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Muore in carcere per infarto

infarto copia_bdE’ morto stamattina all’ospedale di Asti, dove era piantonato da alcuni giorni per problemi cardiaci, il boss della ‘ndrangheta torinese Giovanni Iaria, 65 anni. Era in carcere, ad Asti, dallo scorso ottobre, dopo la condanna con rito abbreviato a 7 anni e 4 mesi per associazione per delinquere e voto di scambio nell’ambito del processo Minotauro. Di origini calabresi, Iaria era stato mandato al confino a Cuorgnè, dove negli anni 80 era stato consigliere comunale e assessore.

Iari, secondo gli inquirenti, era affiliato alla ‘ndrangheta almeno dal 1997, partecipe della ‘società maggiore’ con la dote di ‘padrino’. Il suo nome compare nelle carte del maxi processo sulla presenza della ‘ndrangheta in provincia di Torino, che ha portato all’arresto complessivo di 145 persone.

Fonte


Palestina – Due attivisti ISM arrestati, rischiano espulsione

riceviamo e diffondiamo:

Aggiornamenti:

Marco ha deciso di resistere alla deportazione ed urgono DONAZIONI per far fronte alle spese legali

Aggiornamento del 10 febbraio: attivista ISM in sciopero della fame!

Dave e Marco sono detenuti nel carcere di Givon e rischiano la deportazione.

palestina_0Uno di loro, Marco Di Renzo (54 anni), ha deciso di iniziare uno sciopero della fame da stasera(ieri sera per chi legge) in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi e per protestare contro la sua espulsione illegittima. Ha deciso anche di smettere di prendere i sui farmaci per la pressione sanguigna, esponendo la sua vita a seri rischi date le sue condizioni di salute dovute ad una precedente tiroidectomia.

Le accuse contro di lui sono la presenza in una zona militare chiusa e l’aver aggredito un soldato con la sua macchina fotografica, accusa questa completamente falsa.

10 Febbraio 2013 | International Solidarity Movement, South Hebron Hills, Palestina Occupata.

Due attivisti dell’ISM (International Solidarity Movement), sono stati arrestati nel villaggio di Canaan e si trovano ora di fronte ad un procedimento di espulsione. Ci si aspetta che giungano di fronte al tribunale a Gerusalemme nel corso della giornata.

Forze di occupazione israeliane ieri hanno sventato due tentativi da parte di attivisti palestinesi di stabilire un nuovo villaggio vicino Yata, nelle colline a sud di Hebron, per protestare contro la politica d’insediamenti illegali di Israele. L’avamposto, denominato “Canaan Village”, è il quinto di una serie di accampamenti di protesta che sono stati messi in atto  in seguito alla costruzione di Bab Al-Shams il mese scorso. L’obiettivo di questi villaggi improvvisati è quello di riappropriarsi della proprietà palestinese della terra, attraverso azioni concrete, e di protestare contro gli insediamenti illegali di Israele.

Sabato mattina presto, circa 30 attivisti sono stati bloccati nel loro tentativo di costruire le tende, vicino all’insediamento Karmel, dai soldati israeliani che sono arrivati ​​sulla scena per rimuovere il telaio in acciaio delle tende e confiscare parte del materiale. “Siamo venuti qui per costruire un villaggio palestinese su terra palestinese, e per utilizzare liberamente la nostra terra nel modo che vogliamo. In quanto palestinesi, abbiamo il diritto di possedere questa terra.” Dichiara Younis Araar, attivista e coordinatore dei comitati popolari nel sud della West Bank.

Per nulla scoraggiati dal rapido intervento dell’esercito e la demolizione delle tende, gli attivisti si sono riorganizzate e si sono spostati vicino a Tuwani per ricostruire il villaggio intorno alle ore 9. Circa 40 attivisti, utilizzando il materiale residuo, hanno costruito una tenda e l’hanno circondata con dei muri di pietra, piantando nel suolo la bandiera palestinese. Così il villaggio di Canaan è stato ripristinato come proprietà palestinese in una zona di terra che si trova sotto la minaccia di confisca a causa delle estensioni previste per il vicino insediamento di Ma’on.

Il numero dei manifestanti è cresciuto, a poco a poco la popolazione nelle vicinanze e altri attivisti si sono aggiunti e sono entrati in azione, fino a raggiungere circa le 120 persone. Mezz’ora dopo l’arrivo dei manifestanti, l’esercito è arrivato sul posto ed ha dichiarato l’area, fra i canti degli attivisti palestinesi, zona militare chiusa. L’esercito ha poi utilizzato grandi quantità di “skunk water”(l’acqua chimica puzzolente) contro i manifestanti. Dopo aver disperso la folla, i soldati hanno sparato il getto d’acqua direttamente contro la tenda e gli attivisti che si erano rifiutati di abbandonarla, nonostante l’odore terribile, causando il crollo della tenda stessa sotto la pressione dell’acqua. Gli attivisti hanno abbandonato la tenda e l’esercito ha assunto il controllo dello spiazzo dove era situata la tenda, ormai distrutta.

Tuttavia, i manifestanti si sono rifiutati di abbandonare la zona ed hanno continuato a cantare rivolti verso i soldati. Vari giornalisti, fotografi e videoreporter si trovavano sul posto ed hanno documentato gli eventi. Senza alcun motivo apparente, i soldati improvvisamente balzarono in avanti, afferrando un videoreporter palestinese nel tentativo di arrestarlo, il che ha suscitato l’intervento della folla di attivisti che hanno funto da scudo nel tentativo d’impedire l’arresto. Sono seguiti scontri tra decine di manifestanti ed i soldati, che hanno condotto a numerosi arresti, tra cui almeno tre giornalisti ed un volontario italiano dell’ISM. Poco dopo, una donna è rimasta ferita a causa del tentativo di arresto da parte dei soldati, suscitando, di conseguenza, ulteriori scontri tra esercito ed i manifestanti che hanno cercato di proteggerla. Il risultato è stato un ulteriore arresto di un altro palestinese ed un volontario inglese dell’ISM. Secondo un portavoce dell’esercito, sono stati arrestati cinque palestinesi durante l’azione.

In seguito alla tenda rubata dall’esercito, ed ai diversi fotografi e videoreporter arrestati ed intimiditi, la protesta sembra perdere il suo vigore e la sua organizzazione intorno alle ore 11. Anche se gli abitanti dei villaggi e altri attivisti hanno continuato a manifestare, non sono state coordinate ulteriori azioni e l’esercito non è intervenuto ulteriormente per disperdere i manifestanti. Nel corso delle successive 3 o 4 ore, le persone erano per lo più sedute nella zona, sparse nel campo e nella strada che porta ad esso, chiacchierando tra loro, con l’esercito in piedi a guardare. Solo un paio di dozzine di persone sono rimaste davanti, di fronte alla fila dei soldati. Queste ultime, tuttavia, sono riuscite a raccogliersi in due lunghe file, proprio di fronte ai soldati, per recitare la preghiera Dhuhr, in un magnifico atto di resistenza non-violenta.

Nonostante la breve esistenza del villaggio Canaan, questa è parte di una serie incoraggiante di villaggi di protesta sorti nel corso dell’ultimo mese. Mentre la Cisgiordania ha visto un aumento delle azioni di attivismo diretto nel corso delle ultime settimane, la comunità internazionale sta diventando sempre più critica nei confronti della politica degli insediamenti illegali di Israele e delle altre azioni in netta violazione del diritto internazionale. Segni questi di speranza per il popolo palestinese e per la loro lotta per la giustizia e la dignità.

Nel giorno del boicottaggio dei prodotti agricoli israeliani, Marco decide di resistere all’espulsione e di unirsi in sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi.
Le spese legali hanno un costo di qualche migliaia di euro, chi volesse dare il suo contributo lo può fare attraverso questo link https://www.paypal.com/it/webapps/mpp/send inserendo luposolo@libero.it come e-mail.


Francia – Da una prigione all’altra

CIEIl 16 dicembre 2012, cinque persone cercano di evadere dal CIE di Palaiseau [una ventina di km a sud di Parigi, NdT]. In quattro ce la fanno, ma la quinta persona, Ibrahim, resta nelle mani della polizia, che lo pesta. Viene arrestato e due giorni dopo passa in tribunale, accusato di aver tenuto fermo uno sbirro, al fine di rubargli un badge magnetico che ha permesso agli altri di evadere. Viene poi messo in detenzione preventiva a Fleury-Mérogis [prigione che si trova nel sud della regione di Parigi – è la più grande d’Europa, NdT], fino al 18 gennaio 2013, quando viene condannato a due anni di prigione e a versare 1200 euro ai due sbirri che lo hanno denunciato per lesioni. Visto che l’evasione da un CIE non è reato, sbirri e giudici cercano di appioppargli altri capi d’imputazione.

Ibrahim si trova ora detenuto a Fleury-Mérogis. Non ha fatto appello contro la sua condanna. Quando si è isolato, senza avvocato, straniero e non si parla francese, è quasi impossibile capire che si hanno solo dieci giorni per fare appello. Se si è poveri e clandestini, si viene schiacciati ancor di più dalla giustizia.

Da una prigione all’altra, dalla prigione per stranieri alla casa di reclusione, la strada è tracciata,  in un senso come nell’altro. Il potere prenderà sempre a pretesto le rivolte, i tentativi di evasione, i rifiuti di imbarcarsi [sugli aerei, per le espulsioni dei clandestini, NdT], per rinchiudere sempre di più i recalcitranti. E, all’inverso, quando si esce di prigione e si è clandestini, nella maggior parte dei casi quello che ci attende sono il CIE e l’espulsione.

Quando si è rinchiusi in un CIE, quando tutti i ricorsi legali sono stati inutili e l’espulsione è imminente, le sole alternative sono l’evasione e la rivolta. Ecco perché casi come questo si ripetono: qualche giorno prima dell’evasione di Palaiseau, tre persone sono fuggite dal CIE di Vincennes, e speriamo che siano sempre liberi. A Marsiglia, nel marzo 2011, alcuni detenuti hanno incendiato la prigione per stranieri del Canet. Da allora, due persone sono in libertà vigilata in attesa del processo, dopo essere passate per la casella prigione preventiva.

Nel caso di Ibrahim come in quello degli accusati dell’incendio di Marsiglia, è importante essere solidali con quelle e quelli che si rivoltano per la propria libertà, siano essi colpevoli od innocenti. Perché finchè ci saranno prigioni, documenti e frontiere, la libertà non resterà che un sogno.

Fuoco a tutte le prigioni!
Libertà per tutte e tutti!


Per non lasciare Ibrahim isolato di fronte alla giustizia, si può scrivergli:

Ibrahim El Louar
écrou n°399815
Bâtiment D4 – MAH de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 Sainte-Geneviève-des-Bois

Gli vengono inviati dei soldi. Se volete contribuire, potete mandare del denaro a Kaliméro – Cassa di solidarietà con gli accusati della guerra sociale in corso.
Se volete mandargli dei vestiti o pacchi, o per ogni contatto, mail: evasionpalaiseau@riseup.net

Informa-azione  da non-fides.fr

 


Abruzzo: chiusura degli Opg; a Lanciano nasce una struttura per curare i detenuti psichiatrici

binisansalviIn Abruzzo nascerà una struttura destinata ad accogliere i residenti cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario. La notizia è stata resa nota dall’Assessore alla Prevenzione collettiva, dopo l’esame positivo del provvedimento dell’Esecutivo regionale, riunito oggi all’Aquila. La Casa di Cura e Custodia da 20 posti letto, con i requisiti fissati dal decreto del Presidente della Repubblica, sorgerà nel territorio della Asl di Lanciano Vasto Chieti, per un importo di circa 4 milioni di euro. La Asl è anche soggetto attuatore dell’intervento. La struttura è coerente con le disposizioni normative che intendono attuare il definitivo superamento degli ospedali psichiatrico giudiziari, anche attraverso edifici per i quali, ulteriori requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi, anche con riguardo ai profili di sicurezza, sono definiti con decreto di natura non regolamentare del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro della Giustizia, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. Inoltre, in deroga alla vigenti normative sul contenimento della spesa per il personale, le regioni che hanno sottoscritto i piani di rientro dai disavanzi sanitari, possono assumere personale qualificato da destinare ai percorsi terapeutico riabilitativi, finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati, provenienti da ospedali psichiatrici giudiziari. Con la deliberazione approvata dall’Esecutivo regionale – chiariscono all’Assessorato – si dà mandato al soggetto attuatore di rimettere alla Regione Abruzzo uno studio di fattibilità contenente l’ubicazione e le caratteristiche urbanistiche ed infrastrutturali dell’area, la descrizione complessiva dei 20 posti letto, la valutazione delle risorse umane necessarie alla funzionalità dei servizi sanitari operanti dopo l’intervento.

Agenparl, 11 febbraio 2013


Immigrazione: inchiesta “Betwixt and Between Turin’s Cie”, incertezza e rabbia oltre le sbarre

immigratiAssenza di comunicazione con i familiari, isolamento, casi di autolesionismo sempre più frequenti, minori separati dalle famiglie. Sono gli aspetti dalla Ricerca “Betwixt and Between: Turin’s Cie”, sui diritti umani nel Cie di Torino e sulla detenzione amministrativa degli immigrati in Italia, a cura dell’International University College di Torino e dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione.
Comunicazioni carenti con i familiari, ritardi nell’assistenza sanitaria, isolamento, casi di autolesionismo sempre più numerosi, separazione dai minori. Sono questi alcuni degli aspetti “misurati” dalla ricerca “Betwixt and Between: Turin’s Cie”, un’indagine sui diritti umani nel Cie di Torino e sulla detenzione amministrativa degli immigrati in Italia, curato da sei ricercatori tra cui Emanuela Roman, Carla Landri e Margherita Mini sotto la supervisione del professor Ulrich Stege dell’International University College di Torino e l’avvocato Maurizio Veglio, membro dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione).
“Vorrei che questo centro scomparisse”. Attraverso interviste dirette ai trattenuti, le ricercatrici hanno potuto stilare un quadro zeppo di difficoltà in cui sono costretti a vivere i trattenuti del Centro torinese. “Vorrei che questo Centro scomparisse” è il commento di uno degli intervistati per descrivere questa struttura aperta nel 1998 per ospitare al suo interno 210 persone. Oggi ce ne sono 131 a causa di alcune zone danneggiate e perciò impraticabili. Persone divise su 7 aree senza criterio, mancanza questa che a volte crea gerarchie pericolose.
Una struttura, gestita dalla Croce Rossa, che rimpatria il 52,4% dei suoi “ospiti” dopo una permanenza media di 40 giorni e con un costo pro capite medio di 45 euro al giorno. Un investimento da 11 milioni di euro nel giro di tre anni a cui vanno aggiunte le spese per le forze di sicurezza, “considerata una dei migliori Centri di Identificazione ed Espulsione d’Italia” come ha dichiarato Rosanna Lavezzaro, Dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino, durante la presentazione pubblica del rapporto. Ma un Cie anche carico di contraddizioni.
Nessun legame con l’esterno. L’aspetto che viene maggiormente confermato dalle parole dei reclusi è l’estrema difficoltà che si incontra nel tentativo di portare avanti i legami con l’esterno, sia con le famiglie che con i legali che li difendono. Una parte significativa dei trattenuti ha una famiglia che vive in Italia e alcuni di loro si sono stabiliti qui in via permanente.
Sono finiti nel Cie per varie ragioni: per ingresso irregolare, per non aver richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno dopo la scadenza, per la perdita del lavoro o per aver commesso un reato. Nel giorno di visita vengono tutti ammassati in una sola stanza che può ospitare fino a un massimo di 250 persone sia che si tratti di incontri privati con i propri familiari sia che si parli della propria libertà con un legale. Il parallelo con il carcere è scontato: infatti molti degli utenti intervistati hanno assicurato che il carcere è molto meglio perché ha regole più precise.
Nessuna sa che fine farà. Un secondo elemento importante che condiziona la vita dei trattenuti è l’indeterminatezza dei tempi di permanenza: i trattenuti non conoscono il proprio futuro e questo non fa altro che alimentare rabbia, frustrazione e senso di isolamento. “La prima parola che si impara qui dentro è dopo” afferma in un’intervista uno dei trattenuti. Non migliori sono le relazioni con l’esterno: per ogni cosa gli immigrati possono solo rivolgersi alle forze dell’ordine (che in carcere sono di 4 tipi diversi: Esercito, Gdf, Polizia e Carabinieri).
Aumentano i casi di autolesionismo. Il punto di vista sanitario è preoccupante. Aumentano i casi di autolesionismo in quanto nel trattenuto nasce sempre più spesso l’idea che violare il proprio corpo possa accelerare il trasferimento dal Cie ad altra struttura. Aumenta la richiesta di somministrazione di psicofarmaci ma parallelamente non c’è una sola figura di psichiatra all’interno della struttura. Nel caso di tentato suicidio, malori o urgenze, le testimonianze dei trattenuti confermano i ritardi nell’intervento da parte dell’assistenza sanitaria causati dalla burocrazia comunicativa tra l’interno e l’esterno della struttura.
Un anno terribile per i Cie. “I Cie esistono perché la direttiva europea in materia prevede un’immigrazione condizionata” riprende Lavezzaro “nel senso che vengano garantiti gli spazi di sopravvivenza e quindi migliorare gli standard di vita, non peggiorarli. Ciò nonostante il 2011 è stato un anno terribile per il Cie: 15 rivolte e 28 arresti. Nel 2012 è andata decisamente meglio: 5 rivolte e solo 5 arresti. Da sottolineare resta la scarsa collaborazione con i consolati: talvolta le ambasciate rispondono a logiche politiche che ci sfuggono”.
Cinque anni prima dell’identificazione. L’altro aspetto indagato dal rapporto di ricerca è quello della detenzione amministrativa: “In Italia – dichiara una delle ricercatrici – vi sono casi di persone che hanno passato 5 anni nelle nostre carceri senza che sia stato avviato il processo di identificazione per poi essere trasferiti nei Centri appositi e ricominciare l’intero iter da capo. Dal 2007 una proposta di legge cerca di anticipare l’identificazione in carcere ma ad oggi nessuno l’ha esaminata come si sarebbe dovuto fare”.
I problemi, secondo la ricerca, nel campo giudiziario sono molti. Quelli su cui prestare maggiore attenzione sono elencati nel rapporto: “i trattenuti non partecipano alle udienze di proroga del trattenimento, nonostante le numerose pronunce della Corte di Cassazione in merito”; “la normativa italiana in materia di patrocinio a spese dello Stato non garantisce consulenze esterne di medici o psicologi dove queste sono necessarie”; “manca una piena assistenza linguistica nel corso di trattenimento, circostanza che ostacola l’accesso alla consulenza legale” e “il personale militare non riceve una formazione giuridica e socio – culturale specifica per lavorare a contatto con i trattenuti”.
La gestione del flusso è fallita. “Il sistema di gestione del flusso è fallito: lo dimostra il fatto che il periodo di trattenimento è passato da 30 giorni a 60, poi è diventato sei mesi, un anno e oggi è stato prolungato un anno e mezzo” sono le parole dell’avvocato Lorenzo Trucco, Presidente dell’Asgi. “Non v’è un codice chiaro: si tratta di privare della libertà persone umane. Dal punto di vista penalistico, un anno e mezzo di detenzione significa bruciarsi la condizionale e farsi una discreta carriera delinquenziale. Perché i trattenuti dei Cie devono essere trattati peggio dei carcerati? E come se non bastasse, la loro pratica circa la convalida del trattenimento è affidata al Giudice di Pace, che nasce con funzioni completamente diverse: da sanzioni pecuniarie il Giudice si ritrova a dover decidere della libertà di un essere umano”.

La Repubblica, 11 febbraio 2013


Carcere – Comunicato collettivo di 245 prigionieri del carcere di Saluzzo

Riceviamo e diffondiamo un documento firmato da 245 prigionieri del carcere di Saluzzo. Ricordiamo il presidio che si terrà sotto quelle mura il 16 febbraio 2013.

comunicato-stampa-blogComunicato

Noi sottoscritti detenuti della Casa di Reclusione di Saluzzo, con la seguente, vogliamo rendere testimonianza di tutti gli abusi che quotidianamente subiamo presso l’istituto di Saluzzo ad opera della direzione e di tutti gli organi dirigenziali.

Faremo alcuni esempi di quello che siamo costretti a subire nell’attesa che siano presi seri provvedimenti e che vengano rispettati i diritti di noi detenuti come previsto da norme e leggi.

Chiediamo che:

Art. 6 O.P. – La direzione si faccia carico di voler provvedere alla consegna di coperte, piatti e posate per tutti i nuovi giunti, perché è ignobile che chiunque arrivi in questo istituto non abbia coperte per ripararsi dal freddo e piatti con posate per mangiare.

Art. 8 O.P. – Chiediamo che ci venga concesso di poter avere detersivi, spazzolone, scopa e stracci e secchi per l’igiene della cella, così come shampoo, saponi, dentifrici, spazzolini, etc., per l’igiene e la cura della persona.

Art. 12 O.P. – Facciamo presente che i prezzi del sopravvitto lievitano ogni mese, oltre ad essere prodotti di sottomarca dei discount li paghiamo come generi di prima qualità ed i prezzi non coincidono mai con il listino della spesa perché subiscono sempre aumenti, non consono rispetto a quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario perché i prezzi subiscono variazioni di mercato ed ogni tre mesi devono essere visionati come previsto dall’O.P.

Art. 11 O.P. – Il vitto prevede che nei giorni feriali e festivi sia passato una sola volta al pranzo, così chi non ha la possibilità di potere cucinare viene costretto ad un digiuno forzato, come avviene attualmente per l’elevato numero di detenuti indigenti e extra-comunitari. (*)

Caloriferi – La direzione, nonostante il freddo gelido e le elevate temperature invernali, nel pomeriggio spegne i caloriferi dalle ore 15.30 sino alle ore 18.15 per poi spegnerli di nuovo alle ore 20.30 e riaccenderli alle ore 7.30 senza tenere conto del freddo insopportabile e delle rigide temperature esterne e interne.

Art. 36 O.P. D.P.R. N°230 – In questo istituto non vengono consegnati gli opuscoli dove c’è scritto “Diritti e doveri” di ogni singolo detenuto, così come sancito dal D.P.R. N°230 dove è scritto chiaramente che: il regolamento interno deve essere portato a conoscenza di detenuti e internati. Questo non avviene, contravvenendo alla seguente norma del 30-6-2000 n° 230.

Usufruizione dei benefici – Tantissimi detenuti con pene residue e irrisorie si vedono negati ogni beneficio, a nessuno viene concesso di poter usufruire di pene alternative come: l’affidamento, la semilibertà oppure permessi premio; il piano trattamentale è accessibile solo per pochissimi ristretti, dato il numero esiguo degli educatori, impossibilitati a seguire 420 detenuti.

Lavoro detenuti – Il lavoro per i detenuti è concesso solo a pochissime persone, in più vengono retribuiti con miseri stipendi, pagati per 2 o 4 ore, mentre le ore lavorative svolte superano le 6 / 8 ore, così come viene sfruttata la manodopera a favore dell’Amministrazione Penitenziaria.

Per concludere: vogliamo sottolineare l’importanza di questa nostra petizione che sarà portata all’attenzione dell’opinione pubblica sul sito internet “informa-azione.info“, per sensibilizzare le persone su quanto accade nell’istituto di Saluzzo, date che tantissimi scioperi della spesa non hanno sortito nessun effetto e non hanno portato la direzione a risolvere i nostri problemi.

Inoltre:

Desideriamo ringraziare tutti/e i/le compagni/e che verranno qui fuori a manifestare in solidarietà con tutti noi detenuti e prigionieri; un abbraccio a tutti/e i/le detenuti/e in lotta contro abusi, pestaggi, prevaricazioni e quant’altro avviene in tantissimi carceri d’Italia, affinché questo obbrobrio finisca e vengano rispettati i diritti di noi detenuti; solidarietà a tutti/e i detenuti nelle sezioni di isolamento, trattenuti contro la loro volontà e che lottano per il rispetto dei diritti di tutti/e i/le detenuti/e; e solidarietà per i compagni di Alessandria nella sezione AS2.

Per terminare:

Ci riserviamo in futuro di intraprendere altre forme di proteste pacifiche e iniziative volte ad ottenere il rispetto della dignità umana oltre che i nostri diritti, perché prima che detenuti siamo esseri umani.

P.S. Un ringraziamento particolare a tutti/e i/le volontari/e che prestano il loro aiuto ai detenuti.

In fede i detenuti

[Seguono 245 firme]


Protesta nel carcere di Massama Trenta detenuti in sciopero della fame

Una trentina di detenuti del carcere di Oristano -Massama, collocati nella sezione al primo piano dell’Istituto, da ieri si astengono dal cibo per denunciare le condizioni di inadeguatezza della Casa Circondariale.

badu e c arfroLo ha reso noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sottolineando che nella nuova struttura sono attualmente presenti 200 detenuti. “Gli autori della protesta lamentano carenze strutturali, l’assenza della biblioteca, delle attrezzature per rendere agibile la palestra ed il campo sportivo. Carenze che li costringono – ha spiegato Caligaris – a restare chiusi dentro le celle. Giudicano ingiustificabile la chiusura dei blindi e degli spioncini durante il giorno e la impossibilità di effettuare liberamente la socialità. Tra le lamentele anche il fatto di non poter stendere i panni all’aperto e la non disponibilità di prodotti per la pulizia delle celle. L’altra carenza riguarda la fruizione dell’acqua calda per le docce riservata solo alle prime ore del mattino. A distanza di poco più di un mese, da quando avevano lamentato condizioni di invivibilità, i detenuti della struttura, inaugurata a novembre, intendono riproporre con forza le loro ragioni. La buona volontà della Direzione che è impegnata a garantire innanzitutto il diritto alla salute, in quanto ancora l’Asl non è riuscita ad assegnare i medici per 24 ore, non è bastata a ridurre il disagio che da ieri è sfociato nello sciopero della fame”.


Aggiornamento! – Attivisti NoTav “assaltano” Chiomonte Due valsusini arrestati dalla polizia + comunicati

LIBERI! LIBERATI STASERA (11-02-13)

Un centinaio di persone ha effettuato tagli alle recinzioni nell’area del cantiere e appicato incendi nei boschi. Uno dei fermati aveva un sacchetto con oltre 130 pietre

bacioUn centinaio di attivisti del movimento No Tav ha preso d’assalto nella  notte il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte Un quadro elettrico esterno alle recinzioni è stato incendiato interrompendo l’illuminazione nell’area: in quel momento sono iniziati gli attacchi lungo il perimentro e in alcuni punti gli attivisti hanno tagliato le recinzioni e sono entrate all’interno dell’area al di sopra dell’imbocco del tunnel geognostico.

Hanno tolto uno dei cartelloni delle ditte appaltatrici mentre altri gruppi distraevano l’attenzione delle forze dell’ordine a presidio dell’area appiccando piccoli incendi nel bosco vicino.
Lanciati anche pietre e petardi. Danneggiato un mezzo usato nel cantiere e abbattuta una torre faro.Durante una perlustrazione nei boschi sono stati trovati bulloni, biglie, materiale esplodente e diversi involucri di petardi espolsi.

Le forze dell’ordine hanno arrestato due valligiani: Cristian Rivetti, 33 anni ed Emanuele Davi, 41 anni. Le accuse sono di danneggiamento aggravato e continuato in concorso e resistenza a pubblico ufficiale, e possesso di oggetti atti a offendere. La polizia li ha trovati in possesso di caschetti protettivi, guanti da lavoro, mascherina da saldatore in plastica, occhiali da piscina, torce elettriche, maschere antigas, passamontagna, fionda, un sacchetto in tessuto di jeans contenente 133 pietre (applicato alla cintura di uno dei due), cesoie e una matassa di cavo elettrico.

“Si é trattata di un’inqualificabile azione squadrista – commenta il consigliere provinciale del Pd Antonio Ferrentino –
probabilmente il gruppo dei No Tav era galvanizzato dalle ultime notizie relative alle recinzioni, e i problemi avuti con il Comune di Chiomonte”. Pochi giorni fa, infatti, era stato reso noto il contenzioso – con successivo ricorso al Tar – tra il Comune che ospita il cantiere della Maddalena, e la societá Ltf, in merito alle reti delle recinzioni, che sarebbero abusive.Aggiunge il deputato del Pd Stefano Esposito “Le azioni di questi teppisti sono coordinate dai sindaci e amministratori che danno le dritte politiche”.

Fonte

no tav

Dom. 10 febbraio, fiaccolata per Emanuele e Cristian

Dopo il fermo di Emanuele e Cristian nella serata di venerdì 8 febbraio 2013, il movimento NoTav vuole dare un segnale forte di vicinanza e solidarietà ai due. La risposta davanti all’ennesima intimidazione non è tardata ad arrivare, indicendo una fiaccolata per le vie di Mattie. Riportiamo qui sotto l’invito del Movimento NoTav e del comitato NoTav di Mattie a partecipare all’iniziativa.

Il comitato NoTav di Mattie e il movimento NoTav invitano tutti coloro che vogliono portare solidarietà a Cristian e Lele alla fiaccolata che si snoderà per le vie del paese passando vicino alle case dei compagni che stanno subendo l’ennesima prova intimidatoria.

Ritrovo DOMENICA 10 FEBBRAIO ore 20.30 presso la piazza del Comune di Mattie

Comitato MATTIE NOTAV

bacioIL MOVIMENTO NON SI ARRESTA!

Il movimento non si arresta e, si assume la responsabilità dell’azione avvenuta nella serata di venerdì 8 febbraio scorso presso il cantiere Clarea. Un’azione che non è la prima e non sarà di certo l’ultima; una resistenza che continuerà finché rimarranno in piedi muri, reti e cantieri.
Per imporre una grande mala opera sempre più insostenibile,loro si preparano ad accrescere tecnologie di guerra e repressione ai danni della popolazione, delle finanze pubbliche e dei diritti reali.
Noi non ci faremo certo intimidire e, con la forza e la lucidità che ci vengono dalla consapevolezza di essere nel giusto, continueremo la lotta per la liberazione del territorio, delle nostre vite e del futuro di tutti.

Cristian ed Emanuele, nostri compagni valsusini, sono tutti noi. Denunciamo il loro fermo come l’ennesima vile intimidazione nei confronti della valle e del movimento NoTav, e ne pretendiamo l’immediata liberazione.

LIBERI TUTTI! LIBERI SUBITO! ORA E SEMPRE NOTAV!

Comitato di lotta popolare Bussoleno

bacio

La rassegnazione non è di casa da queste parti…

Commentiamo l’ennesima notte di resistenza notav al cantiere della Maddalena. Quel cantiere che installato con la forza, fortificato abusivamente, e difeso da centinaia di uomini e mezzi delle forze dell’ordine e dell’esercito continua a subire incursioni e avversità varie.

Da tempo le notti non sono tranquille per l’apparato di sicurezza ed è stato così anche questa notte come si evince dal video che ci è stato recapitato, dove si vedono centinaia di notav intenti a danneggiare le reti, il cantiere e la strumentazione interna, visto che almeno metà fortino è rimasto al buio.

Le bandiere notav sventolano all’interno della fortificazione e si confrontano anche con un mezzo dell’esercito, il famigerato Lince, che preferisce la fuga di fronte alla determinazione.

Sono Cronache di Resistenza, non hanno altro nome.

I giornali locali titolano paroloni e nascondono la contraddizione di un cantiere illegittimo e illegale che continua a far spendere soldi pubblici ad una collettività che necessita d’altro, rispetto all’ennesimo furto ai danni dei servizi sociali e alle vere prorità di questo paese.

Dalle cronache si apprende di due valsusini fermati e arrestati in circostanze che non sono chiare, e non sicuramente durante l’assalto al cantiere. Ci dispiace per i vari Numa, Esposito e Ferrentino ma i due notav sono di Mattie, Val Susa, la Valle che Resiste e non fanno parte dei soliti mostri da sbandierare: centri sociali antagonisti o il bau bau dell’anarco insurrezionalista.

A Cristian ed Emanuele va tutta la nostra solidarietà e non mancheremo nel più breve tempo possibile di dimostarla mobilitandoci.

Nonostante i trionfalismi della lobby si tav, il dato di fatto è che la resistenza popolare a questa nefandezza non si arrende e non si rassegna, e  la lotta continua…

NO TAV


Antigone presenta monitoraggio Osservatorio europeo su condizioni detenzione

Presentato a Roma da Antigone l’Osservatorio europeo. Otto i Paesi coinvolti: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. In Italia oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare.
cordatesaÈ nato il primo Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione. A presentarlo oggi a Roma, presso la Sala Convegni della Casa circondariale Regina Coeli, è l’associazione Antigone. L’Osservatorio è sostenuto dalla Ue e coordinato dalla stessa Antigone, che avrà il compito di monitorare il sistema penitenziario su scala europea. I paesi coinvolti sono otto: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. Durante la conferenza stampa sono stati forniti dati e numeri inediti sulla situazione carceraria in Europa.
L’Osservatorio, che mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, ha l’ambizione di fungere da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600 mila persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea. “Lo scambio di buone prassi che il network costruito dall’Osservatorio permette – è stato sottolineato in sede di presentazione – è una risorsa fondamentale per la soluzione degli specifici problemi di ciascun sistema penitenziario nazionale”.
La fotografia dell’Europa. In Italia la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato i problemi principali delle prigioni italiane, primo tra tutti un tasso di affollamento pari al 146 per cento. Oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, “una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25 per cento”. I detenuti stranieri nelle carceri italiane sono il 37 per cento del totale mentre circa il 30 per cento della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti. “L’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over.
Sfortunatamente le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate”.
Non sta bene nemmeno la Francia, che ha assistito negli scorsi anni a una crescita drammatica della popolazione detenuta. I detenuti sono oggi il 36 per cento in più rispetto al 2001.
“Grandi progetti di edilizia carceraria non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento e – data la natura delle costruzioni – hanno invece creato altri problemi, quali un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti più violenti”.
Il tasso di suicidi continua a essere molto elevato e le politiche securitarie impongono misure di sicurezza estremamente rigide all’intera popolazione carceraria, compresi i detenuti caratterizzati da una bassa pericolosità sociale. “Queste condizioni si sono dimostrate controproducenti in termini di sicurezza pubblica, comportando piuttosto un alto tasso di recidiva”.
In Grecia il sistema penitenziario è caratterizzato da un grave sovraffollamento e da condizioni di vita estremamente degradate.
Si aggiungono a questi problemi quelli della carenza di personale, dell’abuso della custodia cautelare, di una massiccia presenza di detenuti stranieri e di persone accusate o condannate per crimini legati alla droga. La lunghezza delle pene inflitte è andata aumentando e con essa anche la lunghezza del periodo tempo effettivamente trascorso in prigione. “La retorica governativa legata all’umanizzazione del sistema penitenziario, alla promozione delle alternative alla detenzione e alla riduzione della popolazione detenuta si scontra con una prassi che vede un mero ammassare le persone nelle carceri senza alcuna prospettiva”.
La Lettonia, con i suoi 300 detenuti ogni 100 mila abitanti, presenta il tasso più alto di carcerazione tra i paesi dell’Osservatorio, nonché uno dei più alti nell’intera Ue.
Quasi il 30 per cento dei detenuti è in custodia cautelare. Il numero di stranieri in carcere è molto contenuto.
Anche in Polonia, oltre venti anni dopo la trasformazione politica, il sistema penitenziario sta ancora affrontando seri problemi. “C’è la necessità di una riforma più radicale. Sono ancora gravissime le questioni del sovraffollamento, delle condizioni degradate di detenzione, della mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti”. Con l’ingresso nell’Unione Europea, la Polonia si è trovata di fronte nuove sfide, tra cui il crescente numero di detenuti stranieri e la necessità di adeguare le proprie carceri agli standard europei.
Nonostante il Portogallo abbia un tasso di criminalità relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei, la popolazione detenuta non è inferiore a quella che si aveva negli anni ’90, quando si crearono drammatiche condizioni di sovraffollamento. Dopo qualche anno in cui era andato diminuendo, infatti, il numero dei detenuti sta nuovamente crescendo in fretta. La nuova ondata di sovraffollamento si è abbattuta sul Paese a partire dal 2012, e non si vedono per ora prospettive di miglioramento. Vari sono stati inoltre gli episodi di morte in carcere i quali non hanno trovato una spiegazione ufficiale.
In Spagna, tra i principali problemi delle carceri c’è sicuramente quello del sovraffollamento, che impedisce di scontare la pena in condizioni dignitose. Gravissima anche la situazione relativa all’assistenza sanitaria. “A seguito della crisi economica, l’amministrazione penitenziaria spagnola è andata riducendo le prestazioni mediche. La popolazione detenuta è soggetta a un alto tasso di malattia e la carenza di cure specialistiche, in particolare rispetto alla salute mentale e alle specificità di donne e bambini, si fa dunque sentire in carcere con più forza che altrove”. La crisi economica ha indebolito anche il diritto alla difesa, mentre paradossalmente vanno aumentando i servizi privati all’interno delle carceri.
Infine il Regno Unito, che lungo gli ultimi due decenni ha assistito, anno dopo anno, a una crescita della popolazione detenuta. Insieme a ciò si è avuta un’esplosione nell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena.
Più detenuti in Gb, in Italia maggior sovraffollamento
I dati del monitoraggio dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione. In Italia 139,7 detenuti ogni 100 posti. La percentuale di donne detenute è compresa tra il 3 per cento della Polonia e l’8 per cento della Spagna. Stranieri, Grecia al top
La presentazione dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione da parte di Antigone è stata supportata dai dati resi noti dallo stesso Osservatorio sulle principali differenze tra gli 8 sistemi penitenziari nazionali monitorati (Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito). “I dati riportati, e le tendenze degli ultimi anni – affermano i promotori – , possono essere usati come indicatori di politiche nazionali più o meno virtuose che verranno studiate e confrontate tra loro nei prossimi mesi”.
Popolazione detenuta 2012. Degli otto Paesi dove opera l’Osservatorio, è il Regno Unito ad avere il maggior numero di detenuti: 95.161 (in costante crescita: erano 82.572 nel 2008 e 84.725 nel 2010). Seguono Polonia (85.419, quasi 5 mila in più del 2010), Spagna (69.037, quasi 5 mila in meno del 2010) e Italia (65.701, erano 68.345 nel 2010 e 55.831 nel 2008). I sistemi penitenziari monitorati ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400 mila detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. “Anche se in molti paesi il numero dei detenuti è in questi anni cresciuto, questa tendenza non è univoca o necessitata. In Italia o in Spagna ad esempio la popolazione detenuta è calata negli ultimi due anni”, si afferma.
cordatesaTassi di detenzione. I tassi di detenzione indicano il numero di persone detenute per ogni 100 mila cittadini e rappresentano la misura del ricorso al carcere in ciascun paese. I tassi di detenzione più alti si registrano in Lettonia (297) e in Polonia, due nuove membri dell’Unione che in passato hanno fatto parte del blocco sovietico. In Europa meridionale, invece, i tassi di detenzione più alti si registrano in Spagna (148,7). In Italia il tasso è al 107,7.
Sovraffollamento. Il sovraffollamento è rappresentato dal numero di detenuti effettivamente stipati in 100 posti e, come mostrato dall’Osservatorio, è un problema molto serio per l’Europa mediterranea. “D’altro canto – si afferma – la capienza dei sistemi penitenziari è misurata in modo molto diverso nei vari paesi, e ad esempio per la legislazione italiana ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 mq, in Lettonia solo 2,5 mq. Si tratta inoltre di un valore medio. In ogni paese ci sono istituti che sono molto più affollati della media, ed altri che lo sono molto”. Ciò premesso, i dati dicono che è l’Italia il Paese con il maggiore indice di sovraffollamento (139,7 detenuti ogni 100 posti, erano 153, 2 nel 2010 e 129,9 nel 2008). Alta anche la Grecia (136,5) e la Francia (113,2).
Donne detenute. La percentuale di donne detenute in Europa è compresa tra il 3 per cento della Polonia ed quasi l’8 per cento della Spagna. In molti paesi questa percentuale è andata calando negli ultimi anni (come in Grecia, in Spagna e nel Regno Unito), mentre è andata crescendo in Lettonia ed in Polonia. Come detto, della Spagna la percentuale più alta (7,6 per cento), mentre l’Italia rimane sostanzialmente stabile con il 4,3 per cento (era il 4,4 per cento nel 2010 e nel 2008). Detenuti stranieri. “La percentuale di detenuti stranieri è uno dei temi sui quali i paesi monitorati differiscono maggiormente”.
Estremamente alta, e decisamente in crescita, in Grecia (63,2 per cento della popolazione carceraria, contro il 55,5 per cento del 2010 e il 48,3 del 2008), è generalmente molto alta nell’Europa mediterranea, in particolar modo in Italia (35,8 per cento, comunque in calo rispetto al 36,6 per cento del 2010 e al 37,4 per cento del 2008) e in Spagna (33,3 per cento, ugualmente in calo). Il fenomeno è sostanzialmente inesistente in Lettonia (1,3 per cento) e in Polonia (0,7 per cento).
Condanne definitive. In Italia la percentuale di detenuti che scontano una condanna definitiva è del 58,8 per cento (era il 54,2 nel 2010 e il 43,6 nel 2008). La percentuale più alta si registra nel Regno Unito (94,1 per cento), seguita da Polonia (89 per cento) e Francia (88,8 per cento). Alte anche le percentuali di Spagna (81,9) e Portogallo (80,5).
In generale la percentuale di detenuti in custodia cautelare è ampiamente sotto il 30 per cento, con l’evidente eccezione dell’Italia, dove questa percentuale è stata a lungo sopra il 50 per cento ed è attualmente sopra il 40 per cento.
Morti in carcere. La frequenza delle morti in carcere è determinata dividendo il numero di detenuti presenti in un anno per il numero dei detenuti morti in carcere quell’anno, ed è certamente un possibile indicatore del livello di criticità delle condizioni di detenzione in un certo paese. I dati cambiano molto: da una morte ogni 600 detenuti in Polonia ad una morte ogni 200 detenuti in Portogallo. In Italia l’indice è di 357, in diminuzione rispetto al 2010 (433) e al 2008 (461).
Misure alternative. “Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri”, si afferma.
Come mostrato dai dati dell’Osservatorio, il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100 mila abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia (265) e Regno Unito (252) e, più di recente, della Spagna 306,7), alla Polonia (1,1 nel 2010) o al Portogallo (2,2), dove queste misure sono pressoché inesistenti. L’Italia presenta un tasso di 32,8, comunque in crescita rispetto al 2010 (26,2) e al 2008 (8,4).
Anomalia Italia è custodia cautelare, 40% detenuti contro 25% media europea
Con 146 detenuti ogni 100 posti letto, l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è il più alto d’Europa; di contro il tasso di detenzione è in linea con gli altri paesi: con 107 detenuti ogni 100 mila cittadini, contro i 135 della Gran Bretagna, i 149 della Francia, i 99 della Francia. Mettendo a confronto la situazione italiana con quella del resto degli stati dell’Unione Europea emergono invece due differenze sostanziali: l’elevata percentuale di detenuti in custodia cautelare e lo scarso ricorso alle misure alternative, dieci volte in meno che in Spagna o in Francia.
I dati diffusi dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, che sarà capofila dell’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione, mettono in rilievo come oltre il 40% della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25%. Qui l’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over e le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate. Infatti, il ricorso alla cosiddetta probation riguarda, rapportato alla popolazione, 33 persone su 100 mila abitanti, mentre in Francia sono 265, nel Regno Unito quasi altrettanti, in Spagna 306,7. Come il resto dei paesi del Mediterraneo è estremamente alta, la percentuale di detenuti stranieri: in Italia il 35,8%, in Spagna il 33,3% in Grecia addirittura il 63%.
L’Osservatorio, presentato oggi, è coordinato dall’associazione Antigone e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Criminal Justice Programme. L’obiettivo è una omogeneizzazione delle condizioni di detenzione che risponda a quanto imposto dagli standard europeì. Monitora i sistemi penitenziari di otto paesi (Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna) che ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400.000 detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. E mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, fungendo da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600.000 persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea.
fonte: Redattore Sociale

Carcere di Sant’Agostino infestato dai topi

cordatesaSavona – Non bastava il sovraffollamento. Ora detenuti e agenti penitenziari del Sant’Agostino devono fare i conti anche con i topi. In passato sono stati effettuati in più occasioni interventi di derattizzazione, ma a quanto pare il problema non si è risolto. Qualche giorno fa un avvocato savonese è andato a trovare in carcere il suo cliente,  un uomo arrestato di recente, che quando il legale gli ha chiesto come si trovasse in carcere, con chi fosse finito in cella, si è lamentato dei topi: «Escono dal water» – ha raccontato all’avvocato che poi si è informato con gli agenti penitenziari i quali gli avrebbero confermato che sì, il problema c’è e non ha trovato appunto ancora una soluzione concreta.

Fonte

 


Giornata internazionale di mobilitazione per Georges Abdallah !

Il 10 gennaio un tribunale francese ordinava infine il rilascio (legato a un’espulsione) di Georges Abdallah, dopo oltre 28 anni trascorsi detenuto in Francia.

cordatesaMalgrado tale detenzione eccezionalmente lunga, Georges Abdallah ha mantenuto il suo impegno al servizio dei popoli arabi libanese e palestinese contro il sionismo, l’imperialismo e la reazione araba.

Georges era divenuto contemporaneamente un esempio dell’accanimento della repressione imperialista, e un esempio di resistenza e di determinazione rivoluzionarie.

Dunque, noi abbiamo creduto al rilascio di Georges, ma le autorità francesi, non emettendo l’ordinanza di espulsione, hanno reso inoperante la decisione del tribunale. Sotto pressione diretta e chiara degli USA (dichiarazione del Dipartimento di Stato, petizioni di membri del Congresso…), il governo francese perpetua così il blocco di una decisione del tribunale.

La social-democrazia francese, che è sempre stata strettamente legata all’imperialismo americano e al sionismo, lo dimostra ancora una volta.

Il Soccorso Rosso Internazionale è fiero di aver iniziato più di 10 anni fa la campagna per il rilascio di Georges Abdallah. Dall’inizio di questa campagna, sono decine le manifestazioni in una mezza dozzina di paesi che hanno portato all’iniziativa delle differenti organizzazioni partecipanti alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale e, nel corso degli anni, abbiamo visto estendersi la solidarietà verso Georges, con l’aggregazione progressiva di forze nuove, e trasformarsi finalmente in un movimento grande che denuncia il mantenimento in carcere di Georges Abdallah.

Una giornata internazionale di mobilitazione per il rilascio di Georges Abdallah è organizzata il 27 febbraio, ossia la vigilia della sua prossima comparizione davanti al tribunale per l’applicazione delle pene. Noi chiediamo a tutte le forze partecipanti al processo di costruzione del Soccorso Rosso Internazionale, a tutte le forze con cui intratteniamo rapporti di lavoro, a tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, di rispondere a questo appello e impegnarsi risolutamente per strappare definitivamente il rilascio di Georges.

La Commissione  per un Soccorso Rosso Internazionale

(Bruxelles-Zurigo)

4 febbraio 2013


Montenegro: 400 detenuti in sciopero fame

cordatesaCirca 400 detenuti di un carcere presso Podgorica, la capitale del Montenegro, hanno cominciato oggi uno sciopero della fame per chiedere una legge di aministia. Ne hano dato notizia i media locali.

In un documento fatto pervenire ai giornali, i detenuti lamentano per il cronico sovraffollamento delle prigioni, per l’assistenza sanitaria inadeguata, per la cattiva qualità del cibo. Dal carcere non è stato possibile ottenere una conferma della protesta.


Sciopero della fame contro ergastolo ostativo: detenuto in fin di vita

cordatesaE’ in gravissime condizioni il detenuto ergastolano di origine siciliana Antonino Cacici, di 42 anni, che da diversi giorni sta effettuando lo sciopero della fame contro l’ergastolo ostativo: l’uomo, rinchiuso nel carcere di Sulmona, rifiuta anche la terapia medica e da ieri ha cominciato lo sciopero della sete. A lanciare l’allarme è la Uil Penitenziari.

L’ergastolo ostativo, contro il quale protesta il detenuto, impedisce qualsiasi possibilità di abbreviazione della condanna, perchè inflitto per gravissimi delitti. “Le condizioni di salute del Cacici, che ha rifiutato anche il ricovero presso l’ospedale, cominciano a destare serie preoccupazioni fra i sanitari del carcere – afferma il segretario provinciale della Uil Penitenziari, Mauro Nardella – i medici hanno registrato nel corso dell’ultimo mese un calo ponderale di oltre 20 chili. Il che, unito anche all’aumentato rischio derivante dall’associazione dello sciopero della terapia e della sete, porterà al rischio di un rapido peggioramento delle sue condizioni”.

“La preoccupazione della Uil Penitenziari, oltre che di tutti gli operatori penitenziari, ognuno dei quali armati di umana pietà – conclude Nardella – è che il detenuto, malgrado i ripetuti e sistematici tentativi di dissuasione fatti da tutti, direttori, medici, infermieri, poliziotti penitenziari, educatori e assistenti sociali, possa non arrivare all’appuntamento col Trattamento sanitario obbligatorio ancora in vita”.

Fonte


Cile – Antofagasta rivolta carceraria, un detenuto e due poliziotti feriti

Più di 30 detenuti si sono arrampicati sul tetto,con bastoni e armi da taglio, mentre i pompieri gestivano l’incendio all’interno delle mura

rivoltaUn gruppo di circa 30 detenuti hanno messo in scena una sommossa nel cortile della prigione di Antofagasta, prendendo in ostaggio un poliziotto .

Passate le 15.00, le forze speciali della polizia intervenendo sono riuscite a controllare la rivolta, con un bilancio di due poliziotti feriti e un prigioniero.

La presa del carcere ebbe inizio verso le 12.30, quando un gruppo di prigionieri armati di coltelli artigianali salì sul tetto, appiccando un’incendio. 

Nel frattempo, i parenti dei prigionieri arrivarono sulla scena per sostenere la rivolta, così la polizia dovette intervenire per disperdere la folla con mezzi idrante.

Fonte


Carcere – Comunicato di Maurizio Alfieri sul fango di Tolmezzo e sciopero della fame

da  informa-azione

Riceviamo e diffondiamo questo comunicato di Maurizio Alfieri sulle montature nei suoi confronti ad opera di repressione e pennivendoli di regime, ed una  in cui annuncia l’inizio di uno sciopero della fame contro la noncuranza del dirigente sanitario e l’impossibilità di avere accesso alle giuste cure.
Ricordiamo che il 16 febbraio si terrà a Saluzzo un presidio anticarcerario in solidarietà con Maurizio e tutti i prigionieri di Saluzzo.

maurizio alfieriComunicato di Maurizio Alfieri

Carissimi/e compagni/e,
desidero scrivervi questo comunicato per poter esprimere innanzitutto il mio eterno bene per tutti/e voi, che lottate con ideali e principi contro le ingiustizie di fascisti pronti a reprimere con violenze e abusi tutti coloro che portano la solidarietà nelle piazze, nelle fabbriche, nelle carceri e in tutti i luoghi comuni.
Oggi da una missiva di un mio caro fratello oltre che compagno ho appreso una notizia che mi ha fatto andare su tutte le furie…
Desidero esprimere al giornalista che ha scritto l’infame e indegno articolo pubblicato sul “Gazzettino” quello che penso di lui. Premetto che per la mia buona educazione voglio riservarmi dall’esprimere epiteti verso costui, servo del sistema di cattiva informazione per fuorviare da ciò che accade nel carcere di Tolmezzo.
Questo signore si è permesso di dire che io e Valerio abbiamo sfruttato (i miei cari/e compagni/e e fratelli anarchici) per i nostri scopi!!!
Lei signor giornalista è un codardo, un vile, le povere persone come Enzo Tortora sono morte per gentaglia come lei, che per scopi di lucro scrivevano articoli falsi, così come è abituato a fare lei, non sapendo il significato di dignità e onestà.
Lei sicuramente sarà amico della direttrice e del comandante del carcere di Tolmezzo, forse la retribuiranno! Magari il direttore della sua testata le ha promesso una promozione!!!
A parer mio lei è un vero sfruttatore, non noi. Gli sfruttatori sono la feccia dell’umanità, sono i magnaccia, coloro che delle donne vorrebbero fare merce di scambio, ed io per costoro (giornalisti e magnaccia) provo disgusto, schifo e ribrezzo.
Lei signor giornalista cerchi di preoccuparsi dei pestaggi e di tutto ciò che è accaduto dentro il carcere di Tolmezzo, ma sicuramente lei sarà lo stesso giornalista che alcuni mesi fa sul “Gazzettino” parlava di Tolmezzo come di un albergo a cinque stelle!!!
Si vada a leggere le tante denunce di molti detenuti che sono stati massacrati, lei è un colluso della direttrice, si vergogni per come svolge il suo lavoro e non dimentichi tutti/e i fratelli e sorelle che sono morti nelle vostre patrie galere, dove non sono mai emerse responsabilità di terzi, ma solo omissioni e archiviazioni frettolose. Oggi io voglio dedicare un pensiero a tutti/e i fratelli e sorelle che per colpa di qualche aguzzino sono stati strappati all’affetto dei loro cari (io non vi dimenticherò mai e vi porto tutti/e nel mio cuore). Signor giornalista, non si permetta mai più di insinuare infamie, perché questo fa parte solo del suo palmares.
Un abbraccio a tutti/e i compagni/e e grazie per la tanta corrispondenza che ricevo da tutti/e voi, perché allieta le mie giornate, mi scalda il cuore e mi rende libero senza mura e senza sbarre.
Un forte abbraccio, vi voglio bene.

Saluzzo, sezione di isolamento, 30/01/13

 

Maurizio (“a” cerchiata)   

P.S. Ricordatevi che rispondo a tutti/e.

Nota aggiunta da Maurizio

Esimo da ogni responsabilità qualsiasi compagno/a per i fatti di Tolmezzo. Come risulta da tutti gli atti non c’è stato nessun coinvolgimento di qualsiasi persona e compagni/e, per cui nessuno si può permettere come il giornalista di insinuare anche il minimo coinvolgimento dei presidi del 10/09/12 e del 24/11/12.
Desidero inoltre dire a costui o costoro che non devono insinuare nulla verso i presidi di solidarietà contro i pestaggi e gli abusi che avvenivano e avvengono a Tolmezzo.

Doverosi saluti,
Maurizio Alfieri

bacioLettera di Maurizio sullo sciopero della fame

Saluzzo 4 febbraio 2013

Carissimi/e compagni/e,
mi preme scrivervi quanto mi accade per rendere partecipi tutti/e coloro che vorranno sapere come siamo costretti a vivere e quanto dobbiamo sopportare a Saluzzo. Vi premetto che ho problemi alle ginocchia, dovute a usura delle cartilagini, con segni di meniscopatia, frammenti di cartilagini e una ciste di Baker che mi bloccano l’articolazione. Tutte queste patologie le ho combattute con la forza di buona volontà, correndo “piano” ogni mattina per 1 ora, nonostante mi trattengano in isolamento; qui a Saluzzo è impossibile correre. Aspettavo da giorni dopo aver sollevato il problema, l’ortopedico mi ha prescritto la “cyclette” il 13/01/2013 e di camminare spesso; così stamattina, dopo aver visto che a nessuno interessava del mio stato di salute, ho iniziato lo sciopero della fame. Mentre il dottore di turno misurava tutti i parametri e mi faceva pesare entrò un dottore,   e ho saputo solo in un secondo momento che si trattava del dirigente sanitario. Dopo che il dottore di turno gli ha illustrato la mia situazione, questo fantomatico dirigente sanitario mi guarda e mi dice: “guardi per me lei può correre in cella”!!!
In un primo momento pensavo ad una battuta infelice, solo che appena mi  sono reso conto che dopo aver detto questo è uscito e stava per andarsene, sono corso fuori e gli ho chiesto se stava scherzando; appena mi ha risposto di no gli ho detto che lui aveva sbagliato lavoro… avrei voluto apostrofarlo, solo che erano presenti alcune donne, così mi sono trattenuto, non sapendo chi era costui. Però adesso avendo saputo che è il responsabile dell’Area Sanitaria, mi chiedo come possa svolgere una mansione così delicata!!! Neanche un veterinario avrebbe risposto in questa maniera, ma evidentemente è la sua indole strafottente. A me, come a tutti/e i detenuti e le detenute deve essere garantito il diritto alla salute.
Costui non può arrogarsi il diritto di contraddire una patologia accertata, addirittura senza neanche visionare la mia cartella clinica! Contravvenendo ad un luminare come l’ortopedico!
Qui a Saluzzo  siamo capitati in cattive mani, escludendo gli altri dottori e dottoresse che svolgono il loro lavoro con la massima attenzione, nonostante tutti loro abbiano dato disponibilità a farmi iniziare una fisioterapia, questo fantomatico dirigente sanitario ha stabilito che io posso correre in cella!!!
Questo signore avrebbe bisogno di una visita psichiatrica ed andrebbe esonerato dal suo impiego perché non è idoneo a svolgere la mansione di  responsabile sanitario, dato che nessun dottore si sognerebbe di dare una simile risposta.
Adesso resto in attesa che la direzione mi risponda se qui viene garantito il diritto alla salute… e nel contempo auguro un buon appetito a tutti e tutte e inizio il digiuno forzato grazie a persone come questo signor dirigente…

Un abbraccio a tutti e tutte i compagni e le compagne
Con ogni bene

Maurizio

P.S. Vi aggiornerò di tutti gli sviluppi di questa faccenda

Per scrivergli:
MAURIZIO ALFIERI
VIA REGIONE BRONTA N. 19/BIS
12037 SALUZZO (CUNEO)

 


Cremona – Scritte solidali con Marco Camenisch, due arresti – aggiornato –

riceviamo da mail anonima:

scritta per camenischNella notte tra il 5 e il 6 febbraio vergate scritte in solidarietà con Marco Camenisch, No Tav, ZAD, Villa Amalias, contro il voto, per Bresci e contro la guerra.

Dopo una notte di passeggiate contro i punti del potere, tratti in arresto due compagni.
Perquisizioni nelle abitazioni di vari compagni e deportati nel carcere di Cremona due ribelli.

Seguiranno aggiornamenti.

Aro e Colo Liberi.
Libere/i Tutte/i

foto delle scritte su: 

http://www.cremonaoggi.it/2013/02/06/tornano-i-vandali-in-piazza-s-agostino-sui-muri-scritte-contro-gli-alpini-che-avevano-ripulito-la-zona

AGGIORNATO   9-2-2013

Riceviamo e diffondiamo alcuni comunicati inerenti l’arresto di Aro e Colo
Nel frattempo apprendiamo che i due compagni sono stati scarcerati nel pomeriggio di giovedì!

PRIGIONIERI ESISTENZIALI

Qualche riflessione, un mondo altro.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ad Aro e Colo, compagni di cui condividiamo pensieri e la gioia di quella notte.

Oltre alla solidarietà, affermiamo la nostra complicità nella rottura con questo mondo.

A chi ha usato le parole “prigionieri politici”, PRRRRRRRRRRRR.

Noi ci sentiamo prigionieri esistenziali, dove l’evasione da questo mondo fatto di sfruttamento e oppressione, questo ergastolo sociale, è quello per cui ci battiamo, sentiero che vogliamo esplorare in ogni momento e ovunque.

Riabbracciare i nostri compagni è stata un’emozione indescrivibile, atto pratico della scritta apparsa mercoledì sera, subito dopo l’arresto: I CUORI DI ARO E COLO SARANNO LIBERATI. LIBERI/E TUTTI/E.

C’è chi dice, c’è chi fa. C’è chi tiene la teoria al di fuori della pratica.

Tutto questo ci è avverso, come sbirri, padroni, banchieri, preti, politici e pennivendoli di regime.

Tutto questo ci ha fatto capire, ancora di più, che sono le relazioni rivoltose la sola cosa che salveremmo in questo sistema fatto di merda, di merce e di autoritarismo.

Con profonda collera verso l’esistente, ringraziamo tutte/i della solidarietà mostrata.

anarchiche e anarchici di Cremona

CIP Via Aro e Colo Liberi, 77


Segue comunicato di Aro e Colo:

TERRORISTA È LO STATO

Nella notte di martedì 5 febbraio, mentre ci adoperavamo nell’atto derisorio ai danni del potere bancario, il nostro saper fare è stato interrotto ora dallo spettro di una pallottola in testa ora dal rumore della mano poliziesca. Una volta presi in ostaggio, siamo stati rinchiusi nella sala fermi della caserma dei carabinieri; senza essere informati dei reati commessi, siamo stati lasciati al nulla della stanza fino alla dichiarazione di arresto avvenuta alle 18 del giorno seguente.

Il ricorso alla galera è scattato in quanto nelle nostre abitazioni (perquisite in mattinata), sono stati trovati “pericolosi” scritti anarchici, utilizzati dall’apparato repressivo per costruire la solita menzogna del mostro insurrezionalista. Le accuse con le quali varchiamo l’ingresso di Ca’ del ferro (carcere di Cremona) sono pesantissime e
spropositate ai fatti: due reati associativi, uno per danneggiamento, un’altro per trasporto di esplosivi e, il tanto in voga 280 bis – terrorismo.

Il progetto politico non può che essere mediatico: le cazzate uscite dai giornali e la nostra liberazione avvenuta già Giovedì ne sono la conferma. Prigionieri politici!? Siamo anarchici: il privilegio della politica non solo ci disgusta, ma lo combattiamo come ogni forma di autorità.

Tutti liberi – tutti viventi!

Un caldo abbraccio agli amici/compagni/solidali

che fin dalle prime ore di mercoledì hanno scaldato i nostri cuori.

Per la libertà,

Aro e Colo.

 


Rebibbia, detenuto muore dopo malore

si è sentito male dopo una seduta di ginnastica. Soccorso con il defibrillatore dal personale presente, è stato immediatamente trasferito all’ospedale “Sandro Pertini” dove, pero’, è deceduto poco dopo il suo arrivo

bacioL’uomo era detenuto in una cella della sezione G 9 del carcere di Rebibbia N. C., quella riservata ai cosiddetti reclusi precauzionali, proveniente da Genova. Ex carabiniere della stazione di Genova-Sampierdarena, sospeso dall’Arma, Schena stava scontando una condanna per  una serie di reati fra i quali la vendita di falsi titoli onorifici del “Sovrano Ordine di Malta e di Cilicia” e falsi attestati di onorificenza dell’Onu in cambio di denaro da destinare a suo dire a scopi benefici.

“Quest’uomo non soffriva, almeno in apparenza, di patologie così gravi da metterlo a rischio di vita – ha detto il Garante dei detenuti – Il problema, pero’, è che gli attuali livelli di sovraffollamento, la carenza di risorse e le gravi difficoltà in cui versa la sanità penitenziaria del Lazio, fanno sì che le carceri non siano le strutture più adeguate a garantire livelli ottimali di tutela della salute alle persone che vi sono recluse”.

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La morte di Attinà in carcere resta senza colpevoli

Assolto l’ispettore di polizia accusato di omicidio colposo che permise al detenuto di avere in cella il fornellino da campeggio con il gas che lo uccise

si muore di carcereLIVORNO. Nicola Citi, 43 anni, ispettore di polizia penitenziaria abbraccia il suo avvocato quando il giudice Gioacchino Trovato finisce di leggere, dopo mezzora di camera di consiglio, la sentenza la quale lo assolve con formula piena per la morte di Yuri Attinà, il detenuto scomparso il 5 gennaio 2011 nel carcere delle Sughere dopo aver inalato da un fornellino da campo una grossa quantità di gas butano.

Una decisione che «rende giustizia a un agente che ha sempre cercato di fare bene il proprio lavoro», come spiega l’avvocato Luciano Picchi che ha difeso Citi con il collega piombinese Giovanni Marconi. Ma che dall’altra parte fa restare senza colpevole una morte che scosse l’opinione pubblica. «Si vive di ingiustizie e si muore in carcere», recitava uno striscione che alcuni amici della vittima esposero fuori dal carcere dopo la scomparsa di Attinà.

L’agente di polizia penitenziaria era accusato di omicidio colposo. Secondo il pubblico ministero Massimo Mannucci – si legge nel capo d’imputazione – «in qualità di ispettore in servizio nella casa circondariale di Livorno, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e nell’aver revocato momentaneamente una disposizione da egli stesso adottata l’11 dicembre 2010 che vietava l’uso del fornellino da camping consentendo poi al detenuto di utilizzarlo».

Al centro delle indagini, in particolare, sono finiti due documenti: uno risaliva, appunto, all’11 dicembre, il secondo al 28. Nel primo, visti i precedenti del detenuto, viene vietato l’uso del fornellino in cella. Diciassette giorni più tardi, Citi, avrebbe firmato – sosteneva anche la parte civile – un documento nel quale autorizza ad usarlo o comunque a dividere la cella con detenuti che lo hanno a disposizione.

Yuri Attinà alle Sughere, era al settimo padiglione, in cella con due compagni. Pare che alcuni giorni prima avesse rassicurato l’agente dicendo che non avrebbe fatto uso del gas e forse per questo l’ispettore gli avrebbe dato fiducia. Ma il pomeriggio del 5 gennaio ha inalato il gas e non si è più svegliato.

Nel procedimento si erano costituite parte ci vile la sorella e la nipote del ventottenne. «La responsabilità di questa storia è di Yuri – diceva la nipote all’indomani della tragedia – che l’ha pagata anche cara. Ma se c’è qualcuno che ha sbagliato è giusto che paghi».

A distanza di due anni dalla tragedia e dopo diversi rinvii il giudice ha deciso che non ci sono altri colpevoli.

Fonte 9/2/13


Svizzera: detenuti appiccano incendio in carcere Bois-Mermet

Due detenuti nel carcere di Bois-Mermet, a Losanna, sono stati tratti in salvo giovedì sera dopo aver appiccato il fuoco alla loro cella. I due giovani avrebbero tentato di suicidarsi.

fiammaEntrambi ventenni, i prigionieri hanno appiccato il fuoco a diversi oggetti verso le 22, dopo aver fumato una sigaretta insieme, riferisce oggi la polizia. Intervenuto rapidamente, il personale penitenziario ha trovato uno dei detenuti privo di sensi, mentre il secondo lamentava dolori e difficoltà respiratorie.

Secondo la polizia, i due giovani – un brasiliano e uno svizzero – avrebbero voluto togliersi la vita. Una lettera in questo senso è stata rinvenuta nella tasca del detenuto privo di sensi, mentre il secondo ne ha consegnato una identica ai soccorritori.

Nel marzo 2010 il detenuto Skander Vogt era deceduto in condizioni analoghe a Bochuz (VD). In seguito alla sua morte, il Cantone ha varato diverse misure, fra le quali la revoca della responsabile del Servizio penitenziario vodese.

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Carceri: detenuto tenta suicidio a Taranto, e’ in condizioni disperate

impiccatoTaranto, 9 feb. – (Adnkronos) – E’ in condizioni gravissime il detenuto straniero, di 29 anni, proveniente dai paesi dell’Est, che questa mattina ha tentato il suicidio nel bagno di una cella del carcere di Taranto. Lo riferisce all’Adnkronos Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) che si trova sul posto. L’uomo, giudicabile per reati contro il patrimonio, e’ stato trasportato poco fa all’ospedale civile ‘Santissima Annunziata’. Secondo le prime informazioni potrebbe aver utilizzato una corda rudimentale ricavata da un lenzuolo, legandola alla finestra del bagno e annodandosela al collo. Per mettere in atto l’insano gesto ha atteso che tutti i compagni di cella uscissero per recarsi al passeggio. Inoltre ha bloccato la porta di ingresso al bagno interno alla cella per impedire che qualcuno intervenisse per salvarlo.

”Nonostante cio’ – sottolinea Pilagatti – l’agente di servizio nella sezione, durante il giro di controllo, si e’ insospettito per il silenzio del detenuto e quindi e’ entrato nella stanza dando contemporaneamente l’allarme ai colleghi”. Quindi con una spallata ha aperto la porta del bagno prestando soccorso al detenuto al quale, unitamente ai sanitari, ha fornito le prime cure. Subito dopo il detenuto e’ stato portato dal 118 in ambulanza in ospedale. Le sue condizioni sarebbero disperate. ”Il Sappe – evidenzia Pialagatti – deve prendere atto della grave situazione in cui versa il carcere d Taranto dovuta al sovraffollamento di detenuti a cui si contrappone una grave carenza di personale. Mentre la situazione precipita, il vice capo della Direzione dell’amministrazione penitenziaria (Dap ndr) continua a giocare con la vigilanza dinamica che nei fatti ha l’effetto di sguarnire le sezioni detentive. Negli ultimi tempi – conclude Pilagatti – decine, se non centinaia, sono stati gli interventi dei poliziotti penitenziari che hanno evitato suicidi. Con la vigilanza dinamica sarebbero tutti morti”.

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Messico, Circa 400 prigionieri in rivolta a Los Cabos

CITTA ‘DEL MESSICO, 8 febbraio (IRIN) –

   sbobba Circa 400 prigionieri del Centro de Reinserción Social de Los Cabos, che si trova nello stato di Baja California Sur, in Messico nord-occidentale, si sono ribellati per denunciare carenze alimentari e hanno minacciato di bruciare il carcere.

   La rivolta iniziata alle 14, quando un centinaio di prigionieri si è concentrata nella cucina del carcere per chiedere miglioramenti nella loro dieta. Col passare del tempo si sono aggiunti più prigionieri, quindi da parte delle guardie si è alzato il livello di guardia.

   360 soldati – tra polizia e militari – sono stati mandati all’interno della prigione de Los Cabos per sedare la protesta. Come riportato dal portavoce della città, Miguel Arroyo,la rivolta è sotto controllo per il 70 per cento.

   Arroyo ha confermato al quotidiano ‘El Universal’ che i rivoltosi hanno messo in atto le loro minacce e hanno bruciato alcune zone della cucina e del laboratorio, ma ha anche assicurato che l’incendio è sotto controllo.

   Egli ha escluso l’esistenza di vittime. “Al momento, non ci sono segnalazioni di detenuti feriti o deceduti, ma, in ogni caso, sono stati mobilitati squadre di soccorso e ambulanze”, ha spiegato.

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Traduzione CordaTesa


Solidarietà – Nasce Cassa Antirepressione Sud

riceviamo e diffondiamo:

fuoco alle galereNasce Cassa Antirepressione Sud!

La cassa antirepressione sud nasce dall’esigenza di alcune individualità anarchiche siciliane, di raccogliere fondi a sostegno dei prigionieri, per esprimere solidarietà agli stessi e inviare, a chi finisce in galera, contatto e appoggio da parte di gruppi o persone sensibili alla questione carcere.

DELLE GALERE SOLO MACERIE!

per info: cassaantirepressionesud@gmail.com – http://cassaantirepressionesud.blogspot.it/

Per donazioni:
ricarica postepay : 4023 6006 4052 5574 (intestata a Kevin Giacalone)
ricarica conto paypal: cassaantirepressionesud@gmail.com


Intorno a torture, carceri… e altre italiche attitudini

Diffondiamo un’interessante articolo preso da contromaelstrom.com

carcereEra il 1948, nel Parlamento una parte delle forze politiche voleva un cambiamento effettivo e sostanziale dal regime fascista, perlomeno sull’aspetto giuridico-repressivo (non su quello economico-politico). Un’altra parte, poi dimostratasi maggioritaria, volle mantenere alla nascente “democrazia” lo stesso carattere giuridico e repressivo.   Il terreno di questo scontro era: il codice penale di pretta marca fascista- il Codice Rocco; il reato di tortura; le carceri.  Strano? Gli stessi punti di oggi (2013)

Quelli che seguono sono estratti delle sedute parlamentari (al Senato) dove avvenne questo scontro.                                                                                                                                    Fate attenzione alle parole di Calamandrei là dove dice che di carcere ne dovrebbero parlare chi l’ha subito («bisogna aver visto, bisogna esserci stati»!); ma anche là dove si domanda se dover vietare la “tortura” significa riconoscere che la tortura «in Europa. nel 1948,c’è dunque ancora bisogno di inserire… questa avvertenza»? (Attenzione, questo è un motivo per cui in Italia difficilmente inseriranno nel codice il reato di tortura, perché significa riconoscere che la tortura si pratica!)

Ecco, questo era ed è  il Bel Paese! Io mi vergogno di appartenerci… almeno finché non lo ribaltiamo sottosopra, e voi?

L’inchiesta sulle carceri e sulla tortura

(Discorsi pronunciati alla Camera dei deputati nelle sedute del 27-28 ottobre 1948)

Seduta del 27 ottobre 1948

Calamandrei.  Onorevoli colleghi, al Senato è stato parlato lungamente delle carceri. È un argomento sul quale, credo che quello che dirò non potrà suscitare opposizione o interruzioni da nessuna parte. Si è parlato lungamente delle carceri e ne hanno parlato soprattutto coloro che più avevano il diritto di parlarne, cioè quelli che vi sono stati lungamente, che vi hanno sofferto e che hanno sperimentato quel che vuol dire esser recluso per dieci o venti anni. Signor Ministro, alle raccomandazioni fatte al Senato sulla necessità di una riforma fondamentale dei metodi carcerari e degli stabilimenti di pena, ella ha risposto dando generiche assicurazioni. Ora, io vorrei che non ci si contentasse di assicurazioni non impegnative, come tutti i Ministri – anche quando sono seri e coscienziosi come ella è – sono disposti a dare, nel rispondere alle osservazioni che si fanno sui loro bilanci. Io vorrei che da questa esperienza di dolore che colleghi di questa Camera e del Senato hanno sofferto, nascesse per l’avvenire un effetto di bene. Questo mistero inesplicabile della vita umana che è il dolore, si può forse avvicinarsi a spiegarlo, soltanto quando si pensi che il dolore di un uomo possa servire a risparmiare il dolore ad altri uomini; e allora si sente che anche il dolore può avere la sua ragione. Ora, questa esperienza di dolore che i nostri colleghi hanno fatto non deve andare perduta. In Italia il pubblico non sa abbastanza – e anche qui molti deputati tra quelli che non hanno avuto l’onore di esperimentare la prigionia, non sanno -che cosa siano certe carceri italiane. Bisogna vederle, bisogna esserci stati, per rendersene conto. Ho conosciuto a Firenze un magistrato di eccezionale valore che i fascisti assassinarono nei giorni della liberazione sulla porta della Corte d’appello, il quale aveva chiesto, una volta, ai suoi superiori il permesso di andare sotto falso nome per qualche mese in un reclusorio, confuso coi carcerati, perché soltanto in questo modo egli si rendeva conto che avrebbe capito qual è la condizione materiale e psicologica dei reclusi, e avrebbe potuto poi, dopo quella esperienza, adempiere con coscienza a quella sua funzione di giudice di sorveglianza, che potrebbe esser pienamente efficace solo se fosse fatta da chi avesse prima  esperimentato quella realtà sulla quale deve sorvegliare. Vederequesto è il punto essenziale. Per questo, signor Ministro, ho presentato un ordine del giorno con cui si chiede al Governo di nominare una Commissione d’inchiesta parlamentare fatta di deputati e senatori, fra i quali siano inclusi in gran numero coloro che hanno sperimentato la vita dei reclusori; in modo che gli esperti possano servir di guida agli altri in queste ispezioni che dovrebbero compiersi non con visite solenni e preannunciate, come è accaduto di recente nel carcere di Poggioreale, ma con improvvise sorprese e con i più ampi poteri di interrogare agenti carcerari e reclusi, ad uno ad uno, a tu per tu, da uomo a uomo, senza controlli e senza sorveglianza. Solo così si potrà sapere come veramente si vive nelle carceri italiane. […] questo bisogna confessar chiaramente: che oggi in tutto il mondo civile, nella mite ed umana Europa, a occidente o a oriente e anche in Italia (ma forse in Italia meno che in altri Paesi d’Europa) non solo esistono ancora prigioni crudeli come ai tempi di Beccaria, ma esiste ancora, forse peggiore che ai tempi di Beccaria, la tortura! Questi sono argomenti sui quali di solito si ama di non insistere; si preferisce scivolare e cambiar discorso. Eppure bisogna avere il coraggio di fermarcisi. Ai primi di settembre, al congresso dell’Unione parlamentare europea ad Interlaken, al quale intervennero numerosi colleghi che vedo presenti in quest’aula, ci accadde, nel discutere un disegno preliminare di costituzione federale europea, di imbatterci in un articolo, che nella sua semplicità era più terribile di qualsiasi invettiva: “È vietata la tortura”. Nel leggerlo, abbiamo provato un’impressione di terrore: in Europa. nel 1948, c’è dunque ancora bisogno di inserire nel progetto di una costituzione federale, da cui potranno essere retti domani gli Stati uniti d’Europa, questa avvertenza? Le costituzioni, come voi sapete, hanno quasi sempre, nelle loro norme, un carattere polemico: le leggi nascono dal bisogno di evitare ciò che purtroppo si pratica. Ora il fatto che si senta il bisogno di vietare nella civile Europa la tortura vuol dire che nella civile Europa la tortura è tornata in pratica. E quando io parlo della tortura, non intendo riferirmi a quelle crudeltà che, talvolta, per malvagità individuale o per follia (come pare sia accaduto nell’episodio di Poggjoreale) secondini o agenti, per fortuna costituenti rare eccezioni, possono esercitare sui reclusi per punirli; quando io parlo della tortura, intendo riferirmi a quel metodo di indagine inquisitoria che esisteva come procedimento legale fino a metà del secolo XVIII nei giudizi penali, prima che fosse abolito, per merito soprattutto del Beccaria. È noto che nella procedura penale, fino alla metà del secolo XVIII, la tortura era un mezzo probatorio, disciplinato dalle leggi e studiato dai trattatisti, mirante a costringere l’imputato a confessare. Si riteneva che l’imputato avesse il dovere di confessare e di dire là verità anche contro se stesso; e quindi, per costringere l’imputato inquisito a eseguir questo suo dovere, si adoperava su di lui la coercizione corporale, modo legale per provocare la confessione. Orbene, onorevoli colleghi, la tortura come mezzo per ricercare la verità rientra anche oggi, non di rado, tra i metodi della polizia investigativa: in tutto il mondo, in tutti i paesi civili, ed anche in Italia. ][…]Ho parlato di questo anche con qualche magistrato, anche con giudici istruttori. Uno di essi mi ha detto: “Mi sono trovato talvolta di fronte a casi inesplicabili. Ho visto, per esempio, studiando i verbali raccolti dalla polizia, un imputato che in dieci verbali si è mantenuto negativo; all’undicesimo, improvvisamente, ha fatto una confessione piena e particolareggiata; ma al dodicesimo verbale si è ritrattato e in seguito si è mantenuto ostinatamente negativo. Allora ho interrogato l’imputato per chiedergli il perché di questi mutamenti e quello mi ha risposto: “quando fui libero di rispondere secondo verità dissi di no: ma una volta, quella volta, non potei reggere al dolore: e dissi di sì”.  Ma i metodi per far dire di sì agli imputati, dei quali ho raccolto notizie nella mia inchiesta, non voglio descriverveli. […]

Seduta del 28 ottobre (risposta del Ministro)

Grassi, Ministro di grazia e giustizia.  Ella, onorevole Calamandrei, mi ha invitato a fare una passeggiata insieme nelle carceri; ci verrò volentieri, ma un’inchiesta mi pare francamente esagerata. Questo per quanto riguarda le carceri; circa poi gli interrogatori, la competenza a provvedere non è del Ministero della giustizia. […]

Tambroni (Dc).  Una brevissima dichiarazione di voto anche a nome di altri colleghi del mio Gruppo. Prego intanto l’onorevole Presidente di mettere in votazione l’ordine del giorno Calamandrei per divisione. Dichiaro di essere contrario e di votare contro la prima parte, quella che riflette la nomina d’una Commissione d’inchiesta relativa ad accertare le pressioni della polizia per ottenere la confessione dei  prevenuti….E il nostro Codice prevede gravi’sanzioni nei confronti degli agenti di polizia.

note: in carica c’era il V governo De Gasperi (23.05.1948 – 14.01.1950);                                                               Giuseppe Grassi, del Partito Liberale fu ministro della Giustizia nel IV e V Gov De Gasperi,
[da: Il Ponte, marzo 1949]

 


Donna somala in prigione per aver denunciato il suo stupro

silenzioLei aveva avuto un grande coraggio a raccontare la violenza subita in un campo profughi di Mogadiscio al giornalista freelance, Abdiaziz Abdnur Ibrahim. Un’accusa pesante nei confronti delle forze di sicurezza che, secondo voci insistenti, si approfittano delle rifugiateMa quel momento di verità le costerà caro. Ieri è stata condannata da un tribunale di Mogadiscio a un anno di carcere per “oltraggio alle istituzioni” e un’identica pena è stata inflitta al free lance che l’aveva intervistata senza però aver mai pubblicato il pezzo (nella foto la lettura del verdetto).  L’uomo, già detenuto, comincerà subito a scontare la punizione. A salvarlo non sono bastate le rassicurazioni di Al Jazeera, che aveva mandato in onda un’inchiesta sugli abusi ma che ha sempre negato il coinvolgimento di Ibrahim nel servizio. Per la donna, invece, si apriranno le porte del carcere quando avrà finito di allattare il suo bambino.

Il caso è talmente eclatante che ha destato l’indignazione del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: “Le Nazioni Unite hanno ripetutamente espresso allarme davanti alle notizie di violenze diffuse nei campi per profughi intorno e a Mogadiscio – ha detto  -. Questi delitti non vengono denunciati abbastanza spesso a causa dei rischi per le vittime, i testimoni e i familiari”. Ban ha voluto lodare “lo straordinario coraggio” della donna “per uscire allo scoperto”.

Il processo è sembrato fabbricato sin dall’inizio.  Il 18 gennaio il governo aveva sostenuto in un comunicato ufficiale che la denuncia della donna era falsa e che la vicenda era una montatura.

Lo scorso novembre, il presidente Hassan Sheikh Mohamud aveva dichiarato che gli appartenenti alle forze di sicurezza responsabili di stupro avrebbero dovuto essere puniti, prospettando addirittura la pena di morte. Aspettiamo ancora che in carcere ci vadano gli aggressori e non le vittime.

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Tenta il suicidio in carcere, salvato

corda tesaLucca – Passano i giorni, proseguono le grida di allarma ma anziché migliorare la situazione del carcere San Giorgio continua a peggiorare. La casa circondariale torna, così, al centro della cronaca proprio all’indomani della richiesta avanzata dal Sappe all’Amministrazione Penitenziaria di adottare ogni necessaria iniziativa per riportare all’interno del carcere condizioni minime di vivibilità per i detenuti ed idonee garanzie di sicurezza per i poliziotti che ci lavorano.

Nella giornata di giovedì, la polizia penitenziaria ha, infatti, con il suo tempestivo intervento, salvato la vita ad un detenuto italiano, condannato per rapina, con fine pena 2016, che ha tentato il suicidio in cella impiccandosi alle sbarre della finestra con il lenzuolo. L’uomo è stato accompagnato al reparto infermeria del carcere ma, sottolinea il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, se questo decesso è stato sventato è ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che, in tutte le carceri italiane, nel 2011 e 2012 ha sventato oltre 2.000 tentativi di suicidio di detenuti e impedito che più di 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Gesti che, ha affermato Donato Capece, segretario generale del SAPPE, devono essere messi in evidenza. A tal proposito il sindacato chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita a questo detenuto italiano.

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New York, mamma bacia il figlio per passargli la droga in carcere

La polizia in un distretto di New York arresta una donna che ha passato la droga al figlio in un modo del tutto singolare: baciandolo durante le visite in carcere.

bacioCome riportato da Fox News, gli uomini dello sceriffo della contea di Yates raccontano ai media locali che una donna di 54 anni, residente a  Penn Yan, Kimberly Margeson (questo il nome della madre) era in visita in carcere da suo figlio la scorsa settimana quando ha nascosto pillole di Ossicodone e le passò dalla sua bocca alla sua, dandogli un bacio alla francese.

La polizia non ha voluto dire come i farmaci sono stati scoperti

Margeson si è dichiarata non colpevole  ma è stata accusata di contrabbando di droga in una prigione. Ora la donna è libera dopo aver pagato una salata cauzione. Le autorità dicono il figlio della signora Margeson è stato anche visto promuovere contrabbando carcere.

Il ragazzo 30 enne rimane in carcere, attualmente nessun avvocato può essere contattato per lui. Una notizia surreale ma assolutamente veritiera sconvolge ancora una volta la Grande Mela che di notizie così sembra averne abbastanza ormai.

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Ecco come si evade dalle carceri italiane

Fughe rocambolesche e buchi nei muri: evasioni raddoppiate negli ultimi anni

evasi-detenuti-scavato-tunnelNegli ultimi tre anni le fughe dagli istituti penitenziari sono più che raddoppiate. Solamente del 2009 i detenuti evasi erano stati nove. Nel 2012 sono stati ventidue. Per lo più uomini ma anche tre minori. In gran parte la fuga avviene dalle strutture penitenziarie (14), ma anche dagli ospedali (4), dal regime di semilibertà (1), dal lavoro esterno (1).  Per capirne qualcosa di più abbiamo intervistato Eugenio Sarno, Segretario Generale della UILPA Penitenziari, uno dei principali sindacati degli agenti carcerari.

Quali sono  i metodi più frequenti utilizzati per la fuga?
Dalle statistiche il metodo classico di fuga rimane quello con buco o sbarre segate, discesa dal muro di cinta e poi fuga a gambe levate. È però in forte aumento il dato delle evasioni dalle strutture ospedaliere. Nel 2012 sono state il 20% del totale. Nello scorso anno sono state effettuate circa 65 mila traduzioni di detenuti verso reparti ospedalieri, solo 5.800 però si sono trasformate in ricoveri effettivi.

Nei casi di evasione quanto può essere determinate una complicità esterna al carcere?
In genere un’evasione è un evento organizzato e quindi c’è per forza una complicità esterna. Un progetto di evasione parte quasi sempre da un’osservazione da parte dei detenuti dei luoghi in cui sono reclusi. Ad esempio molte volte le evasioni si sono rese possibili per la concomitanza della presenza di cantieri edili che hanno facilitato la fuga. In qualche altro caso, invece, come l’eclatante evasione di Avellino, la fuga  è stata facilitata dalla presenza di bidoni e di pedane accatastate proprio in prossimità del muro di cinta. Direi poi che la fatiscenza delle strutture penitenziarie facilita l’opera di “trivellaggio” della mura come è ben dimostrato dai “buchi” del carcere di Avellino, Vallo della Lucania e quello più recente scoperto in tempo aRebibbia. I carcerati utilizzano i ferri delle sbarre delle brande oppure le posate o i coperchi di pentolame che vengono piegati e utilizzati come piccole vanghe o scalpelli. Il segare le sbarre rimane il metodo più frequente per le fughe. Proprio per quanto riguarda le sbarre è evidente che la maggior parte degli istituti, costruiti circa due secoli fa, non hanno quelle con l’anima in acciaio. Pertanto è relativamente semplice, per loro, tagliare quelle in ferro cosiddetto “dolce”.

Perché si riesce ad evadere così frequentemente rispetto agli anni precedenti?
L’aumento delle evasioni è sicuramente da imputare al sovraffollamento delle carceri. Oggi siamo sotto organico di sette mila unità. Basti pensare che nel 2000 con 42 mila detenuti c’era un organico di 40 mila agenti, oggi con 67mila detenuti, e circa 20 carceri nuove, l’organico della polizia è di circa 36.500 mila unità. Ovviamente, al di là dell’abbassamento degli indici di sicurezza, favorisce questa serie di evasioni  una promiscuità  dei detenuti che impedisce di applicare politiche della sicurezza compatibili con la qualità di vita dei detenuti.

In percentuale, quanti dei detenuti evasi vengono rintracciati e ricondotti in carcere?
Grazie all’attività del nostro Nic, Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, negli ultimi anni è stato possibile riassicurare alla giustizia oltre il 60% degli evasi.

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NUMERI SULLE EVASIONI 2012

Pisa carcere “Don Bosco”: 2
Roma “Regina Coeli”: 2
Milano ICAM: 1 donna
Firenze M. Gozzini:1 in regime di semilibertà
Brescia carcere di Canton Mombello: 1
Bologna Ospedale: 1 minorenne
Palmi carcere: 1
Aosta : Lavoro esterno 1
Carcere  di Mamone Lodè :1
Bologna “Istituto penale per minori” : 2 minorenni
Verona – Ospedale: n 1
Foggia– Ospedale: 1
Catania – Ospedale: 1
Avellino  carcere di Bellizzi:  4

Solamente nelle prima 4 settimane del 2013 le tentate evasioni sono state 4, tutte dalle carceri mentre quelle riuscite sono state 2 una dall’ IPM  di Roma lo scorso  29 gennaio e uno presso la Stazione carabinieri di Parma  il 2 febbraio. In totale i carcerati evasi sono già 4 tutti uomini di cui 2 adulti e 2 minori.

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Carceri: detenuto a Busto Arsizio tenta di impiccarsi, salvato

antenna1Milano, 7 feb. (Adnkronos) – Ha tentato di impiccarsi alle sbarre della cella, usando un cappio ricavato dalla coperta, ed e’ stato salvato dall’intervento degli agenti della Polizia Penitenziaria. E’ successo venerdi’ scorso nel carcere di Busto Arsizio, nel Varesotto, informa Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe. Il detenuto, uno straniero imputato per rapina, era rinchiuso in isolamento.

La sovrintendente con l’aiuto di due assistenti, richiamati dalle urla di un agente in servizio nel reparto isolamento, e’ entrata all’interno della cella e ha trovato il detenuto che si era gia’ lasciato cadere nel vuoto, spingendo la branda con i piedi. Solamente l’intervento del personale di Polizia Penitenziaria ha fatto si’ che il detenuto potesse essere liberato dal cappio e salvato.

“Nonostante il forte sovraffollamento dell’istituto di Busto Arsizio e la carenza di personale – afferma Capece – ancora una volta, grazie alla professionalita’ della Polizia Penitenziaria si riesce ad intervenire su eventi critici sempre piu’ all’ordine del giorno. Sarebbe auspicabile un riconoscimento, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, al personale di Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Busto intervenuto sulla gestione dell’evento critico”.


Perquisite le celle dei detenuti, agente della polizia penitenziaria minacciato di morte

SPARTALARINO. Ancora un affondo del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il Sappe, sulla condizione dei detenuti nel carcere di Larino. Con una nota inviata al direttore Rosa La Ginestra, ma anche al provveditore interregionale Bruna Brunetti e al segretario nazionale Donato Capece, il vice segretario regionale Carmine Maglione ha denunciato una ribellione di massa nel penitenziario frentano.
“Durante una perquisizione generale, pesantissimi insulti e minacce di morte sono state rivolte al comandante di reparto.
In particolare – afferma Maglione – si sono ribellati al comandante di reparto che presenziava ad una perquisizione generale nelle sezioni detentive, quasi tutti i detenuti delle tre sezioni del reparto reclusione.
Obiettivo della perquisizione era verificare l’eventuale possesso di oggetti vietati e sostanze proibiti. Questa la motivazione per cui qualche giorno dopo la protesta si è protratta con il rifiuto in massa di rientrare dai passeggi e con il quasi sfondamento di una delle porte d’ingresso di un passeggio per ripetuti calci sferrati dai detenuti in preda alla rabbia, conclusasi in tarda serata dopo che sia il direttore che gli agenti di polizia penitenziaria, attraverso continui e ripetuti interventi persuasivi, hanno riportato la situazione all’apparente normalità, con il rientro di tutti i detenuti nelle rispettive sezioni e stanze”.
Un episodio accaduto lunedì scorso.
“Solo la professionalità del personale della polizia penitenziaria, coordinata dal direttore e dal comandante di reparto ha evitato ulteriori degenerazioni, contenendo la situazione al limite e senza alcun ferito”.
Il Sappe vuole evidenziare l’inesauribile impegno profuso dagli uomini e dalle donne della polizia penitenziaria in un contesto di notevole ed evidenti difficoltà operative e altissimo se non totale senso di abbandono istituzionale.
Per Maglione, “la polizia penitenziaria esiste, sempre e comunque, in ogni momento, checché se ne dica o si pensi”.

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Giustizia: 1 giorno di galera ogni 5 centesimi, pene sproporzionate per reati contro patrimonio

La sproporzione delle pene per i delitti contro il patrimonio è una delle cause del disumano affollamento delle nostre carceri. È anche una responsabilità dei magistrati, del cattivo uso del principio di discrezionalità del giudizio.

falsoI casi offerti dalla nostra cronaca giudiziaria sono un campionario infinito di una giustizia ingiusta. L’antidoto potrebbe essere l’obbligo di visita nell’inferno delle celle.
L’ennesima condanna della corte europea per la nostre carceri, accompagnata dal solito sdegno sterile, mi induce a tornare sullo spreco di risorse della giustizia, segnalato tempo fa da un arguto cronista del Corriere della sera, nel processo a uno studente, accusato di furto di un ovetto di cioccolato, del valore di 1 euro. Arguzia a parte, il cronista trascurava che, per questo fatto bagattellare (da baca, bacca, inezia), se qualificato come furto mono aggravato (per esposizione dell’uovo alla pubblica fede), lo studente sarebbe stato colpito da pena detentiva, pur con due attenuanti (per danno lieve e incensuratezza) e con la diminuente del rito alternativo, mai inferiore a 20 giorni di reclusione.
Volgarizzando la triade profitto (del reo) – danno (del proprietario) – sanzione (della giustizia), in un caso simile, il reo paga, per ogni 5 centesimi del valore commerciale del bene sottratto, il prezzo di un giorno di libertà.
Lasciando calcoli astratti e venendo alla corrente cronaca giudiziaria, un furto di capi di abbigliamento – che, pagati alla cassa, sarebbero costati 250 euro – è stato fatto pagare, in termini di libertà, al prezzo di 1 anno e 6 mesi. In senso realisticamente figurativo, la sentenza diventa così titolo di ingresso in carcere, per estinguere, con 547 giorni (del valore di 0,46 euro ciascuno) il debito verso il proprietario e verso la società.
La casistica della giurisprudenza ci mostra lo stato esattore di 6 mesi di libertà per un debito di 30 euro (sottratti da un registratore di cassa) o di 7 mesi di libertà per un debito pari al valore del gasolio sottratto da un camion per la nettezza urbana.
Questa impostazione del problema in termini di debito/credito – che fa riaffiorare il carcere per debiti (ricordate Pickwick?) – introduce il tema delle cause del fenomeno del tutto esaurito, posti in piedi nelle nostre carceri e ne mette in luce le sue radici nel mondo giudiziario e nei criteri sul quantum nelle sentenze di condanna.
Secondo Bettiol, lo stato moderno, nel farsi guidare dal principio della retribuzione (a un male segua un male) deve attenersi al criterio della proporzionalità. L’idea della proporzione segna il passaggio dalla vendetta, che è emozione non controllata dalla ragione, alla pena, che è atto di ragione e quindi reazione proporzionata.
La proporzionalità della pena viene concepita non nei termini meccanicistici della legge del taglione e tanto meno nella funzione intimidatoria a fini di prevenzione generale (quest’ultima concezione, attraverso la teoria del castigo esemplare, conduce inevitabilmente a pene che devono essere il più possibile severe e crudeli). L’esperienza insegna che solo una pena equa ed umana, non terroristica, può assolvere il compito della prevenzione (Mantovani).
Nel pronunciare la sentenza di condanna, il giudice dovrebbe non solo applicare criteri e limiti formalmente fissati dalla norma, ma anche evitare una punizione sproporzionata, che, tornata ad essere espressione di emozionale vendetta – sia pure compiuta in nome del popolo italiano – diventi fonte di un giro vizioso di violenza legittima e violenza illegittima, Questa proporzionalità della punizione, pur nel rispetto delle norme, spesso non è rispettata, e ciò avviene con particolare evidenza, come abbiamo visto, nei delitti contro il patrimonio, in cui al reo riesce immediatamente percepibile la sproporzione tra il suo debito, in termini di disvalore giuridico ed economico, e il prezzo che gli è imposto in termini di libertà.
Per recuperare razionalità punitiva, si è tentato di riavvicinare i giudici alla finalità educativa, intesa come recupero sociale, come riacquisizione, per il cittadino condannato, della capacità di vivere nella società nel rispetto della legge penale (Vassalli). La Corte costituzionale, con E. Gallo, ha chiarito il collegamento tra proporzione e rieducazione della pena: la sentenza 2 luglio 1990, n. 313, ha affermato il principio secondo cui la finalità rieducativa della pena (co.3 art.27Cost.) informa tutto il sistema penale e non soltanto la fase esecutiva: questo principio deve condizionare il potere discrezionale del giudice che quantifica la punizione, cioè il prezzo che il reo deve pagare in termini di libertà.
La Corte ha prospettato la seguente connessione: la finalità educativa postula che l’autore del reato avverta un trattamento punitivo non ingiusto e non eccessivo, ma adeguatamente proporzionato al disvalore del fatto commesso; altrimenti si rischia che nel reo prevalga un atteggiamento di ostilità nei confronti dell’ordinamento.
Le critiche rituali dei procuratori generali nelle inaugurazioni, le doglianze delle discrete onlus assistenziali, le denunce giornalistiche, rivolte al potere legislativo ed amministrativo, con l’invito al riformismo carcerario, per costruire carceri più accoglienti e per assumere nuovo personale, trascurano un dato: il titolo, il biglietto di ingresso nelle carceri lo scrivono i giudici.
All’origine della sovrabbondante presenza nelle carceri italiane non vi è solo la ristrettezza dei locali, ma anche una scarsa attenzione per il principio della proporzionalità della pena e per l’insegnamento che viene dalla interpretazione, costituzionalmente guidata, della disciplina della sofferenza carceraria.
Nella prospettiva di umanizzazione la pena, per salvaguardare la sua funzione educativa, si può guardare con interesse a iniziative del tipo di quella realizzata dai gip di un tribunale: un esame dei luoghi in cui vivono gli esseri umani per effetto delle loro decisioni: “fare, tappa per tappa” il percorso dei nuovi detenuti, toccare con mano i problemi e le difficoltà di chi vive e lavora dentro carcere, “vedere le camere di sicurezza dove a volte i nuovi giunti dormono uno sull’altro magari in attesa dell’udienza di convalida, eco.
Può essere utile, sul piano nazionale, prospettare un programma, per i giudici di primo e secondo grado, di visite guidate nei luoghi di detenzione, mirate a renderli direttamente consapevoli degli effetti delle loro decisioni, dei loro calcoli, delle loro commisurazioni, nonché a instaurare un parziale collegamento tra aula, dove si decide, e carcere, dove si soffre. Rimane il problema dello scarso impegno – anche di tutti i giudici – nella quotidiana lotta per l’indipendenza dalla cultura dell’emergenza, dai tribuni dell’allarme sociale e dei bisogni collettivi di sicurezza, amplificati e strumentalizzati a fini elettorali (il fenomeno dei pubblici ministeri in politica, grigi o ululanti, è davvero inquietante).
In attesa di un’autoriforma del giudice, accontentiamoci delle visite dantesche nei luoghi di sofferenza, coinvolgendo quei cittadini la cui aspirazione massima è riempire le carceri per ottenere ordine e sicurezza, salvo poi diventare crociati della libertà, se intravedono aprirsi i cancelli ai debitori per violazioni di beni giuridici meritevoli di garanzia non inferiore a quella dei beni lesi dai ladri di bicicletta.

Fonte: ilmanifesto