Category Archives: Comunicati, critiche e riflessioni

No all’incarcerazione di Christa Eckes! Militante RAF

rafIl 1. dicembre 2011 la Corte d’appello di Stoccarda (Oberlandsgericht Stuttgart) ha deciso che l’ex militante della Rote Armee Fraktion (RAF) Christa Eckes deve essere imprigionata per 6 mesi poiché si rifiuta di testimoniare.
La ‘Beugehaft’ è la carcerazione coercitiva prevista dal codice tedesco per costringere un testimone a rivelare quanto di sua conoscenza. Christa è gravemente malata, in cura per leucemia, e questo ordine di carcerazione potrebbe essere la sua condanna a morte.

L’incarcerazione ‘educativa’ di Christa Eckes, ex militante della Rote Armee Fraktion (RAF) e gravemente malata di cancro, per costringerla a testimoniare in un processo per fatti degli anni ’70, è stata revocata dal Tribunale federale tedesco.
Si tratta di una decisione che, sotto il profilo della legalità, è assolutamente ragionevole, tanto che non dovrebbe neppure fare notizia; ma quando si tratta di militanti di sinistra, o ex-tali ma non pentiti, la politica prende il posto della ragione.
Sul caso e sull’arresto coercitivo o Beugehaft s’era riferito qui.
Nella decisione del 19 gennaio 2012  i magistrati hanno ammesso che una persona in chemioterapia non può essere semplicemente sbattuta in cella, poiché “la verità non può essere ricercata a qualsiasi costo, non dunque, nel caso, a costo della seria messa in pericolo della vita di una testimone gravemente malata”.

La verità in questione, sia chiaro, è quella giudiziaria: su dettagli del caso Buback (1977), sul quale la stessa Christa all’epoca non poteva sapere proprio nulla, essendo già in galera da anni.
Insomma sono stati ridotti alla ragione, ma pure per questo s’è dovuto battagliare.christaeckes

Christa ha trasmesso un messaggio:

A tutte le amiche e gli amici e a tutti coloro che si sono mobilitati contro l’arresto per rifiuto di testimoniare

L’alta Corte ha ritirato la misura d’incarcerazione per rifiuto di testimoniare emessa contro di me. È una buona cosa.
Naturalmente questo non mette fine al confronto con la polizia politica, alle procedure contro i militanti degli ’70 e di oggi, né al rifiuto di testimoniare e agli arresti per chi lo pratica, siano altri militanti o in generale.
Ciò è chiaro per chiunque.

Voglio però dire qui che l’esperienza che ho fatto della vostra solidarietà, amicizia e sostegno concreto, proprio ora mi ha toccata profondamente, e che anche nello stato di salute in cui mi trovo ciò mi da una sicurezza ed un appoggio che per me sono molto importanti.

Ed è anche emerso chiaramente che la grande mobilitazione e le molte proteste hanno avuto effetto.
Chissà, sennò, cosa sarebbe accaduto.
Christa

Fonte e approfonfimento

 

 

 


AGGIORNATO – Ancora un’altra richiesta di libertà condizionale dell’imprigionato eco-anarchico Marco Camenisch negata

La richiesta dell’avv. di Marco per la liberazione condizionale è stata respinta per l’ennesima volta – l’ennesima volta motivata politicamente. Marco scriverà a sua volta quello che ne pensa…

LA LOTTA CONTINUA – LA SOLIDARIETÀ È NOSTRA ARMA

Soccorso Rosso Internazionale  8 FEBBRAIO 2013marco camenisch

Risposta di Marco all’ennesima infamia

marco c

 


Prigioni Greche: Solidarietà con lo scioperante della fame Spyros Dravilas, detenuto a Domokos

Mercoledì, 6 Febbraio, il prigioniero Spiros Dravilas è stato trasferito al Centro Salute di Domokos. Gli hanno detto che dovrebbe iniettarsi un siero, ma ha rifiutato (a causa dello sciopero della fame, iniziato il 4 Febbraio, i suoi livelli di zucchero sono scesi a 55 in soli due giorni).

Spiros è tornato ancora una volta nel carcere Domokos, dove continua la sua lotta per i giorni di congedo di cui è privato a causa della vendetta del meccanismo poliziesco-giudiziario.

La lotta continua

 anarchist“Non ho imparato nella mia vita a chinare la testa o di ingoiare l’ingiustizia. Così, a partire da Lunedì, 4 Febbraio, conduco uno sciopero della fame fino a quando otterrò giustizia e il mio diritto sottratto per i giorni di congedo dal carcere mi venga restituito, in modo da recuperare un soffio di libertà che mi merito dopo tanti anni di soggiorno nelle infernali del sistema greco “penitenziario”.

-Estratto dalla recente lettera di Spyros Dravilas

Il dignitoso prigioniero Spyros Dravilas aveva già condotto con successo un’altro sciopero della fame nel mese di Aprile 2012, quando l’amministrazione penitenziaria, infine, gli aveva concesso il primo congedo temporaneo per il quale aveva diritto da molto tempo prima. Dopo qualche tempo, e secondo il regolamento carcerario, a Spyros è stato concesso un secondo permesso. Oggi, con il pretesto di un reato del 2007, un caso di rapina in banca nella città di Naflpion (nella cui Spyros non ha avuto alcun coinvolgimento di sorta), il pubblico ministero della prigione gli nega i giorni di concedo, anche se è chiaro che egli ha questo diritto proprio come nei mesi scorsi. L’amministrazione penitenziaria afferma che “ci sta un procedimento in corso contro di lui, così non può essere rilasciato nemmeno per un paio di giorni”. Tasos Theofilou, incarcerato nell’inferno di Domokos pure, e tutti i membri imprigionati dell’O.R. Cospirazione delle Cellule di Fuoco, sostengono la lotta di Dravilas. Di seguito è riportato un’altro messaggio di prigionieri in solidarietà:

“Siamo solidali con Spyros Dravilas che dal 4-2-2013 ha iniziato lo sciopero della fame scegliendo così di lottare dignitosamente per un respiro di libertà, come lui stesso dichiara.

La nostra solidarietà per Spyros e per ogni detenuto che sceglie di alzarsi in piedi di fronte alla politica repressiva dello stato , non è negoziabile.
Babis Tsilianidis, Kostas Sakkas, Alexandros Mitroussias, Giorgos Karagiannidis, Spyros Stratoulis, Rami Syrianos, Mustafa Ergün”

Inoltre, 94 detenute delle carceri femminili di Koridallos hanno inviato una lettera aperta al Ministero Greco della Giustizia, chiedendo che lo scioperante della fame Spyros Dravilas ricevesse i suoi giorni di congedo previsti dalla legge.

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GB – Nessuno dovrebbe morire ammanettato a un letto

Il garante delle carceri traccia un quadro deprimente in Inghilterra

cordatesaAnche in Gran Bretagna il regime carcerario manca il rispetto dei diritti umani. Londra ha un problema di sovraffollamento carcerario simile a quello italiano, ma Nigel Newcomen, il “prisons and probation ombudsman”, cioè il garante/difensore civico del sistema carcerario britannico, sottolinea nel suo rapporto come persista anche un problema culturale.

MALATI E PUNITI – A destare particolarmente scandalo è stata l’emersione del fenomeno dei detenuti ospedalizzati e ammanettati al letto anche quando gravemente malati, una cinquantina di casi nell’ultimo anno secondo il risultato delle inchieste relative ai singoli episodi denunciati. Prigionieri incoscienti, particolarmente anziani o fragili, tutti sono stati ammanettati al letto, una misura utile a compensare in parte i buchi nella sorveglianza determinati dai tagli.

LA CRITICA – “Troppo spesso sono stato chiamato ad intervenire” ha dichiarato Newcomen, che da tempo chiede che la pratica sia abolita o quantomeno usata solo nei casi di estrema necessità, sempre comunque rispettando la dignità dei prigionieri, che anche se condannati restano cittadini nelle pienezza dei loro diritti di essere umani e, in questo caso, di malati.

TROPPI DETENUTI – Newcomen poi punta il dito sul sovraffollamento provocato dall’aumento delle condanne e dal numero sempre più alto di anziani oltre i 60 anni che entrano in carcere, un problema nel problema perché le carceri non sono attrezzate per far fronte ai problemi geriatrici di un numero sempre più elevato di detenuti. Che come prima conseguenza porta il deterioramento delle condizioni di detenzione e secondariamente un aumento dei suicidi tentati e riusciti.

MEGLIO, MA NON ABBASTANZA – Nonostante ci sia stato un miglioramento nelle cure offerte ai detenuti, ora quasi al livello di quello disponibile ai liberi cittadini, i detenuti malati restano soggetti a limitazioni della libertà illecite quando di trovano nelle infermerie degli istituti come quando sono trasferiti negli ospedali civili e questo secondo l’ombudsman non è tollerabile, anche perché alcuni casi si sono risolti in uno spreco di risorse invece che in un risparmio, come farebbe invece ritenere la ragione con la quale questi provvedimenti sono giustificati. Non si vede alcun risparmio nel tenere per quattro giorni un detenuto incatenato agli uomini destinati a fargli la guardia mentre era in coma farmacologico indotto perché soffriva di un tumore allo stadio terminale, uno dei casi più clamorosi, citato ad esempio per evidenziare che qualcosa da correggere c’è di sicuro.

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Morire di carcere in Italia

14/02/2013 – Sono già sei i suicidi accertati dietro le sbarre nel 2013. Le difficoltà della vita in manette aumentano mentre la polizia penitenziaria è sotto organico da anni

cordatesaMeno spazio, più suicidi. E’questa l’assurda formula delle carceri italiane sempre sull’orlo del collasso. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone il tasso di sovraffollamento sale al 142%. Ovvero, 140 detenuti ogni 100 posti. La media europea si ferma al 99,6%. Tra le regioni più affollate la Liguria (176,8%), la Puglia (176,5%) e il Veneto (164,1%). Quelle in cui i tassi sono “bassi” l’Abruzzo (121,8%), la Sardegna (105,5%) e la Basilicata (103%). In Italia è comunque record sovraffollamento: 146 detenuti ogni 100 posti letto.

IN EUROPA – Negli otto paesi studiati dall’Osservatorio europeo sulle condizioni dei detenuti il paese ad avere il più alto numero di persone dietro le sbarre è il Regno Unito con 95.161 persone. Seguono la Polonia, con 85.419 detenuti, Spagna con 69.037 e il nostro paese che ospita 65.701 unità. Il tasso di sovraffollamento  più alto d’Europa lo ha la Lettonia, 297 carcerati ogni centomila abitanti. La tendenza è in crescita ma sempre nel rapporto si parla di una diminuzione dei detenuti in “Italia e Spagna” negli ultimi due anni. Una soluzione secondo il rapporto ci sarebbe:

Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri. Come si vede il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100.000 abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia e Regno Unito e, più di recente, della Spagna, alla Polonia o al Portogallo, dove queste misure sono pressoché inesistenti.

IDENTIKIT – In base all’Osservatorio circa il 37% delle persone che si trovano nelle carceri italiane sono straniere. Il 30 per cento dei carcerati è invece composto da tossicodipendenti. Quasi la metà dei detenuti totali, secondo Antigone, è sotto i 35 anni. A confermare che la situazione non migliora affatto sono anche i rapporti mensili pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia.

cordatesaSICUREZZA – “Secondo le nostre stime, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono ben oltre 22mila in più dei posti-letto disponibili, come puntualmente si verifica da almeno sei mesi a questa parte” precisa Leo Beneduci, già segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) e candidato capolista al Senato per la regione Lazio nella lista Rivoluzione Civile. “I dati che ci pervengono dagli istituti penitenziari – prosegue Beneduci – conteggiano, infatti, una presenza detentiva, in data 11 Febbraio, pari a 65.853 ristretti distribuiti in locali che ne posso ospitare al massimo 43mila e, analogamente a quanto occorso negli ultimi tempi con 8 regioni su 21, in cui il rapporto tra spazi disponibili e presenze è di 1 a 3. Anche per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria, inoltre, le cose vanno tutt’altro che bene, tenuto conto che dall’inizio dell’anno prestano servizio in carcere 150 poliziotti penitenziari in meno (1.080 in meno dall’inizio dello scorso anno), rispetto ad un organico nazionale che, riorganizzato nel 1992 in rapporto agli allora 40mila detenuti presenti, è già carente di 7mila unità”. Una situazione preoccupante: “Nel frattempo sono infatti peggiorate in carcere le condizioni di vivibilità (meno di 4 euro al giorno per il vitto), di lavoro (meno di 3 euro al giorno) e per il reinserimento sociale (0,22 cent. giornalieri), come la grave e perdurante emergenza suicidi va a dimostrare”.

SOLUZIONI -Sulla situazione è intervenuto perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sollecitando il Parlamento a stringere i tempi. Una delle possibili misure è la “amnistia” ma applicata a solo alcune particolari categorie, escludendo dai benefici i delitti più gravi e quelli di stampo mafioso. A sostenere le parole del Presidente della Repubblica anche il ministro della Giustizia Paola Severino. Il suo decreto “Svuota carceri” non ha però sortito gli effetti sperati. In base alle nuove misure, per l’arrestato in flagranza di reato è disposta in via prioritaria la custodia ai domiciliari. Non solo c’è il passaggio da 96 a 48 ore dal termine entro il quale deve avvenire l’udienza di convalida e l’estensione da 12 a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare. Ma in Italia si continua a morire di prigione. A inizio gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza e ha imposto un risarcimento di 100 mila euro per danni morali. Nella misura la Corte invita il governo a porre immediatamente rimedio al “sovraffollamento carcerario”, anche perché la situazione attuale viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove si ha a disposizione “meno di 3 metri quadrati”. Secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti sono 60 i suicidi del 2012 nei penitenziari italiani. I dati dell’associazione sono costantemente aggiornati dal 2000 ad oggi. Oggi, a due passi dalla fine di febbraio, sono già sei le persone che hanno deciso di farla finita e 23 i morti dietro le sbarre italiane.

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BG – Kelvin ucciso dallo Stato – Presidio sotto il carcere

Kelvin, 23 anni, detenuto, ucciso dallo Stato 

Era la mattina del 24 gennaio 2013. Era un ragazzo come noi, uno dei tanti che vengono “pescati nel mucchio” e rinchiusi dietro le sbarre per dei reati che il Sistema stesso ci impone di compiere per sopravvivere. Una delle tante vittime che questo Stato si porta appresso. Pochi giorni prima, aveva saputo di essere stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, nonostante fosse incensurato. I suoi compagni di prigionia hanno dato subito l’allarme, ma le guardie accorse non hanno voluto aprire le sbarre immediatamente, come quasi sempre accade. Quando lo hanno fatto, ormai era troppo tardi.

Gridiamo vendetta, bastardi assassini, di un altro ragazzo ci avete privato!

OGNI MORTE IN CARCERE È UN OMICIDIO VOLUTO DAL SISTEMA!

Nel carcere di Bergamo questo è l’ottavo suicidio che si conta in dieci anni. Il sesto  nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno in corso. Nel 2012 i morti per carcere (suicidi e morti mai accertate/mai volute accertare, morti per malattie, ecc.) sono stati in totale 154.

Il suicidio è l’atto estremo di ribellione di un essere umano costretto a vivere segregato, è un atto di dignità che non può passare ignorato e restare impunito. Le Istituzioni responsabili e la stampa asservita, per loro convenienza, fanno ogni volta di tutto per nascondere il fatto e le sue vere ragioni.

Di carcere si muore, o immediatamente o a poco a poco, in maniera costante. L’annientamento fisico e psicologico inflitto è brutale. Si va dall’insostenibile sovraffollamento delle celle alla scarsa qualità del cibo somministrato; dall’enorme difficoltà di usare la corrispondenza come mezzo di contatto con l’esterno alla negazione del diritto a ricevere cure mediche specifiche appropriate (a Bergamo un detenuto nel 2011 per questo motivo è morto). D’altro canto è prassi la criminale somministrazione di psicofarmaci e sedativi d’ogni genere, con lo scopo, unico e rimarcato, di annientare la resistenza della persona che combatte contro l’oblio, per renderla innocua, vulnerabile e sottomessa all’ordine carcerario, proprio come vorrebbero vederci sottomessi noi tutti. Nel 2009, sempre nel carcere di via Gleno, un ragazzo è morto di overdose di NOZINAN 100, un potentissimo neurolettico la cui somministrazione deve essere parsimoniosa e controllata medicalmente.
Chi pensa e promuove campagne elettorali promettendo un improbabile indulto o un’improponibile amnistia non fa altro che prendersi gioco dei detenuti stessi, con l’intento di ridicolizzare, sminuire e isolare le fondamentali lotte rivendicative che nascono da dentro. La riduzione dell’elevato numero dei detenuti può dipendere solamente dall’abrogazione delle leggi repressive di cui lo Stato si fa forte. La distruzione del carcere, nodo cardanico di questo Sistema autoritario chiamato capitalismo, democrazia, società del benessere, e la distruzione dello Stato stesso, necessario passo da compiere per una società libera e giusta, si potrà compiere solo ed esclusivamente attraverso la presa di coscienza e l’autorganizzazione di tutti gli sfruttati, siano essi rinchiusi tra le sbarre, alienati nei posti di lavoro, schiacciati nelle piazze.


Scendi in strada ed aggregati a noi, ricordando Kelvin, per dire che


NESSUNA MORTE PASSA SOTTO SILENZIO!

SABATO 16 FEBBRAIO DALLE ORE 11.00 VIA GLENO

PRESIDIO CONTRO IL CARCERE

promuovono: Gruppo Antiautoritario Contro Carcere e Repressione e Compagn* solidali

Da informa-azione


[Saluzzo] Presidio anitcarcerario in solidarietà con Maurizio Alfieri e tutti i prigionieri

IN SOLIDARIETA’
CON MAURZIO ALFIERI E TUTTI I PRIGIONIERI
DEL CARCERE DI SALUZZO

FUOco_Alle_GaLERe_by_FecciaxEsiste una galera dentro la galera: sono le sezioni di isolamento, che i ragionieri dei supplizi utilizzano per cercare di sottomettere e annichilire chi non si piega alla disciplina imposta dal regime carcerario. L’isolamento nel carcere di Saluzzo è una tortura che impiega strumenti che vanno dalla privazione di contatto umano, al “passeggio” in piccoli cortili di cemento, uno per cella, senza relazioni, senza orizzonti e senza luce. I prigionieri raccontano che molti di loro non hanno ricevuto nessun tipo di sanzione disciplinare, e che la direzione motiva la loro presenza in questa condizione afflittiva con la scusa del sovraffollamento. Dal 18 dicembre, nella sezione di isolamento del carcere di Saluzzo è rinchiuso Maurizio Alfieri, un prigioniero che da anni ha il coraggio di segnalare all’esterno le brutalità delle galere e la violenza dei secondini, battendosi in prima persona o organizzandosi con i suoi compagni di prigionia, diffondendo negli ultimi mesi, dal carcere di Tolmezzo, storie di teste spaccate e detenuti legati, colpiti con getti d’idrante e pestati a sangue.

Ma il carcere non tollera che la coltre di censura che nasconde la sua vera natura venga infranta e Maurizio, per la sua lotta, ha dovuto subire diverse rappresaglie. L’ultima è un’accusa nei suoi confronti di stare pianificando una fuga in elicottero. Non si potrebbe certo biasimare chi cerchi di evadere dall’apparato carcerario italiano, che ogni anno ammazza più di 160 persone tra abbandono sanitario, abusi di psicofarmaci, pestaggi e suicidi; ma Maurizio ci segnala una manovra pianificata per incastrarlo. Nei suoi confronti, la direttrice del carcere di Tolmezzo e i ROS, hanno organizzato una montatura tesa a motivarne il trasferimento, a fargli scontare più galera, orchestrata per  cercare di mettere in secondo piano le atrocità da lui segnalate e intaccare la solidarietà che dall’esterno si è venuta a creare in suo supporto. Sta ai nemici di ogni gabbia e di ogni galera impedirglielo.

CONTRO IL CARCERE E L’ISOLAMENTO!
IN SOLIDARIETA’ CON TUTTI I PRIGIONIERI DEL CARCERE DI SALUZZO!
IN SOLIDARIETA’ CON MAURIZIO ALFIERI!

PRESIDIO SABATO 16 FEBBRAIO 2013
ORE 16 DAVANTI AL CARCERE DI SALUZZO


Torino, tenta fuga dal Cie bevendo lo shampoo: arrestato

fugaUn ragazzo tunisino di 24 anni per scappare dalla polizia del Cie (centro identificazione ed espulsione) di corso Brunelleschi ha tentato un doppio tentativo di fuga, ma è stato bloccato.
Aymen, questo il nome del ragazzo, ha prima ingerito dello shampoo convinto di poter scappare durante la degenza in ospedale, ma una volta arrivato all’ospedale Martini il suo tentativo non è andato a buon fine, la polizia lo ha subito bloccato. Infine, il giovane ha rifiutato le cure mediche e durante il trasporto in ambulanza verso il centro ha tentato nuovamente di scappare sfondando il vetro posteriore del mezzo e colpendo con calci e pugni gli agenti polizia.

Il tunisino è stato quindi arrestato per danneggiamento aggravato e resistenza a pubblico ufficiale.

Solidarietà ad Aymen!


Immigrazione: inchiesta “Betwixt and Between Turin’s Cie”, incertezza e rabbia oltre le sbarre

immigratiAssenza di comunicazione con i familiari, isolamento, casi di autolesionismo sempre più frequenti, minori separati dalle famiglie. Sono gli aspetti dalla Ricerca “Betwixt and Between: Turin’s Cie”, sui diritti umani nel Cie di Torino e sulla detenzione amministrativa degli immigrati in Italia, a cura dell’International University College di Torino e dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione.
Comunicazioni carenti con i familiari, ritardi nell’assistenza sanitaria, isolamento, casi di autolesionismo sempre più numerosi, separazione dai minori. Sono questi alcuni degli aspetti “misurati” dalla ricerca “Betwixt and Between: Turin’s Cie”, un’indagine sui diritti umani nel Cie di Torino e sulla detenzione amministrativa degli immigrati in Italia, curato da sei ricercatori tra cui Emanuela Roman, Carla Landri e Margherita Mini sotto la supervisione del professor Ulrich Stege dell’International University College di Torino e l’avvocato Maurizio Veglio, membro dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione).
“Vorrei che questo centro scomparisse”. Attraverso interviste dirette ai trattenuti, le ricercatrici hanno potuto stilare un quadro zeppo di difficoltà in cui sono costretti a vivere i trattenuti del Centro torinese. “Vorrei che questo Centro scomparisse” è il commento di uno degli intervistati per descrivere questa struttura aperta nel 1998 per ospitare al suo interno 210 persone. Oggi ce ne sono 131 a causa di alcune zone danneggiate e perciò impraticabili. Persone divise su 7 aree senza criterio, mancanza questa che a volte crea gerarchie pericolose.
Una struttura, gestita dalla Croce Rossa, che rimpatria il 52,4% dei suoi “ospiti” dopo una permanenza media di 40 giorni e con un costo pro capite medio di 45 euro al giorno. Un investimento da 11 milioni di euro nel giro di tre anni a cui vanno aggiunte le spese per le forze di sicurezza, “considerata una dei migliori Centri di Identificazione ed Espulsione d’Italia” come ha dichiarato Rosanna Lavezzaro, Dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino, durante la presentazione pubblica del rapporto. Ma un Cie anche carico di contraddizioni.
Nessun legame con l’esterno. L’aspetto che viene maggiormente confermato dalle parole dei reclusi è l’estrema difficoltà che si incontra nel tentativo di portare avanti i legami con l’esterno, sia con le famiglie che con i legali che li difendono. Una parte significativa dei trattenuti ha una famiglia che vive in Italia e alcuni di loro si sono stabiliti qui in via permanente.
Sono finiti nel Cie per varie ragioni: per ingresso irregolare, per non aver richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno dopo la scadenza, per la perdita del lavoro o per aver commesso un reato. Nel giorno di visita vengono tutti ammassati in una sola stanza che può ospitare fino a un massimo di 250 persone sia che si tratti di incontri privati con i propri familiari sia che si parli della propria libertà con un legale. Il parallelo con il carcere è scontato: infatti molti degli utenti intervistati hanno assicurato che il carcere è molto meglio perché ha regole più precise.
Nessuna sa che fine farà. Un secondo elemento importante che condiziona la vita dei trattenuti è l’indeterminatezza dei tempi di permanenza: i trattenuti non conoscono il proprio futuro e questo non fa altro che alimentare rabbia, frustrazione e senso di isolamento. “La prima parola che si impara qui dentro è dopo” afferma in un’intervista uno dei trattenuti. Non migliori sono le relazioni con l’esterno: per ogni cosa gli immigrati possono solo rivolgersi alle forze dell’ordine (che in carcere sono di 4 tipi diversi: Esercito, Gdf, Polizia e Carabinieri).
Aumentano i casi di autolesionismo. Il punto di vista sanitario è preoccupante. Aumentano i casi di autolesionismo in quanto nel trattenuto nasce sempre più spesso l’idea che violare il proprio corpo possa accelerare il trasferimento dal Cie ad altra struttura. Aumenta la richiesta di somministrazione di psicofarmaci ma parallelamente non c’è una sola figura di psichiatra all’interno della struttura. Nel caso di tentato suicidio, malori o urgenze, le testimonianze dei trattenuti confermano i ritardi nell’intervento da parte dell’assistenza sanitaria causati dalla burocrazia comunicativa tra l’interno e l’esterno della struttura.
Un anno terribile per i Cie. “I Cie esistono perché la direttiva europea in materia prevede un’immigrazione condizionata” riprende Lavezzaro “nel senso che vengano garantiti gli spazi di sopravvivenza e quindi migliorare gli standard di vita, non peggiorarli. Ciò nonostante il 2011 è stato un anno terribile per il Cie: 15 rivolte e 28 arresti. Nel 2012 è andata decisamente meglio: 5 rivolte e solo 5 arresti. Da sottolineare resta la scarsa collaborazione con i consolati: talvolta le ambasciate rispondono a logiche politiche che ci sfuggono”.
Cinque anni prima dell’identificazione. L’altro aspetto indagato dal rapporto di ricerca è quello della detenzione amministrativa: “In Italia – dichiara una delle ricercatrici – vi sono casi di persone che hanno passato 5 anni nelle nostre carceri senza che sia stato avviato il processo di identificazione per poi essere trasferiti nei Centri appositi e ricominciare l’intero iter da capo. Dal 2007 una proposta di legge cerca di anticipare l’identificazione in carcere ma ad oggi nessuno l’ha esaminata come si sarebbe dovuto fare”.
I problemi, secondo la ricerca, nel campo giudiziario sono molti. Quelli su cui prestare maggiore attenzione sono elencati nel rapporto: “i trattenuti non partecipano alle udienze di proroga del trattenimento, nonostante le numerose pronunce della Corte di Cassazione in merito”; “la normativa italiana in materia di patrocinio a spese dello Stato non garantisce consulenze esterne di medici o psicologi dove queste sono necessarie”; “manca una piena assistenza linguistica nel corso di trattenimento, circostanza che ostacola l’accesso alla consulenza legale” e “il personale militare non riceve una formazione giuridica e socio – culturale specifica per lavorare a contatto con i trattenuti”.
La gestione del flusso è fallita. “Il sistema di gestione del flusso è fallito: lo dimostra il fatto che il periodo di trattenimento è passato da 30 giorni a 60, poi è diventato sei mesi, un anno e oggi è stato prolungato un anno e mezzo” sono le parole dell’avvocato Lorenzo Trucco, Presidente dell’Asgi. “Non v’è un codice chiaro: si tratta di privare della libertà persone umane. Dal punto di vista penalistico, un anno e mezzo di detenzione significa bruciarsi la condizionale e farsi una discreta carriera delinquenziale. Perché i trattenuti dei Cie devono essere trattati peggio dei carcerati? E come se non bastasse, la loro pratica circa la convalida del trattenimento è affidata al Giudice di Pace, che nasce con funzioni completamente diverse: da sanzioni pecuniarie il Giudice si ritrova a dover decidere della libertà di un essere umano”.

La Repubblica, 11 febbraio 2013


Carcere – Comunicato collettivo di 245 prigionieri del carcere di Saluzzo

Riceviamo e diffondiamo un documento firmato da 245 prigionieri del carcere di Saluzzo. Ricordiamo il presidio che si terrà sotto quelle mura il 16 febbraio 2013.

comunicato-stampa-blogComunicato

Noi sottoscritti detenuti della Casa di Reclusione di Saluzzo, con la seguente, vogliamo rendere testimonianza di tutti gli abusi che quotidianamente subiamo presso l’istituto di Saluzzo ad opera della direzione e di tutti gli organi dirigenziali.

Faremo alcuni esempi di quello che siamo costretti a subire nell’attesa che siano presi seri provvedimenti e che vengano rispettati i diritti di noi detenuti come previsto da norme e leggi.

Chiediamo che:

Art. 6 O.P. – La direzione si faccia carico di voler provvedere alla consegna di coperte, piatti e posate per tutti i nuovi giunti, perché è ignobile che chiunque arrivi in questo istituto non abbia coperte per ripararsi dal freddo e piatti con posate per mangiare.

Art. 8 O.P. – Chiediamo che ci venga concesso di poter avere detersivi, spazzolone, scopa e stracci e secchi per l’igiene della cella, così come shampoo, saponi, dentifrici, spazzolini, etc., per l’igiene e la cura della persona.

Art. 12 O.P. – Facciamo presente che i prezzi del sopravvitto lievitano ogni mese, oltre ad essere prodotti di sottomarca dei discount li paghiamo come generi di prima qualità ed i prezzi non coincidono mai con il listino della spesa perché subiscono sempre aumenti, non consono rispetto a quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario perché i prezzi subiscono variazioni di mercato ed ogni tre mesi devono essere visionati come previsto dall’O.P.

Art. 11 O.P. – Il vitto prevede che nei giorni feriali e festivi sia passato una sola volta al pranzo, così chi non ha la possibilità di potere cucinare viene costretto ad un digiuno forzato, come avviene attualmente per l’elevato numero di detenuti indigenti e extra-comunitari. (*)

Caloriferi – La direzione, nonostante il freddo gelido e le elevate temperature invernali, nel pomeriggio spegne i caloriferi dalle ore 15.30 sino alle ore 18.15 per poi spegnerli di nuovo alle ore 20.30 e riaccenderli alle ore 7.30 senza tenere conto del freddo insopportabile e delle rigide temperature esterne e interne.

Art. 36 O.P. D.P.R. N°230 – In questo istituto non vengono consegnati gli opuscoli dove c’è scritto “Diritti e doveri” di ogni singolo detenuto, così come sancito dal D.P.R. N°230 dove è scritto chiaramente che: il regolamento interno deve essere portato a conoscenza di detenuti e internati. Questo non avviene, contravvenendo alla seguente norma del 30-6-2000 n° 230.

Usufruizione dei benefici – Tantissimi detenuti con pene residue e irrisorie si vedono negati ogni beneficio, a nessuno viene concesso di poter usufruire di pene alternative come: l’affidamento, la semilibertà oppure permessi premio; il piano trattamentale è accessibile solo per pochissimi ristretti, dato il numero esiguo degli educatori, impossibilitati a seguire 420 detenuti.

Lavoro detenuti – Il lavoro per i detenuti è concesso solo a pochissime persone, in più vengono retribuiti con miseri stipendi, pagati per 2 o 4 ore, mentre le ore lavorative svolte superano le 6 / 8 ore, così come viene sfruttata la manodopera a favore dell’Amministrazione Penitenziaria.

Per concludere: vogliamo sottolineare l’importanza di questa nostra petizione che sarà portata all’attenzione dell’opinione pubblica sul sito internet “informa-azione.info“, per sensibilizzare le persone su quanto accade nell’istituto di Saluzzo, date che tantissimi scioperi della spesa non hanno sortito nessun effetto e non hanno portato la direzione a risolvere i nostri problemi.

Inoltre:

Desideriamo ringraziare tutti/e i/le compagni/e che verranno qui fuori a manifestare in solidarietà con tutti noi detenuti e prigionieri; un abbraccio a tutti/e i/le detenuti/e in lotta contro abusi, pestaggi, prevaricazioni e quant’altro avviene in tantissimi carceri d’Italia, affinché questo obbrobrio finisca e vengano rispettati i diritti di noi detenuti; solidarietà a tutti/e i detenuti nelle sezioni di isolamento, trattenuti contro la loro volontà e che lottano per il rispetto dei diritti di tutti/e i/le detenuti/e; e solidarietà per i compagni di Alessandria nella sezione AS2.

Per terminare:

Ci riserviamo in futuro di intraprendere altre forme di proteste pacifiche e iniziative volte ad ottenere il rispetto della dignità umana oltre che i nostri diritti, perché prima che detenuti siamo esseri umani.

P.S. Un ringraziamento particolare a tutti/e i/le volontari/e che prestano il loro aiuto ai detenuti.

In fede i detenuti

[Seguono 245 firme]


Aggiornamento! – Attivisti NoTav “assaltano” Chiomonte Due valsusini arrestati dalla polizia + comunicati

LIBERI! LIBERATI STASERA (11-02-13)

Un centinaio di persone ha effettuato tagli alle recinzioni nell’area del cantiere e appicato incendi nei boschi. Uno dei fermati aveva un sacchetto con oltre 130 pietre

bacioUn centinaio di attivisti del movimento No Tav ha preso d’assalto nella  notte il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte Un quadro elettrico esterno alle recinzioni è stato incendiato interrompendo l’illuminazione nell’area: in quel momento sono iniziati gli attacchi lungo il perimentro e in alcuni punti gli attivisti hanno tagliato le recinzioni e sono entrate all’interno dell’area al di sopra dell’imbocco del tunnel geognostico.

Hanno tolto uno dei cartelloni delle ditte appaltatrici mentre altri gruppi distraevano l’attenzione delle forze dell’ordine a presidio dell’area appiccando piccoli incendi nel bosco vicino.
Lanciati anche pietre e petardi. Danneggiato un mezzo usato nel cantiere e abbattuta una torre faro.Durante una perlustrazione nei boschi sono stati trovati bulloni, biglie, materiale esplodente e diversi involucri di petardi espolsi.

Le forze dell’ordine hanno arrestato due valligiani: Cristian Rivetti, 33 anni ed Emanuele Davi, 41 anni. Le accuse sono di danneggiamento aggravato e continuato in concorso e resistenza a pubblico ufficiale, e possesso di oggetti atti a offendere. La polizia li ha trovati in possesso di caschetti protettivi, guanti da lavoro, mascherina da saldatore in plastica, occhiali da piscina, torce elettriche, maschere antigas, passamontagna, fionda, un sacchetto in tessuto di jeans contenente 133 pietre (applicato alla cintura di uno dei due), cesoie e una matassa di cavo elettrico.

“Si é trattata di un’inqualificabile azione squadrista – commenta il consigliere provinciale del Pd Antonio Ferrentino –
probabilmente il gruppo dei No Tav era galvanizzato dalle ultime notizie relative alle recinzioni, e i problemi avuti con il Comune di Chiomonte”. Pochi giorni fa, infatti, era stato reso noto il contenzioso – con successivo ricorso al Tar – tra il Comune che ospita il cantiere della Maddalena, e la societá Ltf, in merito alle reti delle recinzioni, che sarebbero abusive.Aggiunge il deputato del Pd Stefano Esposito “Le azioni di questi teppisti sono coordinate dai sindaci e amministratori che danno le dritte politiche”.

Fonte

no tav

Dom. 10 febbraio, fiaccolata per Emanuele e Cristian

Dopo il fermo di Emanuele e Cristian nella serata di venerdì 8 febbraio 2013, il movimento NoTav vuole dare un segnale forte di vicinanza e solidarietà ai due. La risposta davanti all’ennesima intimidazione non è tardata ad arrivare, indicendo una fiaccolata per le vie di Mattie. Riportiamo qui sotto l’invito del Movimento NoTav e del comitato NoTav di Mattie a partecipare all’iniziativa.

Il comitato NoTav di Mattie e il movimento NoTav invitano tutti coloro che vogliono portare solidarietà a Cristian e Lele alla fiaccolata che si snoderà per le vie del paese passando vicino alle case dei compagni che stanno subendo l’ennesima prova intimidatoria.

Ritrovo DOMENICA 10 FEBBRAIO ore 20.30 presso la piazza del Comune di Mattie

Comitato MATTIE NOTAV

bacioIL MOVIMENTO NON SI ARRESTA!

Il movimento non si arresta e, si assume la responsabilità dell’azione avvenuta nella serata di venerdì 8 febbraio scorso presso il cantiere Clarea. Un’azione che non è la prima e non sarà di certo l’ultima; una resistenza che continuerà finché rimarranno in piedi muri, reti e cantieri.
Per imporre una grande mala opera sempre più insostenibile,loro si preparano ad accrescere tecnologie di guerra e repressione ai danni della popolazione, delle finanze pubbliche e dei diritti reali.
Noi non ci faremo certo intimidire e, con la forza e la lucidità che ci vengono dalla consapevolezza di essere nel giusto, continueremo la lotta per la liberazione del territorio, delle nostre vite e del futuro di tutti.

Cristian ed Emanuele, nostri compagni valsusini, sono tutti noi. Denunciamo il loro fermo come l’ennesima vile intimidazione nei confronti della valle e del movimento NoTav, e ne pretendiamo l’immediata liberazione.

LIBERI TUTTI! LIBERI SUBITO! ORA E SEMPRE NOTAV!

Comitato di lotta popolare Bussoleno

bacio

La rassegnazione non è di casa da queste parti…

Commentiamo l’ennesima notte di resistenza notav al cantiere della Maddalena. Quel cantiere che installato con la forza, fortificato abusivamente, e difeso da centinaia di uomini e mezzi delle forze dell’ordine e dell’esercito continua a subire incursioni e avversità varie.

Da tempo le notti non sono tranquille per l’apparato di sicurezza ed è stato così anche questa notte come si evince dal video che ci è stato recapitato, dove si vedono centinaia di notav intenti a danneggiare le reti, il cantiere e la strumentazione interna, visto che almeno metà fortino è rimasto al buio.

Le bandiere notav sventolano all’interno della fortificazione e si confrontano anche con un mezzo dell’esercito, il famigerato Lince, che preferisce la fuga di fronte alla determinazione.

Sono Cronache di Resistenza, non hanno altro nome.

I giornali locali titolano paroloni e nascondono la contraddizione di un cantiere illegittimo e illegale che continua a far spendere soldi pubblici ad una collettività che necessita d’altro, rispetto all’ennesimo furto ai danni dei servizi sociali e alle vere prorità di questo paese.

Dalle cronache si apprende di due valsusini fermati e arrestati in circostanze che non sono chiare, e non sicuramente durante l’assalto al cantiere. Ci dispiace per i vari Numa, Esposito e Ferrentino ma i due notav sono di Mattie, Val Susa, la Valle che Resiste e non fanno parte dei soliti mostri da sbandierare: centri sociali antagonisti o il bau bau dell’anarco insurrezionalista.

A Cristian ed Emanuele va tutta la nostra solidarietà e non mancheremo nel più breve tempo possibile di dimostarla mobilitandoci.

Nonostante i trionfalismi della lobby si tav, il dato di fatto è che la resistenza popolare a questa nefandezza non si arrende e non si rassegna, e  la lotta continua…

NO TAV


Antigone presenta monitoraggio Osservatorio europeo su condizioni detenzione

Presentato a Roma da Antigone l’Osservatorio europeo. Otto i Paesi coinvolti: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. In Italia oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare.
cordatesaÈ nato il primo Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione. A presentarlo oggi a Roma, presso la Sala Convegni della Casa circondariale Regina Coeli, è l’associazione Antigone. L’Osservatorio è sostenuto dalla Ue e coordinato dalla stessa Antigone, che avrà il compito di monitorare il sistema penitenziario su scala europea. I paesi coinvolti sono otto: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. Durante la conferenza stampa sono stati forniti dati e numeri inediti sulla situazione carceraria in Europa.
L’Osservatorio, che mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, ha l’ambizione di fungere da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600 mila persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea. “Lo scambio di buone prassi che il network costruito dall’Osservatorio permette – è stato sottolineato in sede di presentazione – è una risorsa fondamentale per la soluzione degli specifici problemi di ciascun sistema penitenziario nazionale”.
La fotografia dell’Europa. In Italia la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato i problemi principali delle prigioni italiane, primo tra tutti un tasso di affollamento pari al 146 per cento. Oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, “una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25 per cento”. I detenuti stranieri nelle carceri italiane sono il 37 per cento del totale mentre circa il 30 per cento della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti. “L’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over.
Sfortunatamente le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate”.
Non sta bene nemmeno la Francia, che ha assistito negli scorsi anni a una crescita drammatica della popolazione detenuta. I detenuti sono oggi il 36 per cento in più rispetto al 2001.
“Grandi progetti di edilizia carceraria non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento e – data la natura delle costruzioni – hanno invece creato altri problemi, quali un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti più violenti”.
Il tasso di suicidi continua a essere molto elevato e le politiche securitarie impongono misure di sicurezza estremamente rigide all’intera popolazione carceraria, compresi i detenuti caratterizzati da una bassa pericolosità sociale. “Queste condizioni si sono dimostrate controproducenti in termini di sicurezza pubblica, comportando piuttosto un alto tasso di recidiva”.
In Grecia il sistema penitenziario è caratterizzato da un grave sovraffollamento e da condizioni di vita estremamente degradate.
Si aggiungono a questi problemi quelli della carenza di personale, dell’abuso della custodia cautelare, di una massiccia presenza di detenuti stranieri e di persone accusate o condannate per crimini legati alla droga. La lunghezza delle pene inflitte è andata aumentando e con essa anche la lunghezza del periodo tempo effettivamente trascorso in prigione. “La retorica governativa legata all’umanizzazione del sistema penitenziario, alla promozione delle alternative alla detenzione e alla riduzione della popolazione detenuta si scontra con una prassi che vede un mero ammassare le persone nelle carceri senza alcuna prospettiva”.
La Lettonia, con i suoi 300 detenuti ogni 100 mila abitanti, presenta il tasso più alto di carcerazione tra i paesi dell’Osservatorio, nonché uno dei più alti nell’intera Ue.
Quasi il 30 per cento dei detenuti è in custodia cautelare. Il numero di stranieri in carcere è molto contenuto.
Anche in Polonia, oltre venti anni dopo la trasformazione politica, il sistema penitenziario sta ancora affrontando seri problemi. “C’è la necessità di una riforma più radicale. Sono ancora gravissime le questioni del sovraffollamento, delle condizioni degradate di detenzione, della mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti”. Con l’ingresso nell’Unione Europea, la Polonia si è trovata di fronte nuove sfide, tra cui il crescente numero di detenuti stranieri e la necessità di adeguare le proprie carceri agli standard europei.
Nonostante il Portogallo abbia un tasso di criminalità relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei, la popolazione detenuta non è inferiore a quella che si aveva negli anni ’90, quando si crearono drammatiche condizioni di sovraffollamento. Dopo qualche anno in cui era andato diminuendo, infatti, il numero dei detenuti sta nuovamente crescendo in fretta. La nuova ondata di sovraffollamento si è abbattuta sul Paese a partire dal 2012, e non si vedono per ora prospettive di miglioramento. Vari sono stati inoltre gli episodi di morte in carcere i quali non hanno trovato una spiegazione ufficiale.
In Spagna, tra i principali problemi delle carceri c’è sicuramente quello del sovraffollamento, che impedisce di scontare la pena in condizioni dignitose. Gravissima anche la situazione relativa all’assistenza sanitaria. “A seguito della crisi economica, l’amministrazione penitenziaria spagnola è andata riducendo le prestazioni mediche. La popolazione detenuta è soggetta a un alto tasso di malattia e la carenza di cure specialistiche, in particolare rispetto alla salute mentale e alle specificità di donne e bambini, si fa dunque sentire in carcere con più forza che altrove”. La crisi economica ha indebolito anche il diritto alla difesa, mentre paradossalmente vanno aumentando i servizi privati all’interno delle carceri.
Infine il Regno Unito, che lungo gli ultimi due decenni ha assistito, anno dopo anno, a una crescita della popolazione detenuta. Insieme a ciò si è avuta un’esplosione nell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena.
Più detenuti in Gb, in Italia maggior sovraffollamento
I dati del monitoraggio dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione. In Italia 139,7 detenuti ogni 100 posti. La percentuale di donne detenute è compresa tra il 3 per cento della Polonia e l’8 per cento della Spagna. Stranieri, Grecia al top
La presentazione dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione da parte di Antigone è stata supportata dai dati resi noti dallo stesso Osservatorio sulle principali differenze tra gli 8 sistemi penitenziari nazionali monitorati (Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito). “I dati riportati, e le tendenze degli ultimi anni – affermano i promotori – , possono essere usati come indicatori di politiche nazionali più o meno virtuose che verranno studiate e confrontate tra loro nei prossimi mesi”.
Popolazione detenuta 2012. Degli otto Paesi dove opera l’Osservatorio, è il Regno Unito ad avere il maggior numero di detenuti: 95.161 (in costante crescita: erano 82.572 nel 2008 e 84.725 nel 2010). Seguono Polonia (85.419, quasi 5 mila in più del 2010), Spagna (69.037, quasi 5 mila in meno del 2010) e Italia (65.701, erano 68.345 nel 2010 e 55.831 nel 2008). I sistemi penitenziari monitorati ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400 mila detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. “Anche se in molti paesi il numero dei detenuti è in questi anni cresciuto, questa tendenza non è univoca o necessitata. In Italia o in Spagna ad esempio la popolazione detenuta è calata negli ultimi due anni”, si afferma.
cordatesaTassi di detenzione. I tassi di detenzione indicano il numero di persone detenute per ogni 100 mila cittadini e rappresentano la misura del ricorso al carcere in ciascun paese. I tassi di detenzione più alti si registrano in Lettonia (297) e in Polonia, due nuove membri dell’Unione che in passato hanno fatto parte del blocco sovietico. In Europa meridionale, invece, i tassi di detenzione più alti si registrano in Spagna (148,7). In Italia il tasso è al 107,7.
Sovraffollamento. Il sovraffollamento è rappresentato dal numero di detenuti effettivamente stipati in 100 posti e, come mostrato dall’Osservatorio, è un problema molto serio per l’Europa mediterranea. “D’altro canto – si afferma – la capienza dei sistemi penitenziari è misurata in modo molto diverso nei vari paesi, e ad esempio per la legislazione italiana ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 mq, in Lettonia solo 2,5 mq. Si tratta inoltre di un valore medio. In ogni paese ci sono istituti che sono molto più affollati della media, ed altri che lo sono molto”. Ciò premesso, i dati dicono che è l’Italia il Paese con il maggiore indice di sovraffollamento (139,7 detenuti ogni 100 posti, erano 153, 2 nel 2010 e 129,9 nel 2008). Alta anche la Grecia (136,5) e la Francia (113,2).
Donne detenute. La percentuale di donne detenute in Europa è compresa tra il 3 per cento della Polonia ed quasi l’8 per cento della Spagna. In molti paesi questa percentuale è andata calando negli ultimi anni (come in Grecia, in Spagna e nel Regno Unito), mentre è andata crescendo in Lettonia ed in Polonia. Come detto, della Spagna la percentuale più alta (7,6 per cento), mentre l’Italia rimane sostanzialmente stabile con il 4,3 per cento (era il 4,4 per cento nel 2010 e nel 2008). Detenuti stranieri. “La percentuale di detenuti stranieri è uno dei temi sui quali i paesi monitorati differiscono maggiormente”.
Estremamente alta, e decisamente in crescita, in Grecia (63,2 per cento della popolazione carceraria, contro il 55,5 per cento del 2010 e il 48,3 del 2008), è generalmente molto alta nell’Europa mediterranea, in particolar modo in Italia (35,8 per cento, comunque in calo rispetto al 36,6 per cento del 2010 e al 37,4 per cento del 2008) e in Spagna (33,3 per cento, ugualmente in calo). Il fenomeno è sostanzialmente inesistente in Lettonia (1,3 per cento) e in Polonia (0,7 per cento).
Condanne definitive. In Italia la percentuale di detenuti che scontano una condanna definitiva è del 58,8 per cento (era il 54,2 nel 2010 e il 43,6 nel 2008). La percentuale più alta si registra nel Regno Unito (94,1 per cento), seguita da Polonia (89 per cento) e Francia (88,8 per cento). Alte anche le percentuali di Spagna (81,9) e Portogallo (80,5).
In generale la percentuale di detenuti in custodia cautelare è ampiamente sotto il 30 per cento, con l’evidente eccezione dell’Italia, dove questa percentuale è stata a lungo sopra il 50 per cento ed è attualmente sopra il 40 per cento.
Morti in carcere. La frequenza delle morti in carcere è determinata dividendo il numero di detenuti presenti in un anno per il numero dei detenuti morti in carcere quell’anno, ed è certamente un possibile indicatore del livello di criticità delle condizioni di detenzione in un certo paese. I dati cambiano molto: da una morte ogni 600 detenuti in Polonia ad una morte ogni 200 detenuti in Portogallo. In Italia l’indice è di 357, in diminuzione rispetto al 2010 (433) e al 2008 (461).
Misure alternative. “Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri”, si afferma.
Come mostrato dai dati dell’Osservatorio, il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100 mila abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia (265) e Regno Unito (252) e, più di recente, della Spagna 306,7), alla Polonia (1,1 nel 2010) o al Portogallo (2,2), dove queste misure sono pressoché inesistenti. L’Italia presenta un tasso di 32,8, comunque in crescita rispetto al 2010 (26,2) e al 2008 (8,4).
Anomalia Italia è custodia cautelare, 40% detenuti contro 25% media europea
Con 146 detenuti ogni 100 posti letto, l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è il più alto d’Europa; di contro il tasso di detenzione è in linea con gli altri paesi: con 107 detenuti ogni 100 mila cittadini, contro i 135 della Gran Bretagna, i 149 della Francia, i 99 della Francia. Mettendo a confronto la situazione italiana con quella del resto degli stati dell’Unione Europea emergono invece due differenze sostanziali: l’elevata percentuale di detenuti in custodia cautelare e lo scarso ricorso alle misure alternative, dieci volte in meno che in Spagna o in Francia.
I dati diffusi dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, che sarà capofila dell’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione, mettono in rilievo come oltre il 40% della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25%. Qui l’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over e le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate. Infatti, il ricorso alla cosiddetta probation riguarda, rapportato alla popolazione, 33 persone su 100 mila abitanti, mentre in Francia sono 265, nel Regno Unito quasi altrettanti, in Spagna 306,7. Come il resto dei paesi del Mediterraneo è estremamente alta, la percentuale di detenuti stranieri: in Italia il 35,8%, in Spagna il 33,3% in Grecia addirittura il 63%.
L’Osservatorio, presentato oggi, è coordinato dall’associazione Antigone e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Criminal Justice Programme. L’obiettivo è una omogeneizzazione delle condizioni di detenzione che risponda a quanto imposto dagli standard europeì. Monitora i sistemi penitenziari di otto paesi (Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna) che ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400.000 detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. E mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, fungendo da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600.000 persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea.
fonte: Redattore Sociale

Giornata internazionale di mobilitazione per Georges Abdallah !

Il 10 gennaio un tribunale francese ordinava infine il rilascio (legato a un’espulsione) di Georges Abdallah, dopo oltre 28 anni trascorsi detenuto in Francia.

cordatesaMalgrado tale detenzione eccezionalmente lunga, Georges Abdallah ha mantenuto il suo impegno al servizio dei popoli arabi libanese e palestinese contro il sionismo, l’imperialismo e la reazione araba.

Georges era divenuto contemporaneamente un esempio dell’accanimento della repressione imperialista, e un esempio di resistenza e di determinazione rivoluzionarie.

Dunque, noi abbiamo creduto al rilascio di Georges, ma le autorità francesi, non emettendo l’ordinanza di espulsione, hanno reso inoperante la decisione del tribunale. Sotto pressione diretta e chiara degli USA (dichiarazione del Dipartimento di Stato, petizioni di membri del Congresso…), il governo francese perpetua così il blocco di una decisione del tribunale.

La social-democrazia francese, che è sempre stata strettamente legata all’imperialismo americano e al sionismo, lo dimostra ancora una volta.

Il Soccorso Rosso Internazionale è fiero di aver iniziato più di 10 anni fa la campagna per il rilascio di Georges Abdallah. Dall’inizio di questa campagna, sono decine le manifestazioni in una mezza dozzina di paesi che hanno portato all’iniziativa delle differenti organizzazioni partecipanti alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale e, nel corso degli anni, abbiamo visto estendersi la solidarietà verso Georges, con l’aggregazione progressiva di forze nuove, e trasformarsi finalmente in un movimento grande che denuncia il mantenimento in carcere di Georges Abdallah.

Una giornata internazionale di mobilitazione per il rilascio di Georges Abdallah è organizzata il 27 febbraio, ossia la vigilia della sua prossima comparizione davanti al tribunale per l’applicazione delle pene. Noi chiediamo a tutte le forze partecipanti al processo di costruzione del Soccorso Rosso Internazionale, a tutte le forze con cui intratteniamo rapporti di lavoro, a tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, di rispondere a questo appello e impegnarsi risolutamente per strappare definitivamente il rilascio di Georges.

La Commissione  per un Soccorso Rosso Internazionale

(Bruxelles-Zurigo)

4 febbraio 2013


Carcere – Comunicato di Maurizio Alfieri sul fango di Tolmezzo e sciopero della fame

da  informa-azione

Riceviamo e diffondiamo questo comunicato di Maurizio Alfieri sulle montature nei suoi confronti ad opera di repressione e pennivendoli di regime, ed una  in cui annuncia l’inizio di uno sciopero della fame contro la noncuranza del dirigente sanitario e l’impossibilità di avere accesso alle giuste cure.
Ricordiamo che il 16 febbraio si terrà a Saluzzo un presidio anticarcerario in solidarietà con Maurizio e tutti i prigionieri di Saluzzo.

maurizio alfieriComunicato di Maurizio Alfieri

Carissimi/e compagni/e,
desidero scrivervi questo comunicato per poter esprimere innanzitutto il mio eterno bene per tutti/e voi, che lottate con ideali e principi contro le ingiustizie di fascisti pronti a reprimere con violenze e abusi tutti coloro che portano la solidarietà nelle piazze, nelle fabbriche, nelle carceri e in tutti i luoghi comuni.
Oggi da una missiva di un mio caro fratello oltre che compagno ho appreso una notizia che mi ha fatto andare su tutte le furie…
Desidero esprimere al giornalista che ha scritto l’infame e indegno articolo pubblicato sul “Gazzettino” quello che penso di lui. Premetto che per la mia buona educazione voglio riservarmi dall’esprimere epiteti verso costui, servo del sistema di cattiva informazione per fuorviare da ciò che accade nel carcere di Tolmezzo.
Questo signore si è permesso di dire che io e Valerio abbiamo sfruttato (i miei cari/e compagni/e e fratelli anarchici) per i nostri scopi!!!
Lei signor giornalista è un codardo, un vile, le povere persone come Enzo Tortora sono morte per gentaglia come lei, che per scopi di lucro scrivevano articoli falsi, così come è abituato a fare lei, non sapendo il significato di dignità e onestà.
Lei sicuramente sarà amico della direttrice e del comandante del carcere di Tolmezzo, forse la retribuiranno! Magari il direttore della sua testata le ha promesso una promozione!!!
A parer mio lei è un vero sfruttatore, non noi. Gli sfruttatori sono la feccia dell’umanità, sono i magnaccia, coloro che delle donne vorrebbero fare merce di scambio, ed io per costoro (giornalisti e magnaccia) provo disgusto, schifo e ribrezzo.
Lei signor giornalista cerchi di preoccuparsi dei pestaggi e di tutto ciò che è accaduto dentro il carcere di Tolmezzo, ma sicuramente lei sarà lo stesso giornalista che alcuni mesi fa sul “Gazzettino” parlava di Tolmezzo come di un albergo a cinque stelle!!!
Si vada a leggere le tante denunce di molti detenuti che sono stati massacrati, lei è un colluso della direttrice, si vergogni per come svolge il suo lavoro e non dimentichi tutti/e i fratelli e sorelle che sono morti nelle vostre patrie galere, dove non sono mai emerse responsabilità di terzi, ma solo omissioni e archiviazioni frettolose. Oggi io voglio dedicare un pensiero a tutti/e i fratelli e sorelle che per colpa di qualche aguzzino sono stati strappati all’affetto dei loro cari (io non vi dimenticherò mai e vi porto tutti/e nel mio cuore). Signor giornalista, non si permetta mai più di insinuare infamie, perché questo fa parte solo del suo palmares.
Un abbraccio a tutti/e i compagni/e e grazie per la tanta corrispondenza che ricevo da tutti/e voi, perché allieta le mie giornate, mi scalda il cuore e mi rende libero senza mura e senza sbarre.
Un forte abbraccio, vi voglio bene.

Saluzzo, sezione di isolamento, 30/01/13

 

Maurizio (“a” cerchiata)   

P.S. Ricordatevi che rispondo a tutti/e.

Nota aggiunta da Maurizio

Esimo da ogni responsabilità qualsiasi compagno/a per i fatti di Tolmezzo. Come risulta da tutti gli atti non c’è stato nessun coinvolgimento di qualsiasi persona e compagni/e, per cui nessuno si può permettere come il giornalista di insinuare anche il minimo coinvolgimento dei presidi del 10/09/12 e del 24/11/12.
Desidero inoltre dire a costui o costoro che non devono insinuare nulla verso i presidi di solidarietà contro i pestaggi e gli abusi che avvenivano e avvengono a Tolmezzo.

Doverosi saluti,
Maurizio Alfieri

bacioLettera di Maurizio sullo sciopero della fame

Saluzzo 4 febbraio 2013

Carissimi/e compagni/e,
mi preme scrivervi quanto mi accade per rendere partecipi tutti/e coloro che vorranno sapere come siamo costretti a vivere e quanto dobbiamo sopportare a Saluzzo. Vi premetto che ho problemi alle ginocchia, dovute a usura delle cartilagini, con segni di meniscopatia, frammenti di cartilagini e una ciste di Baker che mi bloccano l’articolazione. Tutte queste patologie le ho combattute con la forza di buona volontà, correndo “piano” ogni mattina per 1 ora, nonostante mi trattengano in isolamento; qui a Saluzzo è impossibile correre. Aspettavo da giorni dopo aver sollevato il problema, l’ortopedico mi ha prescritto la “cyclette” il 13/01/2013 e di camminare spesso; così stamattina, dopo aver visto che a nessuno interessava del mio stato di salute, ho iniziato lo sciopero della fame. Mentre il dottore di turno misurava tutti i parametri e mi faceva pesare entrò un dottore,   e ho saputo solo in un secondo momento che si trattava del dirigente sanitario. Dopo che il dottore di turno gli ha illustrato la mia situazione, questo fantomatico dirigente sanitario mi guarda e mi dice: “guardi per me lei può correre in cella”!!!
In un primo momento pensavo ad una battuta infelice, solo che appena mi  sono reso conto che dopo aver detto questo è uscito e stava per andarsene, sono corso fuori e gli ho chiesto se stava scherzando; appena mi ha risposto di no gli ho detto che lui aveva sbagliato lavoro… avrei voluto apostrofarlo, solo che erano presenti alcune donne, così mi sono trattenuto, non sapendo chi era costui. Però adesso avendo saputo che è il responsabile dell’Area Sanitaria, mi chiedo come possa svolgere una mansione così delicata!!! Neanche un veterinario avrebbe risposto in questa maniera, ma evidentemente è la sua indole strafottente. A me, come a tutti/e i detenuti e le detenute deve essere garantito il diritto alla salute.
Costui non può arrogarsi il diritto di contraddire una patologia accertata, addirittura senza neanche visionare la mia cartella clinica! Contravvenendo ad un luminare come l’ortopedico!
Qui a Saluzzo  siamo capitati in cattive mani, escludendo gli altri dottori e dottoresse che svolgono il loro lavoro con la massima attenzione, nonostante tutti loro abbiano dato disponibilità a farmi iniziare una fisioterapia, questo fantomatico dirigente sanitario ha stabilito che io posso correre in cella!!!
Questo signore avrebbe bisogno di una visita psichiatrica ed andrebbe esonerato dal suo impiego perché non è idoneo a svolgere la mansione di  responsabile sanitario, dato che nessun dottore si sognerebbe di dare una simile risposta.
Adesso resto in attesa che la direzione mi risponda se qui viene garantito il diritto alla salute… e nel contempo auguro un buon appetito a tutti e tutte e inizio il digiuno forzato grazie a persone come questo signor dirigente…

Un abbraccio a tutti e tutte i compagni e le compagne
Con ogni bene

Maurizio

P.S. Vi aggiornerò di tutti gli sviluppi di questa faccenda

Per scrivergli:
MAURIZIO ALFIERI
VIA REGIONE BRONTA N. 19/BIS
12037 SALUZZO (CUNEO)

 


Solidarietà – Nasce Cassa Antirepressione Sud

riceviamo e diffondiamo:

fuoco alle galereNasce Cassa Antirepressione Sud!

La cassa antirepressione sud nasce dall’esigenza di alcune individualità anarchiche siciliane, di raccogliere fondi a sostegno dei prigionieri, per esprimere solidarietà agli stessi e inviare, a chi finisce in galera, contatto e appoggio da parte di gruppi o persone sensibili alla questione carcere.

DELLE GALERE SOLO MACERIE!

per info: cassaantirepressionesud@gmail.com – http://cassaantirepressionesud.blogspot.it/

Per donazioni:
ricarica postepay : 4023 6006 4052 5574 (intestata a Kevin Giacalone)
ricarica conto paypal: cassaantirepressionesud@gmail.com


Lettera di Dayvid “Ciga” x Corteo Teramo di domani

LETTERA DI DAYVID “CIGA” IN RISPOSTA ALLA MANIFESTAZIONE NAZIONALE
INDETTA A TERAMO SABATO 9 FEBBRAIO 2013

Ciao a tutt*, mi chiamo Dayvid Ceccarelli e sono attualmente detenuto presso il carcere di Alba (Cuneo).
La mia custodia cautelare e’ motivata da articoli del vecchio codice Rocco, arricchiti con leggi speciali del
1975, leggi create dal fascismo per reprimere e punire i dissidenti politici. “Grazie” a queste leggi rischio assieme
ad altri compagni da 8 a 20 anni di reclusione, ma nonostante cio’ non voglio smettere di usare l’unica arma che ho: la parola.
Non sono solito a discorsi retorici, preferisco agire piuttosto che parlare.
Scrivo queste righe nello stesso modo in cui ho sempre cercato di vivere la mia vita: sinceramente e con cuore.
Magari spesso, nella foga del momento e sopraffatto dalle emozioni, sbaglio, ma con le migliori intenzioni e
sicuramente con sincerita’.
Voglio farvi sapere quanto mi abbia fatto piacere apprendere che finalmente ci sara’ una manifestazione di solidarieta’ per
gli arrestati, i fermati e gli indagati accusati delle “violenze” accadute a Roma il 15 Ottobre 2011.
Non dico questo perche’ anche io sono fra questi (non so ancora quando saro’ processato assieme ad altri 25
compagni coimputati), ma lo dico perche’ sono felice del fatto che finalmente in Italia un’insieme di individui
scenderanno in piazza per chiedere a gran voce la liberta’ per i 6 compagni condannati a 6 anni di reclusione
per l’assalto al blindato e per gli altri 25 che sono, con diverse misure restrittive, in attesa di giudizio a causa delle
“violenze” di quel giorno e che la piazza non ha paura di chiedere la verita’.
Il 15 ottobre 2011 si dovrebbe ricordare solo per le nobili motivazioni che hanno fatto sì che le piazze di Roma si gremissero
di gente in quanto era la “giornata mondiale dell’indignazione”. Ma cosi’ non e’.
In ogni caso, finalmente, dei compagni diranno “basta” alla repressione in atto e chiederanno verita’.
Inoltre alle varie istituzioni vorrei domandare qual’e’ la vera violenza?” Non e’ forse violenza affamare una popolazione?
Distruggere il futuro di una generazione intera?Privare delle pensioni i pensionati?Sfruttare gli operai negando loro prima
la sicurezza del posto di lavoro, e poi togliendo uno dopo l’altro i diritti basilari che anni di lotte sindacali avevano conquistato?
Tutto questo e’ stato ottenuto con la complicita’ di tutti gli schieramenti politici, del sistema bancario italiano ed europeo,
dei sindacati confederati e nel silenzio assordante di quella parte di sinistra extraparlamentare che sembra avere come
unico scopo quello di conquistare una comodissima poltrona in parlamento.
In questi giorni stiamo assistendo al solito teatrino del tutti contro tutti, delle promesse e delle speranze per poter
appunto accaparrarsi un posto in parlamento per poi alla fine, nella migliore delle ipotesi, non cambiare nulla.
Io il 15 ottobre ero in piazza per una manifestazione pacifica assieme a migliaia e migliaia di persone per dire “basta”,
la popolazione italiana, europea e mondiale non ne puo’ piu’ di essere sempre l’unica a pagare per colpa delle
speculazioni internazionali. Perche’ il ceto medio e i poveri devono sempre essere sfruttati mentre gli sfruttatori sono
sempre piu’ ricchi e potenti? E’ ora di finirla! Noi la crisi non la paghiamo!! Questo volevamo dire durante la giornata
mondiale dell’indignazione! Ma questi discorsi per lo stato sono da reprimere immediatamente, prima che attecchiscano
e contagino altre persone.
Termino questa mia lettera ringraziando tutt* di scendere in piazza e sperando di potermi unire a voi al piu’ presto.

Dayvid “Ciga”

Per chi avesse voglia di scrivergli:

Dayvid Ceccarelli
c/o Casa Circondariale
via vivaro n 14
12051 Alba (CN)

E’ importante fargli sentire la nostra salidarietà!

teramo


Intorno a torture, carceri… e altre italiche attitudini

Diffondiamo un’interessante articolo preso da contromaelstrom.com

carcereEra il 1948, nel Parlamento una parte delle forze politiche voleva un cambiamento effettivo e sostanziale dal regime fascista, perlomeno sull’aspetto giuridico-repressivo (non su quello economico-politico). Un’altra parte, poi dimostratasi maggioritaria, volle mantenere alla nascente “democrazia” lo stesso carattere giuridico e repressivo.   Il terreno di questo scontro era: il codice penale di pretta marca fascista- il Codice Rocco; il reato di tortura; le carceri.  Strano? Gli stessi punti di oggi (2013)

Quelli che seguono sono estratti delle sedute parlamentari (al Senato) dove avvenne questo scontro.                                                                                                                                    Fate attenzione alle parole di Calamandrei là dove dice che di carcere ne dovrebbero parlare chi l’ha subito («bisogna aver visto, bisogna esserci stati»!); ma anche là dove si domanda se dover vietare la “tortura” significa riconoscere che la tortura «in Europa. nel 1948,c’è dunque ancora bisogno di inserire… questa avvertenza»? (Attenzione, questo è un motivo per cui in Italia difficilmente inseriranno nel codice il reato di tortura, perché significa riconoscere che la tortura si pratica!)

Ecco, questo era ed è  il Bel Paese! Io mi vergogno di appartenerci… almeno finché non lo ribaltiamo sottosopra, e voi?

L’inchiesta sulle carceri e sulla tortura

(Discorsi pronunciati alla Camera dei deputati nelle sedute del 27-28 ottobre 1948)

Seduta del 27 ottobre 1948

Calamandrei.  Onorevoli colleghi, al Senato è stato parlato lungamente delle carceri. È un argomento sul quale, credo che quello che dirò non potrà suscitare opposizione o interruzioni da nessuna parte. Si è parlato lungamente delle carceri e ne hanno parlato soprattutto coloro che più avevano il diritto di parlarne, cioè quelli che vi sono stati lungamente, che vi hanno sofferto e che hanno sperimentato quel che vuol dire esser recluso per dieci o venti anni. Signor Ministro, alle raccomandazioni fatte al Senato sulla necessità di una riforma fondamentale dei metodi carcerari e degli stabilimenti di pena, ella ha risposto dando generiche assicurazioni. Ora, io vorrei che non ci si contentasse di assicurazioni non impegnative, come tutti i Ministri – anche quando sono seri e coscienziosi come ella è – sono disposti a dare, nel rispondere alle osservazioni che si fanno sui loro bilanci. Io vorrei che da questa esperienza di dolore che colleghi di questa Camera e del Senato hanno sofferto, nascesse per l’avvenire un effetto di bene. Questo mistero inesplicabile della vita umana che è il dolore, si può forse avvicinarsi a spiegarlo, soltanto quando si pensi che il dolore di un uomo possa servire a risparmiare il dolore ad altri uomini; e allora si sente che anche il dolore può avere la sua ragione. Ora, questa esperienza di dolore che i nostri colleghi hanno fatto non deve andare perduta. In Italia il pubblico non sa abbastanza – e anche qui molti deputati tra quelli che non hanno avuto l’onore di esperimentare la prigionia, non sanno -che cosa siano certe carceri italiane. Bisogna vederle, bisogna esserci stati, per rendersene conto. Ho conosciuto a Firenze un magistrato di eccezionale valore che i fascisti assassinarono nei giorni della liberazione sulla porta della Corte d’appello, il quale aveva chiesto, una volta, ai suoi superiori il permesso di andare sotto falso nome per qualche mese in un reclusorio, confuso coi carcerati, perché soltanto in questo modo egli si rendeva conto che avrebbe capito qual è la condizione materiale e psicologica dei reclusi, e avrebbe potuto poi, dopo quella esperienza, adempiere con coscienza a quella sua funzione di giudice di sorveglianza, che potrebbe esser pienamente efficace solo se fosse fatta da chi avesse prima  esperimentato quella realtà sulla quale deve sorvegliare. Vederequesto è il punto essenziale. Per questo, signor Ministro, ho presentato un ordine del giorno con cui si chiede al Governo di nominare una Commissione d’inchiesta parlamentare fatta di deputati e senatori, fra i quali siano inclusi in gran numero coloro che hanno sperimentato la vita dei reclusori; in modo che gli esperti possano servir di guida agli altri in queste ispezioni che dovrebbero compiersi non con visite solenni e preannunciate, come è accaduto di recente nel carcere di Poggioreale, ma con improvvise sorprese e con i più ampi poteri di interrogare agenti carcerari e reclusi, ad uno ad uno, a tu per tu, da uomo a uomo, senza controlli e senza sorveglianza. Solo così si potrà sapere come veramente si vive nelle carceri italiane. […] questo bisogna confessar chiaramente: che oggi in tutto il mondo civile, nella mite ed umana Europa, a occidente o a oriente e anche in Italia (ma forse in Italia meno che in altri Paesi d’Europa) non solo esistono ancora prigioni crudeli come ai tempi di Beccaria, ma esiste ancora, forse peggiore che ai tempi di Beccaria, la tortura! Questi sono argomenti sui quali di solito si ama di non insistere; si preferisce scivolare e cambiar discorso. Eppure bisogna avere il coraggio di fermarcisi. Ai primi di settembre, al congresso dell’Unione parlamentare europea ad Interlaken, al quale intervennero numerosi colleghi che vedo presenti in quest’aula, ci accadde, nel discutere un disegno preliminare di costituzione federale europea, di imbatterci in un articolo, che nella sua semplicità era più terribile di qualsiasi invettiva: “È vietata la tortura”. Nel leggerlo, abbiamo provato un’impressione di terrore: in Europa. nel 1948, c’è dunque ancora bisogno di inserire nel progetto di una costituzione federale, da cui potranno essere retti domani gli Stati uniti d’Europa, questa avvertenza? Le costituzioni, come voi sapete, hanno quasi sempre, nelle loro norme, un carattere polemico: le leggi nascono dal bisogno di evitare ciò che purtroppo si pratica. Ora il fatto che si senta il bisogno di vietare nella civile Europa la tortura vuol dire che nella civile Europa la tortura è tornata in pratica. E quando io parlo della tortura, non intendo riferirmi a quelle crudeltà che, talvolta, per malvagità individuale o per follia (come pare sia accaduto nell’episodio di Poggjoreale) secondini o agenti, per fortuna costituenti rare eccezioni, possono esercitare sui reclusi per punirli; quando io parlo della tortura, intendo riferirmi a quel metodo di indagine inquisitoria che esisteva come procedimento legale fino a metà del secolo XVIII nei giudizi penali, prima che fosse abolito, per merito soprattutto del Beccaria. È noto che nella procedura penale, fino alla metà del secolo XVIII, la tortura era un mezzo probatorio, disciplinato dalle leggi e studiato dai trattatisti, mirante a costringere l’imputato a confessare. Si riteneva che l’imputato avesse il dovere di confessare e di dire là verità anche contro se stesso; e quindi, per costringere l’imputato inquisito a eseguir questo suo dovere, si adoperava su di lui la coercizione corporale, modo legale per provocare la confessione. Orbene, onorevoli colleghi, la tortura come mezzo per ricercare la verità rientra anche oggi, non di rado, tra i metodi della polizia investigativa: in tutto il mondo, in tutti i paesi civili, ed anche in Italia. ][…]Ho parlato di questo anche con qualche magistrato, anche con giudici istruttori. Uno di essi mi ha detto: “Mi sono trovato talvolta di fronte a casi inesplicabili. Ho visto, per esempio, studiando i verbali raccolti dalla polizia, un imputato che in dieci verbali si è mantenuto negativo; all’undicesimo, improvvisamente, ha fatto una confessione piena e particolareggiata; ma al dodicesimo verbale si è ritrattato e in seguito si è mantenuto ostinatamente negativo. Allora ho interrogato l’imputato per chiedergli il perché di questi mutamenti e quello mi ha risposto: “quando fui libero di rispondere secondo verità dissi di no: ma una volta, quella volta, non potei reggere al dolore: e dissi di sì”.  Ma i metodi per far dire di sì agli imputati, dei quali ho raccolto notizie nella mia inchiesta, non voglio descriverveli. […]

Seduta del 28 ottobre (risposta del Ministro)

Grassi, Ministro di grazia e giustizia.  Ella, onorevole Calamandrei, mi ha invitato a fare una passeggiata insieme nelle carceri; ci verrò volentieri, ma un’inchiesta mi pare francamente esagerata. Questo per quanto riguarda le carceri; circa poi gli interrogatori, la competenza a provvedere non è del Ministero della giustizia. […]

Tambroni (Dc).  Una brevissima dichiarazione di voto anche a nome di altri colleghi del mio Gruppo. Prego intanto l’onorevole Presidente di mettere in votazione l’ordine del giorno Calamandrei per divisione. Dichiaro di essere contrario e di votare contro la prima parte, quella che riflette la nomina d’una Commissione d’inchiesta relativa ad accertare le pressioni della polizia per ottenere la confessione dei  prevenuti….E il nostro Codice prevede gravi’sanzioni nei confronti degli agenti di polizia.

note: in carica c’era il V governo De Gasperi (23.05.1948 – 14.01.1950);                                                               Giuseppe Grassi, del Partito Liberale fu ministro della Giustizia nel IV e V Gov De Gasperi,
[da: Il Ponte, marzo 1949]

 


Nasce l’osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione

CarceratiL’Italia maglia nera in Europa per la percentuale di detenuti in attesa di giudizio. Oltre il 40 per cento delle persone rinchiuse nelle carceri italiane aspetta una sentenza definitiva, mentre la media europea non supera il 25 per cento. E’ questo uno dei dati che emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, rete che riunisce gli enti e le associazioni di monitoraggio sulle carceri di 8 paesi europei. “Facendo il confronto tra la situazione delle carceri in Italia e quelle del resto d’Europa” spiega Alessio Scandurra, Coordinatore dell’Osservatorio  e membro di Antigone, “emerge il quadro di un paese con un alto tasso di sovraffollamento, con molti stranieri, moltissimi condannati per reati legati alla droga e uno scarso ricorso alle misure alternative, che in molti paesi d’Europa sono ordinarie e da noi eccezionali”.
Presentato giovedì 7 febbraio presso il penitenziario del Regina Coeli di Roma, l’Osservatorio europeo punta a monitorare le condizioni di detenzione di tutti i detenuti presenti nelle carceri dell’Unione europea, per un totale di circa 600.000 persone.

Fonte


Ecco come si evade dalle carceri italiane

Fughe rocambolesche e buchi nei muri: evasioni raddoppiate negli ultimi anni

evasi-detenuti-scavato-tunnelNegli ultimi tre anni le fughe dagli istituti penitenziari sono più che raddoppiate. Solamente del 2009 i detenuti evasi erano stati nove. Nel 2012 sono stati ventidue. Per lo più uomini ma anche tre minori. In gran parte la fuga avviene dalle strutture penitenziarie (14), ma anche dagli ospedali (4), dal regime di semilibertà (1), dal lavoro esterno (1).  Per capirne qualcosa di più abbiamo intervistato Eugenio Sarno, Segretario Generale della UILPA Penitenziari, uno dei principali sindacati degli agenti carcerari.

Quali sono  i metodi più frequenti utilizzati per la fuga?
Dalle statistiche il metodo classico di fuga rimane quello con buco o sbarre segate, discesa dal muro di cinta e poi fuga a gambe levate. È però in forte aumento il dato delle evasioni dalle strutture ospedaliere. Nel 2012 sono state il 20% del totale. Nello scorso anno sono state effettuate circa 65 mila traduzioni di detenuti verso reparti ospedalieri, solo 5.800 però si sono trasformate in ricoveri effettivi.

Nei casi di evasione quanto può essere determinate una complicità esterna al carcere?
In genere un’evasione è un evento organizzato e quindi c’è per forza una complicità esterna. Un progetto di evasione parte quasi sempre da un’osservazione da parte dei detenuti dei luoghi in cui sono reclusi. Ad esempio molte volte le evasioni si sono rese possibili per la concomitanza della presenza di cantieri edili che hanno facilitato la fuga. In qualche altro caso, invece, come l’eclatante evasione di Avellino, la fuga  è stata facilitata dalla presenza di bidoni e di pedane accatastate proprio in prossimità del muro di cinta. Direi poi che la fatiscenza delle strutture penitenziarie facilita l’opera di “trivellaggio” della mura come è ben dimostrato dai “buchi” del carcere di Avellino, Vallo della Lucania e quello più recente scoperto in tempo aRebibbia. I carcerati utilizzano i ferri delle sbarre delle brande oppure le posate o i coperchi di pentolame che vengono piegati e utilizzati come piccole vanghe o scalpelli. Il segare le sbarre rimane il metodo più frequente per le fughe. Proprio per quanto riguarda le sbarre è evidente che la maggior parte degli istituti, costruiti circa due secoli fa, non hanno quelle con l’anima in acciaio. Pertanto è relativamente semplice, per loro, tagliare quelle in ferro cosiddetto “dolce”.

Perché si riesce ad evadere così frequentemente rispetto agli anni precedenti?
L’aumento delle evasioni è sicuramente da imputare al sovraffollamento delle carceri. Oggi siamo sotto organico di sette mila unità. Basti pensare che nel 2000 con 42 mila detenuti c’era un organico di 40 mila agenti, oggi con 67mila detenuti, e circa 20 carceri nuove, l’organico della polizia è di circa 36.500 mila unità. Ovviamente, al di là dell’abbassamento degli indici di sicurezza, favorisce questa serie di evasioni  una promiscuità  dei detenuti che impedisce di applicare politiche della sicurezza compatibili con la qualità di vita dei detenuti.

In percentuale, quanti dei detenuti evasi vengono rintracciati e ricondotti in carcere?
Grazie all’attività del nostro Nic, Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, negli ultimi anni è stato possibile riassicurare alla giustizia oltre il 60% degli evasi.

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NUMERI SULLE EVASIONI 2012

Pisa carcere “Don Bosco”: 2
Roma “Regina Coeli”: 2
Milano ICAM: 1 donna
Firenze M. Gozzini:1 in regime di semilibertà
Brescia carcere di Canton Mombello: 1
Bologna Ospedale: 1 minorenne
Palmi carcere: 1
Aosta : Lavoro esterno 1
Carcere  di Mamone Lodè :1
Bologna “Istituto penale per minori” : 2 minorenni
Verona – Ospedale: n 1
Foggia– Ospedale: 1
Catania – Ospedale: 1
Avellino  carcere di Bellizzi:  4

Solamente nelle prima 4 settimane del 2013 le tentate evasioni sono state 4, tutte dalle carceri mentre quelle riuscite sono state 2 una dall’ IPM  di Roma lo scorso  29 gennaio e uno presso la Stazione carabinieri di Parma  il 2 febbraio. In totale i carcerati evasi sono già 4 tutti uomini di cui 2 adulti e 2 minori.

Fonte

 


Giustizia: 1 giorno di galera ogni 5 centesimi, pene sproporzionate per reati contro patrimonio

La sproporzione delle pene per i delitti contro il patrimonio è una delle cause del disumano affollamento delle nostre carceri. È anche una responsabilità dei magistrati, del cattivo uso del principio di discrezionalità del giudizio.

falsoI casi offerti dalla nostra cronaca giudiziaria sono un campionario infinito di una giustizia ingiusta. L’antidoto potrebbe essere l’obbligo di visita nell’inferno delle celle.
L’ennesima condanna della corte europea per la nostre carceri, accompagnata dal solito sdegno sterile, mi induce a tornare sullo spreco di risorse della giustizia, segnalato tempo fa da un arguto cronista del Corriere della sera, nel processo a uno studente, accusato di furto di un ovetto di cioccolato, del valore di 1 euro. Arguzia a parte, il cronista trascurava che, per questo fatto bagattellare (da baca, bacca, inezia), se qualificato come furto mono aggravato (per esposizione dell’uovo alla pubblica fede), lo studente sarebbe stato colpito da pena detentiva, pur con due attenuanti (per danno lieve e incensuratezza) e con la diminuente del rito alternativo, mai inferiore a 20 giorni di reclusione.
Volgarizzando la triade profitto (del reo) – danno (del proprietario) – sanzione (della giustizia), in un caso simile, il reo paga, per ogni 5 centesimi del valore commerciale del bene sottratto, il prezzo di un giorno di libertà.
Lasciando calcoli astratti e venendo alla corrente cronaca giudiziaria, un furto di capi di abbigliamento – che, pagati alla cassa, sarebbero costati 250 euro – è stato fatto pagare, in termini di libertà, al prezzo di 1 anno e 6 mesi. In senso realisticamente figurativo, la sentenza diventa così titolo di ingresso in carcere, per estinguere, con 547 giorni (del valore di 0,46 euro ciascuno) il debito verso il proprietario e verso la società.
La casistica della giurisprudenza ci mostra lo stato esattore di 6 mesi di libertà per un debito di 30 euro (sottratti da un registratore di cassa) o di 7 mesi di libertà per un debito pari al valore del gasolio sottratto da un camion per la nettezza urbana.
Questa impostazione del problema in termini di debito/credito – che fa riaffiorare il carcere per debiti (ricordate Pickwick?) – introduce il tema delle cause del fenomeno del tutto esaurito, posti in piedi nelle nostre carceri e ne mette in luce le sue radici nel mondo giudiziario e nei criteri sul quantum nelle sentenze di condanna.
Secondo Bettiol, lo stato moderno, nel farsi guidare dal principio della retribuzione (a un male segua un male) deve attenersi al criterio della proporzionalità. L’idea della proporzione segna il passaggio dalla vendetta, che è emozione non controllata dalla ragione, alla pena, che è atto di ragione e quindi reazione proporzionata.
La proporzionalità della pena viene concepita non nei termini meccanicistici della legge del taglione e tanto meno nella funzione intimidatoria a fini di prevenzione generale (quest’ultima concezione, attraverso la teoria del castigo esemplare, conduce inevitabilmente a pene che devono essere il più possibile severe e crudeli). L’esperienza insegna che solo una pena equa ed umana, non terroristica, può assolvere il compito della prevenzione (Mantovani).
Nel pronunciare la sentenza di condanna, il giudice dovrebbe non solo applicare criteri e limiti formalmente fissati dalla norma, ma anche evitare una punizione sproporzionata, che, tornata ad essere espressione di emozionale vendetta – sia pure compiuta in nome del popolo italiano – diventi fonte di un giro vizioso di violenza legittima e violenza illegittima, Questa proporzionalità della punizione, pur nel rispetto delle norme, spesso non è rispettata, e ciò avviene con particolare evidenza, come abbiamo visto, nei delitti contro il patrimonio, in cui al reo riesce immediatamente percepibile la sproporzione tra il suo debito, in termini di disvalore giuridico ed economico, e il prezzo che gli è imposto in termini di libertà.
Per recuperare razionalità punitiva, si è tentato di riavvicinare i giudici alla finalità educativa, intesa come recupero sociale, come riacquisizione, per il cittadino condannato, della capacità di vivere nella società nel rispetto della legge penale (Vassalli). La Corte costituzionale, con E. Gallo, ha chiarito il collegamento tra proporzione e rieducazione della pena: la sentenza 2 luglio 1990, n. 313, ha affermato il principio secondo cui la finalità rieducativa della pena (co.3 art.27Cost.) informa tutto il sistema penale e non soltanto la fase esecutiva: questo principio deve condizionare il potere discrezionale del giudice che quantifica la punizione, cioè il prezzo che il reo deve pagare in termini di libertà.
La Corte ha prospettato la seguente connessione: la finalità educativa postula che l’autore del reato avverta un trattamento punitivo non ingiusto e non eccessivo, ma adeguatamente proporzionato al disvalore del fatto commesso; altrimenti si rischia che nel reo prevalga un atteggiamento di ostilità nei confronti dell’ordinamento.
Le critiche rituali dei procuratori generali nelle inaugurazioni, le doglianze delle discrete onlus assistenziali, le denunce giornalistiche, rivolte al potere legislativo ed amministrativo, con l’invito al riformismo carcerario, per costruire carceri più accoglienti e per assumere nuovo personale, trascurano un dato: il titolo, il biglietto di ingresso nelle carceri lo scrivono i giudici.
All’origine della sovrabbondante presenza nelle carceri italiane non vi è solo la ristrettezza dei locali, ma anche una scarsa attenzione per il principio della proporzionalità della pena e per l’insegnamento che viene dalla interpretazione, costituzionalmente guidata, della disciplina della sofferenza carceraria.
Nella prospettiva di umanizzazione la pena, per salvaguardare la sua funzione educativa, si può guardare con interesse a iniziative del tipo di quella realizzata dai gip di un tribunale: un esame dei luoghi in cui vivono gli esseri umani per effetto delle loro decisioni: “fare, tappa per tappa” il percorso dei nuovi detenuti, toccare con mano i problemi e le difficoltà di chi vive e lavora dentro carcere, “vedere le camere di sicurezza dove a volte i nuovi giunti dormono uno sull’altro magari in attesa dell’udienza di convalida, eco.
Può essere utile, sul piano nazionale, prospettare un programma, per i giudici di primo e secondo grado, di visite guidate nei luoghi di detenzione, mirate a renderli direttamente consapevoli degli effetti delle loro decisioni, dei loro calcoli, delle loro commisurazioni, nonché a instaurare un parziale collegamento tra aula, dove si decide, e carcere, dove si soffre. Rimane il problema dello scarso impegno – anche di tutti i giudici – nella quotidiana lotta per l’indipendenza dalla cultura dell’emergenza, dai tribuni dell’allarme sociale e dei bisogni collettivi di sicurezza, amplificati e strumentalizzati a fini elettorali (il fenomeno dei pubblici ministeri in politica, grigi o ululanti, è davvero inquietante).
In attesa di un’autoriforma del giudice, accontentiamoci delle visite dantesche nei luoghi di sofferenza, coinvolgendo quei cittadini la cui aspirazione massima è riempire le carceri per ottenere ordine e sicurezza, salvo poi diventare crociati della libertà, se intravedono aprirsi i cancelli ai debitori per violazioni di beni giuridici meritevoli di garanzia non inferiore a quella dei beni lesi dai ladri di bicicletta.

Fonte: ilmanifesto


La giornata di lotta contro il processo nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino

notav_620Oggi 1° febbraio 2013 il “processone” contro il movimento No Tav ha vissuto un’altra bella giornata di lotta. Lo spostamento della sede del processo nell’aula bunker è stato rifiutato dalle e dagli “imputati” forti di un ampio sostegno.
Davanti al fortino dell’aula bunker, già prima dell’inizio dell’udienza, siamo arrivati tante/i da varie città e dalla Valle, con la determinazione di non accettare alcun isolamento.
L’ingresso in aula è iniziato con tutti i riti del controllo, delle schedature e delle limitazioni. Ad esempio, alla madre di un “imputato”, che doveva riferire all’avvocato dell’assenza del figlio malato, non è stata data la possibilità di entrare; il numero di chi può entrare in aula, esclusi coloro che sono sotto processo, è chiuso, bloccato ad 80! Immediatamente dopo vengono  tirati su gli sbarramenti e schierati decine di sbirri pronti alle cariche.
La corte entra in aula puntuale alle 9,30 decisa ad iniziare immediatamente l’udienza; più voci, sia tra gli “imputati” che tra il “pubblico” presente, le fanno notare che almeno due “imputati” si trovano ancora in dirittura d’arrivo alcuni “imputati” sono ancora bloccati fuori dall’aula perchè appunto la polizia non permette loro di entrare. Niente, per i giudici si deve iniziare subito. Le proteste in aula da parte di chi sotto processo e no, sono continuate, per esempio, nel non rispondere all’appello. Dopo circa mezz’ora, fra attese e urla alla corte che continuava ad insistere nel voler cominciare, una compagna”imputata” inizia a leggere a nome di tutte e tutti gli “imputati/e” presenti la dichiarazione seguente:

“La scelta di spostare il processo in quest’aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese. Trasferendo la sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della ‘pericolosità sociale’ e delle emergenze.

Noi invece, rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzando la Valle, con le conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.
Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in quest’aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.
Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte-i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.
Giù le mani dalla Val Susa! Ora e sempre NO TAV! Ora e sempre resistenza!”

Il presidente urla ai carabinieri di segnalare chi ”interrompe” il suo iter, ordinando di prenderne il nome. La nostra risposta non si fa attendere: a sostegno della singola lettura del comunicato parte la lettura collettiva, corale di tutte e tutti. Stupendo vedere corte, pm e sbirri, paralizzati, imbarazzati e muti. A tutti loro viene urlato che la lettura non è una scelta singola, “non c’è nessuno da segnalare”. Fallisce lo stesso loro tentativo di portarsi via la compagna che ha dato inizio alla lettura. Poi tra cori e slogan si abbandona effettivamente l’aula tra le facce attonite e smarrite dei vari accusatori e della loro truppa. L’uscita non è facile.
Ci bloccano, chiudendo i cancelli, vogliono, identificarci, soprattutto vogliono aver il nome della compagna. Chiudono la cancellata d’uscita e schierano i manganellatori. Il presidio sul piazzale che reclama l’apertura degli sbarramenti viene caricato, cercano di allontanarci, ma non ci riescono. Il gruppo di compagni/e entrato in aula viene anch’esso caricato, perché rifiuta l’identificazione. Volano colpi di manganello, gomitate e calci. Il muso a muso va avanti per circa una mezz’ora, finché – grazie all’unità di tutte/i i presenti – sono costretti a lasciare il passo, ad aprire la cancellata.
Il presidio si ricompatta; si sposta, seppur con un po’ di confusione, sul lato del carcere da dove è possibile vedere, sentire ed essere visti ed uditi da chi rinchiuso nelle celle. Da dentro rispondono ai nostri saluti e alle nostre battiture; alcuni prigionieri vedono il campo dove siamo rincorsi ma continuiamo a battagliare  per avvicinarci. La sferzata di forza è  reciproca; senz’altro di buon auspicio anche per il futuro.
Nei fatti anche oggi il processo alla lotta è stato respinto e ribaltato in momento di liberazione dai riti opprimenti della repressione e allo stesso tempo in un momento di solidarietà a chi resiste in carcere.

Prossima udienza, sempre all’aula bunker, alle 9,30 14 febbraio 2013. Dovrebbe avere inizio formale il processo con la costituzione delle parti civili. Nella stessa mattinata è in preparazione per quel giorno un presidio informativo in città, a Torino.
Alcune/e di noi (“imputati/e) si recheranno comunque in aula.


Sempre più assurdo e scandaloso: ad ucciderla è stata la sua stessa malattia mentale…

1) “Campobello, anziana morta dopo TSO: chiesta archiviazione per due medici”.
2) Considerazioni, sia sullo specifico caso che in generale
follia“Campobello, anziana morta dopo TSO: chiesta archiviazione per due medici”
“L’anziana, affetta da schizofrenia cronica, non morì per colpa dei medici e dell’eccessiva sedazione: a ucciderla fu proprio la sua stessa malattia che la obbligò ad assumere psicofarmaci che aumentano di tre volte il rischio di arresto cardiocircolatorio improvviso. Sono le conclusioni a cui è giunta il pubblico ministero Brunella Sardoni che ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta a carico di due psichiatri, Carmelo Zaccaria, 57 anni, e Carmela Fontana, 59 anni, a carico dei quali viene ipotizzato il reato di omicidio colposo. I familiari, attraverso il proprio legale Stefano Argento, si sono opposti chiedendo nuove indagini. Ieri mattina si è celebrata l’udienza davanti al gip Ottavio Mosti che ha sentito tutte le parti. La donna campobellese, che aveva 69 anni, morì il 4 luglio del 2009. I due medici indagati andarono nella sua abitazione per sottoporla al trattamento sanitario obbligatorio”.
31 gennaio 2013
Considerazioni, sia sullo specifico caso che in generale
non morì per colpa dei medici e dell’eccessiva sedazione: a ucciderla fu proprio la sua stessa malattia che la obbligò ad assumere psicofarmaci“.
Cosa si è costretti a leggere…
Questa donna (così come tantissime altre persone) è morta per arresto cardiocircolatorio dovuto ad eccessiva sedazione con psicofarmaci, però ad ucciderla non sono stati gli psicofarmaci che hanno provocato l’arresto cardiocircolatorio né chi ha prescritto e somministrato gli psicofarmaci, ad ucciderla è stata la malattia mentale…
Già, la sua malattia… È stata la malattia che le diede l’ordine di assumere psicofarmaci, mica sono stati gli psichiatri a prescriverglieli e ad imporglieli… Loro sempre “poveri Cristi innocenti”, e non conta se sanno, fra le tante altre cose, che gli psicofarmaci aumentano di tanto il rischio di arresto cardiocircolatorio. Loro operano “in scienza e coscienza”, e devono “curare”, tanto se poi una persona muore, mica è colpa degli psicofarmaci, di chi li produce e di chi li prescrive, è “colpa” della malattia… Certo, è la malattia che provoca l’arresto cardiocircolatorio…
Si notino gli stravolgimenti. Non viene detto che a ucciderla sono stati gli psicofarmaci che la donna “doveva” assumere poiché “malata”. No. Vien detto che a ucciderla è stata la malattia, la malattia che la obbligava ad assumere gli psicofarmaci.
Pur di deresponsabilizzare l’intoccabile lobby psichiatrica, si arrivano a dire cose che sono insostenibili in qualsiasi altro contesto, cose che fanno acqua da tutte le parti, cose che non reggono per niente.
Poco o niente conta che le conclusioni (suggeritele?) a cui è giunta il pubblico ministero non siano state dette dagli psichiatri, difatti questo è uno dei tanti tipici discorsi psichiatrici, e siamo in tanti a sapere che psichiatri e psichiatre di insensatezze ne dicono tante, che affermano di tutto e che gli vien dato per buono, come fosse la verità assoluta.
La motivazione di questa richiesta di archiviazione è paradigmatica e rivelatrice di ciò che, oltre a tanto altro, è il pensare e l’agire della psichiatria.
Seguiamo il ragionamento. Le persone sono malate di mente. Gli si danno psicofarmaci per le loro patologie. Gli psicofarmaci aumentano di tanto il rischio di arresto cardiocircolatorio. Però, siccome le persone sono malate, gli psicofarmaci gli si devono dare, poiché una vita da malate di mente non è vita degna di essere vissuta, per cui, anche se c’è il rischio di morte, anche se le persone muoiono, la cura va eseguita. Si è di fronte ad una scelta. O lasciare le persone nelle loro (presunte) patologie oppure curarle (curarle…) con gli psicofarmaci, anche a costo di farle andare incontro alla morte e di far abbreviare di tanti anni le loro vite. E la scelta cade sul dare psicofarmaci a piene mani, poiché si sa che le vite da malate/i di mente sono vite non degne di essere vissute
La vita delle persone che hanno fatto uso di psicofarmaci è stata di minor durata rispetto alla media – 10, 15, 20 anni in meno. Gli psichiatri e le psichiatre, tutte le persone che prescrivono psicofarmaci, sannoche chi ne fa uso vive di meno. Però gli vien facile e gli fa comodo dire che la causa di questa minor durata è la patologia mentale.
Ma comunque sia, il risultato è lo stesso, e “non ci fa niente” se tutte queste persone malate di mente vivono di meno, perché tanto le loro sono “vite indegne di essere vissute”.
Natale Adornetto

Lettere: nel carcere di Pordenone, stipati come sardelle

jail-cellUn detenuto a Pordenone, accusa di subire estorsioni. Il direttore: mai visto denunce.
“Sono detenuto nella casa circondariale di Pordenone, voglio che tutti i cittadini sappiano in che condizioni ci troviamo qui”. Inizia così la lettera arrivata in redazione, scritta da Cosimo Damiano Giannella, 48 anni originario di Foggia ma residente a Trieste da anni. È in carcere da oltre un anno per reati che vanno dalla ricettazione, all’aggressione e allo stalking.
Giannella dice di scrivere anche a nome di altri detenuti.

“Abbiamo alla mattina due ore e mezza di aria, al pomeriggio invece solo due. Siamo in cinque in una cella da cinque metri quadrati e non abbiamo neanche lo spazio per girarci”. Socializzare in prigione? Gli agenti non ce lo consentono, afferma Giannella. E poi ancora: “Le celle mancano di servizi igienici idonei, come ad esempio il bidet.

L’acqua calda non è a norma. Non ci sono i rilevatori di fumo, gli idranti e il riscaldamento non funziona quasi mai. Facciamo il turno per fare la doccia nelle quattro presenti. I pacchi con il cibo che ci portano i nostri cari vanno a finire in magazzino e quando poi ce li consegnano il cibo è da buttare, con un danno anche monetario”.
La denuncia del 48enne triestino non si ferma qui e si fa più grave quando scrive che la sezione protetti viene a contatto con altri detenuti non protetti. E poi che il carcere ha una capienza di 50 detenuti “ma ne siamo 96 stipati come sardelle”. E conclude: “Ci troviamo a stare qui dentro e a subire estorsioni”.

Accuse pesanti, soprattutto quest’ultima, che il direttore del carcere pordenonese, Alberto Quagliotto respinge senza mezzi termini: “Se uno afferma di essere vittima di estorsione, deve recarsi dal giudice di sorveglianza e denunciare l’estorsore con nome e cognome. A me nessuno ne ha mai parlato e tanto meno ho visto denunce. L’estorsione è un reato grave e va subito denunciata”.
Per gli altri problemi sollevati da Giannella, Quagliotto dice che “sì, il sovraffollamento c’è come in quasi tutte le carceri italiane, e questo è decisamente grave per le persone che devono vivere in pochi metri quadrati”. A questo proposito l’Italia nei giorni scorsi è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani proprio per la generale situazione di sovraffollamento delle carceri. “Non è vero però – aggiunge il direttore Quagliotto – che manchi l’acqua calda e che il riscaldamento funzioni male e nemmeno che venga impedita qualsiasi forma di socialità tra i detenuti. Nel carcere di Pordenone non si sono mai verificati casi gravi di violenza, solo qualche episodio come può capitare in qualsiasi altro ambiente”.

Il Piccolo, 6 febbraio 2013


Italia: Stato canaglia

Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2013

Voglio dare voce a chi necessita di una voce. A chi non ha potere (Yuen Ying Chan Daily News reporter).

jailOrnella Favero, il direttore di Ristretti Orizzonti, oggi ha portato in redazione la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’8 gennaio 2013 (appena tradotta in italiano) che condanna lo Stato italiano per la violazione dell’articolo 3 della convenzione che stabilisce:
– Divieto della tortura. Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
Ornella nelle riunioni in Redazione mi ricorda spesso:
– Non voglio fare un giornale di denuncia, voglio fare un giornale di informazione. Per cui cerco di capire come sono andate le cose e cerco di usare sempre toni sobri. Io credo che la verità si impone per la forza della sobrietà della notizia, non di quanto urli in più.
Ornella ha ragione, ma se lo dice la Corte europea che l’Italia è uno Stato canaglia, lo voglio dire anch’io, anche se sono stato un fuorilegge.
E lo voglio fare urlando dalle sbarre della mia finestra, affinché qualcuno aldilà del muro di cinta mi senta che nelle carceri italiane, spesso, il detenuto subisce un carico di sofferenza superiore a quella prevista dalla sentenza della sua condanna.
Subisce una sofferenza non solo fisica, ma soprattutto mentale perché il prigioniero italiano oltre a perdere la libertà, molte volte getta via dalle sbarre della sua finestra anche il suo cuore.
Spesso nelle nostre patrie galere il detenuto perde anche i propri pensieri perché ti spogliano della tua identità.
E per sopravvivere non ti rimane altro che esprimere la tua libertà e amore con la rabbia verso tutte le istituzioni colpevoli di averti fatto diventare un fantasma.
Per questo molti di noi a volte si dimenticano del male che hanno commesso e si ricordano solo del male che adesso ricevono.
Allora per questo grido che nelle nostre Patrie galere non esistono diritti all’integrità fisica, alla salute mentale, sessuale, familiare, diritti sociali, morali e culturali.
E se lo dice la Corte europea lo posso affermare anch’io che l’Italia è uno Stato canaglia e mi auguro che il resto d’Europa, in una guerra umanitaria, ci venga presto a bombardare di legalità.

 

Carmelo Musumeci
Redazione di Ristretti Orizzonti


Tolmezzo – L’incredibile avventura degli elicotteROS

Riceviamo e diffondiamo

helyNaufragata la pista sulla trattativa Stato-Mafia, finalmente i ROS scoprono i veri alleati dei clan: gli anarchici! Scoop imperdibile per la stampa locale: dopo al-Quaeda e le BR, quali saranno i prossimi alleati di questi sovversivi? I satanisti? Gli extraterrestri? I testimoni di Geova?
Una storia incredibile quella pubblicata nei giorni scorsi dai media locali, che riporta di fatto l’attenzione sul maledetto carcere di Tolmezzo, anche se cercando di screditare chi solidarizzava con i prigionieri in lotta e non riportando i reali problemi del sistema carcerario italiano.

Uno strano destino quello del capoluogo carnico e la sua prigione, storie di droga e di “mele marce” non fanno più notizia: dentro le sue mura vi sono stati rinchiusi diversi ragazzi che vendevano o detenevano stupefacenti, arrestati proprio dal comandante dei carabinieri Demetrio Condello che poi è stato scoperto essere chi gestiva tutto il traffico della zona!

Questi fatti,e i ripetuti presidi di solidali con i detenuti, ci fanno pensare che qualcuno ha cercato di rifarsi la faccia costruendo ad arte una maxi operazione, con tanto di sventata evasione in elicottero del cosiddetto “Boss” che, guarda caso, è proprio quello che per primo aveva denunciato i pestaggi e le minacce che venivano perpetuate regolarmente all’interno del carcere di Tolmezzo contro i prigionieri!  Anarchici e No Tav in tutto questo, “sono stati usati” secondo i giornali, colpevoli (diciamo noi) di aver portato fuori dalle mura le proteste dei detenuti con presidi e volantinaggi. Il nesso tra gli elicotteri e gli anarchici non è chiaro, ma tutto fa brodo!

Invece, si pubblicano poche informazioni sul carcere quando bisogna portare il punto di vista di chi vi è rinchiuso: la prigione è una delle regioni nascoste del nostro sistema sociale, uno dei buchi neri della nostra vita. La prigione è lo specchio deformato ma rivelatore della società, moltiplica tutti i vincoli ideologici dell’ambiente esterno: rispetto assoluto per la gerarchia, coercizione e obbedienza coatta, sfruttamento e alienazione del lavoro, ricatto sulla ricompensa, ricatto sulla punizione, molteplice repressione della sessualità.

Non appena si cerca di rompere il muro dell’omertà e della rimozione denunciando pubblicamente le angherie, le ingiustizie, le violenze perpetrate ai danni dei prigionieri e le perversioni intrinseche al sistema carcerario, scattano meccanismi di mistificazione della realtà, di criminalizzazione e di repressione. Se la realtà trapela, il potere politico, giudiziario e poliziesco deve negarla e contorcerla per i suoi fini. Se i prigionieri alzano la testa e fanno sentire la loro voce, se i solidali fuori dalle mura fanno loro da cassa di risonanza, il potere fa di tutto per rendere la vita impossibile ai primi e per denigrare e/o intimidire i secondi.

Questo emerge dalla vicenda che riguarda il carcere di Tolmezzo e che colpisce drammaticamente nella loro esistenza Maurizio Alfieri e gli altri prigionieri a cui va la nostra solidarietà.
Sbirri magistrati e giornalisti, sono capaci di architettare una montatura tanto ridicola quanto megalomane pur di cercare di riportare tutto nei ranghi, pur di cercare di mettere tutto a tacere, pur di cercare di preservare il loro potere di vita e di morte sui detenuti e sulla società.
Noi vogliamo sapere, e ci proponiamo di divulgare nelle piazze dei paesi e delle città che cos’è la prigione: chi ci va; come e perché ci si entra; quale è la vita dei/delle prigionieri/e; come sono gli edifici, il cibo, l’igiene, il lavoro; come funziona il regolamento interno, come funziona il controllo medico, perché un uomo  settantenne, diabetico, con una gamba amputata, debba rimanere in galera e morirci, come è successo a Udine qualche giorno fa.
Noi intendiamo spezzare il doppio isolamento in cui si trovano rinchiusi i/le detenuti/e; vogliamo che possano comunicare tra loro, parlarsi da prigione a prigione, da cella a cella.

Noi non torniamo indietro. Non saranno certo queste campagne mediatiche a farci desistere dal lottare contro il carcere e il suo mondo. Qui come altrove le iniziative anticarcerarie si moltiplicano e sempre più prigionieri trovano il coraggio di denunciare ciò che succede all’interno delle prigioni. L’8 e il 9 Febbraio saremo di nuovo in piazza a Udine per rompere il silenzio, forti della consapevolezza che a chi sta a cuore la libertà, non si fa certo scoraggiare dalle infamie di poliziotti e pennivendoli vari. Per noi i BOSS sono quelli seduti in parlamento, nei consigli di amministrazione delle banche come l’MPS, delle industrie assassine come l’ ILVA o delle lobby del cemento come la CMC. Tutta gente che, guarda caso in prigione non ci andrà mai… Non saranno certo giudici e magistrati (specie quelli che entrano in politica) a cambiare questo stato di cose, sta a noi con le nostre voci e i nostri corpi far sì che in questo muro di silenzio e paura si crei finalmente una breccia per farla finita con le carceri e i loro orrori

Coordinamento contro il carcere e la repressione


Carceri, in 10 anni spesi 5 milioni di euro per testare 14 braccialetti

810Pisa, 5 febbraio 2013 – Una spesa di 81 milioni per “testare” 14 braccialetti. E’ un classico esempio di sprechi all’italiana, quello che ricorda “Fare per Fermare il Declino” a monito di una gestione insostenibile degli apparati statali. Il caso della sperimentazione a peso d’oro – dal 2001 al 2011 sono stati introdotti solo 14 braccialetti, costati ai contribuenti 5,7 milioni l’uno – porta il movimento di Oscar Giannino a una considerazione, specie dopo l’appello dell’ex direttore del carcere di Pisa a una maggiore attenzione ai temi della detenzione e del sovraffollamento delle prigioni.

Le proposte di “Fare” al riguardo sono nel documento programmatico: “Secondo noi – spiega Carlo Raffaelli, candidato alla Camera – bisogna limitare in ogni modo la carcerazione preventiva, affinchè non sia più un’anticipazione di pena nei confronti di presunti innocenti. Ciò si ottiene riducendo al massimo il tempo dei processi, che a sua volta è frutto di una razionalizzazione del lavoro dei magistrati, da organizzare secondo criteri manageriali moderni e di produttività. La riforma della giustizia deve essere mirata ad assicurare la certezza della pena, modificando la disciplina della prescrizione e della concessione di benefici ai carcerati. Occorre modificare il sistema carcerario incentivando misure cautelari meno afflittive, incluso il braccialetto elettronico per la cui cattiva gestione dobbiamo ringraziare i governi precedenti, e percorsi di recupero sociale per soggetti non pericolosi. Infine, se nonostante ciò perdurasse un sovraffollamento carcerario, l’eventuale costruzione di nuovi penitenziari dovrebbe essere effettuata attraverso project financing, valutando l’affidamento a privati dei servizi di gestione degli istituti di pena (escludendo ovviamente i servizi di sorveglianza)”.

Fonte


MARCO CAMENISCH solidarietà e amore

Da Radiocane

marco
Alla vigilia delle due giornate di solidarietà internazionale con Marco 
Camenisch, un compagno della Cassa Antirep delle Alpi Occidentali ne 
ripercorre la biografia di rivoluzionario, dalle lotte degli anni 70  
agli ultimi vent'anni trascorsi in un' autentica odissea carceraria, 
iniziata in Italia e che sta continuando in Svizzera, fino alle sue  
ultime vicende giudiziarie.

“In un percorso contrassegnato dalla costante coerenza tra idee e vita 
vissuta, Marco è stato tra i primi a riconoscere il nemico non solo 
nello Stato e nelle sue emanazioni ma anche nei progetti del progresso, 
sbandierato come liberazione ma in realtà portatore di nuove schiavitù, 
del produttivismo che consuma esseri viventi e territori, della 
tecnologia, tentacolo mortifero che attanaglia le coscienze e il pianeta 
intero. E ha saputo inquadrare e combattere tutto questo nell’ottica di 
una trasformazione concreta e radicale dell’esistente.
Lo ha fatto in libertà, scegliendo una vita sbrigliata dalle regole 
imposte e mettendo in pratica l’urgenza delle ostilità nei confronti di 
un ordine sociale ed economico che opprime e avvelena.
Lo ha fatto dal carcere, con le iniziative di denuncia delle condizioni 
di reclusione per lui e per gli altri prigionieri, con gli innumerevoli 
scioperi della fame, con il suo continuo apporto alla crescita e alla 
circolazione delle idee e delle pratiche che chiamano a non rassegnarsi 
al disastro che ci circonda, ma a fronteggiarlo.”

Infine un saluto dalla viva voce di Marco registrato nell'estate 2012.

ascolta il contributo

Trattamento sanitario obbligatorio per le neo-mamme

Non è il titolo di una nuova soap opera, ma è l’ennesimo tentativo di imbottire di psicofarmaci chi sta per avere o ha appena avuto un bambino, che a sua volta riceverà la sua dose tramite l’allattamento, due piccioni con una fava. Un’eventualità che potrebbe riguardarti se una nuova proposta pro farmaci venisse approvata.

DepressionePostPartum-300x225Questo è business, creato ad hoc tramite i media. Basta mettere nelle news tre o quattro casi di madri che gettano il loro figlio dalla finestra, mettere in moto una delle tante associazioni di categoria (lobby), quella dei ginecologi per esempio, che fa pressione sui politici presentando statistiche false (arrotondate con qualche zero in eccesso), ragioni costruite, sempre ad hoc, per cui è necessario riempire di farmaci le mamme, la cosa segue gli iter burocratici, magari con procedura di urgenza e alla fine il Ministro della Salute approva.

Fazio ci deve ancora dire come è andata a finire con i milioni di euro che ci ha fatto spendere per i vaccini per la pandemia della suina, vaccini che tuttora vengono refrigerati (a pagamento) in celle frigorifere in tutta Italia, per poi essere smaltiti come rifiuti speciali (a pagamento) alla data di scadenza, se non troviamo qualche paese africano che ce li compra a prezzo scontato, di modo che “quegli ignorantoni del terzo mondo” possano farci da discarica biologica a buon prezzo.
Il TSO “anti-infanticidio” è un grosso business al pari di quello delle vaccinazioni. Il mercato dei vaccini obbligatori riversa i suoi veleni su milioni di bambini, più e più volte con i richiami, e moltiplicato per euro o dollari rende felici gli azionisti delle multinazionali farmaceutiche.

Nel mondo l’obbligo vaccinale si sta estinguendo, in Italia siamo fra gli ultimi, probabilmente siamo più duri di comprendonio, o forse fra i nostri politici e le lobby ci sono interessi più consolidati che in altri paesi. Ci sono già alcune regioni che hanno tolto l’obbligo, quindi prima o poi le vaccinazioni diventeranno facoltative in tutta Italia. Le mamme, milioni di mamme costituiranno il nuovo mercato che si affiancherà a quello delle vaccinazioni, che comunque continuerà, perchè la disinformazione e il terrorismo vaccinale sono comunque difusi.

Il network farmaceutico ora cerca di dare inizio a un nuovo settore di mercato, quello delle mamme, imbottendole di psicofarmaci che hanno nella lista degli effetti collaterali la “possibile insorgenza di pensieri omicidi e suicidi” così anche chi non avrebbe mai di suo tali pensieri, dopo la somministrazione di psicofarmaci avrà un bel da fare a cercare di fermarli mentre gli girano per la testa lottando contro un forte impulso a tradurli in azione. Quelli che non sono riusciti a trattenersi, durante l’arresto, quando non hanno posto fine anche alla loro vita, dichiarano sempre che era più forte di loro, dovevano farlo, quei pensieri non li lasciavano in pace. Ed è la verità, ma nessuno indaga mai sugli psicofarmaci al punto da far pensare che vi siano disposizioni in tal senso.

C’è anche da dire che la causa del problema di una madre che cerca di sopprimere il suo bambino non è da ricercarsi propriamente nel fatto che abbia partorito, ma a problemi che la persona stessa ha già, a prescindere dal parto.

Alcune di quelle madri, prima ancora di partorire, erano in cura da uno psichiatra o da uno psicologo e quando parli di cura in questo contesto stai parlando di somministrazione di psicofarmaci. Psicofarmaci che fra gli effetti collaterali includono “probabile insorgenza di pensieri suicidi ed omicidi”. Quindi anche una madre che normalmente non farebbe mai nemmeno un graffio al suo bambino potrebbe trasformarsi in un’infanticida se si manifestassero quel genere di impulsi provocati da psicofarmaci che sta prendendo per “curare” per esempio una depressione preesistente al parto.

La cronaca è piena di stragi familiari, in passato ho cercato di raccogliere tutti i casi per farne un articolo, ma non ho continuato, faccio fatica a fare gli aggiornamenti, dovrei tenere un database solo per quello.

La maggior parte delle persone responsabili di quelle stragi prendeva psicofarmaci con i suddetti effetti collaterali. Ma uno psichiatra vi dirà che la persona aveva già quel genere di turbe e istinti omicidi prima ancora di prendere i farmaci, nonostante vi siano studi che confermano che sono i farmaci la causa. Quando poi chi ha commesso tali delitti viene condannato e finisce in un manicomio criminale, la “cura” continua. Con psicofarmaci ovviamente, il business continua.

Il TSO per la depressione post-partum si rivela un fattore che può creare il problema che cerca di ”curare”, sempre fra virgolette, perché i farmaci non hanno mai guarito alcunché.

Non c’è alcuna intenzione di prevenire, ma solo di vendere farmaci, la pagina più accessibile dei siti delle case farmaceutiche è quella delle statistiche dei milioni, anzi miliardi, di dollari/euro fatturati.

Le pressioni sono forti, alle obiezioni, come il fatto che non si può applicare la stessa legge usata per calmare un pazzo furioso con dei punturoni da lobotomia chimica, rispondono con la proposta di emendamenti alla legge 180 che la addolciscano per adattarla all’atmosfera dei nastrini rosa e azzurri.

Questo significa che un giorno si potrebbero aggiungere altri emendamenti alla legge 180 anche per risolvere, per esempio, il bullismo nelle scuole, o per dare un calmata alla folla che si presenterà agli sportelli delle banche per avere indietro i soldi che non ci saranno più, o qualsiasi altra situazione che questa società in declino sta generando.

Questo che stanno cercando di fare è qualcosa che porterà passo dopo passo, in modo molto soft, a una incredibile riduzione della libertà individuale. Di fatto è un attentato alla nostra libertà.

Il problema non è il parto, ma il fatto che gli esseri umani oggi vivono in una società in cui stili di vita insostenibili rendono instabili gli individui, senza meta e confusi dal mare di disinformazione in cui sono immersi.

La maggior parte delle persone non sa nemmeno perché si trova su questo pianeta e nemmeno se lo chiede, semplicemente vive spinta da stimoli che provengono da ogni parte senza valutare se seguirli sarà a proprio beneficio o meno. Questo porta le persone a vivere insoddisfatte e spesso depresse e in questo mondo grigio c’è posto anche per una madre che uccide il suo bambino. E le case farmaceutiche hanno un ruolo determinante nel creare questa situazione globale e lo fanno tramite l’establishment medico-farmaceutico.

Ci sono diversi siti finanziati dalle case farmaceutiche, diversi appartengono a delle onlus, che si propongono come consulenti per la sindrome post parto, sono “familiari”, non farti fregare, sono fatti per portarti ad imbottirti di psicofarmaci. Questo vale anche per chi ritiene di essere arrivato all’ultima spiaggia: gli psicofarmaci danno il colpo di grazia.

Il TSO toglie alla persona tutti i diritti. La proposta include un assistente che controlla 24 ore su 24 che la madre non faccia male al bambino e deve vivere fianco a fianco fino a completa guarigione dalla sindrome post-parto. Avrebbe poteri di signore-padrone.

I medici che hanno intrapreso strade differenti a quella della prescrizione di farmaci e che non hanno accettato compromessi con il giuramento di Ippocrate sono rari e vanno stimati e aiutati a portare avanti quella che per loro è una missione.

Adesso è tempo di mondiali di calcio. Una nuova macchina mastodontica è stata messa in moto. I media parlano di “importantissimo evento mondiale”. Dedicheranno moltissime risorse, tante come non è mai stato fatto in precedenza, tanti programmi, rubriche, sezioni dei tg, ecc. tutto per distrarre la nostra attenzione dai problemi che dovrebbero essere risolti.

farmaci-integratori-contro-colesteroloOccorre guardare ed ascoltare con un certo distacco, senza eccessivo coinvolgimento, quell’entusiasmo è artificialmente creato e impedisce di vedere la reale situazione in cui viviamo.

E’ pure possibile che a fine mondiali ci si renda conto che emendamenti e leggi scomode siano state approvate in tale periodo.

Non possiamo permettere che tali proposte passino, tantomeno emendamenti alla legge 180. Anzi la legge 180 dovrebbe essere abolita.

La legge 180 applicata alle madri, emendata o meno si presterebbe sempre ad abusi
E’ necessario avere un po’ di lungimiranza per capire l’intero disegno:

Le madri possono venire costrette a prendere farmaci o perdere i loro figli. Infatti potrebbero venire considerate come irresponsabili e quindi i loro figli portati via e affidati alle istituzioni. Non è difficile convincere una madre: “Ti conviene prendere le pillole, sai altrimenti se non vuoi curarti, come fai a seguire i bambini, poi gli assistenti sociali questo lo devono scrivere sul rapporto… se poi ti portano via il bambino…” Pensi che non ci siano persone che arriverebbero a dire queste cose a una madre? Allora non conosci il mondo.

Alcune donne con depressione non rispondono ai farmaci e molte risolvono quello stato ansioso semplicemente con l’assunzione di integratori, vitamine e minerali e parlando con persone amiche e di fiducia.

Depressione e ansia possono insorgere durante la gravidanza, causate dall’alterazione ormonale indotta da un’alimentazione con carne e prodotti animali provenienti da allevamenti intensivi. Non esiste antidepressivo, o qualsiasi farmaco, che sia stato dimostrato di uso sicuro per la donna in gravidanza. Molti farmaci mettono anche a rischio il sano sviluppo del feto

Negli Stati Uniti ci sono centinaia di cause legali in atto per danni e morte di neonati attribuibili all’impiego di psicofarmaci durante la gravidanza. In Italia, che io sappia, non ce ne sono, perché l’informazione viene tenuta nascosta e nessuno indaga in tal senso.

Mancano ricerche sulla sicurezza dei farmaci sul feto e sui bambini durante l’allattamento. Mentre è vero che è stato riscontrato che i bambini sono drogati dai farmaci assunti dalla madre.

Lo screening “preventivo” erroneamente scopre gravi malattie mentali inesistenti e madri sane vengono forzate a prendere farmaci che possono danneggiare anche i loro bambini.

Questa proposta è barbara, metterla in atto va considerato un crimine contro l’umanità.

Una scienza che pensa di risolvere problemi che turbano un individuo legandolo o praticandogli la lobotomia chimica non è di nessuna utilità.

Il trattamento sanitario obbligatorio per delle future e neo mamme se approvato creerà un ulteriore disastro degno della stupidità di chi mira al profitto indiscriminato. Significa psichiatrizzare l’uomo fin nel grembo materno facendogli assorbire gli psicofarmaci dati alla madre, e poi come neonato, tramite un latte con psicofarmaci. Ma qualche lobby legata all’industria alimentare proporrà di porre “obbligo del latte in polvere per madri in TSO”.

Ricorda che la maggior parte dei presidenti delle case farmaceutiche ha una vita longeva. Non prendono ciò che consigliano al resto del mondo, si nutrono di alimenti biologici e ricorrono alle cure alternative quando ne hanno bisogno.

Fonte


TSO ad una vecchietta di 90 anni perché sfama i piccioni

Il 23 gennaio nonna Elvezia è stata prelevata con la forza da un esercito di vigili urbani, vigili del fuoco e personale ospedaliero e rinchiusa per un trattamento sanitario obbligatorio in psichiatria. Scriviamo e protestiamo tutti/e per questa ennesima vergogna!
piccioni“Nonna Elvezia è stata portata via da un esercito di polizia municipale, vigili del fuoco e personaleospedaliero. Per lei un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), dichiarata incapace di intendere e di volere perché ha dedicato la sua intera vita a sfamare questi poveri animali, ultimi tra gli ultimi.
Dopo anni di braccio di ferro è stata sgomberata dalla sua abitazione, dove sfamava molti piccioni, ed è stata portata in una struttura, l’amministrazione ha totalmente ignorato le proposte che da mesi le associazioni animaliste hanno presentato, cioè di trovare una soluzione per permettere a nonna Elvezia di continuare a sfamare i piccioni, magari in un’area diversa venendo anche incontro al resto del quartiere. Il comune non ha voluto in alcun modo trattare e ha voluto fare la voce grossa contro una vecchietta indifesa che chiedeva solo di poter sfamare i suoi amici piccioni.
Inviate e-mail di protesta al comune di Savona per chiedere che venga immediatamente rilasciata Nonna Elvezia e che possa proseguire a curare i suoi piccioni. Chiediamo inoltre al comune cosa ne è stato di tutti i piccioni che vivevano a casa di Nonna Elvezia dopo che sono entrati i vigili.
Inviare mail a:
staff.sindaco@comune.savona.it, t3.liguria@rai.it, presidente.consiglio@comune.savona.it, gruppoconsiliare.partitodemocratico@comune.savona.it, listaberrutisindaco@comune.savona.it, udc.api@comune.savona.it,psi@comune.savona.it, rifondazione.comunista@comune.savona.it, movimento5stelle@comune.savona.it, vicepresidente.consiglio@comune.savona.it, leganordliguria@comune.savona.it, noipersavona.verdi@comune.savona.it

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Ovviamente, potete scrivere anche ad altri indirizzi e-mail.

Natale Adornetto

Fonte

 


“colpiscine uno per educarne cento…” la magistratura condanna Mario Miliucci a 2 anni e 6 mesi per resistenza

Riceviamo e inoltriamo

marioCome antifascisti abbiamo sempre considerato la Resistenza un valore irrinunciabile e la pesante sentenza della 2° sezione del Tribunale di Roma contro Mario Miliucci -condannato a due anni e sei mesi per “resistenza”- ci sembra in sintonia con le logiche repressive che tendono ad “educare” con manganelli, arresti e condanne le giovani generazioni precarie che si affacciano alle lotte sociali.
La palestra di questa strategia del condannare e punire la abbiamo vista a Genova, con il comportamento delle “forze dell’ordine” nei confronti di una generazione in lotta contro la globalizzazione finanziaria e neoliberista, madre della crisi attuale. La mattanza nelle strade della città ligure, continuata alla DIAZ, negli ospedali e nel carcere di Bolzaneto sono state seguite da condanne abnormi di alcuni manifestanti per il reato -che sarebbe da abolire- di _devastazione e saccheggio_, figlio del fascista codice Rocco, sempre più spesso applicato, insieme alle denunce e agli avvisi orali, dalle questure, alle sentenze di alcuni magistrati contro l’opposizione sociale, mentre nessun autore _materiale _dei pestaggi e delle torture è stato individuato e condannato (in Italia non esiste il reato di tortura, né codici di identificazione degli agenti in servizio di PS).
La stessa logica dei due pesi e due misure e dei tentativi di intimidazione da parte degli apparati repressivi la vediamo in atto contro il popolo della Valsusa, la valle occupata militarmente dallo Stato per garantire spesa pubblica, interessi privati e devastazione ambientale.
Anche per i fatti del 15 ottobre 2011 a Roma, sono state comminate dalla magistratura pesantissime condanne e si è applicata una logica repressiva tipica degli anni ’70 per cui basta essere vicini agli eventi per vedersi addossate accuse e condanne pesantissime, patrimonio del codice penale fascista: pensiamo alle condanne per “devastazione e saccheggio” solo per essere stati fotografati a transitare nei pressi di un blindato in fiamme.
La stessa logica punitiva ha funzionato per Mario Miliucci, che sembra essere l’unico “colpevole” di quella giornata di mobilitazione che il 14 dicembre 2010 vide sfilare a Roma decine di migliaia di studenti medi ed universitari, precari, metalmeccanici e terremotati dell’Aquila, contro la fiducia al governo Berlusconi. Infatti su oltre 20 arrestati Mario è stato l’unico condannato pesantemente, per il reato di “resistenza”.
Sarebbe gravissima la logica del capro espiatorio ed il fatto che la magistratura abbia condannato, oltre alla resistente coscienza critica di Mario, anche il suo cognome, in una sorta di rappresaglia generazionale.
Le lotte contro la crisi attuale, non possono essere fermate con le intimidazioni poliziesche o le rappresaglie di alcuni magistrati, esprimiamo la piena e completa solidarietà e vicinanza a tutti e tutte coloro che lottano -impegnandosi e spesso pagando prezzi sempre troppo alti ed inaccettabili- per un altro mondo possibile.
CONFEDERAZIONE COBAS DI TERNI