La denuncia è del “Relatore speciale sulle torture e altre punizioni crudeli, inumane e degradanti” Juan Ernesto Mendez durante conferenza stampa della 28ª sessione del Consiglio delle Nazioni Uniti per i diritti umani. I numeri sono in continua evoluzione, ma la cosa peggiore è la lunghezza dei termini: non è inusuale, per un prigioniero, passare 25-30 anni o anche di più senza alcun contatto umano. Le prigioni federali sono “indisponibili” ai controlli esterni. “Come nel Bahrein”, afferma Mendez Continue reading
Tag Archives: USA
Ferguson, ingiustizia è fatta. La rabbia travolge gli USA
L’America brucia: New York, Seattle, Los Angeles, Chicago, Cleveland, Oklahoma City, Oakland e Pittsburg e, ovviamente, Ferguson e i sobborghi di St. Louis, sono attraversati da proteste, cortei e riot da tutta la notte dopo l’annuncio del Grand Jury secondo il quale il poliziotto Darren Wilson non è colpevole dell’omicidio del 18enne afroamericano Micheal Brown. Continue reading
USA, due assassini ergastolani escono dal carcere falsificando i documenti di rilascio
La loro fuga è durata giusto appena un mese, ma la loro impresa ha dell’incredibile. Charles Walker e Joseph Jenkins sono due assassini condannati all’ergastolo senza la possibilità di avanzare richiesta per la libertà vigilata, eppure sono riusciti a trascorrere tre settimane a Panama.
I due, entrambi 34enni, stavano scontando il carcere a Continue reading
USA, Prigionieri liberazione animale: supporto a Kevin e Tyler
Diffondiamo da informa-azione dal sito di supporto: http://supportkevinandtyler.com/
Tyler Lang e Kevin Oliff sono due attivisti per la liberazione animale che sono stati arrestati il 14 agosto 2013 nelle campagne dell’Illinois per “possesso di attrezzi da scasso”. Dopo essere stati fermati dalla polizia per un controllo stradale, la loro auto è stata perquisita. All’interno, la polizia dice di aver trovato cesoie, tronchesi, acido muriatico, passamontagna, e abiti Continue reading
Guantanamo: 130 detenuti in sciopero della fame
Il colonnello Morris Davis, ex capo-procuratore di Guantanamo, è stato molto chiaro sulla struttura detentiva statunitense di massima sicurezza, definendola “un capitolo deplorevole nella storia della nazione“.
Tale dichiarazione è stata rilasciata nel corso di una manifestazione che ha avuto luogo, il 17 maggio scorso, davanti la Casa Bianca, nella quale è stata chiesta la chiusura del carcere. Al presidente Obama è stata consegnata una petizionea cui erano apposte 210.000 firme. L’iniziativa è stata promossa con il supporto dell’Organizzazione Witness Against Torture.
Su Guantanamo non sono mai mancate pesanti critiche da Continue reading
Paul Henry Gingerich: ragazzo di 12 anni in carcere
La vista, oscurata da sbarre metalliche, dà al cortile del carcere minorile in Indiana, negli Stati Uniti.
Con i suoi grandi occhi grigi e il suo sorriso timido, è difficile credere che Paul abbia avuto una sentenza di 25 anni, per aver commesso un omicidio, insieme ad un suo amico. Nel 2010, Paul è stato arrestato per aver sparato il patrigno dell’amico, a solo 12 anni. Il piano diabolico dell’omicidio era stato pianificato dal ragazzo, dal suo amico Colt Lundy, allora 15enne, e Chase Williams, allora 12enne. I tre ragazzi, inizialmente, volevano fuggire via di casa, ma Colt disse loro che il suo patrigno non lo avrebbe mai lasciato andare, e perciò bisognava ucciderlo.
Nella sua confessione originale alla polizia, Paul ha affermato che Continue reading
Guantanamo, sempre più detenuti in sciopero della fame: 92 su 166
Aumenta il numero di detenuti del carcere di Guantanamo in sciopero della fame. Secondo un portavoce del centro di detenzione, citato dall’Huffington Post, altri otto prigionieri avrebbero scelto di protestare: ora, in tutto, sarebbero 92 su 166 quelli in sciopero della fame; diciassette quelli nutriti a forza. Le autorità hanno rafforzato la presenza di personale medico nel centro di detenzione per affrontare la protesta.
I vertici militari hanno ammesso, nelle scorse settimane, che la frustrazione e la rabbia tra i detenuti è aumentata negli ultimi tempi, dopo la promessa mancata del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di chiudere Guantanamo. Sono “devastati” per questo motivo, ha ammesso un generale, perché Obama “non ha detto nulla nel suo discorso inaugurale, non ha detto nulla nel discorso sullo Continue reading
Rapporti sessuali tra detenuti e impiegate: inchiesta FBI scopre carcere sotto controllo detenuti
Un’inchiesta su una gang che opera all’interno del carcere di Baltimora ha portato all’incriminazione di 25 persone, tra cui 13 agenti penitenziari che avrebbero aiutato i detenuti a comandare nel carcere. Al centro di questa inchiesta federale c’e’ Tavon White, uno dei leader della Black Guerrilla Family (BGF), una banda afro-americana che, nata in una prigione della California, si rifa al marxismo originario.
Questo detenuto intrattiene “relazioni sessuali da molto tempo” con delle impiegate della prigione, cosi’ come fa sapere un comunicato stampa del Dipartimento di Giustizia del Maryland. White sarebbe anche diventato padre di cinque bimbi da quando e’ stato imprigionato nel 2009 al Baltimore City Detention Center. Secondo alcune intercettazioni, a gennaio avrebbe detto “E’ la mia prigione, lo capisci questo? (….) Tutto passa Continue reading
USA – E’ innocente e si fa 38 anni di carcere
38 lunghi, lunghissimi anni dietro le sbarre prima che un giudice si rendesse conto che David Bryant non era il mostro che aveva picchiato, violentato e infine ucciso una bimba di soli 8 anni. Giovedì scorso per l’uomo si sono aperte le porte del carcere ed è stato catapultato in un mondo tutto nuovo, aveva solo 18 anni quando fu arrestato. Oggi ne ha 56 e tante cose sono cambiate fuori. Nel frattempo è anche rimasto da solo, tutti i suoi parenti sono morti e il suo rammarico principale è che i suoi genitori non abbiano potuto assistere alla sua liberazione: “Sono morti senza mai conoscere la verità. E’ difficile da accettare. Nelle loro teste c’era sempre il dubbio. Vorrei che potessero essere qui per festeggiare con me questo momento“.
All’epoca dell’arresto e del processo, l’avvocato della sua difesa non fece praticamente nulla per dimostrare la sua innocenza. Anche il DNA trovato sul corpo della piccola Karen Smith, non gli apparteneva. Un giudice ha stabilito che il suo avvocato d’ufficio non mise Continue reading
Usa: rivolta a Guantanamo
(ANSA) – ROMA, 13 APR – Disordini si sono registrati oggi nel carcere speciale Usa di Guantanamo, a Cuba: alcuni detenuti hanno aggredito con armi improvvisate le guardie, dopo la decisione del comandante del carcere di spostare in un’altra sezione dei detenuti in sciopero della fame. Lo riferisce la stampa Usa. Gli agenti hanno sparato alcuni colpi di arma da fuoco. “Non ci sono stati feriti”, precisano i militari americani.
Usa: giustiziato in Texas detenuto da 19 anni nel braccio della morte
Washington, 10 apr – Il cinquantenne Rickey Lewis, detenuto da 19 anni nel braccio della morte per aver ucciso nel 1990 George Newman e averne successivamente violentato la moglie, e’ stato giustiziato in Texas.
Lewis, condannato nel 1994 alla pena capitale, e’ stato dichiarato morto per iniezione letale alle 18.32 (ora locale) dal Dipartimento della Giustizia Criminale del Texas.
L’uomo, reo confesso della violenza carnale, ha sempre negato la responsabilita’ per omicidio.
L’esecuzione di Rickey Lewis e’ la seconda nello stato del Texas dall’inizio dell’anno.
Gli USA hanno consegnato alle autorità afgane l’ultimo carcere
Il carcere di Bagram, l’unico rimasto sotto controllo dei militari americani, è passato alle autorità dell’Afghanistan. Bagram è stato più di una volta in mezzo agli scandali. I dipendenti del carcere sono stati accusati del trattamento disumano dei detenuti.
Il controllo sul carcere a Bagram sarebbe dovuto passare alle autorità afgane già a settembre dell’anno scorso, tuttavia la conclusione dell’accordo è stata rimandata perché non è stata decisa la sorte di 50 detenuti, considerati molto pericolosi. Secondo l’intesa conclusa, rimarranno in carcere.
Ogni giorno 300 immigrati detenuti in isolamento nelle carceri americane
WASHINGTON, STATI UNITI – Ogni giorno almeno 300 immigrati in attesa di rispondere ad accuse civili sono tenuti in isolamento nelle 50 maggiori carceri americane, come i peggiori criminali. E quasi sempre senza che si sappia il perche’.
La denuncia e’ del New York Times, e si basa sulle cifre fornite dallo stesso governo federale, che mostrano le difficolta’ incontrate dall’Immigration and Customs Enforcement, l’autorita’ chiamata a vigilare sui penitenziari.
La storia e’ quella di chiari abusi. Quasi la meta’ di questi immigrati tenuti reclusi senza nessun contatto col mondo esterno – scrive il Nyt – resta in isolamento per 15 o piu’ giorni, mentre il 35% per piu’ di 75 giorni. A lanciare l’allarme sono quindi gli esperti di psichiatria, secondo cui queste persone vanno incontro a gravi danni a livello mentale. Due terzi dei casi – scrive ancora il Nyt – riguarda immigrati coinvolti in infrazioni disciplinari, come violazione delle regole carcerarie, insubordinazione alle guardie carcerarie o coinvolgimento in risse.
Ma – si sottolinea – gli immigrati vengono ”regolarmente” messi in isolamento perche’ sono visti come una minaccia per gli altri detenuti o per il personale. In molti casi, poi, l’isolamento si impone come misura protettiva, quando il detenuto immigrato e’ gay o soffre di disturbi mentali. Fatto sta che questi dati riaccendono le polemiche sugli Stati Uniti, spesso nel mirino – in patria e all’estero – delle associazioni per la difesa dei diritti umani per l’eccessivo ricorso alla misura dell’isolamento nelle carceri, piu’ di ogni altro Paese democratico nel mondo, sottolinea il Nyt.
E se e’ vero che l’isolamento riguarda solo l’1% degli immigrati in carcere, questa pratica e’ ugualmente allarmante perche’ la stragrande maggioranza delle persone coinvolte è detenuta per rispondere di reati civili, e non perche’ accusati di reati penali. E’ il caso dell’immigrato presunto irregolare che viene fermato e recluso in attesa di comparire davanti al giudice amministrativo. ”Una situazione inaccettabile” per le associazioni per la difesa dei diritti degli immigrati, che da anni denunciano gli abusi nelle carceri e il ricorso eccessivo all’isolamento che dovrebbe essere solo una misura detentiva estrema.
Dopo 23 anni da innocente in carcere, rischia di morire d’infarto a due giorni dalla scarcerazione
Dopo 23 anni trascorsi ingiustamente in carcere, David Ranta ha rischiato di morire d’infarto durante il suo secondo giorno di libertà. L’uomo, 58 anni, era stato scarcerato a New York dopo aver visto cadere le accuse nei suoi confronti per l’omicidio di un importante rabbino della città, Chaskel Werzberger, avvenuto nel 1990, e per cui era stato condannato a 37 anni e mezzo di detenzione.
Ranta era alloggiato in un albergo della città assieme alla sua famiglia, proprio per avere il tempo di abituarsi alla nuova situazione, dopo un quarto di secolo vissuto all’interno di un carcere. Poche ore prima di sentirsi male, Ranta aveva confessato in un’intervista televisiva: “Sono sopraffatto. Adesso, mi sento come se stessi nuotando sott’acqua”.
La notte di venerdì, Ranta ha accusato dolori alle spalle e alla schiena, poi ha sentito molto caldo; in un primo momento, i familiari avevano pensato a un attacco di panico; poi, è stato portato in ospedale, dove i dottori gli hanno riscontrato l’occlusione totale di un’arteria e quella parziale di un’altra, e gli hanno applicato uno stent. A raccontarlo al New York Times è stato l’avvocato di Ranta, Pierre Sussman, che ha specificato che il suo assistito non aveva mai avuto problemi cardiovascolari.
Guantanamo: aumentano detenuti in sciopero fame, è allarme
Il numero di detenuti in sciopero della fame nel super carcere di Guantanamo è in forte aumento. Lo afferma il Dipartimento di Giustizia americano, sottolineando che si contano 25 detenuti che rifiutano cibo, di cui otto sono alimentati in modo forzato attraverso sondine nel naso. Due sono stati ricoverati per disidratazione.
Ma secondo i legali di alcuni detenuti – riporta il New York Times – il bilancio di coloro in sciopero della fame è decisamente più elevato, tanto che gli avvocati si sono rivolti alle autorità militari per chiedere un intervento che migliori la situazione.
Esce di prigione dopo 23 anni, era innocente
Per David Ranta, ora 58enne, le porte del carcere di New York si erano aperte dopo l’omicidio l’8 febbraio 1990 del rabbino Chaskel Werzberger, un sopravvissuto di Auschwitz, morto dopo un’agonia di quattro giorni a seguito di un tentativo di rapina da parte di un ladro di gioielli che gli aveva sparato alla testa. Ora è libero dopo 23 anni di prigione per un crimine mai commesso.
Il caso scosse l’intera comunità ebraica di Brooklyn e le indagini furono seguite dal detective Louis Scarcella, che usando, come scrive il New York Times, procedure poco ortodosse mise le manette a Ranta, un disoccupato con problemi di droga.
L’uomo fu condannato al massimo della pena, 37 anni e mezzo, e rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. Domani dopo oltre vent’anni, Ranta potrebbe essere un uomo libero, grazie al lavoro di un’apposita unità costituita dal procuratore distrettuale di Brooklyn, Charles Hynes, per indagare sui casi di condanne piu’ discussi.
Le nuove indagini hanno accertato che nelle procedure che hanno portato all’arresto di Ranta sono state infrante diverse regole. Scarcella aveva infatti convinto dei testimoni a dichiarare il falso su Ranta e non ha aveva tenuto traccia dei diversi interrogatori compiuti. Ora in pensione, raggiunto dal Ny Times, il detective ha detto che in vita sua non ha mai incastrato nessuno. Tuttavia nessuna prova metteva in relazione Ranta con l’omocidio.
USA: Il condannato che vuole essere giustiziato
NEGLI STATI UNITI
Il condannato che vuole essere giustiziato
Da 2 anni attende l’esecuzione: «Fate presto»
Per Gary Haugen, in carcere per omicidio, pena di morte rinviata al 2015 per decisione del governatore dell’Oregon. Ma lui chiede l’anticipo per protesta contro la giustizia Usa
Gary Haugen, 51 anni. La pena di morte per lui è prevista nel 2015Il condannato a morte che vuole essere giustiziato. È la storia di Gary Haugen, 51 anni, che deve scontare una pena di morte per omicidio. Il detenuto, segregato oramai da oltre trent’anni nel penitenziario di stato dell’Oregon, avrebbe dovuto essere giustiziato due anni fa. La pena capitale nei suoi confronti, tuttavia, non è stata eseguita, e non lo sarà più: nel 2011 il governatore dell’Oregon, John Kitzhaber, ha infatti sospeso tutte le esecuzioni fino alla fine del suo mandato, ossia fino a gennaio 2015. Haugen, però, vuole essere giustiziato e ha portato la sua richiesta davanti alla corte suprema dello Stato.
MORATORIA – Uno scontro giudiziale alquanto perverso tra un condannato a morte e il governatore dell’Oregon sta impegnando in questi giorni i giudici della corte suprema dello Stato americano. Trentadue anni fa Gary Haugen fu condannato all’ergastolo per aver assassinato la madre della sua ex fidanzata. Mentre era rinchiuso uccise un compagno di cella con la complicità di un altro prigioniero e nel 2007 venne condannato alla pena capitale, riferisce la National Public Radiohttp://www.npr.org/blogs/thetwo-way/2013/03/14/174340080/death-row-inmate-fights-for-right-to-die-in-oregon. Il governatore John Kitzhaber è però un convinto oppositore del supplizio supremo. Due anni fa proprio Kitzhaber aveva pubblicamente denunciato l’«iniquità e la perversione» del sistema penale del suo Stato ed espresso «profondo rammarico» per aver approvato la pena capitale per due detenuti durante i suoi mandati precedenti. Di più: il politico e medico statunitense aveva annunciato una moratoria e, come detto, sospeso tutte le esecuzioni.
«CODARDO» – Haugen, durante la sua detenzione, ha rinunciato a presentare appello contro la sentenza in segno di protesta contro il sistema giudiziario chiedendo di essere messo a morte. L’uomo pretende che «lo Stato applichi la legge in nome del popolo», ha querelato il politico definendolo un «cowboy di carta che non ha avuto il coraggio di premere il grilletto». Ora sarà la corte suprema dello Stato a dover decidere come affrontare lo spinoso caso. Per Harry Latto, l’avvocato del prigioniero, il governatore Kitzhaber non deve travalicare le sue competenze. Quest’ultimo, invece, si appella al suo diritto di grazia.
LE PERIZIE -In verità, sul fatto che il detenuto sia o meno in grado di comprendere cosa gli stia per accadere, le perizie neuropsichiatriche si sono susseguite negli anni con esiti spesso contrastanti. Ciò nonostante, la vicenda ha avuto una grande eco sulla stampa. In un editoriale il Statesman Journalhttp://community.statesmanjournal.com/blogs/editorialblog/2013/03/15/our-sunday-editorial-let-gary-haugen-die chiede che Haugen «possa finalmente morire per mano dello Stato», e che sia anche «l’ultimo nella storia dell’Oregon». Il governatore vorrebbe invece che fossero i cittadini a votare in un referendum l’abolizione della pena capitale; la consultazione potrebbe tenersi già il prossimo anno. Una decisione della corte è invece attesa a fine anno. L’Oregon ha eseguito due condanne a morte da quando la pena capitale è stata reintrodotta negli Stati Uniti nel 1977: una nel 1996 e l’altra nel 1997.
MARYLAND – Nel frattempo anche lo Stato del Maryland dice basta con la pena di morte: venerdì sera la Camera dei rappresentati ha approvato una legge che la sostituisce con l’ergastolo senza possibilità di libertà condizionata. È il diciottesimo Stato dei 50 dell’Unione che cancella la pena capitale. La legge, già passata al Senato la settimana scorsa, è stata approvata con 82 voti a favore e 56 contrari. Con il Maryland sono sei gli stati che negli ultimi sei anni hanno fermato il boia: il Connecticut, l’Illinois, il New Mexico, lo stato di New York e il New Jersey.
Guantanamo. Uno sciopero della fame lungo un mese
Al Jazeera riporta la notizia secondo cui le condizioni del carcere di massima sicurezza di Guantanamo siano ulteriormente peggiorate. I detenuti avrebbero iniziato, ormai un mese fa, uno sciopero della fame, e ora alcuni riversano in gravi condizioni di salute.
Sono anni che si sente parlare di Guantanamo, l’infernale prigione all’interno della base navale Usa sull’isola di Cuba. Un carcere di massima sicurezza in cui i detenuti sono costretti a subiretorture e seviziequotidianamente, senza alcun rispetto per il loro essere umani.
Da circa un mese, dunque, 130 prigionieri hanno deciso di protestare. Smettendo di mangiare. Uno sciopero della fame, che ha come scopo quello di attirare l’attenzione mondiale sull’ulteriore peggioramento delle condizioni carcerarie.
A parlarne per prima è stata Al Jazeera, l’emittente televisiva del Qatar. In un lungo servizio riguardante appunto Guantanamo, ha spiegato la situazione in cui riversano tutti i detenuti, sospettati di essere terroristi islamici e per questo rinchiusi nel centro di detenzione senza previo processo.
Da quanto riportato dai giornalisti arabi, i prigionieri sono vittime non solo di vessazioni, ma anche di totale incuria e abbandono. La loro salute stessa non è considerata prioritaria. “Gli avvocati di alcuni detenuti”, spiegano dall’emittente “sostengono che i loro clienti hanno frequenti perdite di coscienza e tossiscono sangue.”
Una tesi immediatamente smentita dal responsabile della struttura, il quale ha specificato tramite una e-mail come solo sette dei 166 prigionieri di Guantanamo stiano conducendo lo sciopero della famen, e le condizioni di salute di tutti siano costantemente monitorate.
Sebbene, nel 2008, Barack Obama, appena eletto, promise che avrebbe fatto chiudere il centro detentivo, a tutt’oggi poco è cambiato e “Alcuni avvocati dei diritti umani sostengono che le condizioni carcerarie nella prigione sonoulteriormente peggiorate”, continua Al Jazeera.
D’altronde, sarebbe una grande perdita d’immagine, per il presidente americano, mantenere la sua promessa e far sbarrare i cancelli del carcere. Due sondaggi condotti dal Washington Post e dall’emittente Abc durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2012, e riportati dai giornalisti arabi, “rivelano un altro punto di vista: più di due terzi degli statunitensi sono favorevoli al mantenimento del carcere di Guantanamo, mentre solo il 24 per cento pensa che la prigione dovrebbe essere chiusa”.
Immigrazione, gli Usa aprono le carceri
Molti è previsto debbano portare il braccialetto elettronico, quasi tutti devono invece presentarsi con regolarità presso gli uffici immigrazione.
Sono centinaia gli immigrati irregolari che, in attesa di processo, in meno di una settimana sono stati scarcerati in varie città degli Stati Uniti. Non ci sono più i soldi per mantenerli nei centri di detenzione.
L’Ice, l’agenzia dell’immigrazione che fa capo al dipartimento della Sicurezza guidato da Janet Napolitano, ha deciso di iniziare a risparmiare in vista dell’entrata in vigore dei tagli automatici alla spesa pubblica, avvenuta in seguito al decreto firmato dal presidente Usa Barack Obama: 85 miliardi di dollari in meno nel 2013, 1.200 miliardi nei prossimi 10 anni. E 4 miliardi è previsto siano recuperati proprio dalle casse della Sicurezza.
TAGLIO SULLA SPESA DECISO NEL 2011. La scure sulla spesa pubblica, soprannominato il «sequestro», è stata decisa nel 2011 per motivare repubblicani e democratici a trovare un accordo, rivelatosi impossibile, sul tetto del debito.
«Non riesco a credere che non ci fossero altri modi per contenere i costi. Svuotare le carceri solo per questioni economiche è una decisione assurda. Non mi faccio influenzare, ma è normale che mi sento meno sicura. C’è una ragione se le persone sono in prigione», commenta rammaricata a Lettera 43.it Barbara Zarrett, mentre compra le verdure nel famoso mercato di Union Square a New York.
L’ARIZONA È UNO DEI PIÙ COLPITI. Il numero degli immigrati messi in libertà vigilata non si conosce ancora con precisione. Non tutti i centri hanno applicato la misura. Scarcerazioni sono state registrate in alcune prigioni della Lousiana, New Jersey, Texas e New York, tra gli altri.
Uno degli Stati più colpiti è stato sicuramente l’Arizona, dove è più ferrea la legge sull’immigrazione. Più di 300 rilasci e un’aspra polemica tra i repubblicani e le associazioni che difendono i diritti degli immigrati.
«La sicurezza pubblica è in pericolo. Sono stati rimessi in libertà criminali con la scusa dei tagli al bilancio», tuona Paul Babeu, lo sceriffo della Contea di Pinal. «Obama non avrebbe mai permesso che questo avvenisse nelle strade della sua città, ma non ha avuto problemi a farlo da noi».
VIA I DETENUTI MENO PERICOLOSI. Anche il senatore repubblicano John MacCain, impegnato in questi mesi, insieme con una commissione bipartisan, a mettere in piedi le basi per una comprensiva riforma dell’immigrazione, si è detto «contrariato», così come hanno espresso disappunto e paura molti cittadini su Twitter, o attraverso i commenti agli articoli che riportavano la notizia sui network americani.
L’Ice ha però assicurato che i cancelli dei centri di detenzione sono stati aperti solo per gli immigrati irregolari che hanno alle spalle «reati lievi», che non costituiscono quindi un «pericolo per la comunità».
Ogni clandestino costa agli Usa 164 dollari al giorno
L’azione legale che deve decidere sulla deportazione degli immigrati scarcerati però non si ferma e tutti coloro che sono stati fatti uscire dai centri di detenzione sono destinati a essere guardati a vista dalle forze dell’ordine.
Si è trattato di una «misura necessaria, per fare in modo che i livelli di detenzione siano mantenuti anche con il budget attuale», ha spiegato la portavoce dell’Ice, Gillian Christensen.
Il risparmio, in effetti, è notevole se si pensa che il costo per il «mantenimento» di un clandestino nei centri di detenzione è di circa 164 dollari al giorno, mentre, secondo quanto riporta il New York Times, riprendendo le stime dell’associazione National immigration forum, i costi si abbatterebbero fino a poche decine di dollari con altre forme alternative di detenzione.
RILASCIATI SOLO I «NON CRIMINALI». Chiamata in causa dai repubblicani, la Casa Bianca ha fatto sapere di non aver giocato nessun ruolo nella decisione dell’agenzia, ma di ritenere i detenuti rilasciati «non criminali».
Se Obama cerca di mantenersi neutro, a festeggiare sono le associazioni umanitarie che si occupano dei diritti dei clandestini. «Ci sono molte persone in carcere che semplicemente non ci dovrebbero stare», ha spiegato al Washington Post, Lindsay Marshall, la responsabile di un gruppo chiamato Florence immigrant and refugee right project.
Molti di questi, secondo gli attivisti, non sono un pericolo per la comunità, non hanno commesso crimini, ma sono comunque costretti ad attendere la deportazione nei centri di detenzione, lontani dalle loro famiglie.
LA SEPARAZIONE DALLA FAMIGLIA. Tra questi c’è Ronei Ferreira De Souza, il Boston Globe ha raccontato la sua storia: 36enne, in Brasile faceva il giardiniere; ora da cinque mesi lotta contro il provvedimento che impone la deportazione.
È padre di due bambini, il suo avvocato lo descrive come un uomo di Chiesa e buon lavoratore, arrestato dalla polizia alcuni mesi fa per guida senza patente. La deportazione significa la separazione dai suoi figli.
«Abbiamo disperatamente bisogno di una riforma dell’immigrazione», spiega Gabrielle Young, una ragazza dai lunghi capelli biondi che studia a New York per fare l’attrice, «conosco tante persone che lavorano qui da anni. Non hanno i documenti e sono terrorizzati all’idea di essere rispediti nei Paesi di origine. Molti di loro hanno avuto figli, che in America hanno studiato e che qui vogliono vivere. Quando ho sentito la notizia, non ho pensato alla mia incolumità, ma solo al fatto che una mossa così improvvisa, aggiungerà nuovo caos».
NEL PAESE 11 MLN DI IMMIGRATI. La pensa così anche Michael Ruth, studente di legge: «È pericoloso lasciare il campo alla soggettività. L’Ice dice che sono stati rilasciati perché colpevoli solo di reati lievi. Ma cosa vuol dire? Qual è la linea di demarcazione tra un reato e l’altro? Credo che in America vengano arrestate molte persone ingiustamente, per motivi che non meritano il carcere».
Attualmente negli Stati Uniti ci sono circa 11 milioni di immigrati irregolari. Da un mese, un gruppo bipartisan di otto senatori sta studiando una riforma che porti progressivamente sia all’acquisizione della cittadinanza dei clandestini che per anni hanno lavorato e studiato negli Usa, sia alla definizione di severe misure di sicurezza alla frontiera con il Messico.
La riforma dell’immigrazione è uno dei punti cardine del secondo mandato alla Casa Bianca di Obama. Il presidente è convinto che questa possa vedere la luce prima della fine del 2013.
Un algerino detenuto a Guantanamo chiede asilo alla Francia
Nabil Hadjarab, arrestato nel 2001 alla frontiera tra Pakistan e Afghanistan, ha trentatré anni, dei quali gli ultimi undici trascorsi tra le strette mura della prigione americana di Guantanamo, nonostante, secondo il suo avvocato Cori Cride, non sia mai stato formalmente incolpato e in ogni caso risulti da ben sei anni discolpato dalla stessa amministrazione americana rispetto ai sospetti di terrorismo per i quali era stato imprigionato. La sua famiglia non lo ha abbandonato, ben lontana da Cuba, risiede in Francia ed è proprio dalla République che lo zio Ahmed, dopo ben sedici comunicazione inviate senza successo egli ultimi anni, ha lanciato l’ennesimo appello al riconoscimento dell’asilo politico, dopo aver promosso una petizione con una lettera indirizzata ad alcune alte autorità d’oltralpe (François Hollande, Presidente della Repubblica, Manuel Valls, Ministro dell’Interno, Laurent Fabius, Ministro degli Affari Esteri, Soria Blatmann, Consigliere tecnico alle relazioni con la società civile, François Zimeray, Ambasciatore per i Diritti dell’uomo).
Chico Forti: in carcere da 13 anni
Il caso di Chico Forti, condannato per omicidio ma senza prove
In questo articolo voglio far conoscere un caso che, come l’omicidio di Meredith Kercher, ha collegato le giurisdizioni di Paesi differenti, divenendo un fatto di cronaca internazionale. È la storia di un italiano, Enrico Forti, detto “Chico”, da tredici anni rinchiuso in un carcere di massima sicurezza a Miami, condannato all’ergastolo per omicidio.
Il giovane Forti, originario di Trento, campione internazionale di windsurf, si trasferì nel ’92 negli Stati Uniti, dopo aver vinto una importante cifra nel famoso gioco televisivo chiamato “TeleMike”.
Con questa vincita, Forti iniziò la sua nuova vita a Miami, dove intraprese la carriera di filmaker e produttore, attività che gli permisero di accumulare una piccola fortuna. Sposò una giovane modella, Heather Crane, dalla quale ebbe tre figli.
Il ragazzo di Trento sembrò aver realizzato il sogno americano. Ma il suo spirito intraprendente e il suo fiuto per gli affari non lo ripagarono adeguatamente. La fortuna presentò ben presto il conto.
Thomas Knott, tedesco, malfattore, arrestato per droga e varie truffe in Germania, era il vicino di casa di Forti a Williams Island, Miami.
Tramite Knott, Forti conobbe Anthony Pike, un australiano, proprietario di un famoso albergo di Ibiza, in Spagna, il Pikes Hotel.
Tony Pike era in una situazione economicamente difficile, la sua attività era in passivo, il suo albergo, che all’inizio degli anni ’90 era frequentato da gente dello spettacolo, lo portò ad indebitarsi fortemente.
Perciò a Forti venne offerto di acquistare il Pikes. Intanto il figlio di Tony, Dale, di ritorno dalla Malesia, venne invitato a Miami, dove sperava di intraprendere una nuova carriera nel mondo del cinema grazie all’aiuto di Chico.
Il giovane Pike arrivò a Miami il 15 febbraio 1998 e dopo un incontro con Forti, che andò a prelevarlo dall’aeroporto, i due si separarono nel parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dandosi un appuntamento il 18 febbraio, quando si sarebbero incontrati con il padre di Dale.
Il giorno successivo, il 16 febbraio, Dale venne trovano morto e denudato in un boschetto a Sewer Beach, una spiaggia molto conosciuta dai surfisti.
Il 18 febbraio Forti, che si trovava a New York, venne a conoscenza della morte di Dale e rientrò a Miami. Si presentò alla polizia, dove gli confermarono della morte di Dale e gli comunicarono la scomparsa, non vera, di Anthony.
Ed è qui che Forti commise il suo grande errore. Terrorizzato dalla notizia della morte di due delle persone a lui più vicine, affermò di non aver mai incontrato il giovane Pike.
Il 20 febbraio si ripresentò alla polizia, senza l’assistenza di un legale, per consegnare alle autorità i documenti riguardanti i suoi affari con il padre della vittima. Dopo un estenuante interrogatorio durato 14 ore, dichiarò di aver incontrato Dale poche ore prima della sua morte e di averlo accompagnato al ristorante in Virginia Key.
Forti venne arrestato in un primo momento con l’accusa di frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio.
Assolto successivamente da ogni accusa di frode, tornò libero per venti mesi, ma con una cauzione da record: un milione di dollari.
Le indagini sulla morte di Dale continuarono. La macchina di Forti venne minuziosamente controllata, finché 45 giorni dopo l’omicidio i periti trovarono sul gancio di traino dell’auto alcuni granelli di sabbia, che secondo l’accusa provenivano da Sewer Beach, la spiaggia dove venne trovato il corpo senza vita di Pike. Secondo la perizia della difesa quei granelli non ricollegavano direttamente l’auto alla spiaggia, essendo comune alla sabbia di molte altre spiagge della zona.
L’arma del delitto, mai ritrovata, risultò compatibile con una pistola, che fu acquistata da Tom Knott (ve lo ricordate?) con la carta di credito di Forti.
Secondo l’accusa Forti aveva un movente. Temeva che Dale potesse interferire con le trattative per l’acquisto dell’albergo. Forti intendeva comprarlo a basso costo da Tom Pike, ormai vecchio e demente. Così invitò Dale a Miami e “lo condusse verso la morte”.
Il 15 giugno del 2000 i dodici giurati della contea di Miami Dade emisero il verdetto: COLPEVOLE!
“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”!
Una sensazione, quindi. Una sensazione che ha prodotto la morte civile di un italiano, per molti assolutamente innocente.
Con gli anni il movimento dei sostenitori di Chico è cresciuto notevolmente, soprattutto grazie alla rete e ai numerosi gruppi che sono sorti sui social network e che hanno svolto un’intensa opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul caso Forti.
Da Jovanotti a Fiorello, fino ad arrivare alla criminologa Roberta Bruzzone, che nel suo ultimo libro, “Chi è l’assassino – Diario di una criminologa”, sostiene la tesi dell’innocenza di Chico e della presenza di un complotto. Le motivazioni dell’accusa cedono davanti al ragionamento della criminologa, che in un dossier diretto all’ex ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi, chiede che venga riaperto il caso e che giustizia sia fatta.
Il finale di questo giallo è ancora tutto da scrivere e forse, con l’intervento delle autorità italiane, si potrà far luce su questa storia e portare alla liberazione di Chico o alla conferma della condanna ma “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Usa: esecuzione di una condanna a morte sospesa all’ultimo minuto, detenuto ha problemi mentali
Nelle ultime ore si è parlato molto, negli Usa e non solo, della condanna a morte inflitta in Georgia, a un 52enne con problemi mentali, Warren Hil, detenuto da 20 anni nel penitenziario di Jackson. Ebbene, all’1, ora italiana, a sorpresa, è stata sospesa l’esecuzione della pena capitale. I legali hanno asserito che Hill, condannato a morte per aver ucciso un suo compagno di cella, ha 70 di quoziente intellettivo.
USA – La patria del carcere
Gli Stati Uniti, lo Stato che più publicizza sè stesso come esempio di libertà e democrazia ha consolidato oramai da tempo un primato tutto a stelle e strisce. Qui si imprigionano più persone che in qualsiasi altro Paese del mondo. Le persone residenti negli Stati Uniti rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale: di queste, 2,4 milioni “vivono” nelle carceri degli Stati Uniti, ossia il 25% dei prigionieri di tutto il mondo.
Tra il 1970 e il 2005 la popolazione carceraria è aumentata del 700% ma la crescita più significativa riguarda i profitti dell’industria legata al settore delle prigioni private: tali profitti sono infatti cresciuti del 1600% nel periodo 1990 – 2009.
Prima del 1980 non esistevano prigioni gestite da società private per fini di lucro; nei tre decenni successivi tali società hanno usato i loro enormi profitti per guadagnare peso politico e accelerare la crescita di questo settore di mercato.
Le dichiarazioni rilasciate dalla ‘Corrections Corporation of America’, la più grande compagnia di carceri private al mondo, rivelano gli interessi della compagnia per il mantenimento delle misure economiche draconiane del governo che contribuiscono al crescente tasso di incarcerazione di massa: “La nostra crescita generalmente dipende dalla nostra capacità di ottenere nuovi contratti … Qualsiasi variazione (legislativa) rispetto a droga o immigrazione clandestina, potrebbe far variare il numero di persone arrestate e condannate, riducendo quindi la domanda ai nostri istituti penitenziari per accoglierle. ”
In un articolo di qualche anno fa (1), il New York Times adduceva tra le cause del tasso continuo di carcerzione, pene non commisurate per reati minori, come il compilare assegni a vuoto o legate all’uso di droghe, reati che in altri Paesi, raramente producono pene detentive. Inoltre la carcerazione di chi le sconta è molto più lunga.
Nel 2010, quando il sistema economico era in piena crisi , le due più grandi società private carcerarie, la CCA e il gruppo GEO hanno ottenuto 3 miliardi di dollari di profitti. Questo denaro, come quello per i salvataggi dei banchieri di Wall Street, sono stati presi dai contribuenti per volere dei politici federali e statali e messi nelle tasche di un numero relativamente basso di capitalisti che gestiscono il sistema carcerario privato.
L’incarcerazione di massa viene mantenuta come fonte di enormi profitti, la repressione che si esprime in arresti e condanne da parte dello Stato,ne è una pre-condizione. Lo Stato si dimostra come il vero artefice di una realtà economica che emargina settori interi di popolazione per poi lucrare sulla loro pelle.
Segregazione di Stato
La repressione colpisce più duramente i settori più emarginati della società. I numeri parlano chiaro, è ovunque evidente la sproporzione di persone di colore che riempiono le carceri. Negli Stati con la quantità più numerosa di detenuti, le persone di colore costituiscono oltre l’89 per cento della popolazione carceraria in California, il 71% in Texas e il 65% in Arizona. Quasi la metà sono immigrati privi di documenti detenuti dal governo degli Stati Uniti in buona parte arrestati dalla famigerata ICE, il corpo di polizia di frontiera a guardia dei confini con il Messico.
Un articolo di Micromega di inizio 2012 (2), riportava la definizione che lo scrittore Adam Gopnick, ha dato al sistema carcerario americano: “la dentenzione di massa ha influenza sulla società contemporanea come avveniva per la schiavitù nel 1850″, rifacendosi a studi che dimostrano come il sistema penitenziario americano di oggi sia “la continuazione con altri mezzi (neanche tanto diversi) del regime segregazionista”.
Il carceriere è il capitale
In queste prigioni qualsiasi programma di “riabilitazione” è esplicitamente considerato non-economicamente conveniente, in modo tale che al momento del rilascio gli ex prigionieri sono stati essenzialmente privati di ogni capacità di trovare un posto di lavoro. Questo fattore alimenta l’emarginazione sociale aumentando le probabilità che gli ex detenuti tornino in breve tempo nell’infernale sistema carcerario, a tutto vantaggio delle lobby della detenzione.
La crescita dei profitti dell’infame sistema carcerario rivela tutto lo sfruttamento della parte più debole della classe operaia americana; nonostante gli enormi profitti, le condizioni all’interno delle prigioni private sono spesso peggio di quelle pubbliche, con più alti tassi di violenza contro i prigionieri,suicidi, celle sporche infestate dai topi e che odorano di urina.
Nessuna legge nè riforma cambierà mai questo stato di cose. Perchè le leggi le fa il padronato per servire il capitale. E il capitale è il sommo capo di tutti i carcerieri.
K.B.
(1) NYT 23/04/2008
(2) MicroMega “Gulag America” Giuliano Santoro 31/12/2012
www.combat.coc.org
Ashley Smith si uccide in carcere davanti alle guardie che restano ferme
Ashley Smith, 19 anni, è morta suicida nel 2007 nel carcere femminile di Grand Valley in Kitchener, Ontario. Ashley Smith si è soffocata tra l’indifferenza delle guardie carcerarie rimaste al di là delle sbarre senza intervenire.
Oggi(23gennaio2013) per la prima volta un video mostra la morte di Ashley, mostrato alla giuria durante un’inchiesta giudiziaria. Nelle immagini si vedono le guardie carcerarie mentre guardano la giovane morire attraverso una botola. Le guardie, come riportato dalla CBC News, sono rimaste ferme per 10 minuti discutendo su cosa sarebbe stato meglio fare. Molte volte in precedenze Ashley aveva provato il suicidio ma le guardie ogni volta affermavano che era solo un modo per cercare di attirare l’attenzione.
Stati Uniti: prima esecuzione dell’anno con la sedia elettrica, modalità scelta dal detenuto
Aveva chiesto di essere giustiziato con la sedia elettrica, altrimenti avrebbe colpito ancora. Tanto da aver ucciso anche due detenuti del carcere dove stava scontando l’ergastolo (per un altro omicidio, ndr), per accelerare la sua condanna a morte. Si è la svolta nella notte in Virginia, come spiega Abc.news, l’esecuzione di Robert Gleason, un 42enne che aveva rinunciato anche al suo diritto di appello, nonostante i legali fossero contrari alla sua decisione.
Era stato proprio John Sheldon, uno degli avvocati a presentare ricorso contro la scelta di Gleason, spiegando come l’uomo soffrisse di “gravi disturbi mentali”. Ma il ricorso non è stato accolto dalla corte della Virginia, che non ha raccolto le prove presentate dal legale, che ha tentato invano di dimostrare la sua depressione, citando anche i diversi tentativi di suicidio. Gleason non si è limitato a chiedere la condanna a morte: ha anche scelto di morire non con l’iniezione letale, bensì sulla sedia elettrica. Rimettendo così in azione lo strumento di morte, per la prima volta dal 2010. Il legale ha protestato fino alla fine, ma è servito a poco: la sentenza fatale è diventata esecutiva non appena è stato negato anche il ricorso dalla Corte Suprema.
Gleason aveva ammesso di aver strangolato quattro anni fa il suo compagno di cella, il 63enne Harvey Watson, nello stesso giorno in cui aveva commesso il delitto per il quale era stato punito con l’ergastolo. Da tempo richiedeva di essere giustiziato, tanto da aver pure ucciso un altro compagno di cella, il 26enne Aaron Cooper, utilizzando la rete di protezione del cortile del carcere. Ovviamente, era stato il primo a dichiararsi colpevole.
Come riporta l’Huffington Post, è stato il governatore Bob McDonnell ad aver spiegato come l’uomo non avesse espresso alcun rimorso per gli omicidi. Anzi, aveva dichiarato che, se non fosse stato giustiziato, avrebbe continuato ad uccidere. “Per i giudici competenti ha agito in modo cosciente”, si è difeso, contro le critiche del suo legale. Spiegando in passato la sua scelta macabra, Gleason aveva sottolineato come avesse ucciso “in passato soltanto criminali, mai persone innocenti”, ma che avrebbe fatto di tutto per “mantenere la promessa ad una persona cara”: “Soltanto così potrò spiegare ai miei figli cosa succede se diventi un omicida”, aveva dichiarato l’uomo. Delle 1320 condanne a morte, da quando la pena è stata reintrodotta nel 1976, 157 sono avvenute attraverso la sedia elettrica. secondo quanto spiega il Death Penalty Information Center.
di Alberto Sofia Fonte: giornalettismo.com
Evasi dal carcere grattacielo di Chicago
una fuga incredibile avvolta nel mistero
CHICAGO (USA) – La domanda sorge spontanea: come può verificarsi una fuga da un carcere grattacielo statunitense, senza che nessuno se ne accorga?! Questo è un vero quesito: non è chiaro se ciò sia merito dei due detenuti che sono riusciti a fuggire, di nome Jose Banche, 37 anni, e Kenneth Conley, 38 anni, o se sia semplicemente colpa degli agenti penitenziari, che non si sono accorti proprio di un bel nulla.
La vicenda, come avrete capito, si è svolta in quel di Chicago, negli Stati Uniti d’America. La fuga dei due detenuti è stata davvero rocambolesca: sono riusciti a scappare da un grattacielo di ben 27 piani utilizzando il classico metodo visto nei film, ovvero formando una corda fatta di lenzuoli e corde. Ora, ovviamente, è stato dato il via alla caccia all’uomo.
La prigione federale della città, dalla quale i due sono riusciti ad evadere, è chiamata Metropolitan Correctional Centre. Il mistero più grande, ora, è: come avranno fatto i detenuti ad uscire dalla finestra della cella?! Si tratta infatti di una feritoia senza sbarre, con un’apertura di poco più di 15 centimetri. I due erano in prigione in seguito ad una rapina in banca, ed erano stati visti per l’ultima volta lo scorso lunedì notte, per il solito appello.