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Il caso di Chico Forti, condannato per omicidio ma senza prove
In questo articolo voglio far conoscere un caso che, come l’omicidio di Meredith Kercher, ha collegato le giurisdizioni di Paesi differenti, divenendo un fatto di cronaca internazionale. È la storia di un italiano, Enrico Forti, detto “Chico”, da tredici anni rinchiuso in un carcere di massima sicurezza a Miami, condannato all’ergastolo per omicidio.
Il giovane Forti, originario di Trento, campione internazionale di windsurf, si trasferì nel ’92 negli Stati Uniti, dopo aver vinto una importante cifra nel famoso gioco televisivo chiamato “TeleMike”.
Con questa vincita, Forti iniziò la sua nuova vita a Miami, dove intraprese la carriera di filmaker e produttore, attività che gli permisero di accumulare una piccola fortuna. Sposò una giovane modella, Heather Crane, dalla quale ebbe tre figli.
Il ragazzo di Trento sembrò aver realizzato il sogno americano. Ma il suo spirito intraprendente e il suo fiuto per gli affari non lo ripagarono adeguatamente. La fortuna presentò ben presto il conto.
Thomas Knott, tedesco, malfattore, arrestato per droga e varie truffe in Germania, era il vicino di casa di Forti a Williams Island, Miami.
Tramite Knott, Forti conobbe Anthony Pike, un australiano, proprietario di un famoso albergo di Ibiza, in Spagna, il Pikes Hotel.
Tony Pike era in una situazione economicamente difficile, la sua attività era in passivo, il suo albergo, che all’inizio degli anni ’90 era frequentato da gente dello spettacolo, lo portò ad indebitarsi fortemente.
Perciò a Forti venne offerto di acquistare il Pikes. Intanto il figlio di Tony, Dale, di ritorno dalla Malesia, venne invitato a Miami, dove sperava di intraprendere una nuova carriera nel mondo del cinema grazie all’aiuto di Chico.
Il giovane Pike arrivò a Miami il 15 febbraio 1998 e dopo un incontro con Forti, che andò a prelevarlo dall’aeroporto, i due si separarono nel parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dandosi un appuntamento il 18 febbraio, quando si sarebbero incontrati con il padre di Dale.
Il giorno successivo, il 16 febbraio, Dale venne trovano morto e denudato in un boschetto a Sewer Beach, una spiaggia molto conosciuta dai surfisti.
Il 18 febbraio Forti, che si trovava a New York, venne a conoscenza della morte di Dale e rientrò a Miami. Si presentò alla polizia, dove gli confermarono della morte di Dale e gli comunicarono la scomparsa, non vera, di Anthony.
Ed è qui che Forti commise il suo grande errore. Terrorizzato dalla notizia della morte di due delle persone a lui più vicine, affermò di non aver mai incontrato il giovane Pike.
Il 20 febbraio si ripresentò alla polizia, senza l’assistenza di un legale, per consegnare alle autorità i documenti riguardanti i suoi affari con il padre della vittima. Dopo un estenuante interrogatorio durato 14 ore, dichiarò di aver incontrato Dale poche ore prima della sua morte e di averlo accompagnato al ristorante in Virginia Key.
Forti venne arrestato in un primo momento con l’accusa di frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio.
Assolto successivamente da ogni accusa di frode, tornò libero per venti mesi, ma con una cauzione da record: un milione di dollari.
Le indagini sulla morte di Dale continuarono. La macchina di Forti venne minuziosamente controllata, finché 45 giorni dopo l’omicidio i periti trovarono sul gancio di traino dell’auto alcuni granelli di sabbia, che secondo l’accusa provenivano da Sewer Beach, la spiaggia dove venne trovato il corpo senza vita di Pike. Secondo la perizia della difesa quei granelli non ricollegavano direttamente l’auto alla spiaggia, essendo comune alla sabbia di molte altre spiagge della zona.
L’arma del delitto, mai ritrovata, risultò compatibile con una pistola, che fu acquistata da Tom Knott (ve lo ricordate?) con la carta di credito di Forti.
Secondo l’accusa Forti aveva un movente. Temeva che Dale potesse interferire con le trattative per l’acquisto dell’albergo. Forti intendeva comprarlo a basso costo da Tom Pike, ormai vecchio e demente. Così invitò Dale a Miami e “lo condusse verso la morte”.
Il 15 giugno del 2000 i dodici giurati della contea di Miami Dade emisero il verdetto: COLPEVOLE!
“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”!
Una sensazione, quindi. Una sensazione che ha prodotto la morte civile di un italiano, per molti assolutamente innocente.
Con gli anni il movimento dei sostenitori di Chico è cresciuto notevolmente, soprattutto grazie alla rete e ai numerosi gruppi che sono sorti sui social network e che hanno svolto un’intensa opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul caso Forti.
Da Jovanotti a Fiorello, fino ad arrivare alla criminologa Roberta Bruzzone, che nel suo ultimo libro, “Chi è l’assassino – Diario di una criminologa”, sostiene la tesi dell’innocenza di Chico e della presenza di un complotto. Le motivazioni dell’accusa cedono davanti al ragionamento della criminologa, che in un dossier diretto all’ex ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi, chiede che venga riaperto il caso e che giustizia sia fatta.
Il finale di questo giallo è ancora tutto da scrivere e forse, con l’intervento delle autorità italiane, si potrà far luce su questa storia e portare alla liberazione di Chico o alla conferma della condanna ma “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
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Una grossa (A) in ghisa è caduta in strada. Vigili a lavoro per verificare che non ci siano altri rischi
PALERMO – È caduta in strada una delle lettere della scritta che campeggia all’ingresso del carcere Ucciardone di Palermo. I vigili del fuoco sono intervenuti per mettere in sicurezza l’insegna.
Sono in corso verifiche per controllare che le altre lettere della scritta non siano state danneggiate dalle abbondanti piogge delle ultime settimane. Ad allertare i pompieri gli agenti di polizia penitenziaria.
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Nella notte tre detenuti di origine romena sono evasi dal carcere dei Miogni, a Varese, “segando le sbarre della cella e guadagnando la fuga con modalità in corso di accertamento”. Ne ha dato notizia Angelo Urso, segretario nazionale Ulilpa penitenziari. Si tratta di Mikea Victor Sorin, nato nel 1983, detenuto per sfruttamento della prostituzione, condannato definitivamente a due anni con fine pena giugno 2013; Marius Georgie Bunoro, nato nel 1989, imputato in attesa di giudizio per furto aggravato, e Parpalia Daniel nato nel 1984, imputato in attesa di giudizio per furto aggravato.
Secondo le ricostruzione della squadra mobile di Varese i tre uomini, che dormivano nella stessa cella, hanno segato le sbarre della finestra e sono riusciti a calarsi dal muro di cinta utilizzando lenzuola legate. Ad accorgersi dell’evasione sono stati gli agenti della polizia penitenziaria, che nel corso della notte non hanno più visto i tre uomini nella loro cella. La polizia ha allestito dei posti di blocco anche sulle strade che conducono al vicino confine con la Svizzera, nell’ipotesi che i tre evasi possano tentare la fuga all’estero.
Fonte
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diffondiamo da informa-azione un nuova lettera di Santo Galeano prigioniero nel carcere di San Vittore:
Ciao carissimi compagni, spero che questo mio scritto vi trovi bene e in ottima salute come potrei dire forse di me.
Vedo le cose cambiate, pare che temono quello che potrebbe succedere, boo!!!
In anzi tutto ringrazio tutti i compagni anarchici per la voce che fate sentire, pure un avvocato di Antigone mi ha scritto vi rendete conto? Hahaha
Cari compagni, vi racconto la mia sofferenza nei carceri che tramite voi sto riuscendo a fare sapere.
Vedo le cose in TV, da Lele Mora a Fabrizio Corona e incomincio a dire che la legge è bastarda, infame e indegna e non è uguale per tutti.
Ma voi questo lo sapete già.
Io nei vari trasferimenti quando lo facevo con l’aereo funziona così:
Si entra prima che i passeggeri entrino, ti fanno sedere all’ultimo posto. In anzi tutto i bagagli, che sarebbero due sacchi di 12 Kg in totale, teli devi portare tu con tutte le manette ai polsi. Renditi conto tutto ciò l’ho vissuto per l’ennesima volta il 25\11\2012 quando mi hanno chiamato partente trasferito per il funerale di mio padre.
Pietà non ne hanno, perché loro parlano solo di trasferte e di straordinari per farvi capire.
Le manette te le tolgono quando l’aereo decolla, se vuoi andare in bagno devi pisciare con la porta aperta ecc…
Non solo, quando ho avuto il permesso da Saluzzo a Roma Sigonella, poi da Sigonella a Piazza Lanza a Catania.
Nel permesso per il funerale di mio padre il 26\11\2012 nel permesso 30 OP per motivi di morte famigliare c’è scritto: In abiti borghesi e senza manette, guardato a vista.
Erano più di dieci agenti penitenziari, Falchi della polizia di Stato di Catania, con una camionetta sono arrivato con sei agenti penitenziari in divisa e quattro agenti penitenziari in borghese, pare che doveva arrivare non so chi!?
Ma lasciamo stare tutto ciò, e poi devo vedere in TV le interviste sull’aereo di Corona senza manette ecc. ecc. Ma dove la legge non dovrebbe condannare prima quelli che fanno fare queste cose?
Io sono stato giudicato da 1, 2, 3 grado di processo, sto pagando la mia pena ingiustamente e loro lo sanno. Ma va bene Dio vede e provvede solo lui può aiutarci. Perché pure la Chiesa oggi ha gli occhi bendati per come si è visto in questi anni.
Per tanto compagni miei io sono e sarò uno di voi perché la verità delle carceri italiani la deve sapere tutto il mondo, costi quello che costi, perché oggi io ho dei fratelli compagni anarchici.
Ora giungo al mio saluto con tutto il cuore e combatterò sempre queste ingiustizie perché grido vendetta e libertà di opinione, e essere un uomo libero.
Vi voglio bene vostro compagno
Santo Galeano
* * * * *
Vi sto facendo scrivere pure da un altro detenuto che è in pericolo di vita giornaliera, fa un giorno si e uno no la dialisi e ha il fine pena nel 2017.
Dove la legge dei benefici prevede:
Sotto i quattro affidamenti, sotto i tre anni sospensione pena o pena sospesa.
Deferimento cella ecc.
Ma dov’è la giustizia ragazzi, ma dobbiamo essere famosi per essere trattati diversamente?
Io che sono seguito dal CAM per tossico dipendenti da cocaina, prevede che posso andare in una comunità di cura. Ho fatto tantissimi colloqui con Cristina Coopes della comunità Gabbiano Colico, Cristina Giovanardi di A.I.S.E., tutte e due mi danno picche, posto non c’è ne per me.
Poi dal 21\12\2012 che mi hanno trasferito al carcere di San Vittore non ho fatto nessun colloquio con gli operatori del SERT.
Ragazzi combatto ma le braccia cadono sole dalla tristezza che ha il mio cuore, perché l’ingiustizia è troppo grande per colmarla.
Ma non per questo mollo, mi sento forte perché oggi ho voi, fratelli miei grazie grazie con il cuore vostro compagno anarchico.
Santo Galeano
Per scrivergli:
Santo Galeano
C.C. S. Vittore
P.zza Filangeri 2
20123 Milano
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CONTRO CARCERE, ISOLAMENTO E DIFFERENZIAZIONE,
Sempre di più all’interno delle carceri, quali strumenti di coercizione per eccellenza, i prigionieri vengono sottoposti a misure punitive, trattamenti differenziati e carcere duro, che la legge di lorsignori prevede tramite articoli quali il 14 bis e il 41 bis dell’op, volti sia a isolare e sottomettere la volontà di chi alza la testa e si ribella a questo marcio sistema sia ad attaccare l’identità politica del detenuto. Contro tutto ciò è possibile resistere e lottare, come molti prigionieri ci dimostrano ogni giorno continuando a fare sentire la loro voce, a difendere la loro identità e i diversi percorsi di lotta a cui appartengono. Dall’esterno dobbiamo sostenere le lotte dei detenuti e amplificare la loro voce, perché la solidarietà è quel filo rosso che rompe l’isolamento e lega chi lotta dentro a chi lotta fuori le galere. Nessuno dei loro stratagemmi piegherà la determinazione di chi alza la testa.
Contro la logica punitiva: no a 14 bis, no al 41 bis!
Solidarietà a tutti i detenuti in lotta!
Madda libera!
Dalle ore 20.30 buffet solidale
a seguire concerto con GANTEMACI – neovelvet blues
Piazzetta Toselli, via Varese 10
Capolinea autobus 9
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Compagni/e per la Costruzione del Soccorso Rosso in Italia
Commenti disabilitati su Serata Benefit Contro carcere, isolamento e differenziazione | tags: 14 bis, 41 bis, anticarceraria, benefit, carcere, contro carcere, Contro carcere isolamento e differenziazione, CordaTesa, detenuti in lotta, serata benefit, solidarietà, venerdì 22 febbraio | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Presidi, cortei, saluti e iniziative, Tutti
Diffondiamo da Polvere da sparo
La notizia circola da un’ora in rete, attraverso il sito Nena News (qui l’articolo).
Una notizia che a me non fa male per niente, perché una riduzione pena, un annullamento di un ergastolo non può crearmi amarezza…
non avrei questo logo a marcare il blog e non lo avrei tatuato nel cuore.
Quando parlo di abolizionismo del carcere,
ma sopratutto quando parlo di abolizionismo dell’ergastolo,
quello che sulle carte del DAP è catalogato con il fine pena datato99/99/9999,
quello che in francia è detto la ghigliottina secca,
non faccio distinzioni, non posso farle.
Non chiedo l’abolizione dell’ergastolo ad intermittenza, lasciando crepare in cella gli assassini dei miei compagni.
Avreste gioito se gli assassini di Vik fossero stati impiccati in pubblica piazza,
con metodologie iraniche? Io sarei stata sommersa dal mio stesso vomito.
E allora non vedo perché dobbiamo commentare con parole come “scandalo” o “buttate le chiavi cazzo” il fatto che questi ergastoli siano stati commutati in 15 anni di pena.
Certo fa pensare, certo brucia l’idea di non saper perché, di non aver chiaro motivazioni e metodologie usate per uccidere un compagno caro, che mandava avanti una battaglia in un modo straordinario, con una forza e un sorriso che ci hanno insegnato tanto.
Il suo slogan era “restiamo umani”…
bhè provateci allora quando parlate di ergastolo, a capire cosa intendeva per “restare umani”.
Non credo che chi sostenga il “FINE PENA MAI” abbia tutto ‘sto diritto di ritenersi essere umano, lo reputo più simile a chi c’ha strangolato Vik,
lontano anni luce dal messaggio che ha urlato fino al secondo della sua morte.
Non esiste più grande aberrazione del carcere a vita.
Nessuno mi farà mai cambiare idea a riguardo.
– A Vik, tornato a casa dalla sua amata Palestina
– Hanno giustiziato Ippocrate
– I gattini di Gaza
– Che nessuno pianga, una dedica a Vittorio
lo so che mi odierete….pazienza.
Commenti disabilitati su Sul “non” ergastolo agli assassini di Vittorio Arrigoni | tags: anticarceraria, assassini, baruda, carcere, comunicato, condanna, CordaTesa, ergastolo, palestina, pena inflitta, polvere da sparo, restiamo umani, riflessione, stay human, vik, vittorio arrigoni | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Tutti
Sequestrati dalla Polizia Penitenziaria del carcere di Vasto (CH) due telefonini con relative schede SIM e caricabatterie e circa 14 grammi di hascisc.
Questo è il “bottino” dell’operazione di controllo e prevenzione sui colloqui tra detenuti e loro familiari, messa in atto dai colleghi della Penitenziaria di Vasto. L’espediente utilizzato per occulatere il materiale e la droga questa volta sono state le suole delle scarpe (in questo caso le Hogan che hanno la suola alta) scambiate durante il colloquio.
Il fatto è avvenuto nei giorni scorsi e sono stati messi in atto tutte le operazioni di polizia giudiziaria.
Commenti disabilitati su Telefonini e droga scoperti dalla Polizia Penitenziaria durante colloqui nel carcere di Vasto | tags: anticarceraria, carcere, colloqui, CordaTesa, droga, telefonini, vasto | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Tutti
Gli Stati Uniti, lo Stato che più publicizza sè stesso come esempio di libertà e democrazia ha consolidato oramai da tempo un primato tutto a stelle e strisce. Qui si imprigionano più persone che in qualsiasi altro Paese del mondo. Le persone residenti negli Stati Uniti rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale: di queste, 2,4 milioni “vivono” nelle carceri degli Stati Uniti, ossia il 25% dei prigionieri di tutto il mondo.
Tra il 1970 e il 2005 la popolazione carceraria è aumentata del 700% ma la crescita più significativa riguarda i profitti dell’industria legata al settore delle prigioni private: tali profitti sono infatti cresciuti del 1600% nel periodo 1990 – 2009.
Prima del 1980 non esistevano prigioni gestite da società private per fini di lucro; nei tre decenni successivi tali società hanno usato i loro enormi profitti per guadagnare peso politico e accelerare la crescita di questo settore di mercato.
Le dichiarazioni rilasciate dalla ‘Corrections Corporation of America’, la più grande compagnia di carceri private al mondo, rivelano gli interessi della compagnia per il mantenimento delle misure economiche draconiane del governo che contribuiscono al crescente tasso di incarcerazione di massa: “La nostra crescita generalmente dipende dalla nostra capacità di ottenere nuovi contratti … Qualsiasi variazione (legislativa) rispetto a droga o immigrazione clandestina, potrebbe far variare il numero di persone arrestate e condannate, riducendo quindi la domanda ai nostri istituti penitenziari per accoglierle. ”
In un articolo di qualche anno fa (1), il New York Times adduceva tra le cause del tasso continuo di carcerzione, pene non commisurate per reati minori, come il compilare assegni a vuoto o legate all’uso di droghe, reati che in altri Paesi, raramente producono pene detentive. Inoltre la carcerazione di chi le sconta è molto più lunga.
Nel 2010, quando il sistema economico era in piena crisi , le due più grandi società private carcerarie, la CCA e il gruppo GEO hanno ottenuto 3 miliardi di dollari di profitti. Questo denaro, come quello per i salvataggi dei banchieri di Wall Street, sono stati presi dai contribuenti per volere dei politici federali e statali e messi nelle tasche di un numero relativamente basso di capitalisti che gestiscono il sistema carcerario privato.
L’incarcerazione di massa viene mantenuta come fonte di enormi profitti, la repressione che si esprime in arresti e condanne da parte dello Stato,ne è una pre-condizione. Lo Stato si dimostra come il vero artefice di una realtà economica che emargina settori interi di popolazione per poi lucrare sulla loro pelle.
Segregazione di Stato
La repressione colpisce più duramente i settori più emarginati della società. I numeri parlano chiaro, è ovunque evidente la sproporzione di persone di colore che riempiono le carceri. Negli Stati con la quantità più numerosa di detenuti, le persone di colore costituiscono oltre l’89 per cento della popolazione carceraria in California, il 71% in Texas e il 65% in Arizona. Quasi la metà sono immigrati privi di documenti detenuti dal governo degli Stati Uniti in buona parte arrestati dalla famigerata ICE, il corpo di polizia di frontiera a guardia dei confini con il Messico.
Un articolo di Micromega di inizio 2012 (2), riportava la definizione che lo scrittore Adam Gopnick, ha dato al sistema carcerario americano: “la dentenzione di massa ha influenza sulla società contemporanea come avveniva per la schiavitù nel 1850″, rifacendosi a studi che dimostrano come il sistema penitenziario americano di oggi sia “la continuazione con altri mezzi (neanche tanto diversi) del regime segregazionista”.
Il carceriere è il capitale
In queste prigioni qualsiasi programma di “riabilitazione” è esplicitamente considerato non-economicamente conveniente, in modo tale che al momento del rilascio gli ex prigionieri sono stati essenzialmente privati di ogni capacità di trovare un posto di lavoro. Questo fattore alimenta l’emarginazione sociale aumentando le probabilità che gli ex detenuti tornino in breve tempo nell’infernale sistema carcerario, a tutto vantaggio delle lobby della detenzione.
La crescita dei profitti dell’infame sistema carcerario rivela tutto lo sfruttamento della parte più debole della classe operaia americana; nonostante gli enormi profitti, le condizioni all’interno delle prigioni private sono spesso peggio di quelle pubbliche, con più alti tassi di violenza contro i prigionieri,suicidi, celle sporche infestate dai topi e che odorano di urina.
Nessuna legge nè riforma cambierà mai questo stato di cose. Perchè le leggi le fa il padronato per servire il capitale. E il capitale è il sommo capo di tutti i carcerieri.
K.B.
(1) NYT 23/04/2008
(2) MicroMega “Gulag America” Giuliano Santoro 31/12/2012
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(ANSA) – LA SPEZIA, 19 FEB – Frode ai danni dello Stato, falso materiale e ideologico nei lavori di ristrutturazione del carcere spezzino: con queste accuse la gdf ha arrestato 4 persone. Sono un imprenditore locale, due funzionari del provveditorato alle opere pubbliche di Genova, e un professionista. Certificavano lavori che non erano stati compiuti. Il loro comportamento ha causato allo Stato un danno di 1 milione e 700 mila euro. Il costo finale dei lavori e’ stato di 21 milioni.
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Con un’ordinanza senza precedenti, il Tribunale di Sorveglianza di Padova ha deciso di sollevare innanzi alla Corte Costituzionale una questione di incostituzionalità sulla sistematica violazione dei diritti umani perpetrata all’interno delle carceri italiane.
L’obiettivo dell’ordinanza redatta dal giudice Marcello Bortolato – secondo quanto riporta il Corriere della Sera – è quello di chiedere alla Consulta una sentenza “additiva”, cioè che conferisca ai giudici la facoltà di sospendere e rinviare l’esecuzione in carcere della pena di un detenuto non soltanto in presenza di grave infermità fisica (come previsto dall’art. 147 del codice penale), ma anche nel caso in cui la detenzione verrebbe scontata in condizioni intollerabili di sovraffollamento e dunque si risolverebbe in “trattamenti disumani e degradanti”.
L’iniziativa del Tribunale segue alla richiesta di sospensione della pena avanzata da un detenuto costretto a vivere per 9 giorni in una cella con 2,43 mq a disposizione e per 122 giorni con 2,58 mq di spazio nella casa circondariale di Padova.
Meno, quindi, della soglia minima di 3 mq prevista dalle due sentenze del 2009 e del 2013 con le quali la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia e il suo “strutturale sovraffollamento carcerario”. Secondo il tribunale il fatto che la pena non possa consistere in un trattamento contrario al senso di umanità significa che “la pena inumana non è legale, cioè è “non pena”, e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato”.
Per questi motivi al giudice dovrebbe essere riconosciuta la facoltà di rinviare la pena dopo aver operato, volta per volta nella vicenda singola, un “congruo bilanciamento degli interessi da un lato di non disumanità della pena, e dall’altro di difesa sociale”.
L’idea delle carceri “a numero chiuso”, come ribattezzata da alcuni organi di stampa, rappresenterebbe per il tribunale “l’unico strumento per ricondurre nell’alveo della legalità costituzionale l’esecuzione della pena”, a conferma del perenne stato di illegalità antidemocratica in cui versa lo Stato italiano.
La decisione di sollevare la questione di incostituzionalità, oltre a rappresentare una svolta nella gravissima emergenza carceraria e giudiziaria in cui si trova immerso il nostro paese, cerca di colmare il grande vuoto lasciato dalla politica, che imperterrita continua ad ignorare uno scandalo ormai di dimensione internazionale.
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In Italia i detenuti si tolgono la vita 9 volte di più rispetto al resto della popolazione. La media italiana è di un suicidio ogni 20mila abitanti. Nelle prigioni come dimostrato da “l’Espresso” c’è un suicidio ogni 924 reclusi. Questo dato dimostra ‘l’ invivibilità’ del nostro sistema penitenziario e delle pessime condizioni in cui i carcerati sono costretti a vivere.
Oggi un detenuto extracomunitario ha tentato di impiccarsi in cella, ma il tempestivo intervento di un assistente capo di Polizia penitenziaria ha evitato il peggio.
Il triste episodio si è verificato nella Casa circondariale di Sciacca,in provincia di Agrigento. Lo ha riferito in una nota la segreteria regionale Osapp congratulandosi con il personale del carcere saccense.
La situazione, però, può essere cambiata: formando gli agenti, lavorando in rete con le Asl, migliorando le condizioni di vita tra le sbarre e combattendo il sovraffollamento. Tutte queste soluzioni possono aiutare a non far esplodere questa bomba a orologeria che è già stata azionata.
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Oltre 700 carcerati sono morti in Georgia tra il 2005 e il 2012 durante la detenzione e la Procura generale ha avviato un’indagine per verificare le “informazioni preliminari su molte uccisioni”. La notizia, scioccante, arriva direttamente dal procuratore generale della Georgia e minaccia di aprire un nuovo fronte di tensione politica, già alta nel Paese caucasico, dopo la sconfitta elettorale del partito del presidente Mikheil Saakashvili e l’arrivo al governo del miliardario Bidzina Ivanishvili. Un cambio di guardia, tra l’altro, avvenuto sulla scia dello scandalo scoppiato con la diffusione lo scorso settembre di un video in cui si vedono funzionari di un carcere maltrattare e violentare dei carcerati.
“Stiamo indagando sulle reali ragioni delle morti, in quanto secondo informazioni preliminari molti (carcerati, ndr) sono stati uccisi”, ha dichiarato oggi il procuratore capo Archil Kbilashvili, come riporta Interfax da Tbilisi. “Se queste informazioni saranno confermate, allora saremo di fronte a crimini commessi dallo stato”, ha precisato. I primi risultati dell’indagine avviata, secondo il procuratore, saranno disponibili e resi noti già a marzo.
La questione del trattamento dei detenuti nelle carceri georgiane si è saldata nei mesi scorsi con quella delle incarcerazioni, quindi dei processi, in uno dei filoni più delicati del braccio di ferro tra Saakashvili e il nuovo premier Ivanishvili. Il 21 dicembre il parlamento di Tbilisi ha approvato un’amnistia che promette la scarcerazione anticipata a circa 3.500 carcerati e una riduzione di pena per altri 5.500.
Il provvedimento di amnistia prevede la creazione di una speciale commissione incaricata di rivedere ogni singolo caso, ma raccomanda la grazia per i condannati per tradimento, per aver partecipato in disordini militari, per attività di spionaggio a favore della Russia, per furto e frode. Secondo il governo, infatti, questi articoli raccolgono un alto numero di persone vittime di persecuzioni politiche negli anni di potere di Saakashvili. Il presidente si è rifiutato poi di firmare l’amnistia e al suo posto l’ha vidimata il capo del parlamento, David Usupashvili.
Fonte Tm News
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Teramo. Torna in cella Davide Rosci, l’esponente di Azione Antifascista Teramo condannato a sei anni di reclusione per gli scontri di Roma del 15 ottobre del 2011.
I carabinieri del nucleo informativo del reparto operativo del comando provinciale di Teramo questa mattina gli hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per violazione degli obblighi dell’autorità giudiziaria. In sostanza Rosci è accusato di essere “evaso” dagli arresti domiciliare, beneficio che gli è stato concesso prima del processo romano e attraverso il quale sta scontando la pena detentiva.
I carabinieri hanno rimesso una informativa all’autorità giudiziaria romana all’esito di un controllo, due settimane fa, in cui Rosci era stato sorpreso fuori dalla sua abitazione: era un sabato e il giovane teramano, contrariamente al resto della settimana quando gli è consentito di recarsi al lavoro, doveva trovarsi a casa. Ciò non è stato e da qui la decisione del tribunale di Roma di revocargli il beneficio dei domiciliari. Rosci è uno dei giovani condannati a Roma, in solidarietà dei quali sabato 19 febbraio, a Teramo, è stato organizzato un partecipato corteo.
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Il primo febbraio il giudice ha chiuso per sempre il caso Castrogno. L’inchiesta sul pestaggio di un recluso e sull’audio shock con la frase «un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto» è stata archiviata dal gip Giovanni de Rensis che ha respinto la seconda opposizione presentata dal detenuto che accusava di essere stato pestato in carcere. Nell’inchiesta erano indagati l’ex comandante Giuseppe Luzi e quattro agenti di polizia: Donatello Pilotti, Giampiero Cordoni, Roberto Cerquitelli e Augusto Viva (difesi dagli avvocati Nicola De Cesare, Raffaella Orlando, Filomena Gramenzi, Renzo Di Sabatino, Carla Vicini, Antonio Valentini). Quella arrivata a de Rensis era la seconda richiesta di archiviazione. La prima era stata respinta dal gip Marina Tommolini (ora in servizio alla Corte d’appello di Ancona) che aveva disposto ulteriori indagini al pm Irene Scordamaglia . Il detenuto ha sempre sostenuto di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria di Castrogno come atto di ritorsione per una sua resistenza nei confronti di un agente.Va detto inoltre che il detenuto finì a processo (poi assolto) con l’accusa di lesioni e resistenza ad un agente di polizia penitenziaria. L’ex comandante, subito dopo l’esplosione del caso, aveva ammesso che era sua la voce che si sentiva nel colloquio shock registrato sul cd. E lui che diceva: «Il detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto. Abbiamo rischiato una rivolta perchè il negro ha visto tutto». Quel testimone era Uzoma Emeka, detenuto nigeriano morto in carcere un mese dopo i fatti, stroncato da un tumore al cervello non diagnosticato. Qualche giorno dopo la notizia tre compagni furono denunciati per delle scritte in città contro sbirri e politici. Sbirri che oggi sono dichiarati innocenti dalla giustizia statale e, soprattutto, ancora una volta non hanno trovato alcuna opposizione.
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Diffondiamo da Contromaelstorm
Dal Corriere della Sera abbiamo saputo che, qualche giorno fa, si è svolta una cena con personaggi altolocati. Non ci è dato sapere quali e quanti partecipanti abbiano condiviso le libagioni. Conosciamo però gli argomenti di discussione degli onorevoli commensali. Ce ne racconta il contenuto e il senso tale Giovanni Iudica, ordinario di diritto civile dell’Università Bocconi di Milano.
Abbiamo esperienza di professori della prestigiosa Università Bocconi. Tredici mesi del governo Monti ci hanno insegnato che, colui che era stato presentato come valente statista, si è destreggiato nel ruolo di tagliatore delle già magre entrate di proletari e pensionati.
Stavolta il tema però era la “giustizia”, così definiscono la loro “voglia di galera”. Già perché volenterosi di metter mano alla riforma del Codice penale fascista di Alfredo Rocco che, a 68 anni dalla “liberazione” dal fascismo, sanziona ancora i nostri comportamenti, ne hanno tratto la convinzione che il buon fascista Rocco (guardasigilli di Mussolini) sia statotroppo garantista. Ohibò!, qualcuno dirà; e che cazzo! altri. Eppure è proprio così, la lettera inviata dal sommo giurista al CdS conclude così: «Tutti d’accordo nel ritenere che questo codice penale, così come è, non va. Tutti hanno preso atto che, dal codice Rocco a oggi, si è verificata una lacerante divaricazione tra norma penale e comune sentire. La gente sta dalla parte dei deboli, delle vittime, dalla parte di Abele. La legge penale attuale dalla parte di Caino».
Potete leggere l’intero contenuto della lettera pubblicata a pag.51 del CdS del 15/2/2013
Alcune forze politiche, in queste elezioni, hanno inserito nel loro programma la revisione del Codice penale Rocco, del quale la magistratura utilizza, da un po’ di tempo e sempre più, le parti più grottesche come “devastazione e saccheggio” per sbattere in galera chiunque protesti.
A questo punto ci chiediamo e chiediamo loro: «Scusate, ma in che direzione volete cambiarlo?». Non vorremmo proprio che questo nuovo secolo ci costringa a scendere in lotta per…udite!, udite! “difendere il Codice fascista Rocco”. Sarebbe una tremenda beffa
A proposito di “beffe” c’è qualcosa in questa lettera che ci ricorda il triste epilogo dell’arrogante e spaccone Neri Chiaramantesi (interpretato dal bravo Amedeo Nazzari- «Chi non beve con me, peste lo colga!») dello spledido film di Alessandro Blasetti, “La cena delle beffe”(1941). Guardare per credere…..
eheheh…eheheh
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Le carceri italiane stanno scoppiando. Il 40% della popolazione carceraria è costituita da reclusi in carcerazione preventiva. Il Capo dello Stato è stato chiarissimo; occorrono interventi urgenti e risolutivi. Le condizioni di degrado umano in cui vivono i reclusi ci espongono al giudizio severo della comunità internazionale ed hanno già prodotto un ultimatum della Corte di Giustizia europea: porre rimedio entro un anno o saremo sommersi dalle condanne. Dobbiamo agire, ed in fretta, e l’urgenza impone una riflessione.
L’intollerabile affollamento delle carceri non è questione umanitaria o l’effetto di una patologia contingente; è un problema strutturale del sistema di repressione penale italiano e quindi può essere risolto soltanto con provvedimenti legislativi strutturali e chirurgici, che incidano direttamente sul sistema sanzionatorio. Una amnistia sarebbe un rimedio inefficace proprio perché episodico ed indiscriminato.
Ai cittadini non può negarsi, peraltro, il diritto di essere tutelati anche dalla criminalità da strada, dai furti in abitazione, dagli scippi, dai borseggi, dalle aggressioni; reati tutti che colpiscono la gente comune. È vero che la stragrande maggioranza di coloro che commettono reati da strada appartengono, da sempre, alla emarginazione sociale, alle categorie più derelitte, ai meno garantiti; agli ultimi, direbbe un cattolico. Ma il problema non è a quali categorie sociali appartengono i reclusi, bensì per quali reati sono reclusi in carcerazione preventiva.
Vi sono reati, fonte di allarme sociale per la collettività, che non prevedono la carcerazione prima di una sentenza definitiva, e altri che invece la prevedono, pur suscitando scarso, o nessuno, allarme sociale. Consegnare al giudice il potere di decidere caso per caso se applicare la legge per come essa è, oppure adottare decisioni di politica carceraria, è una prospettiva che perpetua la anomalia di questo Paese, comunque inefficace per la sua intrinseca episodicità. Al giudice deve potersi chiedere di applicare la legge secondo coscienza e professionalità, senza eccessi di qualunque segno.
Stabilire per quali reati si possa o debba andare in carcere prima della sentenza definitiva è una decisione politica, tipica assunzione di una responsabilità che è del legislatore, che ne risponde politicamente ai cittadini tutti. Mai del giudice, il quale, perché sia realmente indipendente e terzo, deve rispondere del suo operato soltanto alla legge. In materia non possono essere ammesse scorciatoie o deleghe di responsabilità, che è tutta della politica.
Il nuovo Parlamento può agire tempestivamente, modificando il sistema sanzionatorio dei reati inerenti lo spaccio degli stupefacenti e superando l’anomalia della attuale legge, con la previsione di sanzionare il piccolo spaccio (di solito posto in essere da giovanissimi tossicodipendenti che di tutto hanno bisogno fuorché del carcere) con pena detentiva analoga a quella prevista per il reato di truffa, o di insolvenza fraudolenta, o di lesioni personali; tutti reati gravi, ma che prevedono una pena che non consente la carcerazione preventiva.
Escludere la carcerazione preventiva per il piccolo spaccio di stupefacenti produrrebbe la diminuzione di almeno il 30% della popolazione carceraria, senza pericolo per la collettività e senza mettere in discussione la sanzione penale. È il momento di scelte chiare e responsabili; e forse questa è l’ultima chiamata.
di Alessandro Nencini (Presidente di sezione di Corte d’Appello)
La Repubblica, 16 febbraio 2013
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L’Opg doveva chiudere a giorni. Era stato stabilito dal ministro il mese di marzo per chiudere quella che lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva definito una vergogna. Invece è stato tutto rimandato. Ma ieri è partito un altro tentativo.
Per chiudere l’Opg e cercare di risolvere altre situazioni giunte ormai al punto di emergenza. Questo nuovo tentativo si chiama patto per la riforma del sistema carcerario in Toscana e per fare fronte alle vari emergenze come quella del sovraffollamento.
È quanto stipulato in questi giorni dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Toscana Carmelo Cantone e dal garante dei detenuti della Toscana Alessandro Margara, insieme ai garanti di Firenze, di Livorno, Pisa, Pistoia, San Gimignano e della provincia di Massa Carrara. Il documento, si spiega, nasce da una scommessa di fondo: realizzare in Toscana un’alleanza fra tutte le parti in causa per tutelare i diritti dei detenuti, migliorare le loro condizioni di vita all’interno delle carceri e potenziare i percorsi di trattamento e reinserimento. L’obiettivo, come si spiega in un comunicato della Regione, è quello di dar vita a un’esperienza pilota a livello italiano.
Tra gli impegni previsti, un monitoraggio con le Asl per rendere effettivo il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale, la promozione di percorsi di inserimento esterno. E appunto si prevede poi la chiusura effettiva dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, la nascita di case per le semilibertà in vari comuni toscani, case per madri detenute con figli, il potenziamento dei programmi per tossicodipendenti con affidamenti terapeutici e detenzioni domiciliari in caso di pene sotto i 18 mesi, e l’incremento dell’offerta culturale, formativa, lavorativa e sportiva all’interno del carcere.
“Migliorare poi le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari – conclude la Regione – rappresenta una priorità assoluta. Le parti si sono infine impegnate ad ampliare le possibilità di lavoro all’interno, a migliorare le aree destinate all’incontro con i familiari, soprattutto se minori, e a incrementare le misure alternative alla detenzione”. In ogni caso, però, a Montelupo la realtà è che da dicembre è stato eseguito un altro sequestro, quello del reparto Pesa.
Chiude il carcere di Empoli, ma solo dopo la dismissione dell’Opg di Montelupo
Il carcere di Empoli chiude. E la Villa dell’Ambrogiana a Montelupo prenderà il suo posto, non appena andrà in archivio l’esperienza dell’Ospedale psichiatrico giudiziario. Il disegno è contenuto nella circolare del 29 gennaio scorso, firmata dal Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria “a conclusione degli incontri tenuti con i provveditori in cui sono stati discussi i progetti da loro presentati per la creazione/revisione dei circuiti penitenziari regionali”. Allegato alla circolare c’è la descrizione dei circuiti con l’indicazione della destinazione di ogni istituto, dove si legge che “è prevista la soppressione del carcere di Empoli, ma solo quando sarà disponibile Montelupo Fiorentino”. Questo significa che la casa circondariale del Pozzale, che al momento ospita una ventina di detenute, chiuderà definitivamente i battenti. E la Villa montelupina ospiterà il carcere. Nessun riferimento però alla tempistica dell’operazione.
L’Opg doveva chiudere entro il mese di marzo, ma proprio in questi giorni è stato sottoscritto un patto tra il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e il garante dei detenuti della Toscana Alessandro Margara che prevede anche la chiusura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (dove gli internati sono un centinaio), oggetto del sequestro di un reparto anche nello scorso mese di dicembre per carenze strutturali e sanitarie. Il Ministero ha sbloccato i fondi (173 milioni) affidando alle Regioni il ricollocamento dei pazienti. Ma sui tempi non c’è certezza.
Il carcere di Grosseto chiuderà: al suo posto abitazioni di lusso?
Il carcere di Grosseto è destinato a chiudere i battenti, al suo posto potrebbero spuntare appartamenti di pregio. È del 29 gennaio scorso la circolare del ministero di Giustizia che indica l’addio alla prigione nel capoluogo. Lì, tra le righe del documento che getta le basi di una riorganizzazione dei complessi penitenziari, la struttura di via Saffi figura, ma ancora per poco. È così che, dopo anni di chiacchiere, la “questione carcere” si avvia a conclusione nel modo più traumatico. L’addio alla casa di detenzione, ritenuta da chiunque fuori norma e inadeguata all’uso, l’avevano promesso in tanti. E in tanti – almeno sui giornali – si erano impegnati a rimettere le cose a posto. Il rischio ora è di chiudere il penitenziario senza l’alternativa di una prospettiva concreta sul territorio. C’è poi l’interrogativo sul futuro dello storico palazzo fronte mura: cosa diventerà? “Penso – dice il sindaco Bonifazi – che il palazzo possa essere valorizzato con edilizia privata di pregio. Siamo pronti a discuterne”.
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diffondiamo da informa-azione la notizia del trasferimento del prigioniero in lotta Maurizio Alfieri. Ricordiamo che Maurizio era stato recentemente trasferito a Saluzzo dal carcere di Tolmezzo, dove aveva contribuito all’auto-organizzazione dei prigionieri per segnalare e contrastare le brutalità di quella galera. Anche a Saluzzo, si è subito diffusa tra i prigionieri la volontà di rompere l’ordinarietà del carcere e Maurizio ha contribuito alla diffusione di un comunicato collettivo firmato da 245 prigionieri. Se credono che il suo trasferimento possa mettere a tacere le lotte dei prigionieri, sta a tutti e tutte noi contribuire a sventare i loro piani. Iniziamo col confermare il presidio anticarcerario che si terrà oggi pomeriggio a Saluzzo, in solidarietà con tutti i prigionieri.
Oggi 16 febbraio ci è arrivata la notizia che Maurizio Alfieri è stato trasferito al carcere di Terni.
Maurizio ci scrive che era da quattro giorni che non riceveva posta e questo l’aveva messo in allarme.
Poi il giorno del trasferimento (la lettera da Terni ha il timbro 102) è stato svegliato alle 4 del mattino da dieci agenti, i quali gli han detto di portarsi dietro solo due borse.
Dopo il viaggio in aereo in carcere a Terni si è accorto che gli mancava il pigiama, ciabatte e altre cose utili.
Nella sua cella non c’è il riscaldamento, gli mancano le coperte e al passaggio è costretto a camminare in uno spazio di 4 metri per 2 con la rete
metallica sopra la testa. La risposta di Maurizio è che tutto questo lo rende ancora più incazzato.
Sulla faccenda della “sventata” fuga dal carcere di Tolmezzo sono emerse delle novità dal Messaggero Veneto del 15 febbraio.
Il 12 febbraio il Tribunale del Riesame di Trieste ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 2 gennaio dal Gip di Tolmezzo nei confronti di Maurizio Alfieri e ha disposto la liberazione di Cosimo Damiano Alario, accusato di aver fatto arrivare droga e coltelli nella cella di Alfieri. L’annullamento delle custodie cautelari è motivato dal fatto che gli indizi fino ad ora emersi vanno approfonditi per capire se Maurizio è veramente o no coinvolto in questa storia.
La Procura di Tolmezzo, che per mesi ha coordinato l’indagine, ha già annunciato un ricorso in Cassazione.
Fino a due giorni prima sul Messaggero Veneto uscivano articoli sul tentativo di fuga da Tolmezzo tramite la partecipazione di
boss palermitani, mettendo ancora in luce la faccenda a favore dei ROS, scrivendo che dopo lunghe indagini gli “autori” della fuga erano
stati incastrati dall’agente sotto copertura dei Carabinieri.
La storia di Tolmezzo sta diventando una “fuffa”. Tutte le domande che ci eravamo posti fino ad’ora su questa storia stanno avendo risposta:
la montatura non regge. Le prove della “sventata” fuga sono diventate fumo.
Chi pensava di spezzare la solidarietà tra detenuti, tra dentro il carcere e fuori si è ritrovato con un pugno di aria, prova ne è la lettera
uscita qualche giorno fa dai detenuti di Saluzzo.
Solidarietà ai detenuti di Saluzzo
Libertà per Maurizio Alfieri
Liberi tutti Libere tutte!
Per scrivere a Maurizio Alfieri l’indirizzo è:
Maurizio Alfieri
Casa Circondariale Di Terni
Strada Delle Campore, 32 – 05100 Terni (TR)
Commenti disabilitati su Carcere – Maurizio Alfieri trasferito a Terni, presidio a Saluzzo confermato | tags: anticarceraria, carcere, CordaTesa, detenuto trasferito, infamia da parte dello stato, maurizio alfieri, presidio, saluzzo, solidarietà, tolmezzo, trasferito a terni | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Presidi, cortei, saluti e iniziative, Tutti
Commenti disabilitati su OLGa – Opuscolo Gennaio 2013 | tags: anticarceraria, antirepressione, carcere, CordaTesa, download, gennaio 2013, informazioni, lettere detenuti, n 76, olga, opuscolo, repressione | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Download, Tutti
Secondo Rosario Di Prima, vicesegretario regionale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp, cinque detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Catania pare abbiano contratto la scabbia.
“Il sistema penitenziario italiano è stato più volte sanzionato per le condizioni disumane relativamente al suo sovraffollamento e l’assenza di spazi idonei al trattamento e reinserimento sociale dei detenuti. Erano anni che nella nostra regione non si sentiva che forme virali interessassero un numero elevato di detenuti”.
“Situazioni di questo genere non possono essere considerati casi sporadici o poco significativi. Siamo fortemente preoccupati che si possa già parlare di epidemia. Se epidemia dovesse essere, la nostra preoccupazione aumenta in relazione alla possibilità di contagio anche nei confronti del personale di polizia penitenziaria. Ed è per questo che chiediamo all’amministrazione di volere provvedere in tempi rapidi alla giusta profilassi. Riteniamo superfluo, inoltre, ricordare che tutti gli opportuni esami clinici e l’eventuale prevenzione sanitaria non dovranno gravare sul bilancio economico dei poliziotti. Cogliamo l’occasione per allertare l’amministrazione penitenziaria del settore adulti nel porre maggiore attenzione ai controlli ma soprattutto alla prevenzione di simili possibili contagi”.
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Primo caso in Italia per questo tipo di ricorsi dopo le condanne dell’Ue. Risarcimento di mille euro
SALERNO – Le condanne contro l’Italia, per le carceri sovraffollate, fino ad ora erano arrivate dall’Unione Europea. Ma mai un giudice territoriale aveva espresso la stessa condanna in un procedimento civile. E invece, adesso, anche questo fa giurisprudenza. Perchè un giudice di pace di Salerno, su ricorso presentato dallo studio legale Sessa di Nocera Inferiore, ha condannato lo Stato italiano al risarcimento danni nei confronti di un detenuto del carcere di Fuorni a Salerno per le «pessime condizioni di detenzione» delle carceri. Il ministero dell’Interno dovrà pagare un risarcimento di mille euro al detenuto. E la motivazione è proprio nel sovraffollamento della casa circondariale. «Si tratta di un traguardo importante non solo per il nostro studio dal punto di vista professionale – commentano gli avvocati Gaetano e Michele Sessa – ma soprattutto dal punto di vista etico e morale per l’intera società. Questa sentenza potrebbe infatti aprire la strada a numerosi ricorsi che, secondo quello che abbiamo potuto constatare, potrebbero trovare sempre fondamento in una situazione a dir poco vergognosa e lesiva della dignità della persona, pur se colpevole di un qualsiasi tipo di reato».
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Il rapporto rivela che i body scanners sono stati in grado di rilevare solo il 57% degli oggetti utilizzati come test. Una percentuale di insuccesso che esclude gli scanner simili a quelli utilizzati negli aeroporti, dalle papabili alternative alle strip searches
Farmaci, batterie per telefoni cellulari, forbici e un coltello sono tra gli elementi utilizzati quali test nel periodo di prova durante l’utilizzo dei body scanner, considerati all’inizio del progetto quali una valida alternativa alla pratica degradante delle perquisizioni corporali.
Quasi 1.200 detenuti e membri del personale penitenziario sono stati sottoposti a due scanner, nelle carceri di Magilligan e di Hydebank Wood.
I risultati della relazione al termine del periodo di prova, sono stati discussi dai membri del Comitato Giustizia a Stormont.
L’avvio del progetto pilota era stato deciso da David Ford, Ministro della Giustizia, sulla spinta della dirty protest portata avanti dai prigionieri repubblicani a Maghaberry, fino allo scorso novembre.
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Buenos Aires – Una vicenda in piena Patagonia che è un po’ telenovela, un po’ film horror: una giovane di 22 anni ha sposato l’uomo condannato a 13 anni di carcere con l’accusa di aver ucciso nel 2010 la sorella gemella. Le nozze, seguite passo passo da giorni dai media locali, si sono svolte nel giorno di San Valentino.
Victor Cingolani, 28 anni s’è sempre proclamato innocente. E ha sposato Edith Casas a Pico Truncado , località patagonica argentina. «L’ho fatto per amore» ha detto senza esitazione poco prima del brindisi, nella prigione dove sta scontando la condanna. L’uomo sembrava tranquillo, nonostante l’arrivo della coppia in Comune sia stato salutato da centinaia di persone al grido di «assassino» e con lancio di pietre.
«Voglio formare una famiglia con la donna che amo», ha tagliato corto Victor, la cui sorella, Claudia, ha d’altra parte ricordato che «i festeggiamenti avranno luogo in carcere, durante una cerimonia organizzata da chi vuole stare vicino a mio fratello. Non facciamo una festa – ha puntualizzato – perché ovviamente in prigione non è permesso».
I media argentini ricordano che per l’omicidio di Johana è stato arrestato non solo Cingolani ma anche un altro ex fidanzato della ragazza, Marcos Diaz, pure lui in prigione. La madre delle gemelle, Marcelina Orellana, per bloccare il matrimonio giorni fa aveva presentato un ricorso alla giustizia, che ne aveva ordinato la sospensione. Poi però, un’altra istanza della magistratura ha cancellato tale risoluzione, aprendo così la strada al matrimonio. Dopo le nozze, anche Marcelina ha parlato con la stampa: «Confermo che secondo me Victor è un assassino. E ora ho paura per Edith», ha detto senza nascondere l’angoscia.
Al centro dell’intera vicenda c’è il misterioso omicidio di Johana, la gemella di Edith. La giovane fu uccisa nel 2010 con due colpi di pistola e il suo corpo gettato alla periferia di Pico Truncado. Al momento dell’uccisione, Edith era già stata con Victor, ma usciva con Marcos Diaz.
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Sabato 23 febbraio
Ore 12: si pranza!
Dalle 14 inizio tatuaggi
Alle 18 facciamo due chiacchiere:
molteplicità delle pratiche di lotta, evoluzione delle tecniche repressive, solidarietà e paura…iniziamo a parlarne!
A seguire cena, musica e gozzoviglie
Domenica 24 febbraio
Dalle 10 tatuaggi
Ore 12 pranzo
A seguire si continuerà a tatuare
17.30 facciamo due chiacchiere
La solidarietà attiva ai compagni non può non inserirsi in una lotta contro il carcere e le sue logiche. Come e perché, quindi, combattere le galere quotidianamente?
A seguire cena
Tutti i soldi raccolti andranno a sostenere concretamente Alfredo e Nicola, due compagni detenuti nel carcere di Alessandria, accusati di aver compiuto l’attacco armato nei confronti di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare.
A loro va la nostra piena solidarietà
La due giorni si svolgerà al centro di documentazione anarchico l’arrotino, in via primo maggio 24c a Lecco (rione malavedo).
Per info, prenotazione tatuaggi e info: larrotino@inventati.org 3384878547
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Sabato 16 febbraio 2013 presidio al carcere Bassone di Como
Dalle 9 alle 12 musica, interventi e microfono aperto per portare solidarietà a tutti i detenuti, a tutte le detenute ed alle loro lotte di libertà
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In Afghanistan dopo la denuncia delle Nazioni Unite, le prime ammissioni. Ma non si prevedono cambiamenti reali
Una commissione del governo afgano ha ammesso le torture subite da centinaia di detenuti, due settimane dopo l’inizio delle indagini seguite alla pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite. Un documento che svelava abusi dilaganti e sistematici.
TORTURE E AMMISSIONE – In una conferenza stampa a Kabul, la capitale dell’Afghanistan, è stato spiegato come l’inchiesta abbia confermato le accuse dell’Onu, così come spiega ilNew York Times. Quasi la metà dei 284 prigionieri – intervistati in tre province del paese – erano stati torturati durante l’arresto o interrogatorio. Grazie all’inchiesta è stato possibile scoprire anche come diversi detenuti non abbiano avuto nemmeno accesso alla difesa legale. Eppure il governo ha cercato di minimizzare il caso: Abdul Qadir Adalatkhwa ha osservato come, nonostante siano emerse verità imbarazzanti, non ci fosse alcuna prova sull’applicazione dell “tortura in modo sistematico”.
ABUSI E VIOLENZE – I risultati dell’inchiesta sono stati comunque il primo riconoscimento formale, da parte dei funzionari afgani,delle violazioni dei diritti umani, Una scolta dopo le smentite iniziali, in occasione della pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite, rilasciato il 20 gennaio. In un comunicato, l’ufficio del presidente Hamid Karzai si è limitato a spiegare di aver ricevuto la relazione. Ma non ci sono state dichiarazioni ufficiali.
IL RAPPORTO DELL’ONU – Altro che esportazione della democrazia e dei diritti umani. Nel rapporto pubblicato dalle Nazioni Uniti venivano denunciate molestie sistematiche contro chi si trovava nelle carceri afghane. Su 635 prigionieri ascoltati dai responsabili dell’Onu (in 89 centri di polizia, esercito e servizi segreti) ben 326 avevano denunciato di aver subito violenze nel corso della prigionia. Numeri impressionati se si prendono in considerazione quelle commesse sui minori: la proporzione si innalza fino al 76%, con 80 adolescenti su 105 che hanno svelato ai funzionari delle Nazioni Unite di essere stati torturati. Quattordici i tipi differenti di molestie denunciati: dalla frusta agli elettroshock, senza dimenticare quelle di natura sessuale, praticate sui genitali. Nel rapporto si parlava anche della “presunta scomparsa” di 81 individui imprigionati a Kandahar, tra settembre 2011 e ottobre 2012. Fatti inquietanti, come aveva sottolineato Jan Kubis, il rappresentante speciale dell’Onu in Afghanistan, che aveva richiesto un immediato intervento del governo afghano per fermare le violenze. Le preoccupazioni sui casi di tortura hanno scatenato non poche proteste sulla consegna dei detenuti, da parte delle forze militari della Nato, alle autorità afghane. Un punto rivendicato dal governo Karzai. Eppure la Convenzione internazionale contro la tortura, che gli Stati Uniti hanno firmato, vieta il trasferimento di un detenuto “in un altro Stato, qualora vi siano serie ragioni per credere che ci sia il pericolo che possa essere sottoposto a tortura”. Nonostante l’ammissione della commissione afghana, in pochi credono inoltre che gli abusi nelle carceri afghane diminuiranno. Heather Barr, ricercatore in Afghanistan per Human Rights Watch. ha spiegato come il problema sia alla base: “Il sistema giudiziario afghano è impostato sulle confessioni: così è per ora improbabile che avvengano dei seri cambiamenti nel modo di operare”, ha concluso.
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In Germania rimane detenuta Sonja Suder, ex-militante delle Revolutionäre Zelle (RZ, altra formazione militante degli anni ’70), ed estradata dalla Francia dove era in esilio da 33 anni, dopo una lunga battaglia giudiziaria (vedi qui e qui).
Sonja ha 79 anni, e per sua e nostra fortuna è ancora in forma; per il suo compleanno, lo scorso 15 gennaio, dei fuochi d’artificio sono stati accesi davanti al carcere.
Il suo compagno, Christian Gauger è stato scarcerato dopo un mese dall’estradizione; colpito da un attacco cardiaco anni prima, perse completamente la memoria e rimase in condizioni difficili, tanto che venne ‘consegnato’ dalla Francia alla Germania in ambulanza.
Li vogliono portare a processo, per due attacchi incendiari, senza morti né feriti, compiuti dalle RZ nell’ambito delle lotte antinucleari degli anni ’70. E ci vogliono portare Sonja in catene, 35 anni dopo i fatti.
‘Verdammtlangquer‘ è il nome del sito di solidarietà, significa qualcosa come persecuzione dannatamente lunga.
Dannatamente breve fu invece la ricerca dei criminali di guerra nazisti. Recentemente il giovane storico tedesco Felix Bohr (autore di una tesi sulla lobby dei criminali di guerra tedeschi) ha ritrovato e pubblicato i documenti diplomatici che mostrano come alla fine degli anni ’50 vi fu un accordo tra autorità italiane e germaniche per dimenticare i responsabili delle 2273 stragi compiute dai nazifascisti in Italia nei primi anni ’40. Quegli ufficiali delle SS e della Wehrmacht erano, negli anni ’50 (e ’60, e ’70, ecc.) diventati alti dirigenti funzionari dello Stato democratico, industriali o banchieri. Perfetti e intoccabili per l’apparato contro cui Sonja, e Christa, e tanti altri si ribellarono.
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Il 1. dicembre 2011 la Corte d’appello di Stoccarda (Oberlandsgericht Stuttgart) ha deciso che l’ex militante della Rote Armee Fraktion (RAF) Christa Eckes deve essere imprigionata per 6 mesi poiché si rifiuta di testimoniare.
La ‘Beugehaft’ è la carcerazione coercitiva prevista dal codice tedesco per costringere un testimone a rivelare quanto di sua conoscenza. Christa è gravemente malata, in cura per leucemia, e questo ordine di carcerazione potrebbe essere la sua condanna a morte.
L’incarcerazione ‘educativa’ di Christa Eckes, ex militante della Rote Armee Fraktion (RAF) e gravemente malata di cancro, per costringerla a testimoniare in un processo per fatti degli anni ’70, è stata revocata dal Tribunale federale tedesco.
Si tratta di una decisione che, sotto il profilo della legalità, è assolutamente ragionevole, tanto che non dovrebbe neppure fare notizia; ma quando si tratta di militanti di sinistra, o ex-tali ma non pentiti, la politica prende il posto della ragione.
Sul caso e sull’arresto coercitivo o Beugehaft s’era riferito qui.
Nella decisione del 19 gennaio 2012 i magistrati hanno ammesso che una persona in chemioterapia non può essere semplicemente sbattuta in cella, poiché “la verità non può essere ricercata a qualsiasi costo, non dunque, nel caso, a costo della seria messa in pericolo della vita di una testimone gravemente malata”.
La verità in questione, sia chiaro, è quella giudiziaria: su dettagli del caso Buback (1977), sul quale la stessa Christa all’epoca non poteva sapere proprio nulla, essendo già in galera da anni.
Insomma sono stati ridotti alla ragione, ma pure per questo s’è dovuto battagliare.
Christa ha trasmesso un messaggio:
A tutte le amiche e gli amici e a tutti coloro che si sono mobilitati contro l’arresto per rifiuto di testimoniare
L’alta Corte ha ritirato la misura d’incarcerazione per rifiuto di testimoniare emessa contro di me. È una buona cosa.
Naturalmente questo non mette fine al confronto con la polizia politica, alle procedure contro i militanti degli ’70 e di oggi, né al rifiuto di testimoniare e agli arresti per chi lo pratica, siano altri militanti o in generale.
Ciò è chiaro per chiunque.
Voglio però dire qui che l’esperienza che ho fatto della vostra solidarietà, amicizia e sostegno concreto, proprio ora mi ha toccata profondamente, e che anche nello stato di salute in cui mi trovo ciò mi da una sicurezza ed un appoggio che per me sono molto importanti.
Ed è anche emerso chiaramente che la grande mobilitazione e le molte proteste hanno avuto effetto.
Chissà, sennò, cosa sarebbe accaduto.
Christa
Fonte e approfonfimento
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La richiesta dell’avv. di Marco per la liberazione condizionale è stata respinta per l’ennesima volta – l’ennesima volta motivata politicamente. Marco scriverà a sua volta quello che ne pensa…
LA LOTTA CONTINUA – LA SOLIDARIETÀ È NOSTRA ARMA
Soccorso Rosso Internazionale 8 FEBBRAIO 2013
Risposta di Marco all’ennesima infamia
Commenti disabilitati su AGGIORNATO – Ancora un’altra richiesta di libertà condizionale dell’imprigionato eco-anarchico Marco Camenisch negata | tags: anarco ecologista, anticarceraria, carcere, comunicato, CordaTesa, lettera, liberazione condizionale, marco camenisch, respinta, solidarietà, svizzera | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Tutti
Escrementi di topo sono stati trovati nel forno della cucina del carcere di Lucca dove vengono preparati i pasti per i detenuti.
Lo denuncia in una nota il sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, che chiede all’ amministrazione penitenziaria regionale controlli in tutti i penitenziari della Toscana, per verificare il rispetto delle normative sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro. Il segretario generale del sindacato Donato Capece chiede verifiche, in particolare, ”nelle cucine interne al carcere che preparano i pasti per i soli detenuti ma anche nelle cucine delle mense del personale di polizia”.
”A Lucca come in tutte le carceri italiane, – aggiunge – la Polizia Penitenziaria e’ l’unica rappresentante dello Stato che sta fronteggiando l’emergenza sovraffollamento: oltre al danno c’e’ pero’ la beffa di essere gli unici esposti a malattie come l’hiv, la tubercolosi, la meningite, la scabbia e altre malattie che si ritenevano debellate in Italia. Per queste ragioni il Sappe sollecita visite ispettive dell’Ufficio di vigilanza sull’igiene e sicurezza dell’amministrazione della Giustizia (Visag) a Lucca ed in tutte le carceri toscane ed in ogni posto di servizio in cui sono impiegati poliziotti penitenziari per verificarne la salubrita”’.
ANSA
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