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Sparò al direttore di banca Infarto in carcere: è grave

tumblr_m2c8hpAYo91rsdqlco1_1280PADOVA — Ha avuto un malore e si è accasciato nella cella del carcere di Treviso, dove si trova da circa due settimane. Luciano Franceschi, 54enne imprenditore di Borgoricco che l’11 febbraio scorso ha sparato a Pierluigi Gambarotto, direttore del credito cooperativo di Campodarsego, si trova ora in gravi condizioni nell’ospedale Ca’ Foncello. Franceschi, agli arresti per tentato omicidio volontario, è stato sottoposto ad accertamenti e cure e le sue condizioni sarebbero stazionarie. Dal punto di vista giudiziario invece la sua posizione sembra vacillare: è stato infatti depositato il verbale delle dichiarazioni fatte in ospedale dal direttore della banca colpito al ventre, e sembra che le due versioni, quella di Gambarotto e quella di Franceschi, siano discordanti. Il ferito dice infatti di aver discusso inizialmente con Franceschi della rinegoziazione di un fido, sul quale l’imprenditore avrebbe posto delle condizioni inaccettabili dal punto di vista della banca.

Alla risposta negativa del direttore, Franceschi avrebbe cominciato ad agitarsi, e quando Gambarotto si è alzato per accompagnarlo alla porta, il 54enne di Borgoricco avrebbe preso la pistola sparandogli all’addome. L’indagato invece aveva detto che ci sarebbe stata un momento di concitazione, e che non aveva intenzione di sparare al direttore, ma solo di mettergli paura e creare panico in banca, sequestrando tutti per attirare l’attenzione sulla «causa venetista». Relativamente alle dichiarazioni di Gambarotto, c’è da dire che l’uomo è apparso lucido e consapevole nel racconto di quell’incontro, salvo poi svelare qualche difficoltà nel definire nel dettaglio i momenti immediatamente precedenti allo sparo. Probabilmente il trauma subito non consente al direttore della banca di mettere ancora ordine negli attimi prima dei due colpi che gli hanno perforato l’addome. Di certo c’è che secondo la sua versione Franceschi avrebbe alzato la pistola all’improvviso e premuto il grilletto. Gambarotto è ancora in ospedale, ma sta migliorando, la sua vita è rimasta appesa a un filo per una settimana, ha subito un lungo intervento, ma da una decina di giorni circa l’uomo è fuori pericolo. E per un beffardo gioco del destino ora è proprio l’uomo che gli ha sparato ad essere in gravi condizioni in ospedale. Prima di sentirsi male Franceschi ha fatto richiesta di scarcerazione davanti al tribunale del Riesame.

Il documento ai magistrati lo ha scritto di suo pugno e in completa autonomia, all’insaputa anche del legale che lo sta seguendo, l’avvocato penalista padovano Giovanni Lamonica. Si tratta di un altro gesto di dimostrativo contro lo Stato italiano, una presa di posizione che in carcere si è andata rafforzando, stando a quanto diceva qualche giorno fa il fratello Enzo. Sembra infatti che tra i pensieri di Franceschi dall’11 febbraio a oggi i problemi finanziari dei caseificio di Borgoricco siano andati in secondo piano. Quelle ansie che lo avevano preso per aver sforato il fido, che lo preoccupavano dopo la perdita della moglie, sono state travolte dalla volontà di portare avanti la causa del Veneto libero e indipendente rispetto a uno Stato visto solo come un’invasore che chiede tasse senza dare nulla in cambio. L’obiettivo è infatti proseguire, anche dal carcere con la battaglia di carte e burocrazia che lo porteranno, dice lui, fino a Bruxelles. Di certo quello Stato italiano che Franceschi non riconosce dovrà processarlo per quei due colpi sparati contro un direttore di banca che peraltro conosceva da tempo. In ogni caso ora Franceschi dovrà superare l’attacco di cuore che lo ha colpito sabato e che lo vede sul letto di un ospedale, sottoposto a cure che gli stanno salvando la vita, prestate gratis da quello stesso Stato che lui detesta.

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Israele: morto un secondo detenuto palestinese in carcere israeliano in Cisgiordania

palestinaUn secondo detenuto palestinese è morto ieri in un carcere israeliano in Cisgiordania. Ne dà notizia il sito di al Arabiya, aggiungendo che l’Anp ha lanciato una inchiesta su questo nuovo decesso. Secondo la famiglia, citata dall’emittente araba, Ayman Abu Sufian, 40 anni, era diabetico e prima di morire aveva la pressione alta. Abu Sufian era stato arrestato mercoledì dalle autorità israeliane. Il 23 febbraio era morto in un carcere israeliano un altro detenuto palestinese, Arafat Jaradat, 30 anni. Le cause del decesso, che ha innescato violente proteste in tutta la Cisgiordania, non sono state ancora accertate, ma anche per il Presidente palestinese Abu Mazen l’uomo è stato torturato. Migliaia di palestinesi manifestano in Cisgiordania da settimane per esprimere la loro solidarietà ad almeno 11 loro concittadini detenuti da Israele, da tempo in sciopero della fame per protestare contro la politica di detenzione di Israele.

Fonte TM News


Violenta aggressione da parte di un detenuto ad una guardia

photo_contest (1)Enna – Viene riferito a questa Segreteria Regionale SAPPe che giorno 28
FEBBRAIO 2013 un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria assistente capo
in servizio presso la Casa Circondariale di Piazza Armerina , durante l’espletamento
dell’attività lavorativa all’interno dell’istituto penitenziario presso il reparto detentivo
primo piano senza alcuna motivazione è stato aggredito da un detenuto di origini
catanesi solo perché l’ utente non aveva accettato di buon grado una rilevazione
disciplinare.
Per quanto si è venuto a sapere ,il poliziotto penitenziario era solo presso il
reparto detentivo durante il cambio per usufruire del tempo necessario per pranzare .
L’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria ha riportato varie contusioni
con prognosi di giorni 10 salvo complicazioni.

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“Insofferente” ai domiciliari dà di matto e viene ricoverato

Detenuto agli arresti domiciliari dà in escandescenza ed accusa un malore. E’ successo giovedì mattina in un’abitazione a Rimini. A chiedere l’intervento del 112 è stato un familiari.

toroE’ successo giovedì mattina in un’abitazione a Rimini. A chiedere l’intervento del 112 è stato un familiare poichè non riusciva a calmare l’indagato. Giunti sul posto i Carabinieri ed i sanitari hanno appurato che il detenuto ai domiciliari, di nazionalità straniera, era talmente in stato di agitazione che era necessario ricoverarlo in ospedale.

Sottoposto a varie visite, tra cui quella di uno specialista psichiatra, è emerso che la causa del suo male, che gli provocava dolori al petto, è la sua “insofferenza” alla detenzione domiciliare che, a suo dire, gli impediva di praticare sport. Riportato alla ragione e tranquillizzato, veniva riaccompagnato presso il domicilio.

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Detenuto tenta il suicidio ingerendo delle pile

suicidioE’ in gravi condizioni il detenuto che, nella tarda serata di ieri 28 febbraio, intorno alle 23,15, ha tentato il suicidio nel carcere di Mammagialla.

Si tratterebbe di un tunisino sulla trentina che, secondo quando si apprende, avrebbe inizialmente ingerito pile per poi procurarsi un profondo taglio all’avambraccio e infine avrebbe provato a impiccarsi.

Subito intervenuti gli agenti della polizia penitenziaria che hanno scongiurato il peggio.

Sono stati allertati i sanitari del 118 che hanno trasferito il trentenne a Belcolle dove è ricoverato in gravissime condizioni.

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Canton Mombello, caso di tubercolosi in cella

Cristobal_Rojas_37aAllarme tubercolosi a Canton Mombello. Un detenuto di 42 anni, di nazionalità italiana, in cella dalla metà di gennaio, è risultato positivo al test di di Mantoux. L’uomo era in stanza con altre otto persone, immeditamente sottoposte all’esame della “tubercolina” e alla profilassi del caso. 
Stessa procedura per il personale di polizia penitenziaria e
 per le altre persone venute a contatto con il malato durante la sua permanenza in carcere.
La malattia, in una situazione come quella in cui si trovano i carcerati della casa circondariale di Brescia, può creare davvero un pericolo epidemia, date le condizioni di sovraffollamento della struttura.
Il 42enne è stato ricoverato in ospedale, nel reparto infettivi dell’Ospedale civile di Brescia, in isolamento, e sottoposto a terapia antibiotica.

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Senza Sosta, in un libro la vita al carcere delle Novate

libri-carcereRicordi, nostalgie, radici – quelle spezzate, quelle cresciute intorno alle sbarre – e speranze da far vivere magari lontano da celle anguste. “Senza Sosta”, il volume presentato al Tribunale di Piacenza e curato dall’associazione Tessere Trame in collaborazione con Oltre il muro e con Asp Città di Piacenza, spinge il lettore all’interno della realtà – spesso considerata ai margini non solo della città, ma anche dei pensieri – del carcere delle Novate.

Un’iniziativa che da Barbara Garlaschelli ed Elisabetta Spaini, di Tessere Trame, è descritta così: «E’ un volume nato per testimoniare la vitalità di un mondo considerato a parte, come quello del carcere, e dal momento che la nostra associazione si occupa di letteratura, uno dei modi per meglio illustrare le attività della casa circondariale è senza dubbio quello di raccogliere pensieri e scritti dei detenuti». «Esaminati e scelti – ci tengono a sottolinearlo – in base al loro valore letterario, anteponendo la qualità letteraria alla condizione degli autori, scritti tra i quali sono state anche aggiunte frasi di grandi scrittori che hanno vissuto l’esperienza carceraria».

Dopo la presentazione di Valeria Parietti (presidente dell’associazione Oltre il muro) e di Brunello Buonocore (Asp Città di Piacenza), sono stati letti alcuni testi dei detenuti. Ricordando quello che ha detto Garlaschelli in apertura dell’incontro in merito a letteratura e detenzione, vale a dire che «nel momento in cui si scrive paradossalmente si è liberi, la letteratura è una grande forma di libertà». Ed è quello che spiega poco dopo Ugo, ex detenuto che racconta la sua storia e dice: «Rileggo oggi quello che scrissi in carcere. Fa effetto, ma quanto mi è servito». E nero su bianco lo ribadisce a suo modo T.L. nel primo dei racconti che si trovano nel libro, piccolo e prezioso: “A volte mi capita di vedere un po’ di primavera nella mia anima. Per l’estate credo ci vorrà tempo”.

Senza Sosta, supplemento del giornale del carcere “Sosta forzata” gestito da Carla Chiappini, si potrà trovare anche nella sede di Oltre il muro in via Scalabrini 21.

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Venezuela – Detenuto tenta di evadere in un trolley

VENEZUELA / scoperto dalla polizia al portone dell’uscita

Detenuto tenta di evadere in un trolley

Juan-Ramirez-TijerinaGavinson García, alto 1,60 metri, si era rannicchiato avvolgendo la testa tra le ginocchia

Garcia viene scoperto dalla polizia penitenziaria (Epa/Ultimas Noticias)

In Venezuela, d’ora in poi, i visitatori che entrano in un carcere non potranno più portare con sé valige o borsoni. Il motivo della nuova direttiva? Domenica scorsa, a Caracas, un detenuto ha cercato di evadere di prigione nascondendosi dentro una piccola valigia quadrata con le ruote.

FUGA SFUMATA – Gavinson García non ha portato a termine la bizzarra fuga: è stato scoperto dalla polizia carceraria davanti al portone dell’uscita. L’evasione era stata progettata con una visitatrice, la sua fidanzata 22enne, che aveva consegnato il baule all’uomo condannato per omicidio. García, alto un metro e 60 centimetri, si era rannicchiato dentro il trolley avvolgendo la testa tra le ginocchia.

 Fonte Corriere

Non dà segni di vita nel letto (ma sta “bene”). Detenuto nordafricano soccorso in carcere

stesoUn detenuto delle carceri di valle Armea a Sanremo: R.M., di 47 anni, di origine nordafricana, è stato soccorso nel pomeriggio da un equipaggio della Croce Verde di Arma, assieme all’automedica Alfa 2, inviati dalla centrale operativa del 118. L’uomo non dava segni di vita nel letto, ma sembrava cosciente. E’ stato portato al pronto soccorso, dove i medici stanno valutando le sue condizioni.

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Cerca di corrompere agente per portare la droga in carcere

Hashish-smoker-India-Pushcar-a17917705Lecce – Avevano cercato d’introdurre nel carcere di Borgo San Nicola di Lecce un panetto di circa 100 grammi di hashish, e per farlo, avevano richiesto la collaborazione di un agente di Polizia Penitenziaria che avevano cercato di corrompere.

Il tentativo di corruzion però non è andato a buon fine e così sono finiti nei guai tre uomini. Due di loro, hanno patteggiato una condanna ad un anno e mezzo di reclusione ciascuno.

Il terzo invece,  già noto alle forze dell’ordine, ha scelto di andare a dibattimento. Il processo a suo carico quindi si aprirà il prossimo 6 maggio dinanzi alla I Sezione collegiale del Tribunale di Lecce.”

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In carcere per errore: 100mila euro di risarcimento

carcereAvellino – Dodici mesi di carcere per un criminale possono essere niente. Ma per una persona innocente sono devastanti. Ed è il caso di un rumeno che dopo aver trascorso un anno tra le mura del carcere da innocente, ha avviato – insieme al suo avvocato difensore Nunzia Napolitano – una battaglia legale per la ingiusta detenzione. E quella battaglia, vinta dopo tanti anni, gli ha cambiato la vita. In bene, naturalmente. Perché ha ottenuto il riconoscimento della ingiusta detenzione con il risarcimento di centomila euro. E per lui, straniero giunto in Italia per trovare lavoro e fortuna, 100mila euro sono tanti e bastano per cambiargli la vita.

Infatti, ha comprato già una casa per la famiglia in Romania, ha acquistato anche due furgoni per avviare un’attività di import-export tra Italia e Romania. Insomma, dopo anni di sofferenza, per il rumeno si è aperto uno spiraglio. Ed è anche il primo caso – almeno in Irpinia – di un risarcimento così cospicuo, nei confronti di uno straniero. Spesso e volentieri, infatti, sono protagonisti di casi di violenza e criminalità. Invece, il giovane era giunto in Italia per aiutare la famiglia, lavorando onestamente. Ma la sfortuna ha voluto che dopo 15 giorni dal suo arrivo viene arrestato.

Il giovane, insieme ad altri tre era stato accusato di riduzione in schiavitù, sequestro di persona e rapina aggravata. Secondo gli investigatori costituivano, insieme ad altri due, una banda criminale che aveva sede a Serino. I quattro rumeni sono stati arrestati il 14 marzo del 2008. E dopo 12 mesi di carcere sono stati rimessi in libertà. I ragazzi, tutti di età compresa tra i 18 e i 20 anni, erano stati accusati ingiustamente. I poveri rumeni, in pratica sono stati soltanto vittime di calunnie da parte di un loro connazionale, che dopo la denuncia, è tornato nel suo paese.

Ma per fortuna è finita l’odissea per i giovani rumeni che erano arrivati in Italia per trovare lavoro e dopo 15 giorni si sono ritrovati chiusi in una cella, senza capire nemmeno il perché. Ma, nonostante siano passati cinque anni, al rumeno gli è stata riconosciuta l’innocenza. Questo anche grazie al lavoro svolto in questi anni dal suo avvocato Nunzia Napolitano che ha prodotto una lunga e corposa memoria difensiva. Ora il rumeno è tornato a casa, ma presto tornerà in Italia per avviare l’attività lavorativa che aveva in mente.

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Fuori i torturati dalle galere: ORA!

Diffondiamo da polvere da sparo

reato_tortura_italiaSe c’è un motivo per cui da anni scrivo, leggo, ricerco materiale sulla tortura,
è perchè sento la necessità viscerale di buttarli fuori.
In Italia la tortura s’è mossa con mano pesante sui corpi dei militanti della lotta armata, dalla fine degli anni ’70 al 1982, maledetto anno cileno:
elettrodi attaccati al penemanganelli nelle vaginecapezzoli tirati con pinze, la scientifica e ripetuta tortura dell’acqua e sale,
denominata dagli statunitensi waterboarding, finte esecuzioni e tanto altro…
questo è stato il nosto paese, che ha costruito un apparato specializzato, che correva qua e là per lo stivale ad improntare sale di tortura, tavolacci da boia, preordinati e decisi dai più alti apparati di Stato.
Nomi ormai noti, nomi che hanno fatto la loro splendida e medagliata carriera, fino a giungere, come Oscar Fioriolli a dirigere la Scuola di Formazione per la Tutela dell’Ordine Pubblico: quasi una barzelletta della storia (proprio colui che si occupò di “quel manganello”)

Dicevo,
se c’è un motivo che in tutti questi anni ha alimentato il mio bisogno di inchiestare i loro elettrodi e la catena di quei nomi,
è che ci son dei compagni, dei corpi di uomini e donne,
che vivono ancora reclusi (alcuni senza aver nemmeno mai fruito di un permesso).
Parliamo di una carcerazione iniziata così, con i trattamenti più atroci che l’essere umano possa immaginare, e MAI TERMINATA.
Da più, molto più di trent’anni ormai.

Ho letto molti testi,  incontrato medici,
imparato quanto lavoro si deve fare sulle menti e i corpi di chi ha subito la tortura per riuscirsi a riappropriare di sè stessi,
di un minimo di tranquillità nel toccare il proprio corpo,
o nell’abbandonarsi al sonno.

Tonnellate di studi, di pagine, di centri internazionali di riabilitazione per torturati, per uomini e donne che hanno il diritto di riprender la propria esistenza nelle mani, dai più minimi gesti.
NOI IN ITALIA SIAMO ALTRO A QUANTO PARE.
Noi i nostri torturati li teniamo in cella.
Noi i nostri torturati non li curiamo.
Noi non li facciamo accedere a nessun percorso riabilitativo, liberatorio, collettivo.
No.
Li teniamo chiusi, a scontare l’eternità del carcere e di corpi abusati.

Per quello penso sia NECESSARIO parlare di tortura,
conoscere i racconti di chi ha subito il waterboarding dalla voce stessa, rotta, da chi l’ha subito,
per quello dobbiamo seguire puntando tutti i fari a disposizione il tentativo che alcuni avvocati stanno facendo per “riaprire il processo Triaca” che altro non significa che eliminare la condanna (da lui totalmente scontata) per calunnia, datagli quando accusò lo Stato delle torture.
Annullare una condanna, e fare in modo che quei nomi siano scritti nero su bianco.
Nero su bianco, torturatore per torturatore.

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Un algerino detenuto a Guantanamo chiede asilo alla Francia

guantanamoNabil Hadjarab, arrestato nel 2001 alla frontiera tra Pakistan e Afghanistan, ha trentatré anni, dei quali gli ultimi undici trascorsi tra le strette mura della prigione americana di Guantanamo, nonostante, secondo il suo avvocato Cori Cride, non sia mai stato formalmente incolpato e in ogni caso risulti da ben sei anni discolpato dalla stessa amministrazione americana rispetto ai sospetti di terrorismo per i quali era stato imprigionato. La sua famiglia non lo ha abbandonato, ben lontana da Cuba, risiede in Francia ed è proprio dalla République che lo zio Ahmed, dopo ben sedici comunicazione inviate senza successo egli ultimi anni, ha lanciato l’ennesimo appello al riconoscimento dell’asilo politico, dopo aver promosso una petizione con una lettera indirizzata ad alcune alte autorità d’oltralpe (François Hollande, Presidente della Repubblica, Manuel Valls, Ministro dell’Interno, Laurent Fabius, Ministro degli Affari Esteri, Soria Blatmann, Consigliere tecnico alle relazioni con la società civile, François Zimeray, Ambasciatore per i Diritti dell’uomo).

 Ma per lasciare Guantanamo Hadjarab deve prima trovare un paese pronto ad accoglierlo, e nato in Algeria rischia di essere rimpatriato in una nazione nella quale ha vissuto relativamente poco, abbandonato dalla madre dopo il divorzio e poi sballottato prima presso la nuova famiglia del padre e, dopo la morte prematura del genitore, presso innumerevoli altri nuclei, molti dei quali in Francia, dalla quale, non essendo riuscito ad acquisire la nazionalità, è passato in Inghilterra, dove per lunghi mesi si sono perse le sue tracce. Secondo un documento rivelato da Wikileaks, è proprio oltremanica che avrebbe incontrato Abu Jafar Al-Jazairi, all’epoca principale coordinatore della logistica d’Al-Qaeda, che gli avrebbe finanziato un viaggio in Afghanistan con soggiorno a Jalalabad, prima di raggiungere il gruppo internazionale di 65 combattenti a Tora-Bora ed essere arrestato un mese dopo.Il problema è che tutte queste informazioni sarebbero state estorte con la tortura e, secondo il legale Sylvain Cormier, Hadjarab nega totalmente il testo trascritto dal Dipartimento della Difesa USA. Restano ancora tre i criteri necessari per essere accolti oltralpe: la non-pericolosità, la volontà di stabilirsi nel paese e dei legami forti con lo stesso, condizioni che, secondo l’avvocato Cride, Nabil riempirebbe appieno. Resta da vedere se la Francia è dello stesso avviso e se Hadjarab avrà la stessa sorte di due ex-detenuti di Guantanamo accolti nel 2009.

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Detenuto tenta il suicidio nell’Agrigentino

manoIn Italia i detenuti si tolgono la vita 9 volte di più rispetto al resto della popolazione. La media italiana è di un suicidio ogni 20mila abitanti. Nelle prigioni come dimostrato da “l’Espresso” c’è un suicidio ogni 924 reclusi. Questo dato dimostra ‘l’ invivibilità’ del nostro sistema penitenziario e delle pessime condizioni in cui i carcerati sono costretti a vivere.

Oggi un detenuto extracomunitario ha tentato di impiccarsi in cella, ma il tempestivo intervento di un assistente capo di Polizia penitenziaria ha evitato il peggio.

Il triste episodio si è verificato nella Casa circondariale di Sciacca,in provincia di Agrigento. Lo ha riferito in una nota la segreteria regionale Osapp congratulandosi con il personale del carcere saccense.

La situazione, però, può essere cambiata: formando gli agenti, lavorando in rete con le Asl, migliorando le condizioni di vita tra le sbarre e combattendo il sovraffollamento. Tutte queste soluzioni possono aiutare a non far esplodere questa bomba a orologeria che è già stata azionata.

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Israele, detenuto palestinese in fin di vita dopo oltre 200 giorni di sciopero della fame

judo-naziSamer Issawi, 34 anni, è uno dei sei detenuti palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. Dopo 209 giorni di protesta, la sua vita è in grave pericolo.

È stato arrestato il 7 luglio 2012 a un posto di blocco militare nella zona di Gerusalemme. Portato al centro di detenzione di Moscobiyya, è stato interrogato per 28 giorni, per i primi 23 dei quali senza poter contattare il suo avvocato. In seguito, è trasferito nel carcere di Nafha, nel deserto del Negev.

Il 1° agosto, di fronte al rifiuto delle autorità militari israeliane di rendere noti i motivi dell’arresto, ha iniziato lo sciopero della fame. A quanto pare, avrebbe violato le condizioni concordate al momento del suo rilascio, nell’ottobre 2011, nel celebre scambio di prigionieri tra Hamas e Israele che coinvolse 1027 palestinesi e il soldato israeliano Gilad Shalit.

Tuttavia, come prevede l’istituto della detenzione amministrativa, quelle condizioni sono segrete e dunque né Issawi né il suo avvocato possono sapere in che modo sarebbero state violate. Se i giudici concludessero che effettivamente vi è stata quella violazione, Issawi dovrebbe riprendere a scontare la condanna, interrotta al momento del rilascio, a 30 anni di carcere per detenzione di armi e costituzione di un gruppo armato. All’epoca dello scambio di prigionieri, aveva scontato 12 anni di quella condanna.

Il tribunale di primo grado di Gerusalemme, dopo una prima udienza tenutasi il 18 dicembre, si è riservato di decidere.

Quel giorno, Issawi (nella foto a sinistra) è entrato in aula legato a una sedia a rotelle e scortato dalle forze speciali di polizia. Quando ha cercato di salutare la madre e la sorella, presenti in aula, gli agenti  lo hanno colpito al collo, al torace e allo stomaco. Mentre veniva portato fuori dal tribunale, è caduto dalla sedia a rotelle. Poco dopo, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa di famiglia, a Issawiya, arrestando la sorella Shirin. È stata rilasciata 24 ore dopo dietro pagamento di una cauzione di 650 euro, con l’obbligo di restare agli arresti domiciliari per 10 giorni e il divieto di far visita al fratello per sei mesi.

Dall’inizio dello sciopero della fame, Issawi ha trascorso la maggior parte del tempo nella clinica del carcere di Ramleh, salvo assistere all’udienza del 18 dicembre ed essere trasferito diverse volte in ospedali civili per per essere sottoposto a esami clinici urgenti.

Secondo quanto riferito dal suo avvocato, nelle ultime settimane la salute di Issawi si è deteriorata rapidamente: il 31 gennaio pesava 47 chili. Il personale medico della clinica di Ramleh ha reso noto che potrebbe morire presto.

Le manifestazioni di sostegno a Issawi crescono, in alcuni casi affrontate con la forza dall’esercito israeliano.

L’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha espresso preoccupazione per la sorte di Issawi e ha chiesto che tutti i palestinesi in detenzione amministrativa siano rilasciati o incriminati e processati.

Amnesty International teme che nella clinica del carcere di Ramleh Issawi non riceva cure urgenti e specialistiche di cui ha bisogno una persona in sciopero della fame da sei mesi.

Per questo, l’organizzazione per i diritti umani ha lanciato un appello rivolto al direttore delle carceri israeliane, chiedendo che Issawi riceva  cure mediche appropriate o che sia immediatamente rilasciato affinché possa ricevere i trattamenti medici urgenti e necessari di cui ha bisogno.


Giornata internazionale di mobilitazione per Georges Abdallah !

Il 10 gennaio un tribunale francese ordinava infine il rilascio (legato a un’espulsione) di Georges Abdallah, dopo oltre 28 anni trascorsi detenuto in Francia.

cordatesaMalgrado tale detenzione eccezionalmente lunga, Georges Abdallah ha mantenuto il suo impegno al servizio dei popoli arabi libanese e palestinese contro il sionismo, l’imperialismo e la reazione araba.

Georges era divenuto contemporaneamente un esempio dell’accanimento della repressione imperialista, e un esempio di resistenza e di determinazione rivoluzionarie.

Dunque, noi abbiamo creduto al rilascio di Georges, ma le autorità francesi, non emettendo l’ordinanza di espulsione, hanno reso inoperante la decisione del tribunale. Sotto pressione diretta e chiara degli USA (dichiarazione del Dipartimento di Stato, petizioni di membri del Congresso…), il governo francese perpetua così il blocco di una decisione del tribunale.

La social-democrazia francese, che è sempre stata strettamente legata all’imperialismo americano e al sionismo, lo dimostra ancora una volta.

Il Soccorso Rosso Internazionale è fiero di aver iniziato più di 10 anni fa la campagna per il rilascio di Georges Abdallah. Dall’inizio di questa campagna, sono decine le manifestazioni in una mezza dozzina di paesi che hanno portato all’iniziativa delle differenti organizzazioni partecipanti alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale e, nel corso degli anni, abbiamo visto estendersi la solidarietà verso Georges, con l’aggregazione progressiva di forze nuove, e trasformarsi finalmente in un movimento grande che denuncia il mantenimento in carcere di Georges Abdallah.

Una giornata internazionale di mobilitazione per il rilascio di Georges Abdallah è organizzata il 27 febbraio, ossia la vigilia della sua prossima comparizione davanti al tribunale per l’applicazione delle pene. Noi chiediamo a tutte le forze partecipanti al processo di costruzione del Soccorso Rosso Internazionale, a tutte le forze con cui intratteniamo rapporti di lavoro, a tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, di rispondere a questo appello e impegnarsi risolutamente per strappare definitivamente il rilascio di Georges.

La Commissione  per un Soccorso Rosso Internazionale

(Bruxelles-Zurigo)

4 febbraio 2013


Tenta il suicidio in carcere, salvato

corda tesaLucca – Passano i giorni, proseguono le grida di allarma ma anziché migliorare la situazione del carcere San Giorgio continua a peggiorare. La casa circondariale torna, così, al centro della cronaca proprio all’indomani della richiesta avanzata dal Sappe all’Amministrazione Penitenziaria di adottare ogni necessaria iniziativa per riportare all’interno del carcere condizioni minime di vivibilità per i detenuti ed idonee garanzie di sicurezza per i poliziotti che ci lavorano.

Nella giornata di giovedì, la polizia penitenziaria ha, infatti, con il suo tempestivo intervento, salvato la vita ad un detenuto italiano, condannato per rapina, con fine pena 2016, che ha tentato il suicidio in cella impiccandosi alle sbarre della finestra con il lenzuolo. L’uomo è stato accompagnato al reparto infermeria del carcere ma, sottolinea il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, se questo decesso è stato sventato è ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che, in tutte le carceri italiane, nel 2011 e 2012 ha sventato oltre 2.000 tentativi di suicidio di detenuti e impedito che più di 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Gesti che, ha affermato Donato Capece, segretario generale del SAPPE, devono essere messi in evidenza. A tal proposito il sindacato chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita a questo detenuto italiano.

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Detenuto ultrasettantenne rinchiuso in carcere a Catanzaro

mani-anzianoCosa ci fa in Carcere un uomo di 77 anni ? Se lo è chiesto l’Ecologista Radicale Emilio Enzo Quintieri quando, nelle scorse settimane, insieme al Vice Presidente del Consiglio Provinciale di Catanzaro Emilio Verrengia ed al Senatore della Repubblica Francesco Ferrante (Pd) si è recato presso la Casa Circondariale di Catanzaro Siano prima per raccogliere le sottoscrizioni dei detenuti per la presentazione della Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” e poi per effettuare una Visita Ispettiva in tutto l’Istituto Penitenziario. L’ultrasettantenne infatti, così come molti altri detenuti ristretti in quel Penitenziario, ha voluto sottoscrivere la Lista Radicale promossa dall’On. Marco Pannella. Mentre il cetrarese Quintieri, provvedeva ad annotare le sue generalità rimaneva stupefatto nel rilevare, appunto, la sua età avanzata e chiedeva a quell’anziano detenuto, apparso visibilmente stanco e molto provato, per quale motivo si trovava in carcere. Nella stanza oltre al radicale ed al Consigliere Verrengia vi era presente il personale della Polizia Penitenziaria ed il Comandante del Reparto, il Commissario Aldo Scalzo. Quest’uomo, G.B.B., classe 1936, rispondeva che era stato arrestato dalla Polizia di Stato della Questura di Catanzaro perché sorpreso ad irrigare una piantagione di marijuana e perché, in una baracca, situata nelle vicinanze della piantagione era stato trovato un fucile calibro 12 rubato nel 1991 con 105 cartucce per fucile di vario calibro. Subito dopo il candidato Deputato Emilio Enzo Quintieri chiedeva al detenuto settantasettenne, più precisamente, quale fosse la pena residua che avrebbe ancora dovuto espiare. “il mio avvocato dice che mi manca solo un anno da fare e poi ho finito.”.

Questa vicenda ha dell’incredibile. Non è possibile che una persona di 77 anni debba espiare la sua pena in un Carcere come quello di Catanzaro Siano che, tra l’altro, è gravemente sovraffollato e pieno di criticità. Questo signore non è stato condannato per reati di particolare allarme sociale e non mi pare che sia pericoloso anzi, credo che nelle sue condizioni, sia del tutto innocuo e che quindi potrebbe ottenere la concessione del beneficio della detenzione domiciliare anche perché, l’Art. 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario – afferma l’Ecologista Radicale Emilio Enzo Quintieri – stabilisce che la pena della reclusione per qualunque reato, eccetto quelli ostativi previsti dall’Art. 4 bis, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i 70 anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza e non sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’Art. 99 del Codice Penale. Anzi, al condannato al quale sia stata applicata anche la recidiva prevista dall’Art. 99 può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera i 3 anni. Nel nostro caso il detenuto G.B.B. avrebbe da scontare ancora solo 12 mesi di reclusione e potrebbe beneficiare anche della Legge nr. 199/2010 così come modificata dalla Legge nr. 9/2012 conosciuta meglio come “Legge Svuotacarceri” che, proprio per ridurre il sovraffollamento carcerario, ha previsto la possibilità che le pene non superiori a 18 mesi possano essere eseguite presso il proprio domicilio.

Non capisco dunque – prosegue il candidato alla Camera dei Deputati per la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” – per quale motivo questa persona ultrasettantenne, non socialmente pericolosa, debba restare ancora in Carcere. Mi auguro che la Dott.ssa Angela Paravati, Direttore del Carcere di Catanzaro Siano, indipendentemente dalla richiesta del detenuto o del suo difensore, segnali questa situazione all’Ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro affinché quest’ultimo possa esaminare e valutare con tempestività la concessione  in favore di G.B.B. della misura alternativa della detenzione domiciliare revocando quella inframuraria a cui si trova sottoposto. Sarebbe del tutto assurdo oltre che inumano ed incivile – conclude il radicale Emilio Enzo Quintieri – che questo anziano continui a restare in prigione, specie in quella di Catanzaro nella quale a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti vi sono attualmente rinchiuse 569 persone detenute.

Fonte


Modena: sventato tentativo suicidio di un detenuto di circa 30 anni

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La notte scorsa, nel carcere di Modena, “un detenuto magrebino di circa 30 anni ha tentato il suicidio, impiccandosi all’interno della cella in cui era detenuto. Solo l’attenzione e la prontezza dell’agente in servizio nella sezione detentiva ha reso vano il tentativo dell’uomo”.
Ne dà notizia Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe.

“È sempre e solo grazie alla professionalità della polizia penitenziaria che vengono evitati e controllati, all’interno delle carceri, i tanti eventi critici, compresi i tentativi di suicidio che sono circa mille ogni anno. Negli ultimi 20 anni – ricorda – la polizia penitenziaria ha salvato la vita a circa 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio”. A Modena, attualmente, ci sono circa 350 detenuti, “ma il numero è destinato a salire ed a raggiungere i 600 circa, a seguito dell’imminente apertura del nuovo padiglione detentivo che dovrebbe ospitare i detenuti con pene fino a 5 anni di reclusione”.

Fonte: Adnkronos, 31 gennaio 2013


Bologna, suicidio sfiorato al carcere Pratello

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BOLOGNA, 26 GENNAIO – Ieri mattina a Bologna, all’interno del carcere minorile Pratello, un giovane detenuto straniero di 19 anni ha tentato il suicidio tramite impiccagione. Si trovava in cella da solo.

Gli agenti della polizia penitenziaria, accorgendosi in tempo dell’accaduto, sono riusciti a salvare la vita al ragazzo, che ora è ricoverato all’ospedale Maggiore per controlli e accertamenti.

Elogio di Maurizio Serra, sindacalista della Cgil: “Una vita è stata salvata. Il personale di polpenitenziaria ha dimostrato di essere pronto ed efficiente”.

Fonte


Lecce: detenuto finge malore in carcere per evadere

La traduzione di detenuti presso strutture sanitarie esterne comporta, secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, un grave rischio. Parte l’appello agli organi competenti
collassatoA seguito della sventata evasione di un detenuto che, all’interno del carcere di Lecce, avrebbe finto un malore per essere accompagnato presso una struttura sanitaria esterna, la Segreteria Nazionale del Sappe, sindacato autonomo Polizia Penitenziaria, scrive, tra gli altri, al Prefetto di Lecce e al Dirigente Asl Lecce, al fine di accendere i riflettori su casi simili.
Il Sappe denuncia da tempo l’aumento dei ricoveri e delle traduzioni dei detenuti presso i luoghi di cura esterni al carcere, come conseguenza del passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica. Secondo l’organizzazione sindacale, “l’aumento di traduzioni di detenuti verso le strutture sanitarie esterne ha inciso ed incide in maniera determinante sul lavoro del nucleo traduzioni e piantonamenti dell’ Istituto di Lecce a causa della grave carenza in organico del personale di Polizia Penitenziaria, considerato che nella stragrande maggioranza dei casi, le patologie di cui sono affetti i detenuti potrebbero essere curate anche all’interno del penitenziario leccese”.
Il problema sussisterebbe soprattutto nelle ore serali, quando condurre all’esterno detenuti anche pericolosi, “con un numero inadeguato di Poliziotti di scorta”, rappresenta una difficoltà non da poco. Anche i piantonamenti, per la maggior parte nelle corsie ospedaliere a stretto contatto con altri malati con un insufficiente numero di personale, determina una situazione per cui correre ai ripari. “Abbiamo chiesto in più occasioni – scrivono dal Sappe – uno sforzo da parte dell’Asl di Lecce affinché consentisse l’ingresso presso il locale Istituto Penitenziario di un numero maggiore di specialisti, al fine di ridurre al minimo il turismo carcerario permettendo così di utilizzare le risorse disponibili, nel controllo più adeguato dei detenuti malati”.
Altra questione importante sarebbe la fatiscenza di molti automezzi utilizzati per il trasporto dei detenuti. “Abbiamo notizia che alcuni automezzi che hanno superato diverse centinaia di migliaia di chilometri continuano incessantemente a circolare , considerata l’esiguità degli automezzi disponibili, come pure molti automezzi sono fermi poiché mancano i fondi per ripararli” denuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe.

Fonte: leccenews.it


Udine: detenuto 70enne muore poco dopo ricovero in ospedale

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Savino Finotto, 70 anni, di Staranzano era in cella da dicembre per espiare una condanna di 3 anni e 9 mesi. Una guardia l’ha trovato già in condizioni molto gravi, ha dato l’allarme. Portato in ospedale, è morto poco dopo. Inchiesta della Procura. Era arrivato nel carcere di Udine a fine dicembre, per espiare una condanna di 3 anni e 9 mesi. Ma nella notte di sabato scorso si è sentito improvvisamente male ed è stato trasferito nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale cittadino, dove è morto di lì a poche ore.
Sul decesso di Savino Finotto, 70 anni, di Staranzano, ora, la Procura di Udine intende fare chiarezza. Il medico legale Lorenzo Desinan effettuerà l’autopsia sul suo corpo nel pomeriggio di giovedì. L’obiettivo del procuratore capo, Antonio Biancardi, è stabilire le cause esatte che ne hanno determinato la morte.
L’uomo, che si trovava in una cella riservata a detenuti con problemi di deambulazione, è stato trovato in condizioni già molto gravi dall’agente addetto al giro notturno di controllo.
Chiamati la guardia medica della casa circondariale e il personale del 118, era stato immediatamente trasportato al “Santa Maria della Misericordia”. Da quel momento, però, non aveva più preso conoscenza. Gli accertamenti sono stati delegati alla sezione di Pg della Polizia di Stato.


Piacenza, tentato suicidio in carcere

Un detenuto italiano di 48 anni ha tentato il suicidio oggi alle Novate. Solo grazie al pronto intervento di un agente della polizia penitenziaria è stato evitato il peggio.

opg3Un detenuto italiano di 48 anni ha tentato il suicidio nel carcere di Piacenza. Lo ha reso noto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe, spiegando che l’uomo, approfittando dell’assenza del compagno di cella che si trovava nella saletta della socialità, insieme agli altri compagni di detenzione, dopo aver fatto un rudimentale cappio con dei lacci che ha legato all’armadietto del bagno ci ha infilato la testa e si è lanciato in avanti. Solo grazie al pronto intervento di un agente della polizia penitenziaria, in servizio nella sezione detentiva, è stato evitato il peggio. L’uomo era rientrato a Piacenza dopo aver trascorso 40 giorni all’ospedale psichiatrico. (Ansa)

 


Lettera di Dayvid dal carcere di Alba

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Ciao ragazzi,
vi scrivo queste due righe sul perchè sono dentro, il che, non sapendolo bene neppure io non è semplice. Dunque sono stato arrestato l’11/04/2012 con l’accusa di devastazione dopo la manifestazione milanese che chiedeva la liberazione dei NO TAV arrestati per i fatti del 3 Luglio. Sono stato scarcerato il giorno dopo con obbligo di firma fino alla data della camera di consiglio, dove mi hanno condannato a nove mesi. Nella pena hanno inglobato un mio vecchio definitivo per un’occupazione. Alla camera di consiglio il giudice,visto il parere favorevole dei servizi sociali e il contratto di lavoro ha deciso di farmi scontare la pena presso di loro. Mi hanno quindi revocato l’obbligo di firma e attendevo il definitivo per Febbraio per vedere le condizioni (orario di rientro etc.)
Ero un uomo libero, che aspettava il definivo senza altri carichi pendenti.
Ad Ottobre la sorpresa: il nucleo operativo dei carabinieri nucleo informatico si presenta a casa della mia ragazza,dove non avevo neanche il domicilio, e mi arrestano usando come motivazione che la casa dove avevo la residenza non era
ritenuta idonea per scontare la pena. Voglio sottolineare che in quella residenza avevo già scontato due mesi con obbligo di firma,e che nella richiesta di sorveglianza c’era un’altra abitazione ritenuta idonea dai servizi sociali.
Portato a S.Vittore ho passato quasi un mese in mezzo ad interrogatori non sapendo ancora bene il motivo dell’arresto. Dopo un mese un altra sorpresa: mi è stato notificato dalla Digos di Milano e di Roma una custodia cautelare per il fatti del corteo del 15 Ottobre “Giornata Mondiale dell’Indignazione”,i reati di cui mi si accusa sono:
– devastazione e saccheggio
– più persone che concorrono nel reato
– circostanza aggravante: quando una o più persone concorrono,organizzano o
promuovono il reato (fino a metà in più della pena)
– circostanza aggravante: l’aver commesso il reato per conseguire o assicurare a
sé o agli altri l’impunibilità (fino a metà in più della pena)
– Legge Speciale del 75: disciplina il controllo delle armi, delle munizioni, e degli
esplosivi (da uno a tre anni)
Questo è più o meno quello che ho capito, voglio solamente ricordare che insieme a me ci sono altre 14 persone in custodia, tutte identificate di cui non ne conosco uno.
In più, pare ci sia in giro per i tribunali di Lecco e Milano un’indagine della Digos per terrorismo che il mio legale è riuscito solo a scorgere ma che non compare negli atti ufficialmente nonostante sia stata usata durante gli interrogatori, dove mi sono sempre avvalso della facoltà di non rispondere, visto la mia estraneità ai fatti, visto che il mio riconoscimento e stato fatto confrontando lo zaino secondo loro da me indossato a Milano durante il corteo del 30 Marzo con uno identico avvistato negli scontri di Roma, un comunissimo Seven blu.
Spero di avervi chiarito le idee, perchè io non ci sto capendo un cazzo.

GRAZIE PER IL SUPPORTO

DAYVID


Morto detenuto pestato a sangue davanti a stampa in Sudafrica

Jail_1954Johannesburg, 18 gen. Il detenuto pestato a sangue dai secondini di un carcere di Groenpunt à Deneysville, in Sudafrica, davanti agli occhi dei giornalisti che accompagnavano una delegazione parlamentare è morto. Lo scrive oggi il quotidiano The Star. Nel carcere aveva avuto una rivolta la settimana passata.
La vice responsabile dei servizi penitenziari del paese, Grace
Molatedi, raggiunta dal quotidiano ha confermato il decesso del
detenuto spiegando che aveva cercato di uccidere una delle
guardie. atri due detnuti sono stati seriamente feriti.
“La commissione parlamentare aveva lasciato il posto. Poi, attraverso la recinzione, abbiamo visto una folla di secondini aggredire un uomo vestito di arancione, apparentemente un prigioniero indifeso, che si contorceva e gemeva di dolore – aveva scritto ieri The Star di Johannesburg. “Non sappiamo chi sia, nè cosa gli sia accaduto dopo. Ma noi abbiamo visto passare l’uomo da uno all’altro, percosso brutalmente. Mentre le macchine fotografiche scattavano, seguendo l’azione, gli uomini in marrone (i guardiani, ndr) hanno continuato a picchiare il prigioniero”. Il Times racconta oggi la stessa storia.
Secondo uno dei giornali, le fotografie sono state cancellate dalla polizia nella successiva perquisizione dei giornalisti.Il 7 gennaio scorso i detenuti del carcere di Groenpunt, a Deneysville, nel centro del Paese, hanno dato fuoco a un’ala del penitenziario per denunciare le loro condizioni di vita. La rivolta ha causato il ferimento di 50 detenuti e di nove secondini, oltre al trasferimento in altri istituti di 500 persone.

Fonte: ilmondo.it


Reggio Calabria, detenuto crea il caos in carcere e ferisce 4 guardie

rabbiaMomenti di forte tensione, quelli che si sono vissuti ieri mattina presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria, a causa delle ire di un detenuto, il quale, per protestare contro alcune decisioni circa la sua collocazione all’ interno della struttura, ha scaricato tutta la propria collera contro quattro agenti della Polizia Penitenziaria, i quali hanno anche riportato lievi ferite. A dire il vero, già dalla sera prima il galeotto aveva dato alcune avvisaglie della sua inquietudine, assumendo comportamenti autolesionisti e minacciosi anche verso un altro agente della Polizia Penitenziaria. Per fortuna, i quattro malcapitati agenti dopo essere stati sottoposti alle cure mediche presso gli ospedali Riuniti, non versano in condizioni da destare particolari preoccupazioni. Quello di ieri mattina è solo l’ultima di una lunga serie di aggressioni avvenute a danno di agenti della Polizia Penitenziaria presso le carceri italiane. Proprio in questi giorni si parla tanto di sovraffollamento degli istituti di pena, di una miglior condizione di vita per i detenuti, ma a nostro avviso è molto importante che vi sia la massima sicurezza per chi lavora in carcere. Sono innumerevoli, infatti, le richieste di attenzione da parte delle varie sigle sindacali di categoria, le quali chiedono, in maniera del tutto onesta, di poter operare in un clima sereno e sicuro.

Fonte: strettoweb.com


Cagliari, Detenuto al Buoncammino ingoia forchetta per ritornare a Genova

Forchetta-Un algerino di 32 anni M.K. che sta scontando una pena a 1 anno e 5 mesi di carcere, ha ingoiato una forchetta per protestare contro il mancato trasferimento a Genova. L’uomo che finirà di scontare la pena tra meno di un anno, si trova a Buoncammino da 7 mesi essendo stato sfollato dal carcere ligure di Marassi”. Lo rende noto l’associazione “Socialismo Diritti Riforme” in seguito a un colloquio effettuato con il detenuto dai volontari.
Nel corso dell’incontro con il cittadino algerino è emerso che il grave gesto autolesionistico non è stato l’unico. L’uomo infatti ha ingoiato un’altra forchetta che però è riuscito ad espellere. “Si tratta – sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR – di una persona privata della libertà che soffre particolarmente la distanza dai familiari. Sostiene infatti di avere un fratello a Genova ma le condizioni sanitarie, la conoscenza di un italiano approssimativo e la difficoltà a dare indicazioni precise sulla parentela rendono la sua situazione particolarmente difficile.
Nei giorni scorsi, in seguito alla nuova ingestione della forchetta, è stato ricoverato in Ospedale per provvedere alla rimozione della pericolosa posata. Giunto a destinazione però, forse perché non aveva compreso il motivo del ricovero, ha firmato il foglio di dimissioni ed è tornato a Buoncammino. Una dimostrazione palese del disagio in cui si trova”.
“La vicenda – evidenzia Caligaris – presenta tuttavia dei tratti che qualificano negativamente l’iniziativa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. È evidente che l’algerino è stato trasferito in Sardegna per alleggerire il numero di ristretti nella struttura di Genova ma la motivazione appare piuttosto punitiva anziché razionale. Una persona che mostra evidenti segnali di malessere non può essere considerata una patata bollente di cui disfarsi allontanandola laddove invece avrebbe potuto accedere a una pena alternativa tenendo conto della svuota carceri e della pena non particolarmente gravosa”.
“Purtroppo – conclude la presidente di SdR – l’amministrazione sembra dimenticare che spesso i cittadini extracomunitari in stato detentivo sono poveri diavoli che hanno bisogno soltanto di essere reinseriti in società attraverso iniziative rieducative e promuovendo azioni per consentire loro di avere un lavoro almeno per il sostentamento. Restando così la situazione, nonostante la buona volontà del Direttore, degli Agenti e dei Medici, non è possibile contenere la disperazione di queste persone. La speranza almeno per M.K. è che possa tornare a Genova e ritrovare i parenti per concludere positivamente la sua triste esperienza.

Fonte:  Agenparl


Tentato suicidio nel carcere di Torino

a14/01/2013 – Uno dei marocchini condannati a 17 anni per l’omicidio del pensionato torinese Sabino Lore’, ha tentato il suicidio impiccandosi con dei lacci a una finestra del carcere delle Vallette. L’uomo, 38 anni, e’ stato salvato dalla polizia penitenziaria e trasportato in ospedale. ”Gli agenti – dice Leo Beneduci, segretario generale del sindacato autonomo Osapp – hanno operato con professionalita’ nonostante la grave carenza di organico”.

Fonte: ANSA


Carcere – Lettera di Santo, prigioniero in isolamento

Riceviamo e diffondiamo una lettera di Santo, prigioniero entrato in contatto con Maurizio Alfieri nella sezione di isolamento del carcere di Saluzzo. Santo segnala gli abusi e l’abbandono sanitario che contraddistinguono la sua situazione, come quella di molti altri uomini e donne sequestrate nelle discariche sociali dello Stato. Apprendiamo che nel frattempo Santo è stato trasferito a Milano – San Vittore.

UNA LETTERA DAL CARCERE DI SALUZZO

isolamentoCiao carissimi compagni,
chi vi scrive è un compagno di Maurizio Alfieri. Maurizio mi ha parlato molto bene di voi e allora mi sono sentito di prendere carta e penna e scrivermi la mia sofferenza.
Mi chiamo Santo, sono di Catania, vivo a Milano e ho 38 anni.
In questo momento sto passando dei momenti brutti e molto tristi per la morte di mio padre.
Ma questo mi dà più forza per combattere il mio problema e spero che la mia testimonianza spingerà qualcuno ad aiutarmi e a fare sentire la mia voce tramite voi compagni e Internet.
Io sono portatore di bendaggio gastrico, pesavo 188 kg, ne ho persi più di 80 e ho bisogno di controlli periodici specializzati presso il policlinico di Milano (padiglione Zonda, dottor Mozzi). Dovrei andare ogni 6 mesi per come hanno dichiarato i periti in sentenza. Ma è da giugno 2011 che non faccio controlli.
Sono stato accusato sulla base di “voci confidenziali” ritenute attendibili di essere mandante, capo sommossa e capo promotore di rivolte ecc. ecc. E mi trovo in isolamento da dicembre 2011 come un cane. Mi hanno sanzionato con gli articoli più gravi (art. 3,4,5 e 39 OP) e applicato la G.S.C. (Grande Sorveglianza Custodiale) da reato comune. Tutto ciò perché ho lottato per i mie diritti alla salute.
Ogni 6 mesi mi trasferiscono senza darmi cure né spiegazioni (da Catania a Caltagirone, Caltanisetta, Trapani, Favignana, Ucciardone, S. Vittore, Opera, Biella e ora Saluzzo).
Ora è da marzo 2012 che aspetto un’operazione all’epidermide cutea DX, è per questo che se ne lavano le mani perché abbiamo fatto denuncia per danni permanenti e si spaventano ad operarmi.
Ho scritto a Riccardo Arena (radio carcere) con tutta la documentazione ma siccome il tutto scotta non ha fatto niente perché c’è da combattere per gli abusi che sto ricevendo, ma io li affronto giorno per giorno sì che loro hanno paura perché io mi faccio rispettare.
Spero che avrò la solidarietà dei vari compagni così mi faranno compagnia e potremo combattere assieme per i nostri ideali che sono la libertà di uomini liberi.
Ora vi saluto con affetto e stima.
Il vostro compagno carcerato,
Santo Galeano

P.S. Maurizio ci informa che Santo (il quale aveva accluso alla lettera la documentazione medica e il cui stato di salute è ancora peggiore di quanto non emerga dalle sue parole) è stato di nuovo trasferito, questa volta a San Vittore.

Per scrivergli:

Santo Galeano
Casa circondariale di Milano San Vittore – Piazza Filangieri 2 – 20123 MILANO

Fonte: informa-azione


Sicilia: carceri, poliziotti aggrediti da detenuto a Siracusa

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Siracusa, 4 gen. – Un detenuto straniero ha aggredito violentemente diversi poliziotti in servizio nel carcere di Siracusa. I Baschi Azzurri sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari per diverse contusioni. Un’ennesima aggressione “che deve preoccupare”, dice il Sappe, secondo cui “la carenza di personale di Polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Spesso, come a Siracusa, “il personale di Polizia Penitenziaria e’ stato ed e’ lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”.

Fonte: agi.it