Category Archives: Fuggiaschi
Piacenza – Tentativo di evasione ieri pomeriggio intorno alle 19,30 per un detenuto tunisino che si trovava in ospedale per accertamenti. L’uomo, approfittando della situazione, è balzato fuori da una finestra raggiungendo il parcheggio dell’ospedale. Gli agenti della penitenziaria, però, accortisi repentinamente del tentativo di fuga, hanno dato l’allarme e il detenuto è stato fermato pochi minuti dopo. L’uomo è stato quindi ricondotto in carcere alle Novate.
Gennaro Narducci, segretario regionale dell’Ugl, intervenuto a seguito dell’episodio, ha commentato: “La polizia penitenziaria ha risposto molto bene all’evento critico avvenuto. Da parte nostra va la solidarietà a tutti gli agenti che hanno operato e continuano a operare con grande difficoltà. Il personale intervenuto ieri è stato richiamato in servizio dopo l’espletamento di 8 Continue reading
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MOSCA – È evaso da un carcere di Mosca bucando il soffitto con un cucchiaio, l’unico oggetto a sua disposizione nella cella: protagonista dell’impresa Oleg Topalov, 33 anni, accusato di duplice omicidio e di traffico illegale d’armi. Lo ha reso noto l’amministrazione del penitenziario di Matrosskaia Tishina, a nord est della capitale. Il detenuto, dopo essersi aperto un varco in cella, è salito sul tetto dell’edificio e ha fatto perdere le proprie tracce. Gli altri sei compagni di cella non hanno seguito il suo esempio. Aperta un’inchiesta per negligenza.
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Si chiama Joanne Chesimard, ha 65 anni, ed è la prima donna a entrare nella black list dei 25 terroristi più ricercati dal Fbi.
Per tutti, però, è Assata Shakur, un passato nelle Black panther e nella Black liberation army, madrina di Tupac Shakur, uno dei rapper più famosi di sempre.
«UCCISE UN AGENTE». È accusata dell’omicidio a sangue freddo di un agente di polizia avvenuto il 2 maggio 1973, quando Assata si batteva con le armi per i diritti degli afroamericani.
Quel giorno la donna si trovava in auto con due compagni, Zayd Shakur e Sundiata Acoli, quando una pattuglia della polizia li fermò per un fanale posteriore rotto. A quel punto sarebbe iniziata la sparatoria che ha portato alla morte di Werner Foerster e al ferimento del collega James Harper.
Nel 1977 arrivò la condanna all’ergastolo, nel 1979 l’evasione di prigione con l’aiuto del fratello Mutulu Shakur (padre adottivo di Tupac) e dell’attivista italiana Silvia Baraldini (estradata e tornata in Italia solo Continue reading
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Semmai qualcuno si interrogasse su cosa sia l’inferno, noi l’abbiamo conosciuto. Se esistessero parole per descriverlo e se gli altri potessero capirle, ne morirebbero. Le cicatrici rimangono indelebili, come un marchio a fuoco. Soltanto gli animali nei campi di concentramento chiamati allevamenti e laboratori possono sapere di cosa si tratta. E pure loro non possono parlarne. Forse solo le immagini della shoah ne possono rendere l’idea. Se la cosiddetta razza umana è capace di compiere questa shoah ogni giorno, credo che essa non sia fatta di sangue e carne come noi, ma di cuori di pietra e menti criminali. E se tutte le razze dicono che sono figlie di un unico Dio, allora io dico che ci sono più Dei, questo Dio non è mio Padre.
Iniezioni di moditen depot, crisi epilettiche dovute al serenase, latte che
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diffondiamo da contrainfo
Alle ore 9:00 del 26 Aprile la polizia delle indagini ha arrestato a Hans Niemeyer, il compagno era latitante da quattro mesi, quando aveva deciso rompere gli arresti domiciliari accusato sotto la legge antiterrorista per presunta collocazione e fabbricazione di ordigni esplosivi.
A quanto pare, come espresso da Hans agli avvocati della difesa e da quello che la stessa polizia ha riferito non ci sono state né scontri né i soliti pestaggi della polizia con i detenuti. Hans è stato arrestato in un appartamento in Villa Portales, comuna di Estacion Centrale.
L’intelligence della polizia? ancora non ha detto né comentato, Continue reading
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Non c’è pace al Cie di Modena. Sono passati pochi giorni da una giornata di forti tensioni tra gli “ospiti” e il personale e l’altro sera è già avvenuto un nuovo episodio di violenza. Questa volta un giovane nordafricano ha tentato di fuggire da un varco ma è stato fermato da un operatore dell Croce Rossa. Il clandestino gli ha sferrato un pugno. Per questo ieri è comparso davanti al giudice che ha convalidato l’arresto per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
L’episodio è avvenuto di sera quando già faceva buio all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di via Lamarmora. I dettagli dell’episoido non sono chiari (come noto, il Cie è una struttura “chiusa” e persino i giornalisti non hanno accesso alle informazioni) ma si è saputo che il giovane clandestino aveva trovato una “falla” nella protezione dalla quale aveva pensato di tentare una “uscita” (non si parla di “evasione” perché Continue reading
Commenti disabilitati su Cie: mentre fugge picchia un addetto Cri | tags: anticarceraria, basta cie, centro di identificazione ed espulsione, CIE, CordaTesa, immigrato in fuga, modena, tentata evasione, tentata fuga | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Fuggiaschi, Tutti
Sventato tentativo di evasione dal personale di polizia penitenziaria intervenuto immediatamente. Un detenuto etiope, dell’VIII sezione, ha cercato di scavalcare il muro dei passeggi della propria zona, raggiungendo i passeggi della III per poi essere fermato tempestivamente nei passeggi della I sezione.
Attualmente a Regina Coeli risultano ristretti circa 1.050 detenuti, i dati purtroppo evidenziano il sovraffollamento dell’istituto romano che non è da meno rispetto ai restanti istituti penitenziari del Lazio. Mentre nei 14 penitenziari della regione Lazio sono recluse 7.201 persone a fronte di una capienza regolamentare di 4.838 posti, quasi tre mila detenuti oltre la capienza massima.
“Grazie all’esperienza del personale e s Continue reading
Commenti disabilitati su Regina Coeli, tenta di scavalcare il muro Sventata evasione di un detenuto | tags: anticarceraria, carcere, CordaTesa, detenuto, evasione, Regina Coeli, tenta fuga, tentata evasione | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Dentro le mura, Fuggiaschi, Tutti
diffondiamo da contrainfo
Probabilmente ha qualche interesse a commentare gli ultimi due tentativi di fuga da carceri di massima sicurezza. Una con elicottero dal carcere di Trikala, e l’altra con una piccola “bugia” dal carcere di Malandrino.
Nel primo caso è emerso che la polizia non ha esitato, al fine di consolidare la dottrina della tolleranza zero, di mettere in pericolo la vita di decine di persone, citando la sua intenzione di evitare una fuga, un atto punibile come un reato minore…
Nel secondo caso abbiamo visto cosa possa ottenere un prigioniero facendo passare una semplice radio come il telecomando di una bomba (!) quando i meccanismi dell’applicazione della legge sanno che non scherza con la sua libertà. Anche se in fine non è riuscito a fuggire, ha mantenuto in scacco per 24 ore un carcere intero con unica la sua unica arma, la determinazione.
Ma ciò che conta veramente in questi due casi è il cambiamento nel senso della fuga e la sua mutazione in un percorso individuale del detenuto. Fino alla fine degli anni ’90 la ribellione e Continue reading
Commenti disabilitati su Lettera di Anastasios Theofilou: riflessioni su evasioni e rivolte | tags: Anastasios Theofilou, anticarceraria, carcere, CordaTesa, evasioni, grecia, rivolte | posted in Comunicati, critiche e riflessioni, Contro carcere, CIE e OPG, Corrispondenze galeotte, Dentro le mura, Fuggiaschi, Tutti
VITERBO – E’ stato arrestato mentre tentava la fuga l’ex poliziotto di Tarquinia di 37 anni, N.V., finito in carcere nel 2003 per pedofilia. La condanna a 7 anni di reclusione che gli era stata inflitta in primo e secondo grado, nei giorni scorsi, è stata confermata dalla Corte di Cassazione. L’uomo, che ha già trascorso 3 anni e 2 mesi in carcerazione preventiva, quindi, deve scontare una pena residua di 4 anni e 10 mesi. Pena che gli è stata inflitta perché aveva adescato alcune minorenni in chat e le aveva convinte a spogliarsi davanti alla webcam. Intanto lui le filmava e poi immetteva le immagini in un circuito di pedopornografia scoperto e smantellato dalla polizia postale di Modena. Nel corso delle indagini, coordinate dalla procura della Repubblica di Civitavecchia, emerse anche che l’uomo aveva incontrato personalmente alcune minorenni e, Continue reading
Commenti disabilitati su In manette mentre tenta di fuggire, ex poliziotto condannato a 7 anni | tags: anticarceraria, carcere, CordaTesa, evasione, ex poliziotto condannato, fuga, poliziotto in fuga, viterbo | posted in Contro carcere, CIE e OPG, Fuggiaschi, Tutti
Ci ha provato, ma nonostante la notevole agilità, il salto oltre le mura del carcere di Canton Mombello a Brescia e verso la libertà non gli è riuscito.
Durante l’ora d’aria, un detenuto moldavo di 24 anni, condannato a una pena di due anni e mezzo, con un balzo ha scavalcato il muro (altro circa sei metri) che circonda il cortile interno e si è poi nascosto tra i mezzi parcheggiati nello spazio tra le due cinte murarie, in attesa di poter sgusciare all’esterno della casa circondariale.
Un sorvegliante però si è accorto della sua presenza e ha lanciato l’allarme. L’uomo è così stato riacciuffato e riportato in cella. E’ accaduto lunedì tra le 13,30 e le 16,45, il periodo in cui i detenuti vengono fatti uscire dalle celle. Ora deve rispondere anche di tentata evasione e probabilmente la sua permanenza tra le mura di Continue reading
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FRAUENFELD – Un tunisino è evaso stamani dal carcere cantonale di Frauenfeld, in cui si trovava da inizio anno in attesa di espulsione a causa di un furto in un negozio. La polizia non l’ha ancora ritrovato.
Dal cortile il 24enne si è arrampicato sul tetto e poi si è calato all’esterno del penitenziario, spiega la polizia turgoviese. Quindi è fuggito in direzione sconosciuta.
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Lille, 13 aprile 2013 – Come in un film il ‘re’ dei rapinatori francesi, Redoine Faid, è evaso stamane dal carcere di Sequedin, vicino Lille, in una sequenza di azioni spettacolari tra cui la presa di cinque ostaggi, tutti liberati, e l’esplosione di alcuni ordigni.
Esperto di rapine e di attacchi ai furgoni blindati, Faid, 40 anni, soprannominato il ‘Dottore’, è famoso per aver rilasciato diverse interviste ultimamente e aver pubblicato un libro “Braquer (rapinatore, ndr.)” in cui racconta di essersi ispirato per le sue rapine ai grandi film americani, come Heat di Michael Mann.
Arrestato a giugno del 2011 per un attacco a mano armato a un furgone che era costato la vita a una poliziotta, Faid era rinchiuso nel carcere di Lille dopo aver avuto numerose condanne tra cui una di venti anni nel 1997.Era uscito di prigione nel 2009 ed era diventato una ‘stella mediatica’ raccontando di spettacolari furti per cui indossava, come Robert de Niro in Heat, la maschera da Hockey.
Stamane, prima dell’evasione, aveva ricevuto in carcere la sua compagna che, come sospetta la polizia, gli avrebbe fornito l’esplosivo che aveva fatto detonare per aprire la porta della cella. Aveva quindi preso cinque ostaggi facendosi scudo con il loro corpo, ne aveva liberati quattro ed era salito su un auto e scappato verso l’autostrada. Lì aveva rilasciato l’ultimo ostaggio per poi incendiare l’auto e scomparire.
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Il detenuto era uscito da Sollicciano accompagnato da alcuni assistenti sociali. Ma si è allontanato facendo perdere le proprie tracce
Ricerche sono in corso da parte delle forze dell’ordine dopo l’evasione di un detenuto questo pomeriggio dal carcere fiorentino di Sollicciano. Secondo quanto emerso l’uomo, trentenne, marocchino, era uscito dal carcere usufruendo di un permesso, accompagnato da alcuni assistenti sociali, ma si è allontanato dai suoi accompagnatori facendo perdere le proprie tracce e non ha più fatto ritorno in cella.
Stava scontando una condanna per reati contro la persona.
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Un assistente capo di polizia penitenziaria di stanza del carcere di Sulmona ha fermato e arrestato a Pasqua un internato che si era reso irreperibile dopo essere uscito in licenza premio dal penitenziario Peligno e nel quale non era rientrato alla scadenza del periodo concessogli.
Alle 6.30, mentre si stava recando al lavoro per svolgere il suo turno di servizio, ha notato l’uomo in zona stazione e lo ha subito fermato. Il 50enne è stato ricondotto nella casa di reclusione per essere sottoposto all’internamento, dopo essere stato dichiarato socialmente pericoloso.Il pugliese rischia per l’infrazione fatta la proroga della misura di sicurezza e la mancata attribuzione di ulteriori licenze.
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Trapani, 27 mar. – Una quindicina di immigrati irregolari sono fuggiti martedi’ notte dal Cie di contrada Milo a Trapani, scavalcando il muro di recinzione. Sette di loro sono stati ripresi dai carabinieri all’alba di oggi dopo la segnalazione di un furto in ristorante di Segesta, all’interno della vecchia stazione ferroviaria. Sul posto i militari hanno sorpreso e bloccato Sofien Ayari, 35 anni, tunisino, mentre dopo ricerche nella zona circostante sono stati individuati e fermati i suoi connazionali Abdel Karim Sahlaoui, 26 anni, Fathi Jameli, 26 anni, Ramzi Jabri, 25 anni, Mohamed Saidi, 32 anni, Amin Ferkiki, 20 anni, tutti accusati di aver partecipato al furto e di resistenza a pubblico ufficiale: per cercare di sfuggire all’arresto, infatti, hanno impegnato per oltre un’ora i carabinieri con una sassasiola. Altri due tunisini, Lassaad Jelassi, 40 anni, e Hassen Fkim, 35 anni, che si erano acquattati lungo i binari nella speranza di salire su un treno in transito, si sono consegnati spontaneamente ai militari e sono stati ricondotti nel Cie. (AGI) .
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(Adnkronos) – “Un detenuto tunisino di 45 anni, ristretto nel carcere di Pisa e imputato per reati connessi allo spaccio di droga, e’ evaso dall’Ospedale di Massa dove era stato ricoverato per un intervento al cuore”. Era sottoposto a controlli saltuari da parte della Polizia Penitenziaria che oggi, all’ora di pranzo, non lo ha trovato nel suo letto. Ne da’ notizia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “L’interesse primario ora e’ partecipare attivamente alle ricerche in collaborazione con le altre Forze di Polizia per catturare il fuggitivo, ma questo episodio conferma ancora una volta le criticita’ del sistema carcere. La coppia di dirigenti a capo dell’amministrazione penitenziaria Tamburino e Pagano, con la scellerata intenzione di introdurre una vigilanza attenuata nelle carceri italiane scendendo a patti con i detenuti, ha ottenuto il solo risultato di raggiungere il record di evasioni e tentate evasioni”.
“Mi sembra del tutto evidente che l’Amministrazione e la Polizia Penitenziaria pagano un pesante scotto per le incapacita’ gestionali di chi dirige il Dap. In poche settimane abbiamo contato le evasioni, tentate evasioni, aggressioni, ferimenti. Ed e’ sconcertante pensare che il Dap ed il ministro della Giustizia, incapaci in oltre un anno di attivita’ di realizzare una vera ed efficace riforma penitenziaria, pensino di continuare a “mettere una pezza” quando quello che serve e’ una riforma organica del sistema”.
“Le colpe di tutto quel che succede sono ben precise – prosegue il sindacalista – sono di chi fino a pochi giorni fa ha parlato di rivoluzione penitenziaria mentre in realta’ il sistema cadeva drammaticamente a pezzi. Oggi ci sono in carcere 67mila detenuti a fronte di circa 42mila posti letto, il numero piu’ alto mai registrato nella storia dell’Italia: il 40% sono in attesa di un giudizio definitivo. Bisognerebbe dunque percorrere la strada dei circuiti penitenziari differenziati: ma altrettanto necessaria e’ una concreta riforma del sistema penale – sostanziale e processuale – che renda piu’ veloci i tempi della giustizia.”
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(AGI) Sydney – Una caccia all’uomo e’ in corso nella Papua Nuova Guinea, dove e’ evaso Stephen Tari, capo di una setta, accusato di stupro. L’uomo, che per il suo tenebroso magnetismo si e’ conquistato il nomignolo di “Gesu’ Nero”, e’ fuggito con latri 49 prigionieri dal carcere di Madang. Tari, ex pastore luterano, fu condannato a oltre dieci anni di carcere nel 2011, al termine di un processo nel quale era stata indagata la sua responsabilita’ delle violenze su ragazze appartenenti a una setta cristiana. Al tempo l’uomo poteva contare su un nugolo di uomini armati che gli facevano e su migliaia di sostenitori nei villaggi. Il suo culto era fondato anche sul cannibalismo e sui sacrifici di sangue ma la polizia riusci’ a incriminarlo solo per gli stupri. .
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Trikala (Grecia), 23 mar. (LaPresse/AP) – Almeno undici detenuti sono fuggiti da una prigione nella Grecia centrale dopo che un gruppo di uomini armati hanno attaccato il carcere con granate e armi automatiche, dando il via ad un braccio di ferro che è durato tutta la notte tra polizia e detenuti.
Un alto funzionario di polizia ha riferito oggi alla Associated Press che si è persa traccia di 11 detenuti dopo la sparatoria e la conseguente situazione di stallo che si è conclusa all’alba, quando le forze speciali di polizia hanno fatto irruzione nel carcere. Il funzionario ha parlato in condizione di anonimato perché si è ancora in attesa di un annuncio ufficiale.
Il blitz è avvenuto vicino alla città di Trikala, nella Grecia centrale, a 320 chilometri a nord-ovest di Atene. Almeno sei uomini armati hanno attaccato il carcere dopo aver guidato fino al sito su di un furgone e un pick-up, secondo i funzionari. Durante il pesante scambio a fuoco è durato più di mezzora e ha trasformato la zona in un campo di battaglia, ha reso noto il ministero di Giustizia greco, due guardie sono rimaste ferite, di cui una gravemente all’addome. Almeno cinque le granate esplose, mentre altre due sono rimaste sul campo mentre si attendono glio artificieri dell’esercito per farle brillare. È stato come se fosse in corso una guerra, c’erano così tanti colpi” ha raccontato un consigliere comunale di Trikala, Costas Tassios, che abita nel centro abitato di Krinitsa vicino alla prigione. Un proiettile vagante ha danneggiato la verina di una caffetteria ed è ora oggetto di investigazione.
I prigionieri fuggiti hanno usato corde e lenzuola legate insieme per scendere da una torre di guardia che si trovava sotto attaccato. Dovevano poi passare oltre due recinzioni perimetrali, sormontate da filo spinato, prima di poter scappare. Sono stati recuperati utensili per tagliare il filo. La polizia ha istituito posti di blocco nei pressi del carcere e ha perquisito case vuote e fabbricati agricoli, impiegando anche due elicotteri nella caccia all’uomo. Il mese scorso, le guardie del carcere di Trikala hanno sventato un tentativo di evasione di quattro detenuti che hanno tentato di fuggire in elicottero.
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“Quando hanno impiccato mia madre e fucilato mio fratello ho pensato che se lo meritavano: avevano infranto le regole del campo meditando di fuggire”. Shin Dong Hyuk all’epoca aveva 14 anni, tutti passati dentro un recinto di filo spinato.
È l’unica persona nata nei campi di prigionia della Corea del Nord che sia mai riuscita a scappare. Internate da generazioni in questo inferno a cielo aperto da dove nessuno esce vivo ci sono almeno 200mila bambini, donne e uomini ridotti a degli automi, tenuti in bilico sulla soglia della morte per fame e sfinimento, fucilati per un nonnulla, torturati fino alla fine, violentati per il sollazzo delle guardie, privati persino del più elementare conforto della nostra comune umanità.
È sconvolgente la testimonianza di Shin, al centro del documentario “Camp 14. Total control zone”, vincitore del “Festival du film et forum international sur les droits humains” di Ginevra che si svolge in concomitanza con l’annuale Consiglio per i diritti umani dell’Onu, che sta infine pensando di aprire un’inchiesta per crimini contro l’umanità in Corea del Nord.
Sono settimane, queste, in cui la composta città svizzera risuona del racconto in prima persona degli abusi più atroci, per esempio lo stupro usato come arma dalle milizie stanziate nel l’Est della Repubblica democratica del Congo, dove il 23 per cento degli uomini e 30 per cento delle donne – bambine di due anni o ottuagenarie – sono stati violentati.
Ma il racconto di Shin toglie il sonno anche a chi pensava di avere già sentito tutto. “Il nostro unico scopo era seguire le regole del campo e morire. Non sapevamo nulla di ciò che c’era fuori. Sapevamo solo che i nostri genitori e i nostri nonni erano colpevoli, e che noi dovevamo lavorare duro per questo. Nessuno di noi aveva mai pensato che avremmo potuto lasciare il campo. Ogni tanto qualcuno fuggiva, spinto dalla paura di morire di fame o di essere picchiato, ma veniva subito catturato e giustiziato, divenendo oggetto dell’odio di chi aveva lasciato indietro”. Perché anche i parenti di chi cerca di scappare sono spesso torturati e uccisi, così come chi non avvisa subito le autorità se sospetta che qualcuno abbia intenzione di evadere o di infrangere il regolamento del campo.
Quando Shin vede che suo fratello ha lasciato la fabbrica di cemento prima del tempo sa bene che assentarsi dal lavoro è un errore punito con la morte. Osserva sua madre consegnargli del riso tenuto da parte: non gli resta che la fuga. Shin non perde tempo, va subito a denunciarli al suo insegnante. “Non ho pensato di fare finta di non avere visto – confessa in un primo momento – . Forse ero arrabbiato perché avevo così fame e mia madre non mi dava mai una razione in più. Ero solo un bambino”. Un bambino il cui primo ricordo, a quattro anni, è un’esecuzione, un bambino che ha visto picchiare a morte una sua compagna di classe perché aveva in tasca cinque chicchi di granturco forse rubati, che lavora da quando ha sei anni e mangia anche le ossa dei topi perché la sua razione di cibo è 300 grammi di mais al giorno e un cucchiaio di zuppa di cavolo. Non conosce altro: si è nutrito di questo per tutta la sua vita, a colazione, pranzo e cena.
Poi quello che è ormai un bel ragazzo di trent’anni dalle braccia deformate dal lavoro infantile e dalla tortura ci ripensa e aggiunge “Se non avessi denunciato mia madre e mio fratello probabilmente mio padre e io non saremmo sopravvissuti. Lo traduca questo”. Ma fare la spia non basta: il mattino dopo lo arrestano, lo torturano per otto mesi fino a quando per caso dice: “perché mi fate questo se ho denunciato i miei parenti?”.
Si scopre così che l’insegnante non aveva riportato la delazione. Shin viene trascinato in una cella dove c’è un vecchio carcerato che gli cura le ferite infettate e lo aiuta a non morire. “Era la prima volta che provavo un supporto emotivo. Non sapevo che gli uomini potessero aiutarsi a vicenda, che fossero degli animali sociali” racconta, con questa insolita espressione scientifica che avrà letto chissà dove cercando di capire la nuova emozione che era entrata nella sua vita. Poi lui e il padre, che a sua insaputa era nella stessa prigione, vengono rilasciati, per essere portati ad assistere all’esecuzione della madre e del fratello.
“Non ho provato nulla, il concetto di famiglia mi era estraneo. Non sapevo che si doveva piangere, tutto quello che avevo imparato è che si doveva obbedire alle regole del campo”, racconta Shin, la cui madre era stata data “in premio” al padre dalle guardie. Nel 2004 arriva un nuovo detenuto, nelle interminabili giornate di lavoro gli racconta che fuori dal campo c’è un mondo diverso.
Non è il desiderio di libertà che spinge Shin a fuggire, ma descrizioni della carne di pollo che lui non ha mai provato, e la brama di mangiare per una volta nella vita riso fino a sazietà. Un giorno i due vedono che non ci sono guardie e si lanciano verso la recinzione elettrificata. Il nuovo prigioniero muore fulminato, il suo corpo, riverso sul filo spinato, apre un varco. Passando sopra il cadavere, pur prendendo la scossa, Shin riesce a scappare. È il 2006. “Fuori ho visto la gente ridere e girare liberamente. Non potevo credere che quel mondo esistesse”.
“Quando sono arrivato in Corea del Sud i servizi segreti mi hanno interrogato, ma sapevano già tutto quel che avveniva nei campi”. Racconta ancora Shin, che dorme tuttora per terra in un disadorno appartamento di Seul. “Si finisce in questi campi per crimini politici, per esempio per non aver anteposto la parola “compagno” al nome del comandante militare supremo Kim Jong – un o per essersi arrotolati una sigaretta con il giornale del popolo senza rendersi conto che vi era contenuta una foto del presidente eterno” spiega uno degli altri due intervistati. Sono un ex – agente segreto Nord coreano e una ex guardia del Campo 22 che ora vivono a Seul e che confermano l’inaudita realtà dei campi, spiegando con volto impassibile di avere ucciso, torturato, stuprato “per il bene della nazione”. “Dovevo solo sorvegliare i prigionieri, se mi stufavo gli sparavo”, racconta.
Fonte: Il Sole 24 Ore
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Quebec – Scena da film in Canada, dove due detenuti sono evasi da una prigione in elicottero. Il fatto è avvenuto domenica in Quebec.
Uno dei due evasi è stato arrestato poche ore dopo insieme ad altri due complici, mentre anche il secondo detenuto sarebbe vicino all’arresto. Secondo quanto ricostruito, i due complici armati hanno preso in ostaggio il pilota dell’elicottero e l’hanno obbligato a sorvolare la prigione di Saint-Jerome, a nord di Montreal: a quel punto hanno calato una scala di corda ai due detenuti che si trovavano sul tetto del penitenziario.
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(Adnkronos) – Oggi, verso mezzogiorno, un detenuto tunisino, arrestato nei giorni scorsi per droga, e’ scappato dal policlinico di Modena, dove era piantonato nel reparto detentivo. Lo rende noto il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. ”E’ riuscito a scappare dopo essere uscito dal reparto per effettuare una visita medica. Non si conoscono ancora le modalita’ del fatto. Nel frattempo sono in corso le ricerche da parte della polizia penitenziaria per rintracciare l’uomo – riferisce Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe – Cio’ dimostra, ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, che con certe persone non si puo’ mai abbassare la guardia e la sicurezza deve essere l’elemento fondamentale da tenere in considerazione, sia nel carcere, sia fuori”.
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Un commando armato ha attaccato una prigione del nord della Nigeria e ha liberato i 170 detenuti. Nell’assalto sono rimasti uccisi un agente di polizia penitenziaria e un passante. Lo riferiscono fonti ufficiali. E’ accaduto nel carcere di Gwoza, al confine con il Camerun e situato a 130 km dalla città ribelle di Maiduguri, roccaforte del gruppo islamico Boko Haram. Gli assalitori sono arrivati a bordo di auto e moto urlando “Allah è grande”.
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Le forze speciali di polizia sono state dispiegate fuori dal carcere di Malandrino, dove un detenuto albanese accusato di omicidio e già evaso due volte da carceri di massima sicurezza ha preso in ostaggio sei persone e chiede di essere liberato
Atene (Grecia), 17 marzo 2013 – Un detenuto condannato in Grecia per omicidio ha preso sei ostaggi nel carcere di Malandrino chiedendo di essere rilasciato. Alket Rizaj, questo il nome dell’uomo, di origini albanesi, dice di avere con sé armi pesanti e una foto scattata da un prigioniero e ottenuta da Ap mostra il sequestratore con quella che lui sostiene sia una granata di fianco ai sei ostaggi in manette. Tra gli ostaggi ci sono sia dipendenti del carcere che detenuti.
L’uomo era già evaso due volte dal carcere di massima sicurezza di Korydallos ad Atene, nel 2006 e nel 2009, entrambe le volte a bordo di elicotteri che hanno prelevato lui e un altro detenuto, Vassilis Paleokostas, mentre si trovavano nel cortile del carcere.
Le forze speciali di polizia sono state dispiegate fuori dal carcere, che si trova nella zona centrale della Grecia, mentre alcuni funzionari e un procuratore stanno portando avanti le trattative. Sul posto si trova anche l’avvocato del sequestratore.
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(ANSA) – MODICA (RAGUSA), 13 MAR – Un 20enne, Gianluca Zafarana, e’ evaso dal carcere di Modica, dove stava scontando una condanna, per cumulo pene, a tre anni di reclusione per furto e ricettazione. Era detenuto dallo scorso aprile. E’ evaso durante l’ora d’aria: mentre era nel cortile avrebbe forzato una recinzione metallica e poi avrebbe scavalcato il muro di recinzione, fuggendo a piedi. Nella zona e’ in corso una battuta delle forze dell’ordine.
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Como, 10 marzo 2013 – Lenzuola annodate e nascoste sotto una branda, all’interno di una cella dellasezione Alta Sicurezza della casa circondariale Bassone di Como. La scoperta è stata fatta nei giorni scorsi dagli agenti di polizia penitenziaria, che hanno immediatamente messo sotto sequestro quanto ritrovato.
Otto metri di lenzuola già annodate, occultate in un angolo, sotto una branda, al terzo piano della struttura penitenziaria. La cella è occupata da tre albanesi, che, evidentemente, stavano programmando da tempo l’evasione. Approfittando anche del fatto, particolarmente favorevole in questo momento, che l’impianto di illuminazione perimetrale del Bassone è fuori uso e che, quindi, l’intera struttura nelle ore notturne è avvolta nel buio. La finestra della cella si affaccia sulla parte laterale del carcere, sopra il campo da calcio interno. Una volta scesi in quella zona, i tre evasi avrebbero raggiunto l’esterno con estrema facilità. Arrivare a collezionare tre o quattro lenzuola è un’impresa lenta e non facile, perché tutto ciò che riguarda la dotazione dei detenuti è attentamente sorvegliato. L’unica possibilità di fare sparire e accantonare biancheria è approfittare delle scarcerazioni, quando un detenuto abbandona la cella e si crea l’unico momento in cui la sua dotazione può essere distratta.
Evidentemente, i tre erano riusciti ad approfittare di questa stratagemma in tre o quattro casi, forse già sufficienti a coprire l’altezza dalla loro finestra fino a terra. Difficile, ma non impossibile, è anche recuperare delle lime per tagliare le sbarre. Finora sono stati utilizzati dei sistemi di indebolimento delle sbarre molto classici: lime molto fini, chiamate “capelli d’angelo”, che possono arrivare al detenuto durante i colloqui, approfittando di momenti di distrazione dell’agente di polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza o quando l’agente è concentrato su altri detenuti.
Infatti, un solo effettivo ha il compito di osservare più postazioni di colloquio e trovare un momento nel quale passarsi un oggetto non è impossibile. Con un pezzo di nastro adesivo, il sottile ma resistente filo metallico viene attaccato alla pelle sotto gli abiti, fino ad arrivare in cella. Da quel momento in avanti, incomincia un lentissimo lavoro di limatura delle sbarre, svolto in orari notturni quando la sorveglianza è meno pressante, che tuttavia devono rimanere al loro posto fino all’ultimo momento. Una fase che, nella cella in cui sono state trovate le tre lenzuola, pare che non fosse già iniziata. Nessun reato può essere contestato ai 3 albanesi occupanti la cella.
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REGGIO EMILIA – Caccia all’uomo oggi pomeriggio in via Cella all’Oldo dove un clandestino tunisino, fuggito dall’auto di servizio della polizia durante un trasferimento da Novara al Cie (Centro di identificazione e di espulsione) di Modena, è stato catturato dagli agenti dopo un concitato inseguimento. Erano circa le 17 quando il tunisino, clandestino e con precedenti di polizia, fingendo un malore ha fatto fermare la macchina su cui viaggiava in una piazzola di sosta sulla A1 e poi, dopo aver finto uno svenimento, ha dato un calcio a un poliziotto ed è fuggito per le campagne circostanti.
I due agenti della polizia penitenziaria di Novara hanno chiamato la questura di Reggio e, insieme agli agenti reggiani arrivati sul posto, hanno circondato la zona. Dopo circa mezz’ora sono riusciti a localizzare il fuggiasco che si era nascosto in un porcile dietro un cumulo di letame alto due metri di altezza, usato per concime agricolo, e sono riusciti a bloccarlo. L’immigrato è stato portato in questura e poi ha continuato il suo viaggio verso il Cie di Modena con i poliziotti reggiani, mentre gli agenti di Novara sono stati accompagnati al pronto soccorso del Santa Maria per le lievi ferite riportate nel corso della colluttazione. Il clandestino sarà quindi denunciato per resistenza a pubblico ufficiale.
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Sale la tensione ed il rapporto polizia-detenuti si fa ogni giorno più difficile. Al Bassone di Albate, lo denunciano i sindacati del settore, la situazione è più che mai esplosiva e lo conferma anche l’ultimo episodio: tra giovedì e ieri, infatti, un ispettore è finito all’ospedale perchè aggredito da un detenuto al collo. Quasi strangolato per essere intervenuti, in una cella di sua competenza da curare, a riportare la calma dopo una rissa tra detenuti. Per l’agente è stato necessario il ricovero al pronto soccorso del Sant’Anna: ora è a casa in convalescenza.
«Questo episodio – per i rappresentanti sindacali della Cisl – dà l’idea dell’esplosività della situazione. Basti pensare che, stando alla pianta organica, gli agenti in servizio dovrebbero essere quasi 400 e invece ne mancano 80. In compenso, i detenuti sono 530 in questi giorni: il loro numero massimo, secondo quanto stabilito dal Ministero, non dovrebbe superare i 300″. Squlibrio evidente con inevitabili ripercussioni.
Ad aggravare la situazione anche un giovane albanese che, approfittando di un permesso premio in questi giorni, non ha fatto più rientro in carcere alla sera. Lo stanno ancora aspettando. Di fatto è diventato un latitante.
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BERNA – Un uomo di 51 anni, che si trovava nel centro di recupero St. Johannsen di Berna, ha fatto perdere le proprie tracce. L’uomo era stato arrestato nel 1998 e ha scontato una pena di 8 anni. Beneficiava della possibilità di svolgere un lavoro all’esterno. Al termine della giornata lavorativa, ha salutato i colleghi e con un “ciao, me ne vado” non è più ritornato presso il centro che lo ospitava. L’accompagnatore che era con lui non è riuscito a trattenerlo. Dopo 15 minuti dalla sua fuga è scattata l’inchiesta.
Stando a quanto ha anticipato il Blick si tratta di René G. Era stato condannato a otto anni di carcere per aver ucciso il figlioletto di 4 mesi. Fra qualche mese avrebbe goduto della libertà totale. Il suo comportamento nel centro di recupero non aveva mai suscitato il dubbio di una sua imminente fuga. La polizia si è già messo alla ricerca dell’evaso, ma non ha fornito indicazioni o foto sull’uomo, tranquillizzando la popolazione locale che non correrebbe alcun pericolo.
Non è la prima volta che qualcuno evade dal centro di recupero di St. Johannsen di Berna. In passato ci sono state due persone che sono riuscite a fuggire dalla struttura, e sono tuttora uccell di bosco.
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VENEZUELA / scoperto dalla polizia al portone dell’uscita
Detenuto tenta di evadere in un trolley
Gavinson García, alto 1,60 metri, si era rannicchiato avvolgendo la testa tra le ginocchia
Garcia viene scoperto dalla polizia penitenziaria (Epa/Ultimas Noticias)
In Venezuela, d’ora in poi, i visitatori che entrano in un carcere non potranno più portare con sé valige o borsoni. Il motivo della nuova direttiva? Domenica scorsa, a Caracas, un detenuto ha cercato di evadere di prigione nascondendosi dentro una piccola valigia quadrata con le ruote.
FUGA SFUMATA – Gavinson García non ha portato a termine la bizzarra fuga: è stato scoperto dalla polizia carceraria davanti al portone dell’uscita. L’evasione era stata progettata con una visitatrice, la sua fidanzata 22enne, che aveva consegnato il baule all’uomo condannato per omicidio. García, alto un metro e 60 centimetri, si era rannicchiato dentro il trolley avvolgendo la testa tra le ginocchia.
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Stava pregando in cella, di notte, durante il mese del Ramadam. Ma qualcuno non apprezzava il suo fervore religioso e lamentava di non riuscire a dormire. Dopo avergli chiesto di smettere è passato agli insulti e per tutta risposta si è visto sputare addosso. Il giorno dopo, per vendetta, ha arruolato tre connazionali per una spedizione punitiva e hanno picchiato lui e un suo amico.
Fu un agente di Polizia Penitenziaria ad accorgersi che in quell’ora di libertà qualcosa era andato storto, vedendo il gruppo scendere le scale con addosso i segni ben visibili della colluttazione. Uno dei magrebini riportò una lussazione alla spalla, l’altro tagli e contusioni. Venne avvertito il direttore del carcere per prendere le misure conseguenti.
Era l’8 settembre del 2008 e per quei fatti ieri sono state condannate sei persone per rissa. Si tratta di Bashkim Dervishi, 43 anni, Elton Hylviu, 30 anni, Robert Lusha, 32 anni e Anton Staka 30 anni, tutti albanesi detenuti in quel momento all’Arginone, e di Ramzi Katani, marocchino, e Miled Orabi, tunisino, entrambi di 31 anni.
Ieri in tribunale, davanti al giudice Landolfi e al pm Stefania Borro, sono stati sentiti gli agenti di Polizia Penitenziaria e il direttore del carcere Francesco Cacciola, che ha battezzato l’episodio come scoppiato per “motivi religiosi”.
Al termine della discussione il giudice ha condannato Dervishi, Saka e Hylviu a un anno e otto mesi. Un anno di pena per tutti gli altri. Pena sospesa per Katani e Lusha. Per alcuni di loro la condanna non sarà un dramma. C’è chi risulta latitante, chi invece è appena evaso dal carcere di Parma.
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