Ott
23
2017
Lunedì 6 novembre si svolgerà a Trieste un’udienza a porte aperte al compagno Maurizio Alfieri. È importante la presenza dei compagni e delle compagne in aula per sostenere Maurizio dopo tutti questi anni di lotta e di denuncia contro il carcere in ogni situazione in cui si è trovato. In questi mesi di ulteriore isolamento subito nel carcere di Poggioreale e di continua denuncia da parte sua delle angherie che i detenuti di quel carcere sistematicamente subiscono, rinnoviamo la solidarietà nei suoi confronti. Il presidio si svolgerà davanti al carcere dove si trova Kabu, compagno rinchiuso da febbraio di quest’anno.
Invitiamo quindi tutti e tutte alla presenza in aula per Maurizio e davanti al carcere per Kabu e tutti e tutte le detenute rinchiuse dentro quelle mura.
Ci si trova in via del Coroneo dalle ore 9.30 davanti al carcere. Carcere e tribunale distano neanche 100 metri, sono due strutture attaccate.
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Feb
19
2013
Con un’ordinanza senza precedenti, il Tribunale di Sorveglianza di Padova ha deciso di sollevare innanzi alla Corte Costituzionale una questione di incostituzionalità sulla sistematica violazione dei diritti umani perpetrata all’interno delle carceri italiane.
L’obiettivo dell’ordinanza redatta dal giudice Marcello Bortolato – secondo quanto riporta il Corriere della Sera – è quello di chiedere alla Consulta una sentenza “additiva”, cioè che conferisca ai giudici la facoltà di sospendere e rinviare l’esecuzione in carcere della pena di un detenuto non soltanto in presenza di grave infermità fisica (come previsto dall’art. 147 del codice penale), ma anche nel caso in cui la detenzione verrebbe scontata in condizioni intollerabili di sovraffollamento e dunque si risolverebbe in “trattamenti disumani e degradanti”.
L’iniziativa del Tribunale segue alla richiesta di sospensione della pena avanzata da un detenuto costretto a vivere per 9 giorni in una cella con 2,43 mq a disposizione e per 122 giorni con 2,58 mq di spazio nella casa circondariale di Padova.
Meno, quindi, della soglia minima di 3 mq prevista dalle due sentenze del 2009 e del 2013 con le quali la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia e il suo “strutturale sovraffollamento carcerario”. Secondo il tribunale il fatto che la pena non possa consistere in un trattamento contrario al senso di umanità significa che “la pena inumana non è legale, cioè è “non pena”, e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato”.
Per questi motivi al giudice dovrebbe essere riconosciuta la facoltà di rinviare la pena dopo aver operato, volta per volta nella vicenda singola, un “congruo bilanciamento degli interessi da un lato di non disumanità della pena, e dall’altro di difesa sociale”.
L’idea delle carceri “a numero chiuso”, come ribattezzata da alcuni organi di stampa, rappresenterebbe per il tribunale “l’unico strumento per ricondurre nell’alveo della legalità costituzionale l’esecuzione della pena”, a conferma del perenne stato di illegalità antidemocratica in cui versa lo Stato italiano.
La decisione di sollevare la questione di incostituzionalità, oltre a rappresentare una svolta nella gravissima emergenza carceraria e giudiziaria in cui si trova immerso il nostro paese, cerca di colmare il grande vuoto lasciato dalla politica, che imperterrita continua ad ignorare uno scandalo ormai di dimensione internazionale.
Fonte
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Feb
8
2013
Lei aveva avuto un grande coraggio a raccontare la violenza subita in un campo profughi di Mogadiscio al giornalista freelance, Abdiaziz Abdnur Ibrahim. Un’accusa pesante nei confronti delle forze di sicurezza che, secondo voci insistenti, si approfittano delle rifugiate. Ma quel momento di verità le costerà caro. Ieri è stata condannata da un tribunale di Mogadiscio a un anno di carcere per “oltraggio alle istituzioni” e un’identica pena è stata inflitta al free lance che l’aveva intervistata senza però aver mai pubblicato il pezzo (nella foto la lettura del verdetto). L’uomo, già detenuto, comincerà subito a scontare la punizione. A salvarlo non sono bastate le rassicurazioni di Al Jazeera, che aveva mandato in onda un’inchiesta sugli abusi ma che ha sempre negato il coinvolgimento di Ibrahim nel servizio. Per la donna, invece, si apriranno le porte del carcere quando avrà finito di allattare il suo bambino.
Il caso è talmente eclatante che ha destato l’indignazione del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: “Le Nazioni Unite hanno ripetutamente espresso allarme davanti alle notizie di violenze diffuse nei campi per profughi intorno e a Mogadiscio – ha detto -. Questi delitti non vengono denunciati abbastanza spesso a causa dei rischi per le vittime, i testimoni e i familiari”. Ban ha voluto lodare “lo straordinario coraggio” della donna “per uscire allo scoperto”.
Il processo è sembrato fabbricato sin dall’inizio. Il 18 gennaio il governo aveva sostenuto in un comunicato ufficiale che la denuncia della donna era falsa e che la vicenda era una montatura.
Lo scorso novembre, il presidente Hassan Sheikh Mohamud aveva dichiarato che gli appartenenti alle forze di sicurezza responsabili di stupro avrebbero dovuto essere puniti, prospettando addirittura la pena di morte. Aspettiamo ancora che in carcere ci vadano gli aggressori e non le vittime.
Fonte
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Gen
20
2013
Martedì alle ore 8:30 presidio al Tribunale di Monza in Piazza Garibaldi
per l'udienza preliminare di Paolo e Peppino, i due compagni monzesi
colpiti dalla repressione.
SIAMO TUTTI CON PE’
Da mercoledì 16 gennaio 2013, Peppino, membro del collettivo del centro
sociale Boccaccio, è stato colpito da un provvedimento repressivo che
lo obbliga agli arresti domiciliari, con divieto di comunicazione con
l’esterno.
E’ accusato di “concorso anomalo in rapina”, insieme ad altri tre
compagni NOTAV (tra cui anche Paolo, altro compagno monzese), per
un episodio verificatosi il 14 luglio 2011 a Cuneo, nell’ambito di
un corteo spontaneo che concludeva una giornata di solidarietà e
sostegno a Maurizio (altro compagno allora detenuto nel carcere di
Cuneo per i fatti successivi allo sgombero della Maddalena in
Valsusa del 3 luglio 2011).
Prima di entrare nel merito di questa assurda vicenda processuale,
crediamo doveroso ricordare chi è Peppino e qual è il contributo
che quotidianamente offre nello sviluppo delle attività del Boccaccio,
in particolar modo in quelle rivolte all’esterno.
Peppino è uno dei fondatori del Comitato Monzese per il Diritto alla
Casa ed è in prima linea nel supporto a coloro che rischiano di
essere sfrattati dalle proprie abitazioni. Tutti i martedì pomeriggio
cura un servizio rivolto agli inquilini, uno sportello di consulenza
legale di base, che nel corso di questi mesi, in cui l’emergenza a
bitativa ha coinvolto numerosi singoli e nuclei famigliari, ha
registrato numerosi accessi. Insieme ad altri membri del Comitato
ha appena concluso la scrittura di un progetto relativo alla pratica
dell’autorecupero che sarà presentato nella prima settimana di
febbraio all’Amministrazione comunale.
Peppino è tra i promotori dei corsi organizzati nell’ambito delle
attività della palestra popolare del Boccaccio. In particolare è
tra i responsabili del corso di boxe attivato a partire da settembre:
trattasi di corsi gratuiti aperti a tutti coloro che vogliano
condividere attraverso la pratica sportiva momenti di socialità
svincolati da interessi economici e competizione.
Peppino, che ha conosciuto sulla propria pelle la disumanità del
sistema carcerario, partecipa attivamente ai progetti di Cordatesa,
gruppo che si occupa di sviluppare una riflessione critica
sull’apparato repressivo, volto al superamento della società
carceraria, proponendosi come interlocutore con i famigliari dei
detenuti del carcere di Monza. E’ in questo ambito che opera anche
Paolo, l’altro compagno monzese denunciato e colpito da un
provvedimento di obbligo di dimora nei confini comunali.
Peppino è coinvolto nell’attività quotidiana di skipping, ossia di
quella pratica che, in accordo con alcuni commercianti monzesi, prevede
il recupero da parte del Boccaccio degli alimenti invenduti (destinati
a essere eliminati) e di una loro immediata ridistribuzione nell’ambito
di cene di autofinanziamento per progetti sociali o direttamente a
persone in estrema difficoltà economica.
Oltre a queste attività specifiche, Peppino è indubbiamente attivo in
tanti altri fronti di lotta: in particolar modo è coinvolto spesso in
presidi, manifestazioni ed eventi legati alla tutela del territorio e
i suoi cori sono diventati un’immancabile colonna sonora nell’ambito
delle manifestazioni NOTAV, No Pedemontana, No TEM.
La sua assenza coatta da tutte queste attività rende ancor più
inaccettabile il provvedimento restrittivo che lo ha colpito.
Peppino era a Cuneo per portare la propria solidarietà a Maurizio e a
denunciare la criminalizzazione del movimento NOTAV messa in atto
dalla magistratura. Al termine della giornata, nel corteo che stava
riportando tutti i compagni dal carcere verso la stazione, è irrotta,
investendo alcuni manifestanti, una vettura. E’ questo l’episodio
rispetto al quale è stato messo in atto da parte degli inquirenti un
ribaltamento dei fatti che ha portato all’assurda accusa di “concorso
anomalo in rapina”. Accusa costruita semplicemente sulla deposizione
della conducente del veicolo che dichiara di essere stata derubata di
una borsa contenente valori per circa 2000 euro (!).
Un capo di imputazione di questo tipo appare assolutamente pretestuoso,
in quanto si sottolinea l’estraneità degli imputati rispetto alla rapina,
ma, come sta accadendo sempre più frequentemente colpisce in maniera
indiscriminata ricorrendo al dispositivo del concorso.
Questa formula permette allo Stato di colpire con misure repressive chi
partecipa alle lotte indipendentemente da qualunque (presunta)
responsabilità individuale, ma soltanto sulla base della loro identità e
del loro agire politico.
Vediamo inoltre in questa operazione l’ennesimo tentativo di colpire,
criminalizzare e mettere a tacere una delle voci di dissenso più radicale
degli ultimi anni come quella NOTAV: opporsi a questa dinamica è
fondamentale per tutelare il diritto al dissenso e le pratiche di
resistenza che quotidianamente riteniamo necessario mettere in atto.
Esprimiamo quindi pieno appoggio e calorosa solidarietà a tutti i compagni
colpiti dal provvedimento in questione, in particolare al nostro compagno
Peppino ristretto agli arresti domiciliari con l’odioso divieto di comunicare
con l’esterno. Chiediamo il suo immediato ritorno in libertà, nonchè la
rimozione dell'obbligo di dimora a Paolo.
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