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Maurizio Alfieri: ignobili condizioni nel carcere di Terni

diffondiamo alcuni aggiornamenti sul prigioniero in lotta Maurizio Alfieri, recentemente trasferito da Saluzzo aTerni:

send_solidarity_inside_prisonsMaurizio Alfieri ha scritto dal carcere di Terni questo telegramma al circolo “Cabana” di Rovereto:
“Sono isolato, senza TV, senza coperta di casa e non posso usare altre per allergie e asma, la finestra chiusa a chiave, senza caloriferi, siamo peggio degli animali, avvisati i compagni/e per un presidio, radio Onda Rossa per parlare sempre di Terni e su internet, 15 giorni fa è morto impiccato un ragazzo per come ci fanno vivere.
Sono ancora senza vestiario, non sono al 14 bis ma qui trattano peggio di un lager senza diritti, neanche al passeggio la domenica pazzesco…
Un abbraccio a tutti/e e V.V.B. Maurizio”.
In altre lettere Maurizio scrive di essere ancora senza vestiario, senza prodotti per l’igiene e senza TV, nonostante non sia al 14 bis, e che quello di Terni è il carcere peggiore in cui sia mai stato, dove si congela per il freddo e dove il “passeggio” consiste in 4 metri per 2.
Ha anche spedito una dettagliata denuncia delle ignobili condizioni detentive e degli atti di autolesionismo da parte di prigionieri al magistrato di sorveglianza di Terni, Fabio Gianfilippi, chiedendo anche di essere trasferito.
Non ha dubbi che il trasferimento a Terni sia stato una rappresaglia per il comunicato sottoscritto da 245 prigionieri di Saluzzo (dice che altre 100 firme dovevano arrivare dall’AS). E aggiunge di essere davvero incazzato.
Maurizio ribadisce l’importanza per lui e gli altri detenuti di Terni di un presidio sotto il carcere e di iniziative solidali a Roma e non solo.
Doverose, aggiungiamo noi, visto quanto Maurizio si è battuto ed esposto finora.

P.S. Nell’ultima lettera (14 febbraio) Maurizio scrive che gli hanno applicato il 14 bis sulla base di 22 rapporti disciplinari. “Sono dei terroristi legalizzati”.
Dice che se non verrà trasferito, comincerà uno sciopero della fame ad oltranza.   


L’88% dei soldi finisce in stipendi, il 7,3 per far mangiare i detenuti

crisi-euroIl vitto di un detenuto costa allo Stato meno di quattro euro al giorno, una somma che dovrebbe garantire tre pasti quotidiani. Ma non sempre le imprese che si aggiudicano gli appalti per cifre così basse riescono a garantire quantità e qualità del cibo che viene distribuito nelle celle. E così i reclusi devono arrangiarsi, con i viveri che ricevono dalle famiglie o con le merci acquistate a carissimo prezzo negli spacci delle case di pena.

Una situazione che condiziona la vita delle oltre 65 mila persone rinchiuse nelle prigioni italiane, in strutture che dovrebbe ospitarne al massimo 47 mila. Allo stesso tempo, però, alcuni magistrati al vertice dell’amministrazione penitenziaria godono di benefit scandalosi: hanno diritto ad appartamenti anche nel centro di Roma con un canone di sei euro al giorno, acqua, luce, gas e pulizie compresi, che non tutti però pagano. Un privilegio che, come nel caso di Gianni Tinebra da sette anni procuratore generale a Catania, mantengono anche dopo avere lasciato l’incarico. E per arredare queste foresterie non si risparmia sui lussi: sul tetto-terrazza di una è stata installata una Jacuzzi con idromassagio, in salotto ci sono tv dà sessanta pollici costate duemila euro, sui pavimenti tappeti persiani e si arriva alla follia di far pagare 250 euro lo scopino di un bagno. L’elenco di queste spese «fuori norma» è stato depositato ai pm di Roma e alla Corte dei Conti che hanno avviato indagini. Ma è solo uno dei paradossi di un sistema carcerario che continua a essere una vergogna italiana.

I nostri penitenziari sono una discarica di esseri umani – come descrivono Paolo Biondani e Arianna Giunti nelle pagine a seguire – dove non solo è negata ogni possibilità di rieducazione ma viene umiliata anche la dignità delle persone. «Più volte ho denunciato l’insostenibilità di queste condizioni ma i miei appelli sono caduti nel vuoto», ha dichiarato il presidente Giorgio Napolitano nella storica visita a San Vittore del 7 febbraio. Il dramma è stato praticamente ignorato dalla campagna elettorale, con l’unica eccezione dei Radicali, soli a portare avanti una battaglia di civiltà per l’amnistia: un provvedimento che il capo dello Stato ha detto di essere stato pronto a firmare «non una ma dieci volte». A testimoniare quanto sia paradossale la situazione bastano pochi dati: ogni anno lo Stato destina due miliardi e ottocento milioni per l’amministrazione penitenziaria, ma 1’88 per cento finisce negli stipendi del personale. Un altro 7,3 per cento viene impegnato per il vitto dei detenuti e così rimane meno del 5 per cento per qualunque altra necessità: 140 milioni per la benzina, le vetture, le divise, gli arredi, la manutenzione e le ristrutturazioni. Insomma, non ci sono fondi per mettere mano alle terribili condizioni delle prigioni, spesso ancora ospitate in monasteri ottocenteschi o vetuste fortezze.

Se si investisse poco meno di 200 milioni di euro sulla ristrutturazione, come spiegano funzionari del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, si potrebbero ottenere subito nuovi posti per garantire spazi a 69 mila detenuti, solo per circuito maschile: basterebbe puntare su un ampliamento degli istituti, senza impegnarsi nella costruzione di altre carceri. La direzione generale risorse del Dap ha fatto un calcolo di quanto servirebbe per fronteggiare l’emergenza edilizia. La proposta è stata illustrata nei mesi scorsi al Consiglio d’Europa che si è svolto a Roma. Secondo il Dap oggi il valore convenzionale degli immobili è di circa cinque miliardi di euro: ci vorrebbero 50 milioni l’anno per la manutenzione ordinaria e 150 per quella straordinaria […1. Ma invece di fare passi avanti; si continua a precipitare nel baratro. Perché sulla carta c’è «un numero eccessivo di istituti»: sono 206, ma di questi 120 hanno meno di duecento posti e 63 addirittura meno di cento. E le strutture piccole si trasformano in uno spreco di risorse, richiedono un numero più alto di agenti e personale rispetto al numero di reclusi. In teoria, l’Italia ha il miglior rapporto tra metro cubo di edifici e detenuti, senza però che questo dato statistico si trasformi in un miglioramento delle condizioni. Tutt’altro: secondo le analisi del Formez ci sono in media 140 reclusi per cento posti letto. Persone obbligate a vivere per ventidue ore al giorno in celle claustrofobiche, con tre-quattro brande sovrapposte, bagni minuscoli e pochissime docce. Anche il primato nel rapporto tra detenuti e agenti penitenziari resta teorico: si continua a discutere della carenza di personale di custodia mentre una moltitudine di agenti è in servizio nel ministero di via Arenula, negli uffici periferici regionali o viene distaccato ad altri incarichi, lasciando sguarniti i raggi delle celle. «È assolutamente chiaro che si sia sbagliato qualcosa», si legge nella relazione del Dap al Consiglio d’Europa, «così com’è chiaro che proprio ragionare su questi apparenti paradossi costituisca il corretto approccio per provare, almeno, ad allineare il sistema penitenziario italiano a quello degli altri Stati europei». Nell’ultimo anno i vertici del Dap hanno cercato di cambiare la rotta. Con investimenti limitati, evitando gli sprechi, hanno ristrutturato alcune sezioni degli istituti, realizzando 4.630 nuovi posti.

La nuova legge sugli arresti domiciliari, che permette di scontare in casa condanne inferiori ai dodici mesi, ha fatto uscire quasi novemila detenuti. Su altri 6.000 con pene fino a due anni si devono pronunciare i giudici di sorveglianza. Nonostante questo l’emergenza continua. Ad affollare le carceri sono soprattutto gli extracomunitari: ben 24 mila, con una predominanza di cittadini marocchini e tunisini. La maggioranza dei detenuti è accusata o condannata per reati contro il patrimonio: 34.583 sono finiti dentro per furti, rapine, estorsioni, ricettazione, usura, frodi, riciclaggio. Altri 26.160 hanno commesso reati legati alla droga; 24.090 sono accusati di crimini contro la persona come violenze e omicidi; 10.425 invece devono scontare pene per armi. I colletti bianchi in cella Li sono 8.307. Su 65 mila reclusi, solo 604 sono laureati, di cui 176 stranieri: altri 21 mila hanno la licenza di scuola media inferiore. E gli unici a potere contare su celle comode, con uno o due letti per stanza, sono mafiosi e terroristi sottoposti a regime di media e massima sicurezza: settemila persone, tra cui 133 donne. Ma questa esigenza ha provocato un altro squilibrio, con la necessità di riservare numerose sezioni a questi sorvegliati speciali, aumentando la ressa nelle altre. Dopo l’indulto varato dal governo Prodi nel 2007, i cui effetti sul sovraffollamento sono stati vanificati nel giro di tre anni, di fatto non ci sono stati interventi. Con la solita logica emergenziale, nel 2010 il ministro Angelino Alfano ha elaborato un piano straordinario per l’edilizia carceraria. È stato nominato un commissario con ampi poteri e risorse finanziarie: nei proclami iniziali si parlava di 700 milioni di euro, poi i soldi sono spariti. Oggi sono in fase di avvio i lavori per costruire un paio di padiglioni mentre tutto il programma iniziale è stato riesaminato secondo criteri di efficienza dal nuovo commissario straordinario. Nel piano Alfano, oltre alla nomina di consulenti amici del politico, sono stati pianificati tanti cantieri ignorando le situazioni più urgenti o le esigenze dei territori. Come il caso del carcere che si voleva edificare a Mistretta, nel Messinese, eliminato in fretta dalla mappa. Un vecchio vizio: negli anni Ottanta lo scandalo delle carceri d’oro ha dimostrato come i nuovi penitenziari erano stati edificati solo in base a logiche politiche, di collegio elettorale o di tangente, senza guardare alle necessità dei detenuti. Che spesso sono obbligati a rimanere concentrati negli istituti più vicini alle sedi dei processi. Ma anche in tempi recenti le nuove prigioni sono diventate l’occasione per rapidi arricchimenti. Durante la gestione del Dap guidata da Franco Ionta ha destato curiosità la figura del “responsabile unico di progetto” che a norma di legge intascava il 2 per cento dell’opera. A firmare era sempre lo stesso funzionario, un tecnico, sostituito poi da un magistrato: lo stesso Ionta.

Oggi ‘nella campagna elettorale la questione delle carceri è stata ignorata. Solo i Radicali hanno continuato senza sosta a proporre il problema. E ora toccherà al nuovo Parlamento dare risposte concrete per uscire da quella che il presidente ha definito una «situazione mortificante», ribadendo senza mezzi termini: «Sono in gioco l’onore e il prestigio dell’Italia».

Fonte: L’espresso


La prigione norvegese dove i carcerati vengono trattati come persone

carcereEsiste un carcere in cui i detenuti vengono trattati come esseri umani. Non ha muri, non ha manette  non c’è il filo spinato. Questa specie di paradiso si trova nell’isola di Bastoy, in Norvegia.

Stiamo parlando a tutti gli effetti di un carcere che non sembra un luogo di detenzione. Conta poco più di 120 detenuti, i quali godono di ampi spazi per muoversi, nell’ottica dei principi stabiliti dal sistema carcerario norvegese.

Tale sistema mira al reinserimento nella società. Questo moderno regime verrà applicato anche a Anders Behring Breivik. Costui è il killer di Utoya, ed è passibile di condanna.

Come funziona dunque la vita dei carcerati nell’isola di Bastoy? Un anonimo afferma che “nelle prigioni normali si rimane chiusi per la maggior parte della giornata. Vi è solo un’ora d’aria e alle otto si rientra in cella. Non esistono, dunque, costrizioni”.

Un altro uomo, Tom Cristensen trascorre il tempo sulle macchine: Tom ha unico appuntamento fisso, che l’appello al quale deve rispondere quattro volte al giorno.

Tom dice che “Puoi fare le stesse identiche cose che faresti qualora fossi libero, tra le quali il fatto di cucinare il cibo acquistato in negozio”. Una vera e propria overdose libertà, della quale non godono coloro sono dentro altri penitenziari dotati di regole più rigide.”

Ma ci sono anche coloro che non sopportano tutta questa libertà e desiderano addirittura tornare nelle prigioni di massima sicurezza. Lo dice  John Froyland, il capo di Bastoy Island.

Il sistema, fondato sul rispetto della dignità della persona, però, funziona alla perfezione. Da cosa lo deduciamo? Dal fatto che in Norvegia solo il 20% dei carcerati una volta tornato in libertà commette nuovamente reati. Ciò non accade in Gran Bretagna e Stati Uniti, dove oltre il 50% torna dietro le sbarre entro un paio d’anni.

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Via i letti a castello da Buoncammino

carcereAlghero – “Si avvia verso la normalità la degenza nel Centro Diagnostico Terapeutico del carcere di Buoncammino. Mentre si attendono i lavori di ristrutturazione, in questi ultimi giorni sono stati rimossi i letti a castello.

L’iniziativa si era resa necessaria a causa dell’eccessivo numero di pazienti ricoverati”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che in più occasioni aveva segnalato “il disagio per il sovraffollamento della casa Circondariale e per la presenza di letti a castello nell’area in cui sono assistiti i detenuti in precarie condizioni di salute”.

“Resta però irrisolto – ricorda Caligaris – il problema della presenza di un eccessivo numero di persone ammalate nella struttura penitenziaria cagliaritana. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dovrebbe infatti individuare strutture alternative alla detenzione nei conclamati casi di persone sofferenti e anziane.

E’ assurdo che si trovino nel Centro Clinico cittadini impossibilitati a deambulare autonomamente o costretti a rifiutare i colloqui con i volontari per i dolori che li affliggono. Sono ricoverate inoltre persone con il morbo di Parkinson incapaci perfino di infilarsi le calze o tenere in mano una forchetta”.

“La rimozione della doppia branda a castello – conclude la presidente di SdR – è comunque un segnale positivo. In questo modo si riduce drasticamente il rischio di cadute con conseguenti traumi. L’auspicio è tuttavia che le persone malate siano ricoverate nelle strutture ospedaliere con tutti i necessari supporti”.

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Il caso Pistorius e il dramma dei detenuti disabili

disabili-revolution1Il caso Pistorius accende i riflettori sulle condizioni di vita disumane dei detenuti con problemi fisici. L’omicidio di Reeva Steenkamp e il conseguente arresto dell’atleta paraolimpico Oscar Pistorius, ha acceso i riflettori su una questione da molti ignorata: lo stato delle carceri sudafricane e le condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere, specialmente quelli – e sono più di quanti si possa immaginare – che presentano disabilità fisiche più o meno gravi.

“Ho 50 anni e sono paraplegico” – Ne parla il Guardian, prendendo ad esempio il caso di un detenuto in attesa di processo che, come un terzo di tutti i detenuti sudafricani, non è stato colto in flagranza di reato. A dispetto del principio della presunzione di innocenza, sono 46.000 i detenuti in custodia preventiva, 46.000 persone che vivono in condizioni peggiori di coloro che, invece, stanno già scontando la propria condanna. “Ho cinquant’anni e sono paraplegico – racconta l’uomo ai giornalisti inglesi. Sto aspettando un processo da più di un anno, dopo che sono stato arrestato per frode nel dicembre 2011.
Non cammino, non ho il controllo delle funzioni intestinali e devo indossare dei pannolini che la mia famiglia compra per me. Non sento nulla dalla vita in giù. Non ho una carrozzina. Il mio co-imputato è stato rilasciato su cauzione, io non posso permettere di pagare così tanto. Anche la mia pensione di invalidità (103 sterline, circa 120 euro) che usavo per mandare a scuola la mia bimba di sette anni è stata sospesa. Ma la mia famiglia ha messo insieme un po’ di soldi e spero in una nuova udienza”.
In 88 in una cella per 32 – “Cammino spostando le gambe con le stampelle. Mi hanno sparato nella spina dorsale tre anni prima del mio arresto. Prima di essere trasferito ero nel carcere di Johannesburg, dove il medico mi aveva prescritto una carrozzina. Ma qui, non l’ho mai avuta”. E, come se non bastasse una grave disabilità fisica, si aggiunge il problema della sovrappopolazione delle carceri: “Vivere qui è dura – prosegue l’uomo – questa cella è pensata per ospitare 32 uomini: ma qui dentro siamo in 88, a volte anche di più. Dodici persone dormono in due letti a castello. Solo io ho il mio letto, ed è un privilegio: non lo devo dividere con nessuno per via della mia condizione. Quattro o cinque persone sono sieropositive. Mi sento vulnerabile. Non posso fidarmi di nessuno perché i miei compagni di cella cambiano continuamente. Preferirei essere morto piuttosto che stare qui”.
Dimenticato – Completamente in balia di se stesso, l’uomo deve riuscire a provvedere da solo anche alle necessità più elementari, come il cibo: “Mi ci vuole mezz’ora per trascinarmi fino in cucina. Ecco perché non faccio colazione. Ci vado una volta al giorno, per pranzo. Le guardie non permettono agli altri prigionieri di portarmi del cibo. Dicono che devo arrangiarmi da solo. Devo pulire le mie piaghe da solo, due volte al giorno. Non ci sono medicinali e io ho continui dolori. Se ti ammali, puoi aspettare anche una settimana prima di vedere un medico”.
“Problemi di ordine pratico” – Britta Rotmann, del dipartimento dei servizi correzionali, spiega che il sistema carcerario sudafricano prevede che ogni detenuto con disabilità riceva un adeguato trattamento: “Le condizioni di vita dei detenuti sono al centro del nostro lavoro, ma spesso ci si scontra con problemi di ordine pratico”.

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USA – La patria del carcere

prison_usaGli Stati Uniti, lo Stato che più publicizza sè stesso come esempio di libertà e democrazia ha consolidato oramai da tempo un primato tutto a stelle e strisce. Qui si imprigionano più persone che in qualsiasi altro Paese del mondo. Le persone residenti negli Stati Uniti rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale: di queste, 2,4 milioni “vivono” nelle carceri degli Stati Uniti, ossia il 25% dei prigionieri di tutto il mondo.
Tra il 1970 e il 2005 la popolazione carceraria è aumentata del 700% ma la crescita più significativa riguarda i profitti dell’industria legata al settore delle prigioni private: tali profitti sono infatti cresciuti del 1600% nel periodo 1990 – 2009.
Prima del 1980 non esistevano prigioni gestite da società private per fini di lucro; nei tre decenni successivi tali società hanno usato i loro enormi profitti per guadagnare peso politico e accelerare la crescita di questo settore di mercato.

Le dichiarazioni rilasciate dalla ‘Corrections Corporation of America’, la più grande compagnia di carceri private al mondo, rivelano gli interessi della compagnia per il mantenimento delle misure economiche draconiane del governo che contribuiscono al crescente tasso di incarcerazione di massa: “La nostra crescita generalmente dipende dalla nostra capacità di ottenere nuovi contratti … Qualsiasi variazione (legislativa) rispetto a droga o immigrazione clandestina, potrebbe far variare il numero di persone arrestate e condannate, riducendo quindi la domanda ai nostri istituti penitenziari per accoglierle. ”
In un articolo di qualche anno fa (1), il New York Times adduceva tra le cause del tasso continuo di carcerzione, pene non commisurate per reati minori, come il compilare assegni a vuoto o legate all’uso di droghe, reati che in altri Paesi, raramente producono pene detentive. Inoltre la carcerazione di chi le sconta è molto più lunga.
Nel 2010, quando il sistema economico era in piena crisi , le due più grandi società private carcerarie, la CCA e il gruppo GEO hanno ottenuto 3 miliardi di dollari di profitti. Questo denaro, come quello per i salvataggi dei banchieri di Wall Street, sono stati presi dai contribuenti per volere dei politici federali e statali e messi nelle tasche di un numero relativamente basso di capitalisti che gestiscono il sistema carcerario privato.
L’incarcerazione di massa viene mantenuta come fonte di enormi profitti, la repressione che si esprime in arresti e condanne da parte dello Stato,ne è una pre-condizione. Lo Stato si dimostra come il vero artefice di una realtà economica che emargina settori interi di popolazione per poi lucrare sulla loro pelle.

Segregazione di Stato

La repressione colpisce più duramente i settori più emarginati della società. I numeri parlano chiaro, è ovunque evidente la sproporzione di persone di colore che riempiono le carceri. Negli Stati con la quantità più numerosa di detenuti, le persone di colore costituiscono oltre l’89 per cento della popolazione carceraria in California, il 71% in Texas e il 65% in Arizona. Quasi la metà sono immigrati privi di documenti detenuti dal governo degli Stati Uniti in buona parte arrestati dalla famigerata ICE, il corpo di polizia di frontiera a guardia dei confini con il Messico.
Un articolo di Micromega di inizio 2012 (2), riportava la definizione che lo scrittore Adam Gopnick, ha dato al sistema carcerario americano: “la dentenzione di massa ha influenza sulla società contemporanea come avveniva per la schiavitù nel 1850″, rifacendosi a studi che dimostrano come il sistema penitenziario americano di oggi sia “la continuazione con altri mezzi (neanche tanto diversi) del regime segregazionista”.

Il carceriere è il capitale

In queste prigioni qualsiasi programma di “riabilitazione” è esplicitamente considerato non-economicamente conveniente, in modo tale che al momento del rilascio gli ex prigionieri sono stati essenzialmente privati di ogni capacità di trovare un posto di lavoro. Questo fattore alimenta l’emarginazione sociale aumentando le probabilità che gli ex detenuti tornino in breve tempo nell’infernale sistema carcerario, a tutto vantaggio delle lobby della detenzione.
La crescita dei profitti dell’infame sistema carcerario rivela tutto lo sfruttamento della parte più debole della classe operaia americana; nonostante gli enormi profitti, le condizioni all’interno delle prigioni private sono spesso peggio di quelle pubbliche, con più alti tassi di violenza contro i prigionieri,suicidi, celle sporche infestate dai topi e che odorano di urina.
Nessuna legge nè riforma cambierà mai questo stato di cose. Perchè le leggi le fa il padronato per servire il capitale. E il capitale è il sommo capo di tutti i carcerieri.

K.B.

(1) NYT 23/04/2008
(2) MicroMega “Gulag America” Giuliano Santoro 31/12/2012

www.combat.coc.org


Istituto penale minorile, cinque detenuti con la scabbia

Secondo Rosario Di Prima, vicesegretario regionale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp, cinque detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Catania pare abbiano contratto la scabbia.

scabbia“Il sistema penitenziario italiano è stato più volte sanzionato per le condizioni disumane relativamente al suo sovraffollamento e l’assenza di spazi idonei al trattamento e reinserimento sociale dei detenuti. Erano anni che nella nostra regione non si sentiva che forme virali interessassero un numero elevato di detenuti”.

“Situazioni di questo genere non possono essere considerati casi sporadici o poco significativi. Siamo fortemente preoccupati che si possa già parlare di epidemia. Se epidemia dovesse essere, la nostra preoccupazione aumenta in relazione alla possibilità di contagio anche nei confronti del personale di polizia penitenziaria. Ed è per questo che chiediamo all’amministrazione di volere provvedere in tempi rapidi alla giusta profilassi. Riteniamo superfluo, inoltre, ricordare che tutti gli opportuni esami clinici e l’eventuale prevenzione sanitaria non dovranno gravare sul bilancio economico dei poliziotti. Cogliamo l’occasione per allertare l’amministrazione penitenziaria del settore adulti nel porre maggiore attenzione ai controlli ma soprattutto alla prevenzione di simili possibili contagi”.

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Giudice di Pace condanna lo Stato: il carcere di Fuorni è sovraffollato

Primo caso in Italia per questo tipo di ricorsi dopo le condanne dell’Ue. Risarcimento di mille euro

cashSALERNO – Le condanne contro l’Italia, per le carceri sovraffollate, fino ad ora erano arrivate dall’Unione Europea. Ma mai un giudice territoriale aveva espresso la stessa condanna in un procedimento civile. E invece, adesso, anche questo fa giurisprudenza. Perchè un giudice di pace di Salerno, su ricorso presentato dallo studio legale Sessa di Nocera Inferiore, ha condannato lo Stato italiano al risarcimento danni nei confronti di un detenuto del carcere di Fuorni a Salerno per le «pessime condizioni di detenzione» delle carceri. Il ministero dell’Interno dovrà pagare un risarcimento di mille euro al detenuto. E la motivazione è proprio nel sovraffollamento della casa circondariale. «Si tratta di un traguardo importante non solo per il nostro studio dal punto di vista professionale – commentano gli avvocati Gaetano e Michele Sessa – ma soprattutto dal punto di vista etico e morale per l’intera società. Questa sentenza potrebbe infatti aprire la strada a numerosi ricorsi che, secondo quello che abbiamo potuto constatare, potrebbero trovare sempre fondamento in una situazione a dir poco vergognosa e lesiva della dignità della persona, pur se colpevole di un qualsiasi tipo di reato».

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GB – Nessuno dovrebbe morire ammanettato a un letto

Il garante delle carceri traccia un quadro deprimente in Inghilterra

cordatesaAnche in Gran Bretagna il regime carcerario manca il rispetto dei diritti umani. Londra ha un problema di sovraffollamento carcerario simile a quello italiano, ma Nigel Newcomen, il “prisons and probation ombudsman”, cioè il garante/difensore civico del sistema carcerario britannico, sottolinea nel suo rapporto come persista anche un problema culturale.

MALATI E PUNITI – A destare particolarmente scandalo è stata l’emersione del fenomeno dei detenuti ospedalizzati e ammanettati al letto anche quando gravemente malati, una cinquantina di casi nell’ultimo anno secondo il risultato delle inchieste relative ai singoli episodi denunciati. Prigionieri incoscienti, particolarmente anziani o fragili, tutti sono stati ammanettati al letto, una misura utile a compensare in parte i buchi nella sorveglianza determinati dai tagli.

LA CRITICA – “Troppo spesso sono stato chiamato ad intervenire” ha dichiarato Newcomen, che da tempo chiede che la pratica sia abolita o quantomeno usata solo nei casi di estrema necessità, sempre comunque rispettando la dignità dei prigionieri, che anche se condannati restano cittadini nelle pienezza dei loro diritti di essere umani e, in questo caso, di malati.

TROPPI DETENUTI – Newcomen poi punta il dito sul sovraffollamento provocato dall’aumento delle condanne e dal numero sempre più alto di anziani oltre i 60 anni che entrano in carcere, un problema nel problema perché le carceri non sono attrezzate per far fronte ai problemi geriatrici di un numero sempre più elevato di detenuti. Che come prima conseguenza porta il deterioramento delle condizioni di detenzione e secondariamente un aumento dei suicidi tentati e riusciti.

MEGLIO, MA NON ABBASTANZA – Nonostante ci sia stato un miglioramento nelle cure offerte ai detenuti, ora quasi al livello di quello disponibile ai liberi cittadini, i detenuti malati restano soggetti a limitazioni della libertà illecite quando di trovano nelle infermerie degli istituti come quando sono trasferiti negli ospedali civili e questo secondo l’ombudsman non è tollerabile, anche perché alcuni casi si sono risolti in uno spreco di risorse invece che in un risparmio, come farebbe invece ritenere la ragione con la quale questi provvedimenti sono giustificati. Non si vede alcun risparmio nel tenere per quattro giorni un detenuto incatenato agli uomini destinati a fargli la guardia mentre era in coma farmacologico indotto perché soffriva di un tumore allo stadio terminale, uno dei casi più clamorosi, citato ad esempio per evidenziare che qualcosa da correggere c’è di sicuro.

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Morire di carcere in Italia

14/02/2013 – Sono già sei i suicidi accertati dietro le sbarre nel 2013. Le difficoltà della vita in manette aumentano mentre la polizia penitenziaria è sotto organico da anni

cordatesaMeno spazio, più suicidi. E’questa l’assurda formula delle carceri italiane sempre sull’orlo del collasso. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone il tasso di sovraffollamento sale al 142%. Ovvero, 140 detenuti ogni 100 posti. La media europea si ferma al 99,6%. Tra le regioni più affollate la Liguria (176,8%), la Puglia (176,5%) e il Veneto (164,1%). Quelle in cui i tassi sono “bassi” l’Abruzzo (121,8%), la Sardegna (105,5%) e la Basilicata (103%). In Italia è comunque record sovraffollamento: 146 detenuti ogni 100 posti letto.

IN EUROPA – Negli otto paesi studiati dall’Osservatorio europeo sulle condizioni dei detenuti il paese ad avere il più alto numero di persone dietro le sbarre è il Regno Unito con 95.161 persone. Seguono la Polonia, con 85.419 detenuti, Spagna con 69.037 e il nostro paese che ospita 65.701 unità. Il tasso di sovraffollamento  più alto d’Europa lo ha la Lettonia, 297 carcerati ogni centomila abitanti. La tendenza è in crescita ma sempre nel rapporto si parla di una diminuzione dei detenuti in “Italia e Spagna” negli ultimi due anni. Una soluzione secondo il rapporto ci sarebbe:

Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri. Come si vede il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100.000 abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia e Regno Unito e, più di recente, della Spagna, alla Polonia o al Portogallo, dove queste misure sono pressoché inesistenti.

IDENTIKIT – In base all’Osservatorio circa il 37% delle persone che si trovano nelle carceri italiane sono straniere. Il 30 per cento dei carcerati è invece composto da tossicodipendenti. Quasi la metà dei detenuti totali, secondo Antigone, è sotto i 35 anni. A confermare che la situazione non migliora affatto sono anche i rapporti mensili pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia.

cordatesaSICUREZZA – “Secondo le nostre stime, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono ben oltre 22mila in più dei posti-letto disponibili, come puntualmente si verifica da almeno sei mesi a questa parte” precisa Leo Beneduci, già segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) e candidato capolista al Senato per la regione Lazio nella lista Rivoluzione Civile. “I dati che ci pervengono dagli istituti penitenziari – prosegue Beneduci – conteggiano, infatti, una presenza detentiva, in data 11 Febbraio, pari a 65.853 ristretti distribuiti in locali che ne posso ospitare al massimo 43mila e, analogamente a quanto occorso negli ultimi tempi con 8 regioni su 21, in cui il rapporto tra spazi disponibili e presenze è di 1 a 3. Anche per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria, inoltre, le cose vanno tutt’altro che bene, tenuto conto che dall’inizio dell’anno prestano servizio in carcere 150 poliziotti penitenziari in meno (1.080 in meno dall’inizio dello scorso anno), rispetto ad un organico nazionale che, riorganizzato nel 1992 in rapporto agli allora 40mila detenuti presenti, è già carente di 7mila unità”. Una situazione preoccupante: “Nel frattempo sono infatti peggiorate in carcere le condizioni di vivibilità (meno di 4 euro al giorno per il vitto), di lavoro (meno di 3 euro al giorno) e per il reinserimento sociale (0,22 cent. giornalieri), come la grave e perdurante emergenza suicidi va a dimostrare”.

SOLUZIONI -Sulla situazione è intervenuto perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sollecitando il Parlamento a stringere i tempi. Una delle possibili misure è la “amnistia” ma applicata a solo alcune particolari categorie, escludendo dai benefici i delitti più gravi e quelli di stampo mafioso. A sostenere le parole del Presidente della Repubblica anche il ministro della Giustizia Paola Severino. Il suo decreto “Svuota carceri” non ha però sortito gli effetti sperati. In base alle nuove misure, per l’arrestato in flagranza di reato è disposta in via prioritaria la custodia ai domiciliari. Non solo c’è il passaggio da 96 a 48 ore dal termine entro il quale deve avvenire l’udienza di convalida e l’estensione da 12 a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare. Ma in Italia si continua a morire di prigione. A inizio gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza e ha imposto un risarcimento di 100 mila euro per danni morali. Nella misura la Corte invita il governo a porre immediatamente rimedio al “sovraffollamento carcerario”, anche perché la situazione attuale viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove si ha a disposizione “meno di 3 metri quadrati”. Secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti sono 60 i suicidi del 2012 nei penitenziari italiani. I dati dell’associazione sono costantemente aggiornati dal 2000 ad oggi. Oggi, a due passi dalla fine di febbraio, sono già sei le persone che hanno deciso di farla finita e 23 i morti dietro le sbarre italiane.

Fonte


Carcere – Comunicato collettivo di 245 prigionieri del carcere di Saluzzo

Riceviamo e diffondiamo un documento firmato da 245 prigionieri del carcere di Saluzzo. Ricordiamo il presidio che si terrà sotto quelle mura il 16 febbraio 2013.

comunicato-stampa-blogComunicato

Noi sottoscritti detenuti della Casa di Reclusione di Saluzzo, con la seguente, vogliamo rendere testimonianza di tutti gli abusi che quotidianamente subiamo presso l’istituto di Saluzzo ad opera della direzione e di tutti gli organi dirigenziali.

Faremo alcuni esempi di quello che siamo costretti a subire nell’attesa che siano presi seri provvedimenti e che vengano rispettati i diritti di noi detenuti come previsto da norme e leggi.

Chiediamo che:

Art. 6 O.P. – La direzione si faccia carico di voler provvedere alla consegna di coperte, piatti e posate per tutti i nuovi giunti, perché è ignobile che chiunque arrivi in questo istituto non abbia coperte per ripararsi dal freddo e piatti con posate per mangiare.

Art. 8 O.P. – Chiediamo che ci venga concesso di poter avere detersivi, spazzolone, scopa e stracci e secchi per l’igiene della cella, così come shampoo, saponi, dentifrici, spazzolini, etc., per l’igiene e la cura della persona.

Art. 12 O.P. – Facciamo presente che i prezzi del sopravvitto lievitano ogni mese, oltre ad essere prodotti di sottomarca dei discount li paghiamo come generi di prima qualità ed i prezzi non coincidono mai con il listino della spesa perché subiscono sempre aumenti, non consono rispetto a quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario perché i prezzi subiscono variazioni di mercato ed ogni tre mesi devono essere visionati come previsto dall’O.P.

Art. 11 O.P. – Il vitto prevede che nei giorni feriali e festivi sia passato una sola volta al pranzo, così chi non ha la possibilità di potere cucinare viene costretto ad un digiuno forzato, come avviene attualmente per l’elevato numero di detenuti indigenti e extra-comunitari. (*)

Caloriferi – La direzione, nonostante il freddo gelido e le elevate temperature invernali, nel pomeriggio spegne i caloriferi dalle ore 15.30 sino alle ore 18.15 per poi spegnerli di nuovo alle ore 20.30 e riaccenderli alle ore 7.30 senza tenere conto del freddo insopportabile e delle rigide temperature esterne e interne.

Art. 36 O.P. D.P.R. N°230 – In questo istituto non vengono consegnati gli opuscoli dove c’è scritto “Diritti e doveri” di ogni singolo detenuto, così come sancito dal D.P.R. N°230 dove è scritto chiaramente che: il regolamento interno deve essere portato a conoscenza di detenuti e internati. Questo non avviene, contravvenendo alla seguente norma del 30-6-2000 n° 230.

Usufruizione dei benefici – Tantissimi detenuti con pene residue e irrisorie si vedono negati ogni beneficio, a nessuno viene concesso di poter usufruire di pene alternative come: l’affidamento, la semilibertà oppure permessi premio; il piano trattamentale è accessibile solo per pochissimi ristretti, dato il numero esiguo degli educatori, impossibilitati a seguire 420 detenuti.

Lavoro detenuti – Il lavoro per i detenuti è concesso solo a pochissime persone, in più vengono retribuiti con miseri stipendi, pagati per 2 o 4 ore, mentre le ore lavorative svolte superano le 6 / 8 ore, così come viene sfruttata la manodopera a favore dell’Amministrazione Penitenziaria.

Per concludere: vogliamo sottolineare l’importanza di questa nostra petizione che sarà portata all’attenzione dell’opinione pubblica sul sito internet “informa-azione.info“, per sensibilizzare le persone su quanto accade nell’istituto di Saluzzo, date che tantissimi scioperi della spesa non hanno sortito nessun effetto e non hanno portato la direzione a risolvere i nostri problemi.

Inoltre:

Desideriamo ringraziare tutti/e i/le compagni/e che verranno qui fuori a manifestare in solidarietà con tutti noi detenuti e prigionieri; un abbraccio a tutti/e i/le detenuti/e in lotta contro abusi, pestaggi, prevaricazioni e quant’altro avviene in tantissimi carceri d’Italia, affinché questo obbrobrio finisca e vengano rispettati i diritti di noi detenuti; solidarietà a tutti/e i detenuti nelle sezioni di isolamento, trattenuti contro la loro volontà e che lottano per il rispetto dei diritti di tutti/e i/le detenuti/e; e solidarietà per i compagni di Alessandria nella sezione AS2.

Per terminare:

Ci riserviamo in futuro di intraprendere altre forme di proteste pacifiche e iniziative volte ad ottenere il rispetto della dignità umana oltre che i nostri diritti, perché prima che detenuti siamo esseri umani.

P.S. Un ringraziamento particolare a tutti/e i/le volontari/e che prestano il loro aiuto ai detenuti.

In fede i detenuti

[Seguono 245 firme]


Protesta nel carcere di Massama Trenta detenuti in sciopero della fame

Una trentina di detenuti del carcere di Oristano -Massama, collocati nella sezione al primo piano dell’Istituto, da ieri si astengono dal cibo per denunciare le condizioni di inadeguatezza della Casa Circondariale.

badu e c arfroLo ha reso noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sottolineando che nella nuova struttura sono attualmente presenti 200 detenuti. “Gli autori della protesta lamentano carenze strutturali, l’assenza della biblioteca, delle attrezzature per rendere agibile la palestra ed il campo sportivo. Carenze che li costringono – ha spiegato Caligaris – a restare chiusi dentro le celle. Giudicano ingiustificabile la chiusura dei blindi e degli spioncini durante il giorno e la impossibilità di effettuare liberamente la socialità. Tra le lamentele anche il fatto di non poter stendere i panni all’aperto e la non disponibilità di prodotti per la pulizia delle celle. L’altra carenza riguarda la fruizione dell’acqua calda per le docce riservata solo alle prime ore del mattino. A distanza di poco più di un mese, da quando avevano lamentato condizioni di invivibilità, i detenuti della struttura, inaugurata a novembre, intendono riproporre con forza le loro ragioni. La buona volontà della Direzione che è impegnata a garantire innanzitutto il diritto alla salute, in quanto ancora l’Asl non è riuscita ad assegnare i medici per 24 ore, non è bastata a ridurre il disagio che da ieri è sfociato nello sciopero della fame”.


Antigone presenta monitoraggio Osservatorio europeo su condizioni detenzione

Presentato a Roma da Antigone l’Osservatorio europeo. Otto i Paesi coinvolti: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. In Italia oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare.
cordatesaÈ nato il primo Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione. A presentarlo oggi a Roma, presso la Sala Convegni della Casa circondariale Regina Coeli, è l’associazione Antigone. L’Osservatorio è sostenuto dalla Ue e coordinato dalla stessa Antigone, che avrà il compito di monitorare il sistema penitenziario su scala europea. I paesi coinvolti sono otto: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. Durante la conferenza stampa sono stati forniti dati e numeri inediti sulla situazione carceraria in Europa.
L’Osservatorio, che mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, ha l’ambizione di fungere da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600 mila persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea. “Lo scambio di buone prassi che il network costruito dall’Osservatorio permette – è stato sottolineato in sede di presentazione – è una risorsa fondamentale per la soluzione degli specifici problemi di ciascun sistema penitenziario nazionale”.
La fotografia dell’Europa. In Italia la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato i problemi principali delle prigioni italiane, primo tra tutti un tasso di affollamento pari al 146 per cento. Oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, “una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25 per cento”. I detenuti stranieri nelle carceri italiane sono il 37 per cento del totale mentre circa il 30 per cento della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti. “L’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over.
Sfortunatamente le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate”.
Non sta bene nemmeno la Francia, che ha assistito negli scorsi anni a una crescita drammatica della popolazione detenuta. I detenuti sono oggi il 36 per cento in più rispetto al 2001.
“Grandi progetti di edilizia carceraria non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento e – data la natura delle costruzioni – hanno invece creato altri problemi, quali un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti più violenti”.
Il tasso di suicidi continua a essere molto elevato e le politiche securitarie impongono misure di sicurezza estremamente rigide all’intera popolazione carceraria, compresi i detenuti caratterizzati da una bassa pericolosità sociale. “Queste condizioni si sono dimostrate controproducenti in termini di sicurezza pubblica, comportando piuttosto un alto tasso di recidiva”.
In Grecia il sistema penitenziario è caratterizzato da un grave sovraffollamento e da condizioni di vita estremamente degradate.
Si aggiungono a questi problemi quelli della carenza di personale, dell’abuso della custodia cautelare, di una massiccia presenza di detenuti stranieri e di persone accusate o condannate per crimini legati alla droga. La lunghezza delle pene inflitte è andata aumentando e con essa anche la lunghezza del periodo tempo effettivamente trascorso in prigione. “La retorica governativa legata all’umanizzazione del sistema penitenziario, alla promozione delle alternative alla detenzione e alla riduzione della popolazione detenuta si scontra con una prassi che vede un mero ammassare le persone nelle carceri senza alcuna prospettiva”.
La Lettonia, con i suoi 300 detenuti ogni 100 mila abitanti, presenta il tasso più alto di carcerazione tra i paesi dell’Osservatorio, nonché uno dei più alti nell’intera Ue.
Quasi il 30 per cento dei detenuti è in custodia cautelare. Il numero di stranieri in carcere è molto contenuto.
Anche in Polonia, oltre venti anni dopo la trasformazione politica, il sistema penitenziario sta ancora affrontando seri problemi. “C’è la necessità di una riforma più radicale. Sono ancora gravissime le questioni del sovraffollamento, delle condizioni degradate di detenzione, della mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti”. Con l’ingresso nell’Unione Europea, la Polonia si è trovata di fronte nuove sfide, tra cui il crescente numero di detenuti stranieri e la necessità di adeguare le proprie carceri agli standard europei.
Nonostante il Portogallo abbia un tasso di criminalità relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei, la popolazione detenuta non è inferiore a quella che si aveva negli anni ’90, quando si crearono drammatiche condizioni di sovraffollamento. Dopo qualche anno in cui era andato diminuendo, infatti, il numero dei detenuti sta nuovamente crescendo in fretta. La nuova ondata di sovraffollamento si è abbattuta sul Paese a partire dal 2012, e non si vedono per ora prospettive di miglioramento. Vari sono stati inoltre gli episodi di morte in carcere i quali non hanno trovato una spiegazione ufficiale.
In Spagna, tra i principali problemi delle carceri c’è sicuramente quello del sovraffollamento, che impedisce di scontare la pena in condizioni dignitose. Gravissima anche la situazione relativa all’assistenza sanitaria. “A seguito della crisi economica, l’amministrazione penitenziaria spagnola è andata riducendo le prestazioni mediche. La popolazione detenuta è soggetta a un alto tasso di malattia e la carenza di cure specialistiche, in particolare rispetto alla salute mentale e alle specificità di donne e bambini, si fa dunque sentire in carcere con più forza che altrove”. La crisi economica ha indebolito anche il diritto alla difesa, mentre paradossalmente vanno aumentando i servizi privati all’interno delle carceri.
Infine il Regno Unito, che lungo gli ultimi due decenni ha assistito, anno dopo anno, a una crescita della popolazione detenuta. Insieme a ciò si è avuta un’esplosione nell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena.
Più detenuti in Gb, in Italia maggior sovraffollamento
I dati del monitoraggio dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione. In Italia 139,7 detenuti ogni 100 posti. La percentuale di donne detenute è compresa tra il 3 per cento della Polonia e l’8 per cento della Spagna. Stranieri, Grecia al top
La presentazione dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione da parte di Antigone è stata supportata dai dati resi noti dallo stesso Osservatorio sulle principali differenze tra gli 8 sistemi penitenziari nazionali monitorati (Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito). “I dati riportati, e le tendenze degli ultimi anni – affermano i promotori – , possono essere usati come indicatori di politiche nazionali più o meno virtuose che verranno studiate e confrontate tra loro nei prossimi mesi”.
Popolazione detenuta 2012. Degli otto Paesi dove opera l’Osservatorio, è il Regno Unito ad avere il maggior numero di detenuti: 95.161 (in costante crescita: erano 82.572 nel 2008 e 84.725 nel 2010). Seguono Polonia (85.419, quasi 5 mila in più del 2010), Spagna (69.037, quasi 5 mila in meno del 2010) e Italia (65.701, erano 68.345 nel 2010 e 55.831 nel 2008). I sistemi penitenziari monitorati ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400 mila detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. “Anche se in molti paesi il numero dei detenuti è in questi anni cresciuto, questa tendenza non è univoca o necessitata. In Italia o in Spagna ad esempio la popolazione detenuta è calata negli ultimi due anni”, si afferma.
cordatesaTassi di detenzione. I tassi di detenzione indicano il numero di persone detenute per ogni 100 mila cittadini e rappresentano la misura del ricorso al carcere in ciascun paese. I tassi di detenzione più alti si registrano in Lettonia (297) e in Polonia, due nuove membri dell’Unione che in passato hanno fatto parte del blocco sovietico. In Europa meridionale, invece, i tassi di detenzione più alti si registrano in Spagna (148,7). In Italia il tasso è al 107,7.
Sovraffollamento. Il sovraffollamento è rappresentato dal numero di detenuti effettivamente stipati in 100 posti e, come mostrato dall’Osservatorio, è un problema molto serio per l’Europa mediterranea. “D’altro canto – si afferma – la capienza dei sistemi penitenziari è misurata in modo molto diverso nei vari paesi, e ad esempio per la legislazione italiana ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 mq, in Lettonia solo 2,5 mq. Si tratta inoltre di un valore medio. In ogni paese ci sono istituti che sono molto più affollati della media, ed altri che lo sono molto”. Ciò premesso, i dati dicono che è l’Italia il Paese con il maggiore indice di sovraffollamento (139,7 detenuti ogni 100 posti, erano 153, 2 nel 2010 e 129,9 nel 2008). Alta anche la Grecia (136,5) e la Francia (113,2).
Donne detenute. La percentuale di donne detenute in Europa è compresa tra il 3 per cento della Polonia ed quasi l’8 per cento della Spagna. In molti paesi questa percentuale è andata calando negli ultimi anni (come in Grecia, in Spagna e nel Regno Unito), mentre è andata crescendo in Lettonia ed in Polonia. Come detto, della Spagna la percentuale più alta (7,6 per cento), mentre l’Italia rimane sostanzialmente stabile con il 4,3 per cento (era il 4,4 per cento nel 2010 e nel 2008). Detenuti stranieri. “La percentuale di detenuti stranieri è uno dei temi sui quali i paesi monitorati differiscono maggiormente”.
Estremamente alta, e decisamente in crescita, in Grecia (63,2 per cento della popolazione carceraria, contro il 55,5 per cento del 2010 e il 48,3 del 2008), è generalmente molto alta nell’Europa mediterranea, in particolar modo in Italia (35,8 per cento, comunque in calo rispetto al 36,6 per cento del 2010 e al 37,4 per cento del 2008) e in Spagna (33,3 per cento, ugualmente in calo). Il fenomeno è sostanzialmente inesistente in Lettonia (1,3 per cento) e in Polonia (0,7 per cento).
Condanne definitive. In Italia la percentuale di detenuti che scontano una condanna definitiva è del 58,8 per cento (era il 54,2 nel 2010 e il 43,6 nel 2008). La percentuale più alta si registra nel Regno Unito (94,1 per cento), seguita da Polonia (89 per cento) e Francia (88,8 per cento). Alte anche le percentuali di Spagna (81,9) e Portogallo (80,5).
In generale la percentuale di detenuti in custodia cautelare è ampiamente sotto il 30 per cento, con l’evidente eccezione dell’Italia, dove questa percentuale è stata a lungo sopra il 50 per cento ed è attualmente sopra il 40 per cento.
Morti in carcere. La frequenza delle morti in carcere è determinata dividendo il numero di detenuti presenti in un anno per il numero dei detenuti morti in carcere quell’anno, ed è certamente un possibile indicatore del livello di criticità delle condizioni di detenzione in un certo paese. I dati cambiano molto: da una morte ogni 600 detenuti in Polonia ad una morte ogni 200 detenuti in Portogallo. In Italia l’indice è di 357, in diminuzione rispetto al 2010 (433) e al 2008 (461).
Misure alternative. “Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri”, si afferma.
Come mostrato dai dati dell’Osservatorio, il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100 mila abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia (265) e Regno Unito (252) e, più di recente, della Spagna 306,7), alla Polonia (1,1 nel 2010) o al Portogallo (2,2), dove queste misure sono pressoché inesistenti. L’Italia presenta un tasso di 32,8, comunque in crescita rispetto al 2010 (26,2) e al 2008 (8,4).
Anomalia Italia è custodia cautelare, 40% detenuti contro 25% media europea
Con 146 detenuti ogni 100 posti letto, l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è il più alto d’Europa; di contro il tasso di detenzione è in linea con gli altri paesi: con 107 detenuti ogni 100 mila cittadini, contro i 135 della Gran Bretagna, i 149 della Francia, i 99 della Francia. Mettendo a confronto la situazione italiana con quella del resto degli stati dell’Unione Europea emergono invece due differenze sostanziali: l’elevata percentuale di detenuti in custodia cautelare e lo scarso ricorso alle misure alternative, dieci volte in meno che in Spagna o in Francia.
I dati diffusi dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, che sarà capofila dell’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione, mettono in rilievo come oltre il 40% della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25%. Qui l’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over e le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate. Infatti, il ricorso alla cosiddetta probation riguarda, rapportato alla popolazione, 33 persone su 100 mila abitanti, mentre in Francia sono 265, nel Regno Unito quasi altrettanti, in Spagna 306,7. Come il resto dei paesi del Mediterraneo è estremamente alta, la percentuale di detenuti stranieri: in Italia il 35,8%, in Spagna il 33,3% in Grecia addirittura il 63%.
L’Osservatorio, presentato oggi, è coordinato dall’associazione Antigone e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Criminal Justice Programme. L’obiettivo è una omogeneizzazione delle condizioni di detenzione che risponda a quanto imposto dagli standard europeì. Monitora i sistemi penitenziari di otto paesi (Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna) che ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400.000 detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. E mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, fungendo da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600.000 persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea.
fonte: Redattore Sociale

Carcere di Sant’Agostino infestato dai topi

cordatesaSavona – Non bastava il sovraffollamento. Ora detenuti e agenti penitenziari del Sant’Agostino devono fare i conti anche con i topi. In passato sono stati effettuati in più occasioni interventi di derattizzazione, ma a quanto pare il problema non si è risolto. Qualche giorno fa un avvocato savonese è andato a trovare in carcere il suo cliente,  un uomo arrestato di recente, che quando il legale gli ha chiesto come si trovasse in carcere, con chi fosse finito in cella, si è lamentato dei topi: «Escono dal water» – ha raccontato all’avvocato che poi si è informato con gli agenti penitenziari i quali gli avrebbero confermato che sì, il problema c’è e non ha trovato appunto ancora una soluzione concreta.

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Montenegro: 400 detenuti in sciopero fame

cordatesaCirca 400 detenuti di un carcere presso Podgorica, la capitale del Montenegro, hanno cominciato oggi uno sciopero della fame per chiedere una legge di aministia. Ne hano dato notizia i media locali.

In un documento fatto pervenire ai giornali, i detenuti lamentano per il cronico sovraffollamento delle prigioni, per l’assistenza sanitaria inadeguata, per la cattiva qualità del cibo. Dal carcere non è stato possibile ottenere una conferma della protesta.


Tenta il suicidio in carcere, salvato

corda tesaLucca – Passano i giorni, proseguono le grida di allarma ma anziché migliorare la situazione del carcere San Giorgio continua a peggiorare. La casa circondariale torna, così, al centro della cronaca proprio all’indomani della richiesta avanzata dal Sappe all’Amministrazione Penitenziaria di adottare ogni necessaria iniziativa per riportare all’interno del carcere condizioni minime di vivibilità per i detenuti ed idonee garanzie di sicurezza per i poliziotti che ci lavorano.

Nella giornata di giovedì, la polizia penitenziaria ha, infatti, con il suo tempestivo intervento, salvato la vita ad un detenuto italiano, condannato per rapina, con fine pena 2016, che ha tentato il suicidio in cella impiccandosi alle sbarre della finestra con il lenzuolo. L’uomo è stato accompagnato al reparto infermeria del carcere ma, sottolinea il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, se questo decesso è stato sventato è ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che, in tutte le carceri italiane, nel 2011 e 2012 ha sventato oltre 2.000 tentativi di suicidio di detenuti e impedito che più di 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Gesti che, ha affermato Donato Capece, segretario generale del SAPPE, devono essere messi in evidenza. A tal proposito il sindacato chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita a questo detenuto italiano.

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Nasce l’osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione

CarceratiL’Italia maglia nera in Europa per la percentuale di detenuti in attesa di giudizio. Oltre il 40 per cento delle persone rinchiuse nelle carceri italiane aspetta una sentenza definitiva, mentre la media europea non supera il 25 per cento. E’ questo uno dei dati che emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, rete che riunisce gli enti e le associazioni di monitoraggio sulle carceri di 8 paesi europei. “Facendo il confronto tra la situazione delle carceri in Italia e quelle del resto d’Europa” spiega Alessio Scandurra, Coordinatore dell’Osservatorio  e membro di Antigone, “emerge il quadro di un paese con un alto tasso di sovraffollamento, con molti stranieri, moltissimi condannati per reati legati alla droga e uno scarso ricorso alle misure alternative, che in molti paesi d’Europa sono ordinarie e da noi eccezionali”.
Presentato giovedì 7 febbraio presso il penitenziario del Regina Coeli di Roma, l’Osservatorio europeo punta a monitorare le condizioni di detenzione di tutti i detenuti presenti nelle carceri dell’Unione europea, per un totale di circa 600.000 persone.

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Carceri: detenuto a Busto Arsizio tenta di impiccarsi, salvato

antenna1Milano, 7 feb. (Adnkronos) – Ha tentato di impiccarsi alle sbarre della cella, usando un cappio ricavato dalla coperta, ed e’ stato salvato dall’intervento degli agenti della Polizia Penitenziaria. E’ successo venerdi’ scorso nel carcere di Busto Arsizio, nel Varesotto, informa Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe. Il detenuto, uno straniero imputato per rapina, era rinchiuso in isolamento.

La sovrintendente con l’aiuto di due assistenti, richiamati dalle urla di un agente in servizio nel reparto isolamento, e’ entrata all’interno della cella e ha trovato il detenuto che si era gia’ lasciato cadere nel vuoto, spingendo la branda con i piedi. Solamente l’intervento del personale di Polizia Penitenziaria ha fatto si’ che il detenuto potesse essere liberato dal cappio e salvato.

“Nonostante il forte sovraffollamento dell’istituto di Busto Arsizio e la carenza di personale – afferma Capece – ancora una volta, grazie alla professionalita’ della Polizia Penitenziaria si riesce ad intervenire su eventi critici sempre piu’ all’ordine del giorno. Sarebbe auspicabile un riconoscimento, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, al personale di Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Busto intervenuto sulla gestione dell’evento critico”.


Lettere: nel carcere di Pordenone, stipati come sardelle

jail-cellUn detenuto a Pordenone, accusa di subire estorsioni. Il direttore: mai visto denunce.
“Sono detenuto nella casa circondariale di Pordenone, voglio che tutti i cittadini sappiano in che condizioni ci troviamo qui”. Inizia così la lettera arrivata in redazione, scritta da Cosimo Damiano Giannella, 48 anni originario di Foggia ma residente a Trieste da anni. È in carcere da oltre un anno per reati che vanno dalla ricettazione, all’aggressione e allo stalking.
Giannella dice di scrivere anche a nome di altri detenuti.

“Abbiamo alla mattina due ore e mezza di aria, al pomeriggio invece solo due. Siamo in cinque in una cella da cinque metri quadrati e non abbiamo neanche lo spazio per girarci”. Socializzare in prigione? Gli agenti non ce lo consentono, afferma Giannella. E poi ancora: “Le celle mancano di servizi igienici idonei, come ad esempio il bidet.

L’acqua calda non è a norma. Non ci sono i rilevatori di fumo, gli idranti e il riscaldamento non funziona quasi mai. Facciamo il turno per fare la doccia nelle quattro presenti. I pacchi con il cibo che ci portano i nostri cari vanno a finire in magazzino e quando poi ce li consegnano il cibo è da buttare, con un danno anche monetario”.
La denuncia del 48enne triestino non si ferma qui e si fa più grave quando scrive che la sezione protetti viene a contatto con altri detenuti non protetti. E poi che il carcere ha una capienza di 50 detenuti “ma ne siamo 96 stipati come sardelle”. E conclude: “Ci troviamo a stare qui dentro e a subire estorsioni”.

Accuse pesanti, soprattutto quest’ultima, che il direttore del carcere pordenonese, Alberto Quagliotto respinge senza mezzi termini: “Se uno afferma di essere vittima di estorsione, deve recarsi dal giudice di sorveglianza e denunciare l’estorsore con nome e cognome. A me nessuno ne ha mai parlato e tanto meno ho visto denunce. L’estorsione è un reato grave e va subito denunciata”.
Per gli altri problemi sollevati da Giannella, Quagliotto dice che “sì, il sovraffollamento c’è come in quasi tutte le carceri italiane, e questo è decisamente grave per le persone che devono vivere in pochi metri quadrati”. A questo proposito l’Italia nei giorni scorsi è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani proprio per la generale situazione di sovraffollamento delle carceri. “Non è vero però – aggiunge il direttore Quagliotto – che manchi l’acqua calda e che il riscaldamento funzioni male e nemmeno che venga impedita qualsiasi forma di socialità tra i detenuti. Nel carcere di Pordenone non si sono mai verificati casi gravi di violenza, solo qualche episodio come può capitare in qualsiasi altro ambiente”.

Il Piccolo, 6 febbraio 2013


Italia: Stato canaglia

Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2013

Voglio dare voce a chi necessita di una voce. A chi non ha potere (Yuen Ying Chan Daily News reporter).

jailOrnella Favero, il direttore di Ristretti Orizzonti, oggi ha portato in redazione la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’8 gennaio 2013 (appena tradotta in italiano) che condanna lo Stato italiano per la violazione dell’articolo 3 della convenzione che stabilisce:
– Divieto della tortura. Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
Ornella nelle riunioni in Redazione mi ricorda spesso:
– Non voglio fare un giornale di denuncia, voglio fare un giornale di informazione. Per cui cerco di capire come sono andate le cose e cerco di usare sempre toni sobri. Io credo che la verità si impone per la forza della sobrietà della notizia, non di quanto urli in più.
Ornella ha ragione, ma se lo dice la Corte europea che l’Italia è uno Stato canaglia, lo voglio dire anch’io, anche se sono stato un fuorilegge.
E lo voglio fare urlando dalle sbarre della mia finestra, affinché qualcuno aldilà del muro di cinta mi senta che nelle carceri italiane, spesso, il detenuto subisce un carico di sofferenza superiore a quella prevista dalla sentenza della sua condanna.
Subisce una sofferenza non solo fisica, ma soprattutto mentale perché il prigioniero italiano oltre a perdere la libertà, molte volte getta via dalle sbarre della sua finestra anche il suo cuore.
Spesso nelle nostre patrie galere il detenuto perde anche i propri pensieri perché ti spogliano della tua identità.
E per sopravvivere non ti rimane altro che esprimere la tua libertà e amore con la rabbia verso tutte le istituzioni colpevoli di averti fatto diventare un fantasma.
Per questo molti di noi a volte si dimenticano del male che hanno commesso e si ricordano solo del male che adesso ricevono.
Allora per questo grido che nelle nostre Patrie galere non esistono diritti all’integrità fisica, alla salute mentale, sessuale, familiare, diritti sociali, morali e culturali.
E se lo dice la Corte europea lo posso affermare anch’io che l’Italia è uno Stato canaglia e mi auguro che il resto d’Europa, in una guerra umanitaria, ci venga presto a bombardare di legalità.

 

Carmelo Musumeci
Redazione di Ristretti Orizzonti


Carceri in GB, donne, minori e adulti, violati i diritti

Ragazzini nel carcere con gli adulti: choc in Inghilterra

jail 4Minorenni trasferiti nelle strutture penitenziarie ordinarie, in violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite: nel Regno Unito si grida allo scandalo.

Minorenni nelle galere per adulti. Una eventualità che viola gli accordi internazionali sul tema dei diritti dei minori. Il fatto scrive il quotidiano Independent, è avvenuto in Inghilterra e il ministro britannico della Giustizia Minorile, Jeremy Wright, ha ammesso che nel 2011 alcuni minorenni sarebbero stati trasferiti dalla custodia minorile, alle carceri. La questione era già all’attenzione della politica inglese da qualche tempo e, come già detto, vìola l’articolo 37 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite, che obbliga “la separazione carceraria tra adulti e minori, a meno sia necessario per il minore rimanere in costante presenza di adulti”.

Dopo essere stata dibattuta per la prima volta in Parlamento lo scorso 10 gennaio, la questione dovrà essere affrontata con grande rapidità per non incorrere nelle sanzioni delle Nazioni Unite.

Gb non rispetta condizioni carcere donne

teen-faces-sexual-exposing.nIgnorati standard dettati da Onu, centinaia i casi

La Gran Bretagna e’ lontana anni luce dagli standard delle Nazioni Unite sulla detenzione carceraria femminile e secondo uno studio le condizioni in cui le donne sono tenute in prigione sono in un gran numero di casi “ingiuste, sbagliate, non rispettose dei diritti umani”. Lo studio, condotto da Rachel Halford, direttrice del gruppo ‘Donne in carcere’, sostiene che il Regno Unito pur avendo firmato 2 anni fa un protocollo sui nuovi standard dell’Onu non ha finora ottemperato a tali direttive.

Fonte 1 e 2


Lazio: troppo arsenico nell’acqua erogata in quattro carceri, salute a rischio per 1.600 detenuti

Gli istituti penitenziari coinvolti sono il Mammagialla di Viterbo, quello di Latina e le due strutture di Civitavecchia. Il Garante: “I reclusi sono attualmente costretti o a bere l’acqua dei rubinetti o a pagare di tasca propria bottiglie di acqua minerale”.
arsenicoArsenico nell’acqua anche nelle carceri. Lo denuncia il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: “Quattro carceri interessate in tre diverse città, con oltre 1.600 detenuti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria e a tutte le altre figure che vivono e lavorano in carcere, alle prese con il drammatico problema dell’acqua all’arsenico. È una vera e propria emergenza”.
Un problema irrisolto nonostante la scadenza della deroga accordata alla Regione Lazio dall’Unione Europea. Le carceri interessate dall’emergenza sono il ‘Mammagiallà di Viterbo (719 detenuti), quello di Latina (158 reclusi, fra cui 32 donne), le due strutture di Civitavecchia, il “G. Passerini” (118 detenuti) e il “Nuovo Complesso” (627 presenti, fra cui 42 donne).
“Mentre all’esterno le autorità si stanno organizzando con distributori di acqua depurata, in carcere questo ancora non avviene – ha detto il Garante – e i liberi cittadini, rispetto ai detenuti, hanno anche l’opportunità di spostarsi per prelevare acqua non contaminata. I reclusi sono attualmente costretti o a bere l’acqua dei rubinetti o a pagare, di tasca propria, bottiglie di acqua minerale per bere, cucinare e per la cura personale”.
“La salute dei cittadini è un diritto inviolabile, e la sua tutela ci impone di assumere ogni tipo di cautela – continua Marroni – un principio che vale a maggior ragione quando si parla di chi lavora nel carcere e delle persone private della libertà che spesso non possono, anche per motivazioni di carattere economico, scegliere l’alternativa più sicura”.
A Viterbo la direzione del carcere ha chiesto urgentemente l’installazione di un potabilizzatore per tutelare la salute dei detenuti e degli operatori e l’ordine e la sicurezza all’interno dei reparti detentivi. E già due anni fa il Garante fu protagonista di una polemica con il locale gestore idrico sui livello di arsenico riscontrati nell’acqua utilizzata nel carcere.
La struttura, che attualmente ospita 719 detenuti a fronte dei 444 posti disponibili, “ha un fabbisogno di almeno 400 mc di acqua al giorno – si legge nel comunicato – l’urgenza inderogabile del potabilizzatore è legata al fatto che l’invio di acqua potabile garantita dal gestore idrico, è vanificata dal fatto che il serbatoio del carcere, dove questa confluisce, è unico, e dunque l’acqua potabile si mischia con quella contaminata, vanificando la fornitura stessa”.
“Inoltre l’impianto del carcere non è frazionabile e fornisce acqua a tutte le strutture, comprese le cucine dei detenuti e quella degli agenti, il bar, le sezioni detentive per l’utilizzo diretto (bere, cottura, reidratazione e ricostituzione alimenti, uso personale, docce etc.) – prosegue la nota – a Civitavecchia, a seguito della scadenza della deroga, il sindaco Pietro Tidei, con ordinanza del 31 dicembre scorso, ha vietato l’acqua contaminata per uso potabile, per la cura dell’igiene personale e per la preparazione degli alimenti ordinando, contestualmente, al gestore idrico di garantire, fino al termine dell’emergenza, un adeguato rifornimento di acqua potabile (5/6 litri al giorno) ad ogni cittadino, compresi quelli detenuti nelle due carceri cittadine, dove ancora non è stato risolto il problema dell’installazione di potabilizzatori”.
Analoghe problematiche si riscontrano nel carcere di Latina dove, nonostante l’emergenza, i detenuti continuano ad utilizzare l’acqua che esce dai rubinetti. Al fine di sollecitare un intervento urgente nelle carceri interessate, il Garante ha inviato una lettera ai sindaci di Viterbo, Civitavecchia e Latina e ai Prefetti di Viterbo, Roma e Latina”.
“Le mie prerogative istituzionali – ha scritto Marroni – mi impongono per legge, d’intervenire di fronte a seri rischi che possono ledere i diritti dei detenuti. Uno dei più importanti è il diritto alla salute, alle cure e alla prevenzione sanitaria. Quello che sta accadendo rispetto al problema arsenico, è una lesione grave a questo diritto per tutti i cittadini liberi; a maggior ragione per i cittadini detenuti, costretti ad utilizzare solo l’acqua inquinata del carcere, non potendo approvvigionarsi altrove. Le chiedo di intervenire presso gli Enti gestori del Servizio idrico, per assicurare, con qualsiasi mezzo approvvigionamenti idrici sani al carcere. Questo, oltre che per garantire il diritto alla salute, anche per assicurare ordine e sicurezza negli istituti”.

Fonte: paesesera.it, 25 gennaio 2013


Rivolta con evasioni nel carcere di Chaco, Argentina

Il Commissario Generale Gustavo Peña, che da pochi giorni ha preso il posto di  José Benítez come Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale calcolava stanotte i danni dopo la violenta rivolta che per 15 ore si è concretizzata da ieri fino le prime ore di stamane. Sempre questa mattina si è appresa la notizia che 6 evasi sono stati ricatturati, anche se non è chiaro il numero reale dei detenuti evasi.

chaco23gennaio2013 – Dopo la violenta rivolta attuata da circa 150 reclusi nel Complesso Penitenziario di Sáenz Peña,

il nuovo Direttore del Servizio Penitenziario Provinciale, commissario Generale Gustavo Peña il pomeriggio di martedì si è riunito con i suoi agenti riconoscendo che “è una situazione molto delicata, dove sono di pubblico dominio i fatti accaduti. Grazie a Dio oggi tutto è tornato alla normalità”.

A proposito della rivolta commenta:” l’obiettivo è concludere questa situazione critica, che si è venuta a creare e ritornare a cominciare, a sviluppare una pianificazione al riguardo del personale, cercare una convivenza armonica, ascoltando anche le critiche verso le autorità”.

Ristrutturazione

Al seguito dell’assunzione di Peña, verrà effettuata una ristrutturazione su tutti i livelli, in quanto” necessita di un lavoro che implica il coinvolgimento di varie strategie nelle diverse aree, perchè questo è un sistema carcerario, è un tema complesso per cui si ha bisogno di un punto di vista completo. Si deve ricercare la convivenza armonica e il rispetto imprescindibile dei diritti umani garantendo la sicurezza sul lavoro”.

La situazione con gli agenti penitenziari.

Al riguardo della manifestazione di protesta attuata questa mattina dagli agenti del Servizio Penitenziario che compiono servizio al Sáenz Peña, il nuovo direttore manifestò:”Analizzeremo quello che è accaduto con il personale, uno dei punti importanti sarà ascoltarli e sulla base di ciò si risolverà il tutto, quello che noi vogliamo è dialogare con il personale e che loro abbiano le garanzie necessarie per poter lavorare in tranquillità”.

Peña ha segnalato anche che gli agenti in servizio devono essere equipaggiati d’accordo alle esigenze necessarie “non possiamo improvvisare con qualsiasi altro elemento”.

Gravi danni nel penale.

Ancora si stanno calcolando gli ingenti danni effettuati nel Complesso Penitenziario, il nuovo Capo ha riconosciuto che i danni riscontrati dopo la rivolta di Lunedì sono molto ingenti.

“E’ stato bruciato il locale dove i reclusi ricevevano classi, si è bruciata per completo la biblioteca e i computer, si sono distrutti sedie e banchi”. Ha concluso il direttore Peña.

I fuggiaschi sono ancora 7! ne sono stati ripresi, purtroppo 13 su 20

Fonte diariochaco.com

Traduzione Cordatesa


Lecce: detenuto finge malore in carcere per evadere

La traduzione di detenuti presso strutture sanitarie esterne comporta, secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, un grave rischio. Parte l’appello agli organi competenti
collassatoA seguito della sventata evasione di un detenuto che, all’interno del carcere di Lecce, avrebbe finto un malore per essere accompagnato presso una struttura sanitaria esterna, la Segreteria Nazionale del Sappe, sindacato autonomo Polizia Penitenziaria, scrive, tra gli altri, al Prefetto di Lecce e al Dirigente Asl Lecce, al fine di accendere i riflettori su casi simili.
Il Sappe denuncia da tempo l’aumento dei ricoveri e delle traduzioni dei detenuti presso i luoghi di cura esterni al carcere, come conseguenza del passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica. Secondo l’organizzazione sindacale, “l’aumento di traduzioni di detenuti verso le strutture sanitarie esterne ha inciso ed incide in maniera determinante sul lavoro del nucleo traduzioni e piantonamenti dell’ Istituto di Lecce a causa della grave carenza in organico del personale di Polizia Penitenziaria, considerato che nella stragrande maggioranza dei casi, le patologie di cui sono affetti i detenuti potrebbero essere curate anche all’interno del penitenziario leccese”.
Il problema sussisterebbe soprattutto nelle ore serali, quando condurre all’esterno detenuti anche pericolosi, “con un numero inadeguato di Poliziotti di scorta”, rappresenta una difficoltà non da poco. Anche i piantonamenti, per la maggior parte nelle corsie ospedaliere a stretto contatto con altri malati con un insufficiente numero di personale, determina una situazione per cui correre ai ripari. “Abbiamo chiesto in più occasioni – scrivono dal Sappe – uno sforzo da parte dell’Asl di Lecce affinché consentisse l’ingresso presso il locale Istituto Penitenziario di un numero maggiore di specialisti, al fine di ridurre al minimo il turismo carcerario permettendo così di utilizzare le risorse disponibili, nel controllo più adeguato dei detenuti malati”.
Altra questione importante sarebbe la fatiscenza di molti automezzi utilizzati per il trasporto dei detenuti. “Abbiamo notizia che alcuni automezzi che hanno superato diverse centinaia di migliaia di chilometri continuano incessantemente a circolare , considerata l’esiguità degli automezzi disponibili, come pure molti automezzi sono fermi poiché mancano i fondi per ripararli” denuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe.

Fonte: leccenews.it


Giustizia, da Strasburgo 3 nuove condanne per l’italia e i suoi processi lumaca

lumacaArriva per l’Italia una nuova condanna da parte della Corte di Strasburgo che ha stigmatizzato ancora una volta l’eccessiva durata dei processi nel nostro paese, sottolineando le problematiche legate al funzionamento della legge Pinto (cioè di quella norma con la quale si introduce il diritto per un cittadino di ricevere un risarcimento per danni morali e patrimoniali, qualora si avesse in corso una causa da più di 3-4 anni).

La sentenza è arrivata su tre diversi ricorsi riguardanti processi che erano stati intentati contro una decisione di esproprio indiretto, tutti durati tra i 12 e i 14 anni rispettivamente. La Corte ha riscontrato la violazione del diritto a godere della propria proprieta’, ma anche allo stesso tempo una violazione dell’equo processo, dal momento che sia la durata che il risarcimento sono risultati troppo esigui. Per questo motivo, l’Italia dovrà risarcire chi ha presentato ricorso per una somma complessiva di 120mila euro.

Fonte: clandestinoweb.com


Uno schifo chiamato carcere

sbarre_ottavio-pinarelloSovraffollamento delle carceri significa sovraffollamento delle celle: impossibilità pressoché totale in cella di movimento fisico, d’intimità, di attenzione, rispetto proprio e di chi è concellino; un bagno, un rubinetto per sei o nove persone…

Sovraffollamento vuol dire anche sovraffollamento del cortile dell’aria, dove ginnastica e calcio sono difficili perchè in contrasto con la densità delle persone in piccoli spazi, con l’assenza d’acqua corrente, con i cessi intasati e puzzolenti.

Sovraffollamento prodotto dalle condanne decise arbitrariamente da polizia, carabinieri, giudici.

Si è chiusi in cella 2 x 4 metri quadrati in 5/6 persone per 21 ore al giorno; le ore d’aria sono ridotte dalle quattro previste a tre, a volte ancora meno perché in quelle ore è compreso il tempo della doccia.

Pestaggi e umiliazioni praticati dalle guardie contro chi non accetta di essere trattato come e meno di un animale da macello. Una condizione che spesso finisce nella tragedia del “suicidio”.

Le persone immigrate oltre che del sostegno dei propri cari mancano della lettura poiché a San Vittore vengono venduti solo giornali e riviste in italiano e la tv diffonde solo programmi in italiano.

I prigionieri catalogati “malati psichici” sono costretti in una condizione di vero e duro isolamento, senza fornello, impossibilitati a scambiare cibo, parole…

Cure, lavoro, igiene e vitto sono sempre più scarsi e scadenti; costruire nuove carceri non può che aggravare la situazione. La spesa interna al carcere è invece a prezzi da rapina.

Detenuti ridotti a larve umane con tranquillanti e bombe farmacologiche di stato che invece abbondano. Per fortuna che c’è ancora chi le rifiuta.

Anche amici e familiari scontano la loro condanna: lunghi e costosi viaggi per andare ai colloqui, file d’attesa, pacchi respinti per ragioni affidate alla massima arbitrarietà delle guardie.

urloVogliamo lottare contro questa situazione, anzitutto sostenendo le proteste che per queste ragioni nascono a San Vittore così come nelle carceri di tutta Italia dove amnistia è la parola che più abbiamo sentito urlare.

Riteniamo questo un obiettivo generale immediato che può dare forza al movimento di lotta se c’è unità e determinazione nel conseguirlo, ma che può indebolirlo se si confida nell’imparzialità dello stato o nell’illusione che basti mettere il tutto nelle mani di un partito.

Siamo persone che direttamente ed indirettamente hanno provato sulla propria pelle il carcere e le sue conseguenze.

Se l’amnistia è l’indicazione che esce dalle prigioni è da lì che vogliamo partire, lottando per una riduzione della pena carceraria altrettanto generale.

Milano, gennaio 2013

Solidali nella lotta contro il carcere

 volantino distribuito a San Vittore da OLGa


Oristano: lettera di un detenuto; il carcere di Massama è nuovo di zecca, ma sembra un lager

fabbricato-inagibileUn carcere nuovo di zecca dove piove dal tetto, il cibo è scarso, le porte delle celle rimangono sempre chiuse e la palestra è inagibile. A pochissimi giorni dalla condanna di Strasburgo che definisce “inumane e degradanti” le condizioni dei detenuti nei penitenziari italiani, la lettera di 35 condannati descrive la situazione nel carcere “Salvatore Soro”, inaugurato da una manciata di settimane nella frazione Massama di Oristano, descritto sulla carta come “carcere modello” e invece già sottoposto a interventi di ristrutturazione.
Il taglio del nastro è avvenuto negli ultimi giorni di novembre 2012, in fretta e furia per rimediare al sovraffollamento degli altri istituti sardi. Eppure sembra andare quasi tutto storto. Così un gruppo di detenuti ha preso carta e penna per descrivere quello che succede: “Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli”.
Costretti e rimanere dietro le sbarre, senza alcun programma di rieducazione, i firmatari sono preda della depressione: “Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento”. La fretta con la quale il ministero della Giustizia ha voluto aprire il nuovo edificio carcerario, accusano anche i sindacati di polizia penitenziaria, è la ragione del malfunzionamento degli impianti tecnologici che dovrebbero aprire e chiudere automaticamente le celle – senza dunque l’intervento degli agenti.
La missiva è arrivata nelle mani di Maria Grazia Caligaris, ex consigliera regionale della Sardegna e presidente dell’associazione Socialismo Diritti e Riforme: “Sappiamo che quando apre un nuovo penitenziario ci vogliono tempi lunghi per mettere in funzione i servizi, ma questo disagio è scandaloso”.
Per il provveditore regionale del Dap, Gianfranco De Gesu, le condizioni del carcere di Oristano-Massima sono invece “quasi alberghiere”: “Ogni cella ospita due detenuti e se l’acqua calda è erogata secondo fasce orarie è per risparmiare”. Non nega, De Gesu, che la struttura abbia dovuto essere parzialmente rifatta a causa di difetti di costruzione: la ditta non aveva previsto una guaina di impermeabilizzazione nelle docce e sotto il tetto e così, dopo nemmeno 24 ore, si sono verificate vistose infiltrazioni nelle celle. Un assurdo difetto di progettazione, ancora più grave visto il costo della costruzione del penitenziario: 40 milioni di euro.
Delle quattro nuove case circondariali volute dall’allora ministro della giustizia Roberto Castelli, oltre a Oristano-Massama è stata aperta una struttura a Tempio Pausania mentre attendono quella di Uta (Cagliari) e Sassari.
Quello che preoccupa maggiormente i detenuti – coloro che hanno firmato la lettera sono 35 su 161 presenti – è comunque la qualità della vita. Pessima. Alcuni di loro provengono dal carcere che sorgeva nel centro di Oristano, ospitato da un edificio di origine medievale e fatiscente dove topi e scarafaggi erano ormai abituali compagni di cella. Con il trasferimento nella nuova struttura avevano sperato di trovare un sistema migliore: “Non possiamo nemmeno acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvivere allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.

di Laura Eduati

Huffington Post, 21 gennaio 2013


Scoperti punteruoli e lame Il carcere è un «inferno»

LECCE – Nel carcere leccese di Borgo San Nicola, secondo l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), «aumenta il numero di punterioli e lame rinvenuti nelle celle». In quantità più abbondante rispetto agli anni passati, verrebbero scovati dietro le sbarre dal personale di sorveglianza durante le ispezioni e ciò, a sentire il sindacato dei baschi blu, sarebbe diretta conseguenza del sovraffollamento e delle tensioni che il fenomeno creerebbe tra i detenuti. Aumenterebbero i rischi di aggressioni tra detenuti ma anche nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria.

armiIL SOVRAFFOLLAMENTO – Nella casa circondariale salentina sono rinchiuse circa 1250 persone, ma la capienza massima della struttura è di 700 posti. Va da sé che a risentirne, come spesso è stato evidenziato da più parti, sono le condizioni di vita dei carcerati. «A Borgo San Nicola, da giugno a dicembre 2012, durante quattro-cinque controlli, abbiamo trovato diversi oggetti contundenti e questo è un fatto che ci preoccupa perché riteniamo sia diretta conseguenza del sovraffollamento e del clima di tensione», osserva Domenico Mastrulli, vice segretario nazionale dell’Osapp, che si sofferma anche sulle carenze di organico esistenti tra i ranghi della polizia penitenziaria. Particolarmente delicata sarebbe la situazione che riguarda la sorveglianza dei detenuti sottoposti al regime di «alta sicurezza», vale a dire quelli che scontano pene scaturite dai reati più gravi commessi durante la militanza tra le file della criminalità organizzata. «A Lecce abbiamo circa 200 individui sottoposti all’alta sicurezza – spiega ancora Mastrulli – e spesso c’è un solo agente per sorvegliare 80 detenuti, mentre il rapporto dovrebbe essere di tre guardie per ogni recluso. Non possiamo che essere preoccupati». La situazione, almeno dal punto di vista della vivibilità, potrebbe, comunque, migliorare nel momento in cui saranno disponibili ulteriori 200 posti nel nuovo plesso che si prevede possa essere cantierizzato nell’area di pertinenza del penitenziario entro la prossima estate. Anche se sul punto l’Osapp ha più di qualche perplessità. «Secondo noi, a Lecce, potrebbero arrivare altri detenuti rispetto a quelli già presenti, quindi, il nuovo edificio carcerario non servirà ad alleggerire la situazione di sovraffollamento», osserva Domenico Mastrulli. Ma tornando al ritrovamento di materiale potenzialmente pericoloso come strumento di offesa, il direttore del carcere leccese, Antonio Fullone, ravvisa: «Troviamo oggetti tra i più svariati, dalla lametta dotata di manico in legno, alle posate che, in qualche modo, diventano arnesi per tutt’altro uso, ma nella maggior parte dei casi non si riscontrano intenzioni moleste da parte di chi li possiede. Li si può utilizzare anche per tagliare la frutta o per altri scopi, non è detto che debbano diventare per forza armi, ferma restando che per noi vanno classificati come oggetti atti a offendere, una categoria molto ampia. Ma questi ritrovamenti si verificano in tutti gli istituti».

IL DIRETTORE – Il direttore Il direttore Fullone, tuttavia, conferma le carenze negli organici della polizia penitenziaria. E dice: «Complessivamente Lecce ha una carenza di personale che sta diventando sempre più preoccupante anche perché il personale è molto anziano. Dovremmo essere 770, ma siamo sotto di circa parecchie unità. Quanto al numero dei detenuti, va detto, comunque, che rispetto agli ultimi anni, abbiano ora toccato le cifre più basse. Nel 2012 la popolazione carceraria è diminuita: solo qualche anno fa avevamo 1.500 persone. La destinazione del nuovo plesso, in ogni caso, ancora non è stata chiarita».

Fonte: corrieredelmezzogiorno.corriere.it


Honduras: sovraffollamento carceri, esteso di un anno lo stato di emergenza

L’Honduras ha esteso per un altro anno lo stato di emergenza in 9 dei suoi 24 carceri per far fronte al problema del sovraffollamento che regna nei centri penitenziari del paese.

Inside Honduras Prisons

La proroga è stata approvata ieri dal presidente Porfirio Lobo, su richiesta del segretario alla Sicurezza Pompeyo Bonilla, secondo il quale il governo sta esaminando “piani per la riabilitazione e il reinserimento nella società dei detenuti”. Nel luglio del 2010 Lobo aveva decretato lo stato di emergenza nelle carceri di San Pedro Sula, El Progreso, Yoro (nord); Santa Bárbara, La Esperanza, Puerto Lempira (ovest); Puerto Cortés, La Ceiba e Trujillo (Caraibi). Questa è la terza volta che viene esteso.

Nel marzo del 2012, tredici detenuti del carcere di San Pedro Sula erano rimasti uccisi in una colluttazione, mente il 14 febbraio, un incendio, nel carcere centrale di Comayagua, aveva provocato la morte di 359 detenuti. Comayagua ha una capacità di 400 detenuti, ma ne ospitava quasi 900. Nel maggio del 2004, un incendio, sempre nel carcere di San Pedro Sula, aveva ucciso 107 prigionieri; 68 invece le vittime (comprese due donne e una bambina in visita), nell’aprile del 2003, di una rissa tra alcuni detenuti del carcere di El Porvenir.

Dopo questi incidenti, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Unhcr) e la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (Cidh) avevano denunciato “l’allarmante sovraffollamento delle carceri latinoamericane”.

Secondo l’Unhcr, “in media, le prigioni dell’America Latina ospitano il 30% di detenuti in più rispetto a quanto consentirebbero le loro strutture, ma in molti casi arrivano fino al 100%, cosa che facilita le tragedie”.

di Luca Pistone          Fonte: atlasweb.it


Carceri che scoppiano: proteste a Bellizzi Irpino per le telecamere del sindacato

AVELLINO- Tensioni stamani nel carcere di Bellizzi Irpino per la visita di una delegazione sindacale della Uil-Penitenziari autorizzata dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (DAP) a scattare foto e girare video alle celle e alle sezioni detentive.

carcere-300x225Una visita sgradita per i detenuti sottoposti al 41 bis (carcere duro), che non volevano essere ritratti: i carcerati, secondo quanto reso noto dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) hanno manifestato il proprio dissenso dando vita alla ”battitura”, cioe’ picchiando le sbarre con oggetti di metallo.

L’ok dell’amministrazione penitenziaria a fare entrare macchine fotografiche e cineprese nella casa circondariale e’ stata definita come ”una decisione importante verso la trasparenza”, dai due componenti la delegazione, Eugenio Sarno eMassimo Spiezia, rispettivamente segretario generale e componente della Direzione Nazionale della UIL Penitenziari.

”Oggi non abbiamo potuto fotografare le celle perche’ l’autorizzazione e’ stata ritenuta generica e il comandante di Avellino ci ha chiesto di soprassedere a fotografare ambienti detentivi”, ha detto Sarno. ”Pur non condividendo tale impostazione abbiamo voluto seguire le sue indicazioni anche se cio’ ci ha privato della possibilita’ di documentare come celle sovraffollate con letti a castello a tre piani non consentano al personale di effettuare quei controlli di sicurezza, come la battitura delle inferriate, che a volte sono determinanti per evitare evasioni eclatanti come e’ avvenuto recentemente a Busto Arsizio”, ha concluso il segretario generale della Uil Penitenziari.

Il parere della Uil non e’ condiviso, invece, da Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE), che ha stigmatizzato la decisione dell’Amministrazione di concedere il nullaosta e chiesto le dimissioni di chi l’ha adottata: ”il carcere deve essere una casa di vetro, ma se non si rispetta il diritto alla privacy delle persone detenute e’ ovvio che queste si lamentano determinando tensione che solamente i poliziotti penitenziari devono poi fronteggiare”.

Fonte: eolopress.it