morte ogni 200 detenuti in Portogallo. In Italia l’indice è di 357, in diminuzione rispetto al 2010 (433) e al 2008 (461).
Misure alternative. “Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri”, si afferma.
Come mostrato dai dati dell’Osservatorio, il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100 mila abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia (265) e Regno Unito (252) e, più di recente, della Spagna 306,7), alla Polonia (1,1 nel 2010) o al Portogallo (2,2), dove queste misure sono pressoché inesistenti. L’Italia presenta un tasso di 32,8, comunque in crescita rispetto al 2010 (26,2) e al 2008 (8,4).
Anomalia Italia è custodia cautelare, 40% detenuti contro 25% media europea
Con 146 detenuti ogni 100 posti letto, l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è il più alto d’Europa; di contro il tasso di detenzione è in linea con gli altri paesi: con 107 detenuti ogni 100 mila cittadini, contro i 135 della Gran Bretagna, i 149 della Francia, i 99 della Francia. Mettendo a confronto la situazione italiana con quella del resto degli stati dell’Unione Europea emergono invece due differenze sostanziali: l’elevata percentuale di detenuti in custodia cautelare e lo scarso ricorso alle misure alternative, dieci volte in meno che in Spagna o in Francia.
I dati diffusi dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, che sarà capofila dell’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione, mettono in rilievo come oltre il 40% della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25%. Qui l’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over e le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate. Infatti, il ricorso alla cosiddetta probation riguarda, rapportato alla popolazione, 33 persone su 100 mila abitanti, mentre in Francia sono 265, nel Regno Unito quasi altrettanti, in Spagna 306,7. Come il resto dei paesi del Mediterraneo è estremamente alta, la percentuale di detenuti stranieri: in Italia il 35,8%, in Spagna il 33,3% in Grecia addirittura il 63%.
L’Osservatorio, presentato oggi, è coordinato dall’associazione Antigone e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Criminal Justice Programme. L’obiettivo è una omogeneizzazione delle condizioni di detenzione che risponda a quanto imposto dagli standard europeì. Monitora i sistemi penitenziari di otto paesi (Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna) che ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400.000 detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. E mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, fungendo da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600.000 persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea.
fonte: Redattore Sociale

Carcere di Sant’Agostino infestato dai topi

cordatesaSavona – Non bastava il sovraffollamento. Ora detenuti e agenti penitenziari del Sant’Agostino devono fare i conti anche con i topi. In passato sono stati effettuati in più occasioni interventi di derattizzazione, ma a quanto pare il problema non si è risolto. Qualche giorno fa un avvocato savonese è andato a trovare in carcere il suo cliente,  un uomo arrestato di recente, che quando il legale gli ha chiesto come si trovasse in carcere, con chi fosse finito in cella, si è lamentato dei topi: «Escono dal water» – ha raccontato all’avvocato che poi si è informato con gli agenti penitenziari i quali gli avrebbero confermato che sì, il problema c’è e non ha trovato appunto ancora una soluzione concreta.

Fonte

 


Giornata internazionale di mobilitazione per Georges Abdallah !

Il 10 gennaio un tribunale francese ordinava infine il rilascio (legato a un’espulsione) di Georges Abdallah, dopo oltre 28 anni trascorsi detenuto in Francia.

cordatesaMalgrado tale detenzione eccezionalmente lunga, Georges Abdallah ha mantenuto il suo impegno al servizio dei popoli arabi libanese e palestinese contro il sionismo, l’imperialismo e la reazione araba.

Georges era divenuto contemporaneamente un esempio dell’accanimento della repressione imperialista, e un esempio di resistenza e di determinazione rivoluzionarie.

Dunque, noi abbiamo creduto al rilascio di Georges, ma le autorità francesi, non emettendo l’ordinanza di espulsione, hanno reso inoperante la decisione del tribunale. Sotto pressione diretta e chiara degli USA (dichiarazione del Dipartimento di Stato, petizioni di membri del Congresso…), il governo francese perpetua così il blocco di una decisione del tribunale.

La social-democrazia francese, che è sempre stata strettamente legata all’imperialismo americano e al sionismo, lo dimostra ancora una volta.

Il Soccorso Rosso Internazionale è fiero di aver iniziato più di 10 anni fa la campagna per il rilascio di Georges Abdallah. Dall’inizio di questa campagna, sono decine le manifestazioni in una mezza dozzina di paesi che hanno portato all’iniziativa delle differenti organizzazioni partecipanti alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale e, nel corso degli anni, abbiamo visto estendersi la solidarietà verso Georges, con l’aggregazione progressiva di forze nuove, e trasformarsi finalmente in un movimento grande che denuncia il mantenimento in carcere di Georges Abdallah.

Una giornata internazionale di mobilitazione per il rilascio di Georges Abdallah è organizzata il 27 febbraio, ossia la vigilia della sua prossima comparizione davanti al tribunale per l’applicazione delle pene. Noi chiediamo a tutte le forze partecipanti al processo di costruzione del Soccorso Rosso Internazionale, a tutte le forze con cui intratteniamo rapporti di lavoro, a tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, di rispondere a questo appello e impegnarsi risolutamente per strappare definitivamente il rilascio di Georges.

La Commissione  per un Soccorso Rosso Internazionale

(Bruxelles-Zurigo)

4 febbraio 2013


Montenegro: 400 detenuti in sciopero fame

cordatesaCirca 400 detenuti di un carcere presso Podgorica, la capitale del Montenegro, hanno cominciato oggi uno sciopero della fame per chiedere una legge di aministia. Ne hano dato notizia i media locali.

In un documento fatto pervenire ai giornali, i detenuti lamentano per il cronico sovraffollamento delle prigioni, per l’assistenza sanitaria inadeguata, per la cattiva qualità del cibo. Dal carcere non è stato possibile ottenere una conferma della protesta.


Sciopero della fame contro ergastolo ostativo: detenuto in fin di vita

cordatesaE’ in gravissime condizioni il detenuto ergastolano di origine siciliana Antonino Cacici, di 42 anni, che da diversi giorni sta effettuando lo sciopero della fame contro l’ergastolo ostativo: l’uomo, rinchiuso nel carcere di Sulmona, rifiuta anche la terapia medica e da ieri ha cominciato lo sciopero della sete. A lanciare l’allarme è la Uil Penitenziari.

L’ergastolo ostativo, contro il quale protesta il detenuto, impedisce qualsiasi possibilità di abbreviazione della condanna, perchè inflitto per gravissimi delitti. “Le condizioni di salute del Cacici, che ha rifiutato anche il ricovero presso l’ospedale, cominciano a destare serie preoccupazioni fra i sanitari del carcere – afferma il segretario provinciale della Uil Penitenziari, Mauro Nardella – i medici hanno registrato nel corso dell’ultimo mese un calo ponderale di oltre 20 chili. Il che, unito anche all’aumentato rischio derivante dall’associazione dello sciopero della terapia e della sete, porterà al rischio di un rapido peggioramento delle sue condizioni”.

“La preoccupazione della Uil Penitenziari, oltre che di tutti gli operatori penitenziari, ognuno dei quali armati di umana pietà – conclude Nardella – è che il detenuto, malgrado i ripetuti e sistematici tentativi di dissuasione fatti da tutti, direttori, medici, infermieri, poliziotti penitenziari, educatori e assistenti sociali, possa non arrivare all’appuntamento col Trattamento sanitario obbligatorio ancora in vita”.

Fonte


Cremona – Scritte solidali con Marco Camenisch, due arresti – aggiornato –

riceviamo da mail anonima:

scritta per camenischNella notte tra il 5 e il 6 febbraio vergate scritte in solidarietà con Marco Camenisch, No Tav, ZAD, Villa Amalias, contro il voto, per Bresci e contro la guerra.

Dopo una notte di passeggiate contro i punti del potere, tratti in arresto due compagni.
Perquisizioni nelle abitazioni di vari compagni e deportati nel carcere di Cremona due ribelli.

Seguiranno aggiornamenti.

Aro e Colo Liberi.
Libere/i Tutte/i

foto delle scritte su: 

http://www.cremonaoggi.it/2013/02/06/tornano-i-vandali-in-piazza-s-agostino-sui-muri-scritte-contro-gli-alpini-che-avevano-ripulito-la-zona

AGGIORNATO   9-2-2013

Riceviamo e diffondiamo alcuni comunicati inerenti l’arresto di Aro e Colo
Nel frattempo apprendiamo che i due compagni sono stati scarcerati nel pomeriggio di giovedì!

PRIGIONIERI ESISTENZIALI

Qualche riflessione, un mondo altro.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ad Aro e Colo, compagni di cui condividiamo pensieri e la gioia di quella notte.

Oltre alla solidarietà, affermiamo la nostra complicità nella rottura con questo mondo.

A chi ha usato le parole “prigionieri politici”, PRRRRRRRRRRRR.

Noi ci sentiamo prigionieri esistenziali, dove l’evasione da questo mondo fatto di sfruttamento e oppressione, questo ergastolo sociale, è quello per cui ci battiamo, sentiero che vogliamo esplorare in ogni momento e ovunque.

Riabbracciare i nostri compagni è stata un’emozione indescrivibile, atto pratico della scritta apparsa mercoledì sera, subito dopo l’arresto: I CUORI DI ARO E COLO SARANNO LIBERATI. LIBERI/E TUTTI/E.

C’è chi dice, c’è chi fa. C’è chi tiene la teoria al di fuori della pratica.

Tutto questo ci è avverso, come sbirri, padroni, banchieri, preti, politici e pennivendoli di regime.

Tutto questo ci ha fatto capire, ancora di più, che sono le relazioni rivoltose la sola cosa che salveremmo in questo sistema fatto di merda, di merce e di autoritarismo.

Con profonda collera verso l’esistente, ringraziamo tutte/i della solidarietà mostrata.

anarchiche e anarchici di Cremona

CIP Via Aro e Colo Liberi, 77


Segue comunicato di Aro e Colo:

TERRORISTA È LO STATO

Nella notte di martedì 5 febbraio, mentre ci adoperavamo nell’atto derisorio ai danni del potere bancario, il nostro saper fare è stato interrotto ora dallo spettro di una pallottola in testa ora dal rumore della mano poliziesca. Una volta presi in ostaggio, siamo stati rinchiusi nella sala fermi della caserma dei carabinieri; senza essere informati dei reati commessi, siamo stati lasciati al nulla della stanza fino alla dichiarazione di arresto avvenuta alle 18 del giorno seguente.

Il ricorso alla galera è scattato in quanto nelle nostre abitazioni (perquisite in mattinata), sono stati trovati “pericolosi” scritti anarchici, utilizzati dall’apparato repressivo per costruire la solita menzogna del mostro insurrezionalista. Le accuse con le quali varchiamo l’ingresso di Ca’ del ferro (carcere di Cremona) sono pesantissime e
spropositate ai fatti: due reati associativi, uno per danneggiamento, un’altro per trasporto di esplosivi e, il tanto in voga 280 bis – terrorismo.

Il progetto politico non può che essere mediatico: le cazzate uscite dai giornali e la nostra liberazione avvenuta già Giovedì ne sono la conferma. Prigionieri politici!? Siamo anarchici: il privilegio della politica non solo ci disgusta, ma lo combattiamo come ogni forma di autorità.

Tutti liberi – tutti viventi!

Un caldo abbraccio agli amici/compagni/solidali

che fin dalle prime ore di mercoledì hanno scaldato i nostri cuori.

Per la libertà,

Aro e Colo.

 


La morte di Attinà in carcere resta senza colpevoli

Assolto l’ispettore di polizia accusato di omicidio colposo che permise al detenuto di avere in cella il fornellino da campeggio con il gas che lo uccise

si muore di carcereLIVORNO. Nicola Citi, 43 anni, ispettore di polizia penitenziaria abbraccia il suo avvocato quando il giudice Gioacchino Trovato finisce di leggere, dopo mezzora di camera di consiglio, la sentenza la quale lo assolve con formula piena per la morte di Yuri Attinà, il detenuto scomparso il 5 gennaio 2011 nel carcere delle Sughere dopo aver inalato da un fornellino da campo una grossa quantità di gas butano.

Una decisione che «rende giustizia a un agente che ha sempre cercato di fare bene il proprio lavoro», come spiega l’avvocato Luciano Picchi che ha difeso Citi con il collega piombinese Giovanni Marconi. Ma che dall’altra parte fa restare senza colpevole una morte che scosse l’opinione pubblica. «Si vive di ingiustizie e si muore in carcere», recitava uno striscione che alcuni amici della vittima esposero fuori dal carcere dopo la scomparsa di Attinà.

L’agente di polizia penitenziaria era accusato di omicidio colposo. Secondo il pubblico ministero Massimo Mannucci – si legge nel capo d’imputazione – «in qualità di ispettore in servizio nella casa circondariale di Livorno, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e nell’aver revocato momentaneamente una disposizione da egli stesso adottata l’11 dicembre 2010 che vietava l’uso del fornellino da camping consentendo poi al detenuto di utilizzarlo».

Al centro delle indagini, in particolare, sono finiti due documenti: uno risaliva, appunto, all’11 dicembre, il secondo al 28. Nel primo, visti i precedenti del detenuto, viene vietato l’uso del fornellino in cella. Diciassette giorni più tardi, Citi, avrebbe firmato – sosteneva anche la parte civile – un documento nel quale autorizza ad usarlo o comunque a dividere la cella con detenuti che lo hanno a disposizione.

Yuri Attinà alle Sughere, era al settimo padiglione, in cella con due compagni. Pare che alcuni giorni prima avesse rassicurato l’agente dicendo che non avrebbe fatto uso del gas e forse per questo l’ispettore gli avrebbe dato fiducia. Ma il pomeriggio del 5 gennaio ha inalato il gas e non si è più svegliato.

Nel procedimento si erano costituite parte ci vile la sorella e la nipote del ventottenne. «La responsabilità di questa storia è di Yuri – diceva la nipote all’indomani della tragedia – che l’ha pagata anche cara. Ma se c’è qualcuno che ha sbagliato è giusto che paghi».

A distanza di due anni dalla tragedia e dopo diversi rinvii il giudice ha deciso che non ci sono altri colpevoli.

Fonte 9/2/13


Carceri: detenuto tenta suicidio a Taranto, e’ in condizioni disperate

impiccatoTaranto, 9 feb. – (Adnkronos) – E’ in condizioni gravissime il detenuto straniero, di 29 anni, proveniente dai paesi dell’Est, che questa mattina ha tentato il suicidio nel bagno di una cella del carcere di Taranto. Lo riferisce all’Adnkronos Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) che si trova sul posto. L’uomo, giudicabile per reati contro il patrimonio, e’ stato trasportato poco fa all’ospedale civile ‘Santissima Annunziata’. Secondo le prime informazioni potrebbe aver utilizzato una corda rudimentale ricavata da un lenzuolo, legandola alla finestra del bagno e annodandosela al collo. Per mettere in atto l’insano gesto ha atteso che tutti i compagni di cella uscissero per recarsi al passeggio. Inoltre ha bloccato la porta di ingresso al bagno interno alla cella per impedire che qualcuno intervenisse per salvarlo.

”Nonostante cio’ – sottolinea Pilagatti – l’agente di servizio nella sezione, durante il giro di controllo, si e’ insospettito per il silenzio del detenuto e quindi e’ entrato nella stanza dando contemporaneamente l’allarme ai colleghi”. Quindi con una spallata ha aperto la porta del bagno prestando soccorso al detenuto al quale, unitamente ai sanitari, ha fornito le prime cure. Subito dopo il detenuto e’ stato portato dal 118 in ambulanza in ospedale. Le sue condizioni sarebbero disperate. ”Il Sappe – evidenzia Pialagatti – deve prendere atto della grave situazione in cui versa il carcere d Taranto dovuta al sovraffollamento di detenuti a cui si contrappone una grave carenza di personale. Mentre la situazione precipita, il vice capo della Direzione dell’amministrazione penitenziaria (Dap ndr) continua a giocare con la vigilanza dinamica che nei fatti ha l’effetto di sguarnire le sezioni detentive. Negli ultimi tempi – conclude Pilagatti – decine, se non centinaia, sono stati gli interventi dei poliziotti penitenziari che hanno evitato suicidi. Con la vigilanza dinamica sarebbero tutti morti”.

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Messico, Circa 400 prigionieri in rivolta a Los Cabos

CITTA ‘DEL MESSICO, 8 febbraio (IRIN) –

   sbobba Circa 400 prigionieri del Centro de Reinserción Social de Los Cabos, che si trova nello stato di Baja California Sur, in Messico nord-occidentale, si sono ribellati per denunciare carenze alimentari e hanno minacciato di bruciare il carcere.

   La rivolta iniziata alle 14, quando un centinaio di prigionieri si è concentrata nella cucina del carcere per chiedere miglioramenti nella loro dieta. Col passare del tempo si sono aggiunti più prigionieri, quindi da parte delle guardie si è alzato il livello di guardia.

   360 soldati – tra polizia e militari – sono stati mandati all’interno della prigione de Los Cabos per sedare la protesta. Come riportato dal portavoce della città, Miguel Arroyo,la rivolta è sotto controllo per il 70 per cento.

   Arroyo ha confermato al quotidiano ‘El Universal’ che i rivoltosi hanno messo in atto le loro minacce e hanno bruciato alcune zone della cucina e del laboratorio, ma ha anche assicurato che l’incendio è sotto controllo.

   Egli ha escluso l’esistenza di vittime. “Al momento, non ci sono segnalazioni di detenuti feriti o deceduti, ma, in ogni caso, sono stati mobilitati squadre di soccorso e ambulanze”, ha spiegato.

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Traduzione CordaTesa


Solidarietà – Nasce Cassa Antirepressione Sud

riceviamo e diffondiamo:

fuoco alle galereNasce Cassa Antirepressione Sud!

La cassa antirepressione sud nasce dall’esigenza di alcune individualità anarchiche siciliane, di raccogliere fondi a sostegno dei prigionieri, per esprimere solidarietà agli stessi e inviare, a chi finisce in galera, contatto e appoggio da parte di gruppi o persone sensibili alla questione carcere.

DELLE GALERE SOLO MACERIE!

per info: cassaantirepressionesud@gmail.com – http://cassaantirepressionesud.blogspot.it/

Per donazioni:
ricarica postepay : 4023 6006 4052 5574 (intestata a Kevin Giacalone)
ricarica conto paypal: cassaantirepressionesud@gmail.com


Donna somala in prigione per aver denunciato il suo stupro

silenzioLei aveva avuto un grande coraggio a raccontare la violenza subita in un campo profughi di Mogadiscio al giornalista freelance, Abdiaziz Abdnur Ibrahim. Un’accusa pesante nei confronti delle forze di sicurezza che, secondo voci insistenti, si approfittano delle rifugiateMa quel momento di verità le costerà caro. Ieri è stata condannata da un tribunale di Mogadiscio a un anno di carcere per “oltraggio alle istituzioni” e un’identica pena è stata inflitta al free lance che l’aveva intervistata senza però aver mai pubblicato il pezzo (nella foto la lettura del verdetto).  L’uomo, già detenuto, comincerà subito a scontare la punizione. A salvarlo non sono bastate le rassicurazioni di Al Jazeera, che aveva mandato in onda un’inchiesta sugli abusi ma che ha sempre negato il coinvolgimento di Ibrahim nel servizio. Per la donna, invece, si apriranno le porte del carcere quando avrà finito di allattare il suo bambino.

Il caso è talmente eclatante che ha destato l’indignazione del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: “Le Nazioni Unite hanno ripetutamente espresso allarme davanti alle notizie di violenze diffuse nei campi per profughi intorno e a Mogadiscio – ha detto  -. Questi delitti non vengono denunciati abbastanza spesso a causa dei rischi per le vittime, i testimoni e i familiari”. Ban ha voluto lodare “lo straordinario coraggio” della donna “per uscire allo scoperto”.

Il processo è sembrato fabbricato sin dall’inizio.  Il 18 gennaio il governo aveva sostenuto in un comunicato ufficiale che la denuncia della donna era falsa e che la vicenda era una montatura.

Lo scorso novembre, il presidente Hassan Sheikh Mohamud aveva dichiarato che gli appartenenti alle forze di sicurezza responsabili di stupro avrebbero dovuto essere puniti, prospettando addirittura la pena di morte. Aspettiamo ancora che in carcere ci vadano gli aggressori e non le vittime.

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Tenta il suicidio in carcere, salvato

corda tesaLucca – Passano i giorni, proseguono le grida di allarma ma anziché migliorare la situazione del carcere San Giorgio continua a peggiorare. La casa circondariale torna, così, al centro della cronaca proprio all’indomani della richiesta avanzata dal Sappe all’Amministrazione Penitenziaria di adottare ogni necessaria iniziativa per riportare all’interno del carcere condizioni minime di vivibilità per i detenuti ed idonee garanzie di sicurezza per i poliziotti che ci lavorano.

Nella giornata di giovedì, la polizia penitenziaria ha, infatti, con il suo tempestivo intervento, salvato la vita ad un detenuto italiano, condannato per rapina, con fine pena 2016, che ha tentato il suicidio in cella impiccandosi alle sbarre della finestra con il lenzuolo. L’uomo è stato accompagnato al reparto infermeria del carcere ma, sottolinea il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, se questo decesso è stato sventato è ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che, in tutte le carceri italiane, nel 2011 e 2012 ha sventato oltre 2.000 tentativi di suicidio di detenuti e impedito che più di 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Gesti che, ha affermato Donato Capece, segretario generale del SAPPE, devono essere messi in evidenza. A tal proposito il sindacato chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita a questo detenuto italiano.

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Venezuela, Uribana non un carcere ma un arsenale

bacioCARACAS – Che in una carcere vi possano essere ‘armi bianche’ di produzione artigianale, non sorprende. Stupisce, però, se vi si trova un arma da fuoco. Lo stupore, poi, si trasforma in indignazione quando la prigione si trasforma in un deposito di armi.

La ministro Varela ha reso noto i risultati delle indagini che hanno fatto seguito alla rivolta nella carcere di Uribana. La ‘Guardia Nacional’, infatti, una volta trasferiti i detenuti, ha scoperto un vero e proprio arsenale: fucili Ak-103 con mira telescopica e laser, mitra, pistole, fucili, bombe a mano,  lacrimogeni, e “chopos” (fucile di fabbricazione artigianale).

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New York, mamma bacia il figlio per passargli la droga in carcere

La polizia in un distretto di New York arresta una donna che ha passato la droga al figlio in un modo del tutto singolare: baciandolo durante le visite in carcere.

bacioCome riportato da Fox News, gli uomini dello sceriffo della contea di Yates raccontano ai media locali che una donna di 54 anni, residente a  Penn Yan, Kimberly Margeson (questo il nome della madre) era in visita in carcere da suo figlio la scorsa settimana quando ha nascosto pillole di Ossicodone e le passò dalla sua bocca alla sua, dandogli un bacio alla francese.

La polizia non ha voluto dire come i farmaci sono stati scoperti

Margeson si è dichiarata non colpevole  ma è stata accusata di contrabbando di droga in una prigione. Ora la donna è libera dopo aver pagato una salata cauzione. Le autorità dicono il figlio della signora Margeson è stato anche visto promuovere contrabbando carcere.

Il ragazzo 30 enne rimane in carcere, attualmente nessun avvocato può essere contattato per lui. Una notizia surreale ma assolutamente veritiera sconvolge ancora una volta la Grande Mela che di notizie così sembra averne abbastanza ormai.

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Nasce l’osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione

CarceratiL’Italia maglia nera in Europa per la percentuale di detenuti in attesa di giudizio. Oltre il 40 per cento delle persone rinchiuse nelle carceri italiane aspetta una sentenza definitiva, mentre la media europea non supera il 25 per cento. E’ questo uno dei dati che emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, rete che riunisce gli enti e le associazioni di monitoraggio sulle carceri di 8 paesi europei. “Facendo il confronto tra la situazione delle carceri in Italia e quelle del resto d’Europa” spiega Alessio Scandurra, Coordinatore dell’Osservatorio  e membro di Antigone, “emerge il quadro di un paese con un alto tasso di sovraffollamento, con molti stranieri, moltissimi condannati per reati legati alla droga e uno scarso ricorso alle misure alternative, che in molti paesi d’Europa sono ordinarie e da noi eccezionali”.
Presentato giovedì 7 febbraio presso il penitenziario del Regina Coeli di Roma, l’Osservatorio europeo punta a monitorare le condizioni di detenzione di tutti i detenuti presenti nelle carceri dell’Unione europea, per un totale di circa 600.000 persone.

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Ecco come si evade dalle carceri italiane

Fughe rocambolesche e buchi nei muri: evasioni raddoppiate negli ultimi anni

evasi-detenuti-scavato-tunnelNegli ultimi tre anni le fughe dagli istituti penitenziari sono più che raddoppiate. Solamente del 2009 i detenuti evasi erano stati nove. Nel 2012 sono stati ventidue. Per lo più uomini ma anche tre minori. In gran parte la fuga avviene dalle strutture penitenziarie (14), ma anche dagli ospedali (4), dal regime di semilibertà (1), dal lavoro esterno (1).  Per capirne qualcosa di più abbiamo intervistato Eugenio Sarno, Segretario Generale della UILPA Penitenziari, uno dei principali sindacati degli agenti carcerari.

Quali sono  i metodi più frequenti utilizzati per la fuga?
Dalle statistiche il metodo classico di fuga rimane quello con buco o sbarre segate, discesa dal muro di cinta e poi fuga a gambe levate. È però in forte aumento il dato delle evasioni dalle strutture ospedaliere. Nel 2012 sono state il 20% del totale. Nello scorso anno sono state effettuate circa 65 mila traduzioni di detenuti verso reparti ospedalieri, solo 5.800 però si sono trasformate in ricoveri effettivi.

Nei casi di evasione quanto può essere determinate una complicità esterna al carcere?
In genere un’evasione è un evento organizzato e quindi c’è per forza una complicità esterna. Un progetto di evasione parte quasi sempre da un’osservazione da parte dei detenuti dei luoghi in cui sono reclusi. Ad esempio molte volte le evasioni si sono rese possibili per la concomitanza della presenza di cantieri edili che hanno facilitato la fuga. In qualche altro caso, invece, come l’eclatante evasione di Avellino, la fuga  è stata facilitata dalla presenza di bidoni e di pedane accatastate proprio in prossimità del muro di cinta. Direi poi che la fatiscenza delle strutture penitenziarie facilita l’opera di “trivellaggio” della mura come è ben dimostrato dai “buchi” del carcere di Avellino, Vallo della Lucania e quello più recente scoperto in tempo aRebibbia. I carcerati utilizzano i ferri delle sbarre delle brande oppure le posate o i coperchi di pentolame che vengono piegati e utilizzati come piccole vanghe o scalpelli. Il segare le sbarre rimane il metodo più frequente per le fughe. Proprio per quanto riguarda le sbarre è evidente che la maggior parte degli istituti, costruiti circa due secoli fa, non hanno quelle con l’anima in acciaio. Pertanto è relativamente semplice, per loro, tagliare quelle in ferro cosiddetto “dolce”.

Perché si riesce ad evadere così frequentemente rispetto agli anni precedenti?
L’aumento delle evasioni è sicuramente da imputare al sovraffollamento delle carceri. Oggi siamo sotto organico di sette mila unità. Basti pensare che nel 2000 con 42 mila detenuti c’era un organico di 40 mila agenti, oggi con 67mila detenuti, e circa 20 carceri nuove, l’organico della polizia è di circa 36.500 mila unità. Ovviamente, al di là dell’abbassamento degli indici di sicurezza, favorisce questa serie di evasioni  una promiscuità  dei detenuti che impedisce di applicare politiche della sicurezza compatibili con la qualità di vita dei detenuti.

In percentuale, quanti dei detenuti evasi vengono rintracciati e ricondotti in carcere?
Grazie all’attività del nostro Nic, Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, negli ultimi anni è stato possibile riassicurare alla giustizia oltre il 60% degli evasi.

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NUMERI SULLE EVASIONI 2012

Pisa carcere “Don Bosco”: 2
Roma “Regina Coeli”: 2
Milano ICAM: 1 donna
Firenze M. Gozzini:1 in regime di semilibertà
Brescia carcere di Canton Mombello: 1
Bologna Ospedale: 1 minorenne
Palmi carcere: 1
Aosta : Lavoro esterno 1
Carcere  di Mamone Lodè :1
Bologna “Istituto penale per minori” : 2 minorenni
Verona – Ospedale: n 1
Foggia– Ospedale: 1
Catania – Ospedale: 1
Avellino  carcere di Bellizzi:  4

Solamente nelle prima 4 settimane del 2013 le tentate evasioni sono state 4, tutte dalle carceri mentre quelle riuscite sono state 2 una dall’ IPM  di Roma lo scorso  29 gennaio e uno presso la Stazione carabinieri di Parma  il 2 febbraio. In totale i carcerati evasi sono già 4 tutti uomini di cui 2 adulti e 2 minori.

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Carceri: detenuto a Busto Arsizio tenta di impiccarsi, salvato

antenna1Milano, 7 feb. (Adnkronos) – Ha tentato di impiccarsi alle sbarre della cella, usando un cappio ricavato dalla coperta, ed e’ stato salvato dall’intervento degli agenti della Polizia Penitenziaria. E’ successo venerdi’ scorso nel carcere di Busto Arsizio, nel Varesotto, informa Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe. Il detenuto, uno straniero imputato per rapina, era rinchiuso in isolamento.

La sovrintendente con l’aiuto di due assistenti, richiamati dalle urla di un agente in servizio nel reparto isolamento, e’ entrata all’interno della cella e ha trovato il detenuto che si era gia’ lasciato cadere nel vuoto, spingendo la branda con i piedi. Solamente l’intervento del personale di Polizia Penitenziaria ha fatto si’ che il detenuto potesse essere liberato dal cappio e salvato.

“Nonostante il forte sovraffollamento dell’istituto di Busto Arsizio e la carenza di personale – afferma Capece – ancora una volta, grazie alla professionalita’ della Polizia Penitenziaria si riesce ad intervenire su eventi critici sempre piu’ all’ordine del giorno. Sarebbe auspicabile un riconoscimento, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, al personale di Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Busto intervenuto sulla gestione dell’evento critico”.


Perquisite le celle dei detenuti, agente della polizia penitenziaria minacciato di morte

SPARTALARINO. Ancora un affondo del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il Sappe, sulla condizione dei detenuti nel carcere di Larino. Con una nota inviata al direttore Rosa La Ginestra, ma anche al provveditore interregionale Bruna Brunetti e al segretario nazionale Donato Capece, il vice segretario regionale Carmine Maglione ha denunciato una ribellione di massa nel penitenziario frentano.
“Durante una perquisizione generale, pesantissimi insulti e minacce di morte sono state rivolte al comandante di reparto.
In particolare – afferma Maglione – si sono ribellati al comandante di reparto che presenziava ad una perquisizione generale nelle sezioni detentive, quasi tutti i detenuti delle tre sezioni del reparto reclusione.
Obiettivo della perquisizione era verificare l’eventuale possesso di oggetti vietati e sostanze proibiti. Questa la motivazione per cui qualche giorno dopo la protesta si è protratta con il rifiuto in massa di rientrare dai passeggi e con il quasi sfondamento di una delle porte d’ingresso di un passeggio per ripetuti calci sferrati dai detenuti in preda alla rabbia, conclusasi in tarda serata dopo che sia il direttore che gli agenti di polizia penitenziaria, attraverso continui e ripetuti interventi persuasivi, hanno riportato la situazione all’apparente normalità, con il rientro di tutti i detenuti nelle rispettive sezioni e stanze”.
Un episodio accaduto lunedì scorso.
“Solo la professionalità del personale della polizia penitenziaria, coordinata dal direttore e dal comandante di reparto ha evitato ulteriori degenerazioni, contenendo la situazione al limite e senza alcun ferito”.
Il Sappe vuole evidenziare l’inesauribile impegno profuso dagli uomini e dalle donne della polizia penitenziaria in un contesto di notevole ed evidenti difficoltà operative e altissimo se non totale senso di abbandono istituzionale.
Per Maglione, “la polizia penitenziaria esiste, sempre e comunque, in ogni momento, checché se ne dica o si pensi”.

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Giustizia: 1 giorno di galera ogni 5 centesimi, pene sproporzionate per reati contro patrimonio

La sproporzione delle pene per i delitti contro il patrimonio è una delle cause del disumano affollamento delle nostre carceri. È anche una responsabilità dei magistrati, del cattivo uso del principio di discrezionalità del giudizio.

falsoI casi offerti dalla nostra cronaca giudiziaria sono un campionario infinito di una giustizia ingiusta. L’antidoto potrebbe essere l’obbligo di visita nell’inferno delle celle.
L’ennesima condanna della corte europea per la nostre carceri, accompagnata dal solito sdegno sterile, mi induce a tornare sullo spreco di risorse della giustizia, segnalato tempo fa da un arguto cronista del Corriere della sera, nel processo a uno studente, accusato di furto di un ovetto di cioccolato, del valore di 1 euro. Arguzia a parte, il cronista trascurava che, per questo fatto bagattellare (da baca, bacca, inezia), se qualificato come furto mono aggravato (per esposizione dell’uovo alla pubblica fede), lo studente sarebbe stato colpito da pena detentiva, pur con due attenuanti (per danno lieve e incensuratezza) e con la diminuente del rito alternativo, mai inferiore a 20 giorni di reclusione.
Volgarizzando la triade profitto (del reo) – danno (del proprietario) – sanzione (della giustizia), in un caso simile, il reo paga, per ogni 5 centesimi del valore commerciale del bene sottratto, il prezzo di un giorno di libertà.
Lasciando calcoli astratti e venendo alla corrente cronaca giudiziaria, un furto di capi di abbigliamento – che, pagati alla cassa, sarebbero costati 250 euro – è stato fatto pagare, in termini di libertà, al prezzo di 1 anno e 6 mesi. In senso realisticamente figurativo, la sentenza diventa così titolo di ingresso in carcere, per estinguere, con 547 giorni (del valore di 0,46 euro ciascuno) il debito verso il proprietario e verso la società.
La casistica della giurisprudenza ci mostra lo stato esattore di 6 mesi di libertà per un debito di 30 euro (sottratti da un registratore di cassa) o di 7 mesi di libertà per un debito pari al valore del gasolio sottratto da un camion per la nettezza urbana.
Questa impostazione del problema in termini di debito/credito – che fa riaffiorare il carcere per debiti (ricordate Pickwick?) – introduce il tema delle cause del fenomeno del tutto esaurito, posti in piedi nelle nostre carceri e ne mette in luce le sue radici nel mondo giudiziario e nei criteri sul quantum nelle sentenze di condanna.
Secondo Bettiol, lo stato moderno, nel farsi guidare dal principio della retribuzione (a un male segua un male) deve attenersi al criterio della proporzionalità. L’idea della proporzione segna il passaggio dalla vendetta, che è emozione non controllata dalla ragione, alla pena, che è atto di ragione e quindi reazione proporzionata.
La proporzionalità della pena viene concepita non nei termini meccanicistici della legge del taglione e tanto meno nella funzione intimidatoria a fini di prevenzione generale (quest’ultima concezione, attraverso la teoria del castigo esemplare, conduce inevitabilmente a pene che devono essere il più possibile severe e crudeli). L’esperienza insegna che solo una pena equa ed umana, non terroristica, può assolvere il compito della prevenzione (Mantovani).
Nel pronunciare la sentenza di condanna, il giudice dovrebbe non solo applicare criteri e limiti formalmente fissati dalla norma, ma anche evitare una punizione sproporzionata, che, tornata ad essere espressione di emozionale vendetta – sia pure compiuta in nome del popolo italiano – diventi fonte di un giro vizioso di violenza legittima e violenza illegittima, Questa proporzionalità della punizione, pur nel rispetto delle norme, spesso non è rispettata, e ciò avviene con particolare evidenza, come abbiamo visto, nei delitti contro il patrimonio, in cui al reo riesce immediatamente percepibile la sproporzione tra il suo debito, in termini di disvalore giuridico ed economico, e il prezzo che gli è imposto in termini di libertà.
Per recuperare razionalità punitiva, si è tentato di riavvicinare i giudici alla finalità educativa, intesa come recupero sociale, come riacquisizione, per il cittadino condannato, della capacità di vivere nella società nel rispetto della legge penale (Vassalli). La Corte costituzionale, con E. Gallo, ha chiarito il collegamento tra proporzione e rieducazione della pena: la sentenza 2 luglio 1990, n. 313, ha affermato il principio secondo cui la finalità rieducativa della pena (co.3 art.27Cost.) informa tutto il sistema penale e non soltanto la fase esecutiva: questo principio deve condizionare il potere discrezionale del giudice che quantifica la punizione, cioè il prezzo che il reo deve pagare in termini di libertà.
La Corte ha prospettato la seguente connessione: la finalità educativa postula che l’autore del reato avverta un trattamento punitivo non ingiusto e non eccessivo, ma adeguatamente proporzionato al disvalore del fatto commesso; altrimenti si rischia che nel reo prevalga un atteggiamento di ostilità nei confronti dell’ordinamento.
Le critiche rituali dei procuratori generali nelle inaugurazioni, le doglianze delle discrete onlus assistenziali, le denunce giornalistiche, rivolte al potere legislativo ed amministrativo, con l’invito al riformismo carcerario, per costruire carceri più accoglienti e per assumere nuovo personale, trascurano un dato: il titolo, il biglietto di ingresso nelle carceri lo scrivono i giudici.
All’origine della sovrabbondante presenza nelle carceri italiane non vi è solo la ristrettezza dei locali, ma anche una scarsa attenzione per il principio della proporzionalità della pena e per l’insegnamento che viene dalla interpretazione, costituzionalmente guidata, della disciplina della sofferenza carceraria.
Nella prospettiva di umanizzazione la pena, per salvaguardare la sua funzione educativa, si può guardare con interesse a iniziative del tipo di quella realizzata dai gip di un tribunale: un esame dei luoghi in cui vivono gli esseri umani per effetto delle loro decisioni: “fare, tappa per tappa” il percorso dei nuovi detenuti, toccare con mano i problemi e le difficoltà di chi vive e lavora dentro carcere, “vedere le camere di sicurezza dove a volte i nuovi giunti dormono uno sull’altro magari in attesa dell’udienza di convalida, eco.
Può essere utile, sul piano nazionale, prospettare un programma, per i giudici di primo e secondo grado, di visite guidate nei luoghi di detenzione, mirate a renderli direttamente consapevoli degli effetti delle loro decisioni, dei loro calcoli, delle loro commisurazioni, nonché a instaurare un parziale collegamento tra aula, dove si decide, e carcere, dove si soffre. Rimane il problema dello scarso impegno – anche di tutti i giudici – nella quotidiana lotta per l’indipendenza dalla cultura dell’emergenza, dai tribuni dell’allarme sociale e dei bisogni collettivi di sicurezza, amplificati e strumentalizzati a fini elettorali (il fenomeno dei pubblici ministeri in politica, grigi o ululanti, è davvero inquietante).
In attesa di un’autoriforma del giudice, accontentiamoci delle visite dantesche nei luoghi di sofferenza, coinvolgendo quei cittadini la cui aspirazione massima è riempire le carceri per ottenere ordine e sicurezza, salvo poi diventare crociati della libertà, se intravedono aprirsi i cancelli ai debitori per violazioni di beni giuridici meritevoli di garanzia non inferiore a quella dei beni lesi dai ladri di bicicletta.

Fonte: ilmanifesto


Brasile: attentati lanciati dal carcere, paralizzato lo stato di Santa Caterina

Lo stato di , nel sud del , è diventato teatro di attentati contro autobus e commissariati della polizia organizzati da detenuti del gruppo Primeiro Grupo Catarinense (), che rivendicano maggiori diritti nelle carceri. Lo stato ha registrato 54 attacchi dal 30 febbraio, e il governatore Raimundo Colombo ha chiesto l’appoggio del governo federale per far fronte alla crisi.

carcere-brasiliano-brasile-espirito-santoL’ondata di violenza, nella quale sono stati dati alle fiamme veicoli, autobus e basi di polizia in 18 città dello stato, ha finora lasciato un morto, un ferito e 24 arresti. Si tratta della seconda serie di attentati in Santa Catarina da novembre, quando il Pgc aveva realizzato i suoi primi attacchi, almeno 68.

Colombo, riunitosi questa settimana con il ministro della Giustizia José Eduardo Cardozo, ha proposto il trasferimento dei detenuti Pgc in carceri federali di massima sicurezza.

Secondo la stampa locale, la mole di attentati è aumentata dopo che il quotidiano A Noticia, di Joinville (la maggiore città dello stato), diffondesse un video girato il 18 gennaio che mostra alcuni agenti penitenziari che maltrattano dei prigionieri, nudi e accovacciati, con bombe lacrimogene, spray al peperoncino e proiettili di gomma. Tutti gli agenti sono stati licenziati e sono sotto processo per abusi.

Il segretario della Sicurezza Pubblica dello stato, Cesar Grubba, ha ammesso che gli attacchi sono diretti dalle carceri.

Il Pgc segue il modello di attacchi ideato da Primeiro Comando da Capital (), la maggiore organizzazione criminale brasiliana nata nel 1993 da narcotrafficanti attualmente detenuti nel carcere di Taubaté, a 141 chilometri da . Nel 2008 Pcc ha paralizzato la più grande città brasiliana con una serie di attentati. Entrambe i gruppi entrano in azione, coordinando attacchi contro le città, quando si verificano abusi delle autorità nei centri penitenziari.

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Badante in carcere per tre anni da innocente: nessuna certezza sul pagamento dell’indennizzo

timthumbDi Vincenza Foceri – In carcere da innocente per tre lunghi anni, dopo essere stata ritenuta l’assassina dell’anziana alla quale faceva da badante. E’ questa la triste odissea di Vasilisca Adriana Jacob, arrestata dopo la morte della signora per cui lavorava. Nel 2009 è arrivata la condanna a quattordici anni di detenzione dalla Corte d’Assise di Frosinone per il presunto omicidio dell’ottantenne ma poi la stessa donna è stata assolta con formula piena dalla Corte di Appello nel 2011. Ma intanto, sulle sue spalle, sono passati ben 970 giorni dietro le sbarre da innocente.

La donna per cui lavorava, morte nel gennaio del 2008 è deceduta per cause naturali. Lo ha provato una perizia sulla salma in una fase avanzata del processo. Ciò che questo documento medico ha dimostrato con chiarezza è chel’anziana è morta perchè il suo cuore ha smesso di battere e le cause sono da attribuire alla vecchiaia. Le fratture, riscontrate sulla defunta, invece, erano legate alla caduta conseguente al fatidico malore. Adesso il problema è il risarcimento dovuto alla donna. Non vi è certezza sul fatto che la badante possa essere ripagata di quei lunghi giorni in carcere senza colpa. Nonostante la sua vicenda sia finita anche in un’interrogazione parlamentare, presentata dalla deputata radicale Rita Bernardini, negli scorsi mesi il ministero non si è ancora espresso. L’avvocato della romena che ha subito un terribile errore giudiziario è Giacomo Tranfo che, in un articolo apparso su Il Messaggero di Roma, ha dichiarato: “A fronte di un provato errore giudiziario – ha spiegato il legale della signora Jacob – ritengo grave il tentativo del ministero dell’Economia di trovare una giustificazione per non pagare quanto dovuto alla mia assistita”.


La giornata di lotta contro il processo nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino

notav_620Oggi 1° febbraio 2013 il “processone” contro il movimento No Tav ha vissuto un’altra bella giornata di lotta. Lo spostamento della sede del processo nell’aula bunker è stato rifiutato dalle e dagli “imputati” forti di un ampio sostegno.
Davanti al fortino dell’aula bunker, già prima dell’inizio dell’udienza, siamo arrivati tante/i da varie città e dalla Valle, con la determinazione di non accettare alcun isolamento.
L’ingresso in aula è iniziato con tutti i riti del controllo, delle schedature e delle limitazioni. Ad esempio, alla madre di un “imputato”, che doveva riferire all’avvocato dell’assenza del figlio malato, non è stata data la possibilità di entrare; il numero di chi può entrare in aula, esclusi coloro che sono sotto processo, è chiuso, bloccato ad 80! Immediatamente dopo vengono  tirati su gli sbarramenti e schierati decine di sbirri pronti alle cariche.
La corte entra in aula puntuale alle 9,30 decisa ad iniziare immediatamente l’udienza; più voci, sia tra gli “imputati” che tra il “pubblico” presente, le fanno notare che almeno due “imputati” si trovano ancora in dirittura d’arrivo alcuni “imputati” sono ancora bloccati fuori dall’aula perchè appunto la polizia non permette loro di entrare. Niente, per i giudici si deve iniziare subito. Le proteste in aula da parte di chi sotto processo e no, sono continuate, per esempio, nel non rispondere all’appello. Dopo circa mezz’ora, fra attese e urla alla corte che continuava ad insistere nel voler cominciare, una compagna”imputata” inizia a leggere a nome di tutte e tutti gli “imputati/e” presenti la dichiarazione seguente:

“La scelta di spostare il processo in quest’aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese. Trasferendo la sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della ‘pericolosità sociale’ e delle emergenze.

Noi invece, rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzando la Valle, con le conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.
Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in quest’aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.
Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte-i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.
Giù le mani dalla Val Susa! Ora e sempre NO TAV! Ora e sempre resistenza!”

Il presidente urla ai carabinieri di segnalare chi ”interrompe” il suo iter, ordinando di prenderne il nome. La nostra risposta non si fa attendere: a sostegno della singola lettura del comunicato parte la lettura collettiva, corale di tutte e tutti. Stupendo vedere corte, pm e sbirri, paralizzati, imbarazzati e muti. A tutti loro viene urlato che la lettura non è una scelta singola, “non c’è nessuno da segnalare”. Fallisce lo stesso loro tentativo di portarsi via la compagna che ha dato inizio alla lettura. Poi tra cori e slogan si abbandona effettivamente l’aula tra le facce attonite e smarrite dei vari accusatori e della loro truppa. L’uscita non è facile.
Ci bloccano, chiudendo i cancelli, vogliono, identificarci, soprattutto vogliono aver il nome della compagna. Chiudono la cancellata d’uscita e schierano i manganellatori. Il presidio sul piazzale che reclama l’apertura degli sbarramenti viene caricato, cercano di allontanarci, ma non ci riescono. Il gruppo di compagni/e entrato in aula viene anch’esso caricato, perché rifiuta l’identificazione. Volano colpi di manganello, gomitate e calci. Il muso a muso va avanti per circa una mezz’ora, finché – grazie all’unità di tutte/i i presenti – sono costretti a lasciare il passo, ad aprire la cancellata.
Il presidio si ricompatta; si sposta, seppur con un po’ di confusione, sul lato del carcere da dove è possibile vedere, sentire ed essere visti ed uditi da chi rinchiuso nelle celle. Da dentro rispondono ai nostri saluti e alle nostre battiture; alcuni prigionieri vedono il campo dove siamo rincorsi ma continuiamo a battagliare  per avvicinarci. La sferzata di forza è  reciproca; senz’altro di buon auspicio anche per il futuro.
Nei fatti anche oggi il processo alla lotta è stato respinto e ribaltato in momento di liberazione dai riti opprimenti della repressione e allo stesso tempo in un momento di solidarietà a chi resiste in carcere.

Prossima udienza, sempre all’aula bunker, alle 9,30 14 febbraio 2013. Dovrebbe avere inizio formale il processo con la costituzione delle parti civili. Nella stessa mattinata è in preparazione per quel giorno un presidio informativo in città, a Torino.
Alcune/e di noi (“imputati/e) si recheranno comunque in aula.


Sempre più assurdo e scandaloso: ad ucciderla è stata la sua stessa malattia mentale…

1) “Campobello, anziana morta dopo TSO: chiesta archiviazione per due medici”.
2) Considerazioni, sia sullo specifico caso che in generale
follia“Campobello, anziana morta dopo TSO: chiesta archiviazione per due medici”
“L’anziana, affetta da schizofrenia cronica, non morì per colpa dei medici e dell’eccessiva sedazione: a ucciderla fu proprio la sua stessa malattia che la obbligò ad assumere psicofarmaci che aumentano di tre volte il rischio di arresto cardiocircolatorio improvviso. Sono le conclusioni a cui è giunta il pubblico ministero Brunella Sardoni che ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta a carico di due psichiatri, Carmelo Zaccaria, 57 anni, e Carmela Fontana, 59 anni, a carico dei quali viene ipotizzato il reato di omicidio colposo. I familiari, attraverso il proprio legale Stefano Argento, si sono opposti chiedendo nuove indagini. Ieri mattina si è celebrata l’udienza davanti al gip Ottavio Mosti che ha sentito tutte le parti. La donna campobellese, che aveva 69 anni, morì il 4 luglio del 2009. I due medici indagati andarono nella sua abitazione per sottoporla al trattamento sanitario obbligatorio”.
31 gennaio 2013
Considerazioni, sia sullo specifico caso che in generale
non morì per colpa dei medici e dell’eccessiva sedazione: a ucciderla fu proprio la sua stessa malattia che la obbligò ad assumere psicofarmaci“.
Cosa si è costretti a leggere…
Questa donna (così come tantissime altre persone) è morta per arresto cardiocircolatorio dovuto ad eccessiva sedazione con psicofarmaci, però ad ucciderla non sono stati gli psicofarmaci che hanno provocato l’arresto cardiocircolatorio né chi ha prescritto e somministrato gli psicofarmaci, ad ucciderla è stata la malattia mentale…
Già, la sua malattia… È stata la malattia che le diede l’ordine di assumere psicofarmaci, mica sono stati gli psichiatri a prescriverglieli e ad imporglieli… Loro sempre “poveri Cristi innocenti”, e non conta se sanno, fra le tante altre cose, che gli psicofarmaci aumentano di tanto il rischio di arresto cardiocircolatorio. Loro operano “in scienza e coscienza”, e devono “curare”, tanto se poi una persona muore, mica è colpa degli psicofarmaci, di chi li produce e di chi li prescrive, è “colpa” della malattia… Certo, è la malattia che provoca l’arresto cardiocircolatorio…
Si notino gli stravolgimenti. Non viene detto che a ucciderla sono stati gli psicofarmaci che la donna “doveva” assumere poiché “malata”. No. Vien detto che a ucciderla è stata la malattia, la malattia che la obbligava ad assumere gli psicofarmaci.
Pur di deresponsabilizzare l’intoccabile lobby psichiatrica, si arrivano a dire cose che sono insostenibili in qualsiasi altro contesto, cose che fanno acqua da tutte le parti, cose che non reggono per niente.
Poco o niente conta che le conclusioni (suggeritele?) a cui è giunta il pubblico ministero non siano state dette dagli psichiatri, difatti questo è uno dei tanti tipici discorsi psichiatrici, e siamo in tanti a sapere che psichiatri e psichiatre di insensatezze ne dicono tante, che affermano di tutto e che gli vien dato per buono, come fosse la verità assoluta.
La motivazione di questa richiesta di archiviazione è paradigmatica e rivelatrice di ciò che, oltre a tanto altro, è il pensare e l’agire della psichiatria.
Seguiamo il ragionamento. Le persone sono malate di mente. Gli si danno psicofarmaci per le loro patologie. Gli psicofarmaci aumentano di tanto il rischio di arresto cardiocircolatorio. Però, siccome le persone sono malate, gli psicofarmaci gli si devono dare, poiché una vita da malate di mente non è vita degna di essere vissuta, per cui, anche se c’è il rischio di morte, anche se le persone muoiono, la cura va eseguita. Si è di fronte ad una scelta. O lasciare le persone nelle loro (presunte) patologie oppure curarle (curarle…) con gli psicofarmaci, anche a costo di farle andare incontro alla morte e di far abbreviare di tanti anni le loro vite. E la scelta cade sul dare psicofarmaci a piene mani, poiché si sa che le vite da malate/i di mente sono vite non degne di essere vissute
La vita delle persone che hanno fatto uso di psicofarmaci è stata di minor durata rispetto alla media – 10, 15, 20 anni in meno. Gli psichiatri e le psichiatre, tutte le persone che prescrivono psicofarmaci, sannoche chi ne fa uso vive di meno. Però gli vien facile e gli fa comodo dire che la causa di questa minor durata è la patologia mentale.
Ma comunque sia, il risultato è lo stesso, e “non ci fa niente” se tutte queste persone malate di mente vivono di meno, perché tanto le loro sono “vite indegne di essere vissute”.
Natale Adornetto

Lettere: nel carcere di Pordenone, stipati come sardelle

jail-cellUn detenuto a Pordenone, accusa di subire estorsioni. Il direttore: mai visto denunce.
“Sono detenuto nella casa circondariale di Pordenone, voglio che tutti i cittadini sappiano in che condizioni ci troviamo qui”. Inizia così la lettera arrivata in redazione, scritta da Cosimo Damiano Giannella, 48 anni originario di Foggia ma residente a Trieste da anni. È in carcere da oltre un anno per reati che vanno dalla ricettazione, all’aggressione e allo stalking.
Giannella dice di scrivere anche a nome di altri detenuti.

“Abbiamo alla mattina due ore e mezza di aria, al pomeriggio invece solo due. Siamo in cinque in una cella da cinque metri quadrati e non abbiamo neanche lo spazio per girarci”. Socializzare in prigione? Gli agenti non ce lo consentono, afferma Giannella. E poi ancora: “Le celle mancano di servizi igienici idonei, come ad esempio il bidet.

L’acqua calda non è a norma. Non ci sono i rilevatori di fumo, gli idranti e il riscaldamento non funziona quasi mai. Facciamo il turno per fare la doccia nelle quattro presenti. I pacchi con il cibo che ci portano i nostri cari vanno a finire in magazzino e quando poi ce li consegnano il cibo è da buttare, con un danno anche monetario”.
La denuncia del 48enne triestino non si ferma qui e si fa più grave quando scrive che la sezione protetti viene a contatto con altri detenuti non protetti. E poi che il carcere ha una capienza di 50 detenuti “ma ne siamo 96 stipati come sardelle”. E conclude: “Ci troviamo a stare qui dentro e a subire estorsioni”.

Accuse pesanti, soprattutto quest’ultima, che il direttore del carcere pordenonese, Alberto Quagliotto respinge senza mezzi termini: “Se uno afferma di essere vittima di estorsione, deve recarsi dal giudice di sorveglianza e denunciare l’estorsore con nome e cognome. A me nessuno ne ha mai parlato e tanto meno ho visto denunce. L’estorsione è un reato grave e va subito denunciata”.
Per gli altri problemi sollevati da Giannella, Quagliotto dice che “sì, il sovraffollamento c’è come in quasi tutte le carceri italiane, e questo è decisamente grave per le persone che devono vivere in pochi metri quadrati”. A questo proposito l’Italia nei giorni scorsi è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani proprio per la generale situazione di sovraffollamento delle carceri. “Non è vero però – aggiunge il direttore Quagliotto – che manchi l’acqua calda e che il riscaldamento funzioni male e nemmeno che venga impedita qualsiasi forma di socialità tra i detenuti. Nel carcere di Pordenone non si sono mai verificati casi gravi di violenza, solo qualche episodio come può capitare in qualsiasi altro ambiente”.

Il Piccolo, 6 febbraio 2013


Italia: Stato canaglia

Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2013

Voglio dare voce a chi necessita di una voce. A chi non ha potere (Yuen Ying Chan Daily News reporter).

jailOrnella Favero, il direttore di Ristretti Orizzonti, oggi ha portato in redazione la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’8 gennaio 2013 (appena tradotta in italiano) che condanna lo Stato italiano per la violazione dell’articolo 3 della convenzione che stabilisce:
– Divieto della tortura. Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
Ornella nelle riunioni in Redazione mi ricorda spesso:
– Non voglio fare un giornale di denuncia, voglio fare un giornale di informazione. Per cui cerco di capire come sono andate le cose e cerco di usare sempre toni sobri. Io credo che la verità si impone per la forza della sobrietà della notizia, non di quanto urli in più.
Ornella ha ragione, ma se lo dice la Corte europea che l’Italia è uno Stato canaglia, lo voglio dire anch’io, anche se sono stato un fuorilegge.
E lo voglio fare urlando dalle sbarre della mia finestra, affinché qualcuno aldilà del muro di cinta mi senta che nelle carceri italiane, spesso, il detenuto subisce un carico di sofferenza superiore a quella prevista dalla sentenza della sua condanna.
Subisce una sofferenza non solo fisica, ma soprattutto mentale perché il prigioniero italiano oltre a perdere la libertà, molte volte getta via dalle sbarre della sua finestra anche il suo cuore.
Spesso nelle nostre patrie galere il detenuto perde anche i propri pensieri perché ti spogliano della tua identità.
E per sopravvivere non ti rimane altro che esprimere la tua libertà e amore con la rabbia verso tutte le istituzioni colpevoli di averti fatto diventare un fantasma.
Per questo molti di noi a volte si dimenticano del male che hanno commesso e si ricordano solo del male che adesso ricevono.
Allora per questo grido che nelle nostre Patrie galere non esistono diritti all’integrità fisica, alla salute mentale, sessuale, familiare, diritti sociali, morali e culturali.
E se lo dice la Corte europea lo posso affermare anch’io che l’Italia è uno Stato canaglia e mi auguro che il resto d’Europa, in una guerra umanitaria, ci venga presto a bombardare di legalità.

 

Carmelo Musumeci
Redazione di Ristretti Orizzonti


Il rugby arriva anche in carcere Monza ha il team dei detenuti

il-lato-materno-del-rugby4Monza – «Siamo vicini di casa, riusciamo a sentire le nostre reciproche urla: quelle che vengono dal campo di gioco e quelle dalle celle dei detenuti. E allora ci siamo detti: perché no?». Così Paolo Carcassi, presidente del Rugby Monza ha raccontato l’inizio di un’idea che oggi è diventata realtà: portare la palla ovale all’interno della casa circondariale di via Sanquirico. Da ottobre diciotto detenuti della sezione comuni sono entrati a far parte della prima squadra di rugby nata all’interno del carcere di Monza. «Per ora stiamo iniziando a conoscere lo sport e le sue regole, poi progressivamente abitueremo i ragazzi al contatto per portarli a disputare tra un po’ una vera partita », spiega Alessandro Geddo, giocatore del Rugby Monza e allenatore della squadra del carcere insieme a Francesco Motta, anche lui giocatore della società monzese.

Al momento in programma non c’è alcuna partita, i giocatori sono ancora acerbi, ma l’intenzione è quella di affrontare una selezione degli atleti degli Old e della Prima squadra della Grande Brianza. Non solo sport ma prima di tutto rispetto: degli avversari e delle regole. Ed è stato proprio il risvolto educativo e sociale del progetto a convincere la direzione a far nascere una squadra di rugby all’interno del carcere. «La prospettiva più ampia che ci siamo dati va ben oltre l’immediato risultato agonistico – ha spiegato Leonardo Nazzaro, educatore del carcere, responsabile dell’area sportiva -. Abbiamo voluto in questo modo offrire un’opportunità di amicizia a chi esce.

Chi fa parte oggi della squadra di rugby potrà contare, una volta uscito, sul sostegno del Rugby Monza, saprà che su quel campo ci sono degli amici. Ed è questa la vittoria più grande». Un impatto sociale ribadito anche dal consigliere comunale con delega allo sport Silvano Appiani, e dal vice sindaco Cherubina Bertola, presenti insieme al prefetto Giovanna Vilasi alla conferenza di presentazione della nuova squadra che si è svolta mercoledì all’interno del carcere.
Sarah Valtolina

Fonte: ilcittadinomb.it


Tolmezzo – L’incredibile avventura degli elicotteROS

Riceviamo e diffondiamo

helyNaufragata la pista sulla trattativa Stato-Mafia, finalmente i ROS scoprono i veri alleati dei clan: gli anarchici! Scoop imperdibile per la stampa locale: dopo al-Quaeda e le BR, quali saranno i prossimi alleati di questi sovversivi? I satanisti? Gli extraterrestri? I testimoni di Geova?
Una storia incredibile quella pubblicata nei giorni scorsi dai media locali, che riporta di fatto l’attenzione sul maledetto carcere di Tolmezzo, anche se cercando di screditare chi solidarizzava con i prigionieri in lotta e non riportando i reali problemi del sistema carcerario italiano.

Uno strano destino quello del capoluogo carnico e la sua prigione, storie di droga e di “mele marce” non fanno più notizia: dentro le sue mura vi sono stati rinchiusi diversi ragazzi che vendevano o detenevano stupefacenti, arrestati proprio dal comandante dei carabinieri Demetrio Condello che poi è stato scoperto essere chi gestiva tutto il traffico della zona!

Questi fatti,e i ripetuti presidi di solidali con i detenuti, ci fanno pensare che qualcuno ha cercato di rifarsi la faccia costruendo ad arte una maxi operazione, con tanto di sventata evasione in elicottero del cosiddetto “Boss” che, guarda caso, è proprio quello che per primo aveva denunciato i pestaggi e le minacce che venivano perpetuate regolarmente all’interno del carcere di Tolmezzo contro i prigionieri!  Anarchici e No Tav in tutto questo, “sono stati usati” secondo i giornali, colpevoli (diciamo noi) di aver portato fuori dalle mura le proteste dei detenuti con presidi e volantinaggi. Il nesso tra gli elicotteri e gli anarchici non è chiaro, ma tutto fa brodo!

Invece, si pubblicano poche informazioni sul carcere quando bisogna portare il punto di vista di chi vi è rinchiuso: la prigione è una delle regioni nascoste del nostro sistema sociale, uno dei buchi neri della nostra vita. La prigione è lo specchio deformato ma rivelatore della società, moltiplica tutti i vincoli ideologici dell’ambiente esterno: rispetto assoluto per la gerarchia, coercizione e obbedienza coatta, sfruttamento e alienazione del lavoro, ricatto sulla ricompensa, ricatto sulla punizione, molteplice repressione della sessualità.

Non appena si cerca di rompere il muro dell’omertà e della rimozione denunciando pubblicamente le angherie, le ingiustizie, le violenze perpetrate ai danni dei prigionieri e le perversioni intrinseche al sistema carcerario, scattano meccanismi di mistificazione della realtà, di criminalizzazione e di repressione. Se la realtà trapela, il potere politico, giudiziario e poliziesco deve negarla e contorcerla per i suoi fini. Se i prigionieri alzano la testa e fanno sentire la loro voce, se i solidali fuori dalle mura fanno loro da cassa di risonanza, il potere fa di tutto per rendere la vita impossibile ai primi e per denigrare e/o intimidire i secondi.

Questo emerge dalla vicenda che riguarda il carcere di Tolmezzo e che colpisce drammaticamente nella loro esistenza Maurizio Alfieri e gli altri prigionieri a cui va la nostra solidarietà.
Sbirri magistrati e giornalisti, sono capaci di architettare una montatura tanto ridicola quanto megalomane pur di cercare di riportare tutto nei ranghi, pur di cercare di mettere tutto a tacere, pur di cercare di preservare il loro potere di vita e di morte sui detenuti e sulla società.
Noi vogliamo sapere, e ci proponiamo di divulgare nelle piazze dei paesi e delle città che cos’è la prigione: chi ci va; come e perché ci si entra; quale è la vita dei/delle prigionieri/e; come sono gli edifici, il cibo, l’igiene, il lavoro; come funziona il regolamento interno, come funziona il controllo medico, perché un uomo  settantenne, diabetico, con una gamba amputata, debba rimanere in galera e morirci, come è successo a Udine qualche giorno fa.
Noi intendiamo spezzare il doppio isolamento in cui si trovano rinchiusi i/le detenuti/e; vogliamo che possano comunicare tra loro, parlarsi da prigione a prigione, da cella a cella.

Noi non torniamo indietro. Non saranno certo queste campagne mediatiche a farci desistere dal lottare contro il carcere e il suo mondo. Qui come altrove le iniziative anticarcerarie si moltiplicano e sempre più prigionieri trovano il coraggio di denunciare ciò che succede all’interno delle prigioni. L’8 e il 9 Febbraio saremo di nuovo in piazza a Udine per rompere il silenzio, forti della consapevolezza che a chi sta a cuore la libertà, non si fa certo scoraggiare dalle infamie di poliziotti e pennivendoli vari. Per noi i BOSS sono quelli seduti in parlamento, nei consigli di amministrazione delle banche come l’MPS, delle industrie assassine come l’ ILVA o delle lobby del cemento come la CMC. Tutta gente che, guarda caso in prigione non ci andrà mai… Non saranno certo giudici e magistrati (specie quelli che entrano in politica) a cambiare questo stato di cose, sta a noi con le nostre voci e i nostri corpi far sì che in questo muro di silenzio e paura si crei finalmente una breccia per farla finita con le carceri e i loro orrori

Coordinamento contro il carcere e la repressione


Carceri, in 10 anni spesi 5 milioni di euro per testare 14 braccialetti

810Pisa, 5 febbraio 2013 – Una spesa di 81 milioni per “testare” 14 braccialetti. E’ un classico esempio di sprechi all’italiana, quello che ricorda “Fare per Fermare il Declino” a monito di una gestione insostenibile degli apparati statali. Il caso della sperimentazione a peso d’oro – dal 2001 al 2011 sono stati introdotti solo 14 braccialetti, costati ai contribuenti 5,7 milioni l’uno – porta il movimento di Oscar Giannino a una considerazione, specie dopo l’appello dell’ex direttore del carcere di Pisa a una maggiore attenzione ai temi della detenzione e del sovraffollamento delle prigioni.

Le proposte di “Fare” al riguardo sono nel documento programmatico: “Secondo noi – spiega Carlo Raffaelli, candidato alla Camera – bisogna limitare in ogni modo la carcerazione preventiva, affinchè non sia più un’anticipazione di pena nei confronti di presunti innocenti. Ciò si ottiene riducendo al massimo il tempo dei processi, che a sua volta è frutto di una razionalizzazione del lavoro dei magistrati, da organizzare secondo criteri manageriali moderni e di produttività. La riforma della giustizia deve essere mirata ad assicurare la certezza della pena, modificando la disciplina della prescrizione e della concessione di benefici ai carcerati. Occorre modificare il sistema carcerario incentivando misure cautelari meno afflittive, incluso il braccialetto elettronico per la cui cattiva gestione dobbiamo ringraziare i governi precedenti, e percorsi di recupero sociale per soggetti non pericolosi. Infine, se nonostante ciò perdurasse un sovraffollamento carcerario, l’eventuale costruzione di nuovi penitenziari dovrebbe essere effettuata attraverso project financing, valutando l’affidamento a privati dei servizi di gestione degli istituti di pena (escludendo ovviamente i servizi di sorveglianza)”.

Fonte


Riad,decapitato dopo 30 anni in carcere

deca(ANSA) – RIAD, 5 FEB – Un saudita, considerato il piu’ vecchio detenuto del Regno, e’ stato decapitato dopo 30 anni in carcere nella speranza di ottenere il perdono della famiglia della vittima. Abdallah Al-Chammari era stato condannato nel 1983 per aver ucciso a bastonate un uomo. Dopo un processo di 5 anni, il tribunale ha concluso che si trattava di omicidio involontario ed e’ stato scarcerato. La gioia e’ stata breve: dopo un nuovo processo, su richiesta della famiglia della vittima e’ stato condannato a morte.