Tag Archives: carcere femminile

Latina, detenuta aggredisce agente e ispettrice in carcere

Ieri una detenuta appartenente alla categoria “alta sicurezza”, ha aggredito un’ispettrice e un assistente capo della polizia penitenziaria. Lo rivela il segretario generale aggiunto della Cisl Fns, Massimo Costantino: “L’assistente capo ha dovuto far ricorso al pronto soccorso dell’ospedale di Latina e i giorni di prognosi sono diversi”.

La casa circondariale, spiega Martino, oggi è in sovraffollamento: “Abbiamo 33 detenuti in più rispetto ai previsti.” Secondo il sindacato Cisl, ad oggi Continue reading


Vaud, incendio in un carcere femminile

cordatesaLOSANNA – Incendio oggi pomeriggio verso le 14.30 in una sala comune del penitenziario femminile La Tuilière di Lonay (VD). Una quindicina di persone sono state incomodate dal fumo. Nessuno ha dovuto essere ricoverato. L’incendio è stato causato da una detenuta, non si sa ancora se in modo intenzionale, ha indicato all’ats il portavoce della polizia vodese Eric Flaction confermando quanto pubblicato da “20 Minutes” online. Grazie al rapido Continue reading


Detenuta aggredisce agenti nel carcere di Sollicciano

Detenuta aggredisce agenti nel carcere di Sollicciano

cordatesaTre agenti di custodia del carcere di Sollicciano sono stati aggrediti da una detenuta e sono rimasti feriti. Lo rende noto l’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria.

La donna ha dato in escandescenze dopo aver parlato al telefono con la madre e saputo che il suo tutore non aveva versato i soldi che le doveva. Ha chiesto e ottenuto di fare una seconda telefonata per rintracciare il Continue reading


Lettera e proposta dalla sezione femminile nuovi giunti del carcere di Torino

diffondiamo da informa-azione

cordatesaQuesta lettera arriva dalla seconda sezione Nuovi Giunti femmile del carcere delle Vallete. Racconta le condizioni a cui sono costrette queste detenute e un episodio drammatico che hanno vissuto, censurato dall’amministrazione penitenziaria. Con coraggio e collettivamente propongono un momento di lotta il 4 dicembre, a cui è doveroso dare voce. E’ importante diffonderla il più possibile tra Continue reading


Pisa – Nuova aggressione alla polizia in carcere

cordatesa“Una soprintendente ha subito un pugno e un morso da una detenuta. Terzo episodio in un mese”

Il Coordinatore Provinciale della Uil polizia Nicola Di Matteo denuncia una nuova aggressione avvenuta nella sezione femminile del carcere di Pisa.

 Il timer si è azzerato e come una bomba ad orologeria è Continue reading


Taranto, lite tra detenute in carcere Alcuni agenti restano contusi

cordatesaIeri sera due detenute si sono picchiate all’interno di una cella del carcere di Taranto. Alcuni agenti intervenuti per sedare la lite hanno riportato contusioni e sono stati poi accompagnati, per le cure del caso, al pronto soccorso dell’ospedale Santissima Annunziata. Lo rende noto Angelo Palazzo, segretario provinciale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria). ”Noi come Continue reading


Le carcerate traslocano da San Vittore in direzione Bollate

cordatesaChe il carcere di San Vittore di Milano sia sempre sull’orlo della chiusura non è una notizia certamente, ma arrivano dei segnali tangibili di dismissione.

A livello nazionale si sta parlando tantissimo di svuotare le carceri tramite l’amnistia e la discussione politica tiene banco in tutta Italia, nel frattempo però c’è un fatto Continue reading


Detenuta dal 2009 nel carcere di Pontedecimo è incinta, senza essere mai uscita

cordatesaUna nigeriana detenuta dal 2009 nel carcere di Pontedecimo è in stato di gravidanza da tre mesi. La donna, che sta scontando una pena per reati legati alla prostituzione, è sposata, ma da quando è reclusa non ha mai goduto di permessi che le abbiano dato la possibilità o di uscire dal carcere o di avere incontri privati col marito che ha incontrato nella sala colloqui sotto la sorveglianza Continue reading


Pussy Riot, Nadezhda in sciopero della fame

Nadezhda Tolokonnikova, a member of femaNadezhda Tolokonnikova, leader della punk band Pussy Riot, è stata trasferita oggi in una cella di sicurezza dopo che ieri, lunedì 23 settembre, aveva denunciato di aver ricevuto delle minacce di morte in carcere.

La notizia viene resa nota da Interfax, citando Ghennadi Morozov, presidente di una commissione sociale di supervisione. Morozov ha spiegato che non si tratta di una misura punitiva ma di una decisione Continue reading


Carcere Foggia, “rissa fra detenute, ferite donne agenti”

cordatesa“VIOLENTA lite nel carcere di Foggia tra quattro delle quindici recluse presenti nei cortili passeggio della Sezione Femminile; 2 agenti di polizia femminile intervenute sono rimaste ferite”. E’ quanto precisa in una notaDomenico Mastrulli del COOSP, coordinamento sindacale penitenziario. La rissa sarebbe avvenuta questo Continue reading


Segnalazione di pestaggio nella sezione femminile di Trapani

Diffondiamo da informa-azione

cordatesaNella lettera di una prigioniera del carcere di Trapani – Madonna di Fatima, datata 20 agosto 2013, si informa che una ragazza detenuta nella sezione femminile, dopo aver fatto casino è stata portata in isolamento in cella liscia e, dopo continui insulti alle guardie, la squadretta delle infami sbirre è entrata in cella spaccandole la testa col manganello… le guardie le han fatto dichiarare che se la è aperta cadendo, battendo sul gabinetto…


Tunisia, Amina fuori dal carcere

cordatesaAmina Sboui, l’attivista Femen tunisina detenuta nel suo Paese da metà maggio e divenuta icona della protesta contro l’integralismo islamico, è uscita dal carcere dopo che la giustizia tunisina ne ha ordinato la scarcerazione. I suoi sostenitori hanno diffuso sul web una foto della giovane che, fuori dal carcere, fa il segno di vittoria. “Adesso è con la famiglia e spero che sia del tutto al sicuro”, ha detto il suo avvocato.

Fonte

 

 

 


Detenuta abortisce in carcere, i difensori: “Si indaghi sulle cure ricevute”

cordatesaHa abortito nel carcere di Bari dove stava scontando una condanna definitiva a sette mesi di reclusione per reati contro il patrimonio. E’ accaduto lo scorso 21 giugno ad una 22enne rom, A. C., nata in provincia di Roma ma residente nel campo rom di via Saverio Milella, a Bari. I suoi difensori, gli avvocati Vincenzo La Vacca e Michele Mitrotti, hanno depositato il 16 luglio scorso un’istanza presso il magistrato di Sorveglianza di Bari perchè “voglia accertare se vi siano responsabilità, civili e/o penali, riconducibili Continue reading


Chiusa la sezione femminile del carcere di Enna

cordatesaE’ stata decisa per esigenze finanziarie la sezione femminile del carcere di Enna. le detenute, circa otto, saranno trasferite a Catania o a Palermo. Si parla di una chiusura per gestire meglio le risorse, ma nel caso di Enna c’è anche da aggiungere che i locali, in cui erano ospitate le detenute non erano accoglienti perché hanno bisogno di interventi e nella stagione invernale ci sono anche infiltrazione di acqua. Probabile che questi locali, tenuto conto dell’eccessivo numero di detenuti presenti nel carcere di Enna, possano venire usati per ospitare dei detenuti, anche se prima sono necessari dei lavori per renderli più accoglienti.

Fonte


Mamme in cella

cordatesa12 maggio Festa della Mamma. Non solo mamme super impegnate, mamme stressate che cercano di
conciliare lavoro e famiglia, ma anche mamme che vivono situazioni ben più pesanti. Esistono detenute
che crescono i propri figli dietro le sbarre, in una realtà, quella italiana, in cui la situazione carceraria è
“maschiocentrica”, e il 95% della popolazioni delle carceri è costituita da uomini, e alle donne viene
dedicata meno attenzione.
Il 90% delle donne detenute però è madre di uno o più figli Continue reading


Como, detenuta da’ fuoco alla cella

cordatesa(Adnkronos) – “Una detenuta italiana di 30 anni, arrestata una settimana fa per tentato omicidio, resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale, ha dato fuoco nella serata di ieri al materasso ed alle lenzuola del suo letto all’interno della cella del carcere. Un denso fumo acre e pericolose fiamme si sono subito propagate nel reparto detentivo, dove sono presenti 50 detenute alcune con bimbi piccoli”. Ne da’ notizia il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. “Per fortuna, e grazie alla professionalita’, al sangue freddo ed al senso del dovere delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria che hanno sfollato la sezione detentiva con grande professionalita’ il drammatico evento che poteva avere ben piu’ gravi conseguenza e’ stato gestito con grandi capacita’ dai pochissimi poliziotti in servizio, che sono riusciti -rileva il Sappe- a gestire il drammatico evento con professionalita’, capacita’ e tanto sangue freddo”.


Una lettera di Zainab da una cella del Bahrain: piccola immensa donna

di Zainab Alkhawaja  [QUI ALTRO MATERIALE A RIGUARDO: leggi]
dal Carcere femminile di Isa Town (Bahrain)

cordatesaI grandi leader sono immortali, le loro parole e le loro azioni risuonano attraverso gli anni, i decenni e i secoli. L’eco attraversa gli oceani e confini e diventa un’ispirazione che tocca la vita di tutti coloro che sono disposti ad imparare. Un o di questi grandi leader è Martin Luther King Jr. Mentre leggo le sue parole, immagino che ce le legge da un altro paese, un altro tempo, per darci delle lezioni molto importanti. Ci dice che, non dovremmo mai diventare aggressivi ed abbassarci al livello dei nostri oppressori, che dobbiamo essere disposti a fare grandi sacrifici per la libertà.

Non appena i semi di speranza e resistenza all’oppressione sono Continue reading


Ariadna Torres in isolamento.

tumblr_mkk7unRbro1qmdiz4o1_500teLunedì, 29 Aprile 2013

Prigioniera del 28M si trova al momento in regime d’isolamento e punizione nel CPF di Temuco per dimostrarsi ribelle e insultare il magistrato. Nessuno è a conoscenza di quanti giorni rimarrà in isolamento. Non può ricevere visite ne pacchi di nessun genere, fino a nuovo ordine! Le informazioni che riceviamo sono scarse, che si sappia che le compagne sono tormentate e maltrattate.

¡¡¡¡ LIBERTAD A LXS PRESXS DEL 28 M !!!!!


Rovigo – Trasloco delle detenute

woman-prison-1La sezione femminile del carcere di via Verdi a Rovigo è stata chiusa. Nei giorni scorsi le 23 detenute a Rovigo sono state trasferite negli istituti di Venezia, Verona e Trento perché a Rovigo le agenti donna sono insufficienti per garantirne la custodia.

Ad annunciarlo è Livio Ferrari, garante dei diritti delle persone private della libertà personale che spiega: “La sezione femminile sarebbe stata chiusa una volta messo in funzione il nuovo carcere di Rovigo perché la nuova struttura è destinata solo a detenuti maschi”.

In via Verdi, le agenti di custodia erano rimaste quattro: “Poche Continue reading


Dietro le sbarre delle carceri femminili senza ginecologi, pediatri e assorbenti

«Spazi carenti, poca igiene e sovraffollamento sono problemi comuni per chi vive in carcere. Ma per le donne una vita dietro le sbarre significa anche altro: ginecologi o pediatri spesso irreperibili, difficoltà a procurarsi assorbenti e saponi per l’igiene intima, senza contare poi il problema dei bambini detenuti».

.Riccardo Arena conduce su Radio Radicale il programma «Radio carcere»: da oltre dieci anni, riceve e legge in diretta le lettere che i detenuti di ogni parte d’Italia gli inviano ogni settimana. Racconta così, attraverso la loro voce, le storie di chi sta dentro (o di chi ci è stato). Alcune, una piccola parte, sono di donne.

«Quando ero dentro non ho avuto il ciclo per diversi mesi», dice una ragazza di 23 anni. «La causa, secondo il medico del carcere, era lo “stress da detenzione”. Quando sono uscita mi è stata diagnosticata una menopausa precocerischio di diventare sterile». «Non abbiamo il bidè e spesso non possiamo neanche farci la doccia perché manca l’acqua calda», raccontano Stefania, Anna e Laura, rinchiuse a Benevento. «Siamo arrivate ad essere anche otto nella stessa cella, con un solo bagno, uno spazio dove cucinavamo anche», spiega Silvia, ex detenuta a Rebibbia.

Ricorda Maria:

«Mi si sono rotte le acque in carcere. Solo dopo un’ora, quando è arrivata l’autorizzazione del giudice, mi hanno portato in ospedale. Ci sono rimasta il tempo per partorire. Dopo tre giorni io sono tornata in carcere mentre mio figlio è rimasto in clinica: l’ho allattato a distanza tirandomi il latte con il tiralatte».

Racconti di una minoranza. In Italia le donne in carcere sono pochissime: 2818, il 4% del totale. Vivono ristrette in uno dei 5 istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli e Venezia Giudecca) o in una delle 52 sezioni presenti all’interno delle carceri maschili. Le loro storie spesso sono poco conosciute. Se il cinema si è concentrato più sulle realtà maschili, un’eccezione è «Le jardin des merveilles», di Anush Hamzehian, documentario girato all’interno di Venezia Giudecca (presentato nell’ambito della rassegna «Effetti Personali», del Festival «Il Cinema Italiano visto da Milano», che include molte opere realizzate all’interno delle case di reclusione, sia milanesi  sia di altre città italiane, fino al 14 aprile). E quindici cortometraggi dedicati alle donne detenute saranno proeittati il 13 aprile all’interno del Valsusa Filmfest.

Per gran parte di loro i figli sono forse il capitolo più doloroso. Ad oggi sono una cinquantina quelli che vivono «dietro le sbarre» insieme alle proprie madri:

«Quando sono entrata mio figlio aveva appena 11 mesi», racconta Gabriella. «Dentro ha imparato ben presto ad essere detenuto, dal linguaggio («agente, mi apri?», «mamma, andiamo al colloquio con l’avvocato?) alle perquisizioni («apriva lui le gambe davanti all’agente, alzava anche le braccia da solo)».

E se gli occhi dei più piccoli «rispecchiano un ambiente in cui ci sono solo urla, malattie e suicidi», come si resiste? «Inventando favole, raccontando loro che è tutto un gioco». Strategie in stile «La vita è bella». Lo choc maggiore arriva però quando il bimbo compie tre anni: è il momento in cui la legge prevede che il minore debba uscire.

«Mio figlio si è aggrappato ad un cancello, si è girato e mi ha detto: “Perché mi fai andare via?. Poi è finito tra le braccia di un agente, che l’ha portato via».

pic11La maternità si interrompe.

Ad oggi c’è solo un’eccezione che dimostra come un’alternativa a tutto questo sia possibile. L’Icam – Istituto a custodia attenuata per detenute madri fino a tre anni – nato a Milano nel 2007: qui una decina di donne, perlopiù straniere, vivono in una struttura dove vigono le stesse regole del carcere. Ma in luoghi senza sbarre e controllate da agenti in borghese. La mattina i bimbi vengono portati al nido di zona, mentre le madri rimangono dentro, impegnandosi in attività volte al recupero sociale. «È questo l’esempio da seguire», riprende Riccardo Arena. E in questa direzione va la «legge Alfano» sui bimbi in carcereApprovata nel 2011, entrerà in vigore nel 2014: a meno di particolari esigenze cautelari di «eccezionale rilevanza», le detenute incinte o con bambini fino a 6 anni non saranno più chiuse in cella ma sconteranno la pena in strutture apposite.

«Peccato che queste strutture per ora non ci sono», puntualizza Arena. «E visto che la legge non riguarda tutte le detenute, ciò significa che i bambini in carcere continueranno ad entrare. Invece di una legge, servirebbe un accordo amministrativo, proprio come è successo a Milano».

«Se non avessero infranto la legge ora avrebbero a che fare con le faccende di casa o con i lavori di sempre», ha detto il presidente russo Putin, parlando qualche tempo fa delle detenute più famose degli ultimi tempi, le Pussy Riot. Una dichiarazione (riportata nel libro «Free Pussy Riot» di Alessandra Cristofari) che sottolinea, suo malgrado, un aspetto fondamentale della detenzione al femminile. Il carcere vuol dire anche separazione dalla propria realtà sociale e «le donne ne sono colpite più violentemente degli uomini», ha spiegato in un’intervista a «Ristretti Orizzonti» Donatella Zoia, medico dell’Unità operativa per le tossicodipendenze a San Vittore:

«Nella società sono solitamente loro a portare il maggior peso di responsabilità affettiva. Quando una donna finisce in carcere, fuori ci sono sempre i figli, una madre, un padre e, a volte, anche un marito che contavano su di lei e che restano “abbandonati” e senza sostegni. E così la detenuta oltre al peso della carcerazione, si sente colpevole per averli lasciati soli, si sente responsabile per non poter far nulla per loro e somatizza il suo malessere».

Le conseguenze fisiche sono evidenti, dicono gli operatori: disturbi al ciclo mestruale, ansia, depressione, ma anche anoressia e bulimia.

Ci potevano pensare prima, dirà qualcuno. Ma come ha ricordatoLaura Boldrini nel suo discorso di insediamento alla Camera non si dovrebbe forse stare accanto

«ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante, come ha autorevolmente denunciato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo».

E per le donne ciò non dovrebbe volere dire anche proteggere la maternità e la femminilità?

Fonte


Zainab al Khawaja, lettera da un carcere del Bahrain

Pubblichiamo una lettera della nota attivista dei diritti umani e politici incarcerata dal regime. Il dolore e le speranze di un popolo in lotta contro la monarchia assoluta

bdi Zainab Alkhawaja* – dal carcere femminile di Isa Town 

Isa Town (Bahrain) – I grandi leader sono immortali, le loro parole e le loro azioni risuonano attraverso gli anni, i decenni e i secoli. L’eco attraversa gli oceani e confini e diventa un’ispirazione che tocca la vita di tutti coloro che sono disposti ad imparare. Un o di questi grandi leader è Martin Luther King Jr. Mentre leggo le sue parole, immagino che ce le legge da un altro paese, un altro tempo, per darci delle lezioni molto importanti. Ci dice che, non dovremmo mai diventare aggressivi ed abbassarci al livello dei nostri oppressori, che dobbiamo essere disposti a fare grandi sacrifici per la libertà.

Non appena i semi di speranza e resistenza all’oppressione sono fioriti iniziato in tutto il mondo arabo, il popolo del Bahrain ha visto i primi segni di una nuova alba. Un’alba che ha promesso la fine di una lunga notte di dittatura e di oppressione,la fine di un lungo inverno di silenzio e paura, per diffondere la luce e il calore di una nuova era di libertà e democrazia.

Con questa speranza e determinazione, il popolo del Bahrain è sceso in piazza il 14 febbraio 2011 per chiedere pacificamente i loro diritti. Le loro canzoni, poesie, dipinti e canti per la libertà sono stati accolti con proiettili, carri armati,sostanze tossiche, gas lacrimogeni e birdshot. Il brutale regime Al Khalifa era determinato a porre fine alla creatività e alla rivoluzione pacifica ricorrendo alla violenza diffondendo la paura.

Di fronte alla brutalità del regime, il popolo del Bahrein ha mostrato un grande auto controllo.Giorno dopo giorno, i manifestanti hanno stretto fiori di fronte ai soldati e mercenari, che poi avrebbero sparato contro di loro. I manifestanti stavano a petto nudo e con le braccia alzate, gridando: “Pace, pace” [silmiyya, silmiyya] prima di cadere a terra, coperti di sangue. Migliaia di cittadini del Bahrein da allora sono stati arrestati e torturati per reati come “raduno illegale” e “incitamento all’odio contro il regime”.

Due anni più tardi, le atrocità del regime del Bahrain continuano. I manifestanti del Bahrein vengono ancora uccisi, arrestati, feriti, e torturati perché chiedono la democrazia. Quando guardo negli occhi di manifestanti del Bahrein, troppe volte vedo che l’ amarezza ha preso il sopravvento sulla speranza. La stessa amarezza che Martin Luther King Jr. ha visto negli occhi dei rivoltosi nei bassifondi di Chicago nel 1966. Le stesse persone che avevano guidato importanti proteste non violente, che hanno rischiato la vita e l’incolumità fisica, senza la voglia di reagire, si sono poi convinti che la violenza è l’unica lingua ad essere capita da tutti nel mondo.

Io, come King, mi rattristo nel trovare gli stessi manifestanti che hanno affrontato a petto nudo e con i fiori carri armati e pistole, chiedersi: “Che cosa significa non- violenza? Che importanza ha la superiorità morale se nessuno ci sta ascoltando? ” Martin Luther King Jr. spiega che questa disperazione è naturale quando le persone che sacrificano tanto non vedono nessun cambiamento e capiscono che i loro sacrifici sono stati vani.

Ironia della sorte, il cambiamento verso la democrazia è stato così lento in Bahrain in quanto molte nazioni occidentali continuano a dare sostegno a questa dittatura. Attraverso la vendita di armi e il sostegno economico e politico, gli Stati Uniti e altri governi occidentali hanno dimostrato alla gente del Bahrain che sostengo la dittatura di Al-Khalifa a sfavore dei movimenti democratici.

Mentre leggevo le parole di Martin Luther King ho desiderato che fosse vivo. Mi sono chiesta che cosa direbbe sul supporto del governo USA ai dittatori del Bahrain. Che cosa avrebbe detto in merito a chiudere un occhio su tutto il sangue che è stato versato a favore della libertà. Tutto quello che dovevo fare era girare una pagina, e questa volta Martin Luther King non ha parlato a me, ma agli americani:
John F. Kennedy ha detto ‘chi rende impossibile una rivoluzione pacifica, rende inevitabile una rivoluzione violenta.’ Sempre più spesso, per scelta o per caso, questo è il ruolo che il nostro Paese ha assunto, il ruolo di chi rende la rivoluzione pacifica impossibile rifiutando di rinunciare ai privilegi e ai piaceri che provengono dagli immensi profitti degli investimenti all’estero. Sono convinta che se vogliamo stare dal lato giusto della rivoluzione mondiale, noi come nazione,dobbiamo innanzitutto rivoluzionare radicalmente i valori. Una vera rivoluzione di valori ben presto ci porterà a mettere in discussione l’equità e la giustizia delle nostre politiche passate e presenti.

Questi sono tempi rivoluzionari. In tutto il globo gli uomini sono in rivolta contro i vecchi sistemi di sfruttamento e nuovi sistemi di giustizia e di uguaglianza, stanno nascendo … Tutti noi dovremmo supportare queste rivoluzioni. E’ un fatto triste che a causa del comfort e della compiacenza … e della nostra propensione a regolare le ingiustizie,le nazioni occidentali si sono irritate così tanto da decidere di diventare anti-rivoluzionarie. Dobbiamo trasformare l’indecisione del passato in azione . Dobbiamo trovare nuovi modi per parlare di pace … e si giustizia in tutto il mondo, un mondo che confina con le nostre porte. Se non agiamo, verremo trascinati in corridoi del tempo bui e vergognosi ,riservati a coloro che possiedono il potere senza compassione, potenza senza moralità, e forza senza vista.

L’eco delle parole di Martin Luther King ha viaggiato attraverso gli oceani, attraverso le pareti e le barre di metallo di una prigione del Bahrein, e nella cella sovraffollata e sporca dove vivo, sento le parole di questo grande leader americano, la cui inflessibile dedizione alla moralità e la giustizia ne fecero il grande leader che era. Ammiro la sua saggezza dalla mia cella minuscola,e mi chiedo se anche il popolo degli Stati Uniti sia all’ascolto.

Essendo una prigioniera politico in Bahrain, cerco di trovare un modo per combattere dall’interno la fortezza del nemico, come la descrive Mandela. Non molto tempo dopo che sono stata messa in una cella con quattordici persone, di cui due sono condannate per omicidio, mi è stata consegnata l’uniforme arancione . Sapevo che non avrei potuto indossare l’uniforme, senza dover inghiottire un po ‘della mia dignità. Il rifiuto di indossare gli abiti dei detenuti proviene dal fatto che non ho commesso alcun reato, questa è stata la mia piccola disobbedienza civile. Negare il mio diritto a ricevere visite , e non lasciarmi vedere la mia famiglia e mia figlia di tre anni,è stata la loro risposta. Questo è il motivo per cui sono in sciopero della fame.

Gli amministratori della prigione mi chiedono perché sono in sciopero della fame. Io rispondo: “Perché voglio vedere la mia bambiana.” Essi rispondono, con nonchalance, “Obbedisci e la vedrai.” Ma se io obbedisco, la mia piccola Jude non vedrà sua madre, ma piuttosto una versione rotta di lei.

Ciò che rende difficile il carcere è che si vive con il nemico,a partire dalle cose più elementari. Se vuoi mangiare, ti trovi di fronte a loro con il vassoio di plastica. E ogni giorno, si deve affrontare la possibilità di essere preso in giro, urlato, o umiliato per qualsiasi motivo. Oppure, per nessuna ragione. Ma ho lasciato che le parole di grandi uomini e donne mi aiutassero in questi momenti difficili. Quando lo “specialista” ha minacciato di picchiarmi per aver detto ad una detenuta che ha il diritto di chiamare il suo avvocato, non gli ho gridato contro. Ho ripetuto le parole di King nella mia testa: “Non importa quanto i tuoi avversari siano aggressivi, l’importante è mantenere la calma”.

Finché un giorno, ne avevo avuto abbastanza di persone che mi dicono che godo di tutti i diritti a mia disposizione e rifiuto di prendermi le mie responsabilità . Dopo aver sentito questa frase più e più volte, sono scoppiata. E la cosa peggiore è che mi sentivo così frustrata che non ho potuto evitare di gridargli contro.

Ma poi non era stato un grande uomo a dire che la lotta per la giustizia “non deve diventare amara” e che “non dovremmo mai abbassarci ai livello degli oppressori?”.

Un medico è venuto a visitarmi e mi ha detto ” potrebbe cadere in coma, i suoi organi vitali potrebbero smettere di funzionare, i livelli di zucchero nel sangue sono così bassi, e tutto questo per che cosa … una divisa!” Ho risposto: “Sono contenta che non eri con Rosa Parks su quel bus, a dire alla donna che ha scatenato il movimento dei diritti civili,” che lo ha fatto solo per una sedia. “Quando il medico mi ha chiesto del movimento afro- americano,gli ho offerto il libro di Martin Luther King. Se mi conoscessi sapresti che sono molto gelosa dei miei libri.

A volte, attraverso le sue parole, Martin Luther King è stato un compagno, un compagno di cella più che un insegnante. Egli dice: “Nessuno può capire il mio conflitto se non ha guardato negli occhi di coloro che ama ama, sapendo che non ha altra alternativa che prendere una posizione che li tormenterà.” Io lo capisco. Ha scritto come se fosse seduto accanto a me . “L’esperienza in prigione … è una vita senza il canto di un uccello, senza la vista del sole, della luna e delle stelle, senza la presenza di aria fresca. In breve, è la vita senza le bellezze della vita, è esistenza nuda, fredda, crudele, che continua a degenerare”.

Mio padre, il mio eroe e il mio amico, è stato condannato all’ergastolo per il suo attivismo a sostegno dei diritti umani, ha come me, rifiutato di indossare l’uniforme grigia . Come al solito, il governo cerca di “farci stare al nostro posto “privandoci di ciò che per noi è più importante. Essi non permetteranno a mio padre di farmi visita e di ricevere visite della sua famiglia. E per schernirlo ulteriormente, per la prima volta, gli hanno detto che avrebbe potuto farmi visita se avesse indossato l’uniforme. La crudeltà è un marchio del regime Al Khalifa, ma mio padre ha un incrollabile coraggio e tanta pazienza. Nessuna pressione emotiva potrà farlo crollare.

La visita della famiglia è l’unica cosa che si aspetta in prigione. Io e mio padre non ci vedremo e non potremo vedere i nostri cari, ma la lotta per i nostri diritti continua. Porteremo nel cuore i nostri cari fino al giorno in cui potremo riabbracciarli.

Ieri mi sono addormentata guardando la porta della mia cella, con le sue sbarre di ferro, e ho sognato. Ma questa volta era un sogno piccolo e semplice, non di democrazia e libertà. Ho visto mia madre sorridente, tenere la mano di mia figlia, in piedi davanti alla porta della mia cella. Le ho viste a piedi attraverso la sbarra di metallo. Mia madre si sedette sul mio letto con me e mia figlia uno accanto all’altro,e la sua testa sul mio grembo. Io solleticavo Jude e lei rideva, e il mio cuore si riempieva di gioia. Improvvisamente sento un’ombra fredda e protettiva avvolgerci,alzo lo sguardo e vedo mio padre in piedi accanto al letto,che ci guarda e sorride. Sogno coloro che amo, è il loro amore che mi dà la forza di lottare per i sogni del nostro paese.

*Zainab Alkhawaja e’ un’attivista dei diritti umani arrestata e incarcerata piu’ volte dal regime di re Hamad bin Isa al Khalifa

Fonte


“Noi, donne dietro le sbarre senza un futuro davanti”

Le detenute del carcere della Dozza si raccontano. “Ho fatto il corso da parrucchiera, ma non ho la preparazione adatta. Chi mi assumerebbe fuori?”. Un’altra: “Non trova lavoro mio figlio, figuratevi io, quando dirò che sono stata in galera mi scarteranno”

life_inside_women_prison_56Le sedie vuote. La paura ad esporsi scritta in faccia. Le parole che faticano a uscire. Prove tecniche di dialogo, alla sezione femminile del carcere della Dozza. La presidente del consiglio comunale e la presidente della commissione delle elette, Simona Lembi e Mariaraffaella Ferri, hanno voluto includere una vista all’isolato padiglione di via del Gomito nel programma di iniziative legate all’8 marzo. Un confronto con le cittadine “invisibili” di questo mondo a parte. Il tentativo di capire bisogni e necessità.

Sono 55, in questi giorni, le ragazze e le donne dietro le sbarre. Una sola può uscire a lavorare. Una è in semidetenzione, deve cioè passare in istituto almeno dieci ore al giorno.Ventisette stanno scontando pene definitive. Ventisei sono in attesa di giudizio. Ma ad aspettare le ospiti nella sala comune del piano terra sono appena in undici, una rappresentanza scelta con criteri che sfuggono, forse solo l’arbitrio della sovrintendente che la manda a prendere in cella.

Sono ancora in meno a parlare, confrontandosi per la prima volta anche con la neodirettrice, Claudia Clementi (l’intervista). E solo due accettando di dire il loro nome, altro “particolare” che lascia intuire debolezze, il timore di essere riconosciute, giudicate, ritenute non affidabili. Vivian no, non ha paura.Racconta della sua doppia condanna, di donna e di madre, e segnala che cosa secondo lei non va nell’assistenza sanitaria di base. “Ho un bambino di sette anni. Non l’ho potuto vedere per quasi quattro, fino a quando non sono uscita in permesso. E’ a carico dei miei genitori. I volontari Avoc ci danno un supporto morale, ma il supporto materiale dove è? Se fuori non c’è aiuto, per noi che cosa rimane?”. E, ancora, raccogliendo dalla direttrice la promessa di una verifica della situazione: “Una sera stavo male, le patologie vascolari tra noi detenute sono diffuse. Ho chiesto del medico di guardia. Lui pensava che volessi le gocce per dormire, richiesta frequente in carcere. Non era così. Non è venuto. Ha fatto una diagnosi telefonica”.


Altro problema: l’adeguatezza e la spendibilità, all’esterno, dei corsi di formazione professionale organizzati all’interno. “Sono qua dentro da cinque anni. Sento parlare di I-phone e I-pad, ma non so cosa siano… Ci vorrebbero corsi di informatica, adeguati ai tempo. Io ho seguito quello per parrucchiera, praticamente solo taglio, visto che non si è potuto usare quasi mai nemmeno il phon. Ma chi mi assumerebbe fuori? Nessuno, credo. Non ho la preparazione adatta, lo capisco da me”.

Il fuori, il dopo, l’impossibilità di pensarsi in positivo. Un’altra detenuta madre, lei restia a dire il proprio nome, non la prende alla lontana: “Esci e vai a sbattere con il sedere per terra. I portoni ti si chiudono davanti. Io ho un figlio di 25 anni, in un’altra città. Non trova lui impiego, figuriamoci se lo troverò io. Appena sentono che sono stata in galera, scappano. Lui, me lo scrive, dice di sentirsi uno zingaro, Io, impotente, mi sento una madre piccola”. Dentro, per le donne, le opportunità sono ridotte al minimo. A parte i lavori domestici di cucina, pulizie, distribuzione vitto – a rotazione, le ore retribuite via via tagliate – resta solo la sartoria “Gomito a gomito”, tre socie della cooperativa che crede nel laboratorio e nelle detenute piegate sulle macchine per cucire.

“E’ brutta da dire, ma quando esci se non hai una famiglia che fai? La barbona? E che significato ha il percoso che hai seguito in carcere, se il reinserimento è una ruota della fortuna?” Il futuro moltiplica le incognite. Il budget per i corsi, al maschile e al femminile, è stato ulteriormente ridotto. Per finanziare il progetto Acero – collocamento in comunità e avviamento all’impiego – sono state abolite le borse lavoro. Per finanziare la leggi Smuraglia, gli incentivi agli imprenditori che assumono dentro gli istituti, i fondi sono stati sottratti al denaro a disposizione per pagare i lavoranti e le lavoranti.

Fonte


Carceri: linea moda disegnata da detenute

230361_detenute modelle genova pontedecimo(ANSA) – TORINO, 17 MAR – Bracciali in stoffa con piccoli volti di donne serigrafati, borsoni militari, borse ricamate a mezzo punto di colori accesi, chiuse e aperte, pochette ed espadrillas cucite artigianalmente: sono alcuni degli accessori moda della nuova collezione Fumne 2013-2014 creata, per il terzo anno dalla donne detenute del carcere Le Vallette di Torino.

Una collezione accurata dai toni sorprendenti, con stoffe raffinate recuperate dalla detenute con mesi di lavoro e realizzata grazie al progetto ‘La casa di Pinocchio’ che dal 2008 organizza laboratori creativi per detenute di eta’ tra i 25 e 55 anni. Alcuni pezzi sono stati presentati al Macef di Milano e a Parigi e sono stati venduti in Giappone, oltre che in alcuni dei negozi piu’ in di Torino e altre citta’. Si tratta di progetti di design esclusivi ai quali hanno collaborato stilisti noti come il piu’ grande naso italiano Laura Tonatto.

”Un progetto che va bene e che da’ molta soddisfazione alle donne coinvolte – hanno spiegato le organizzatrici – ma che ha bisogno d’aiuto per andare avanti e per avere una diffusione che ne permetta il mantenimento. Tra i lavori fatti, anche uno, molto partecipato, sull’immagine della Madonna, analizzata come figura religiosa e come donna. ”Un progetto, quest’ultimo – e’ stato ancora spiegato – che ha dato molta serenita’ e occasione di approfondimento alle detenute coinvolte”.


Aumentano il numero delle donne in carcere, il dato da un Rapporto dell’UE

Un Rapporto dell’Unione europea denuncia che le donne nelle carceri stanno aumentando più degli uomini.  Lo “Sportello dei Diritti” impegnato a tutelare le detenute.

jail-girlSempre più donne si danno al crimine. Non è solo una percezione di come cambia in peius la società ma è un fenomeno studiato che purtroppo cresce giorno dopo giorno e impone di rivedere il sistema carcerario già inadeguato ai numeri che è costretto a sopportare.

Se è vero, infatti, che si è arrivati ad una parità formale nei diritti e l’uguaglianza è stata raggiunta in molti settori della vita quotidiana, è anche vero che le donne si avvicinano agli uomini anche in quelli negativi.

Le statistiche parlano chiaro: dal 2011, l’aumento del numero di donne che sono detenute a livello globale è aumentato di decine di volte più velocemente di quello degli uomini, secondo i dati nazionali così come è aumentato il livello della gravità dei reati che hanno commesso.

Mentre il numero di autori di reati di sesso maschile sono rimasti stabili sostanzialmente stabili negli ultimi dieci anni, i dati più recenti dimostrano un aumento del 15 per cento per il “gentil sesso”. Ciò quasi a denotare che anche l’aggressività nelle donne è aumentata costantemente negli ultimi 10 anni.

I ricercatori sono d’accordo, sostenendo che il comportamento violento da parte delle donne è in aumento e non mostra segni di rallentamento.

Anche un rapporto delle Nazioni Unite rivela che il tasso di crescita del numero di donne che entrano in carcere è superiore a quello degli uomini. Ciò nonostante la ridotta percentuale del 4,9% sulla totalità dei detenuti rappresentata dal gentil sesso.

A dire il vero, in relazione alle 100mila donne che sarebbero detenute attualmente nelle carceri europee, il rapporto cambia da paese a paese. Solo per fare gli esempi estremi, si passa da Malta dove le detenute sono appena una decina, alla Spagna dove arrivano al numero di 5.000 rappresentando l’8,8% del totale della popolazione carceraria.

L’Italia, invece, si pone in linea con la media europea con una percentuale di detenute pari a circa il 4,7% del totale, che è anche, più o meno lo stesso dato che viene confermato anche su scala mondiale dalle Nazioni Unite.

A livello mondiale le cose quindi non cambiano con le donne che comunque costituiscono una porzione molto piccola della popolazione carceraria, che varia generalmente dal 2 al 9%. Solo 12 sistemi penitenziari superano questa soglia nel resto del pianeta, mentre una statistica del Regional Office of Europe ha individuato nell’Azerbaijan la quota meno elevata (1,5%).

Ciò non vuol dire che il fenomeno sia sotto controllo. Ed, infatti, la tendenza di cui parlavamo conferma una crescita dappertutto. Per tornare all’Europa basta verificare come in Inghilterra e in Galles il numero delle donne che per varie ragioni sono finite in istituti di detenzione è aumentato negli ultimi dieci anni della sorprendente percentuale del 200%, a fronte di una crescita del numero degli uomini pari al 50%.

L’Unione Europea, ha anche precisato che la maggior parte delle donne detenute scontano pene brevi, legate al possesso di stupefacenti. A ciò consegue un permanente ricambio della popolazione carceraria che ovviamente aggrava la già complessa situazione dei sistemi penitenziari. Altro problema rilevato dall’UE riguarda il fatto che il numero di detenute in attesa di giudizio è equivalente se non addirittura superiore a quelle che scontano una pena definitiva.  Ciò comporta ulteriori questioni circa la gestione perché le donne in attesa di giudizio hanno opportunità ridotte di accedere ai programmi lavorativi, di mantenere contatti con le famiglie e anche con gli altri detenuti.

Tante, tantissime sono anche madri. Le statistiche conosciute in Europa sono sconvolgenti se si pensa che ci sono circa 10.000 bambini al di sotto dei due anni che hanno una madre in carcere. Mentre sono centinaia di migliaia i bambini di età superiore ed i ragazzi fino alla maggiore età che devono fare i conti con una mamma detenuta.

In tal senso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2003 ha approvato una risoluzione che invita “governi, autorità internazionali, istituzioni a tutela dei diritti umani e organizzazioni non-governative a impegnarsi per aumentare l’attenzione verso lo stato detentivo delle donne, compresi i figli di donne in prigione, in modo da identificare i problemi principali e impegnarsi a risolverli”.

Questo perché lo sviluppo psicosociale dei figli corre pericoli di gran lunga maggiori quando è la madre a finire in carcere piuttosto che il padre. Uno studio inglese del 2008 ha rilevato che quando le madri sono detenute, nell’80% dei casi i padri non si prendono cura dei loro figli. Anche alla luce di tali dati, ormai quasi tutti gli stati europei consentono alle madri di tenere con sé i figli piccoli  scontano la loro pena. Permangono anche in tal caso divergenze fra le varie normative nazionali che  passano da un limite minimo di zero a uno massimo di sei anni per la permanenza dei bambini negli istituti. Solo in Norvegia non è consentito ammettere bambini nelle carceri mentre la media nel resto d’Europa è di tre anni.

Un altro dato che dovrebbe far riflettere è quello dell’età delle detenute. Negli ultimi anni, infatti, è possibile evidenziare una costante crescita delle ragazze che finiscono negli istituti correzionali per minori. Un esempio lampante in tal senso sono gli Stati Uniti, dove le giovani rappresentano ormai il 25% della popolazione dei riformatori.

Questi dati in prospettiva dovrebbe far preoccupare ancora di più.

Le donne più anziane, ossia quelle che superano i 50 anni di età sono una categoria che richiede trattamenti particolari in ragione a problemi legati principalmente alla salute.

Molte, sono peraltro le straniere che costituiscono a livello europeo oltre il 30% delle donne rinchiuse negli istituti. La maggior parte hanno commesso crimini che riguardano la droga oltre a quelle detenute per ragioni concernenti il loro status illegale nel paese dove vivono.

Purtroppo, le detenute hanno molti più problemi di salute rispetto agli uomini. Molte di loro in genere arrivano in carcere in condizioni già complicate legate alla vita in povertà, all’uso di droghe, alla violenza familiare, a violenze sessuali e gravidanze giovanili. Nello specifico, le donne dipendenti da sostanze stupefacenti mostrano in proporzione maggiore degli uomini problemi come tubercolosi, epatite, anemia, ipertensione, diabete e obesità.Anche le malattie mentali sono molto diffuse negli istituti penitenziari femminili, e riguardano l’80% delle detenute. I due terzi, ad esempio, mostrano disordini legati a stress post-traumatico.

Ma sono tante le problematiche connesse alla detenzione delle donne ed all’aumento del fenomeno che per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, richiedono una revisione profonda dei sistemi carcerari a partire da quello nostrano che serva non solo per porre un limite a quella che appare come una vera e propria emergenza ma anche per gestire un problema in crescita ed adeguarsi a necessarie esigenze di civiltà, umanità e tutela dei diritti.

Se è vero, infatti, che di fronte a tale grave situazione le istituzioni europee hanno dato input a politiche per arginare il fenomeno e migliorare le condizioni delle donne in carcere è altrettanto vero che il processo di adeguamento dell’Italia procede a rilento.

Tra gli obiettivi fissati dall’UE ed ancora non del tutto realizzati nel nostro Paese vi è da segnalare in primo luogo la richiesta di ricorrere il più possibile alle misure alternative, soprattutto per le donne incinte e per quelle che hanno figli piccoli. In secondo, di assicurare un servizio sanitario efficiente e capace di rispondere ad ogni tipo di esigenza. Ed in ultimo di considerare come primario l’interesse del bambino quando questo è coinvolto nella detenzione della madre.

In quest’ottica, come “Sportello dei Diritti”, siamo impegnati a tutelare tutte le donne a partire dalle madri ed i loro bambini che subiscono trattamenti degradanti e non corrispondenti ai dettami delle linee guida europee all’interno delle carceri italiane.

Fonte


Poliziotta picchiata nel penitenziario di Bellizzi Irpino La vittima ha riportato il distacco della retina dell’occhio

franca2‘Nel giorno della festa della donna una poliziotta e’ stata violentemente picchiata in carcere’. A denunciarlo e’ il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che legge con preoccupazione questo episodio, ‘ennesimo sintomo di criticita’ del penitenziario campano’. ‘Nella sezione femminile della Casa Circondariale di Avellino -spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe- ospitante tra l’altro l’unico asilo nido per bambini inferiori ai tre anni del Sud Italia per detenute madri, nel tentativo di sedare una lite tra due detenute, una Agente del Corpo della polizia penitenziaria, poco piu’ che ventenne, e’ stata colpita violentemente allo zigomo sinistro’.’La giovane collega -prosegue Capece- assegnata da poco dalla Scuola di formazione all’istituto irpino, e’ stata trasportata d’urgenza al pronto soccorso, ove le e’ stato diagnosticato il distacco della retina dell’occhio. Ormai le condizioni di vita del personale, dal punto di vista operativo, sono sempre piu’ precarie e critiche anche se da poco il reparto femminile di Avellino e’ stato incrementato’, sottolinea il leader dei baschi azzurri del Sappe.

‘La situazione penitenziaria resta allarmante -rimarca il Sappe- e le risposte dell’Amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole, come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa ed abolisce posti di servizio dei Baschi Azzurri mantenendo pero’ in capo alla Polizia penitenziaria il reato penale della ‘colpa del custode’.
‘Queste frequenti -conclude Capece- e violente aggressioni mettono drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari’.


Carceri in GB, donne, minori e adulti, violati i diritti

Ragazzini nel carcere con gli adulti: choc in Inghilterra

jail 4Minorenni trasferiti nelle strutture penitenziarie ordinarie, in violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite: nel Regno Unito si grida allo scandalo.

Minorenni nelle galere per adulti. Una eventualità che viola gli accordi internazionali sul tema dei diritti dei minori. Il fatto scrive il quotidiano Independent, è avvenuto in Inghilterra e il ministro britannico della Giustizia Minorile, Jeremy Wright, ha ammesso che nel 2011 alcuni minorenni sarebbero stati trasferiti dalla custodia minorile, alle carceri. La questione era già all’attenzione della politica inglese da qualche tempo e, come già detto, vìola l’articolo 37 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite, che obbliga “la separazione carceraria tra adulti e minori, a meno sia necessario per il minore rimanere in costante presenza di adulti”.

Dopo essere stata dibattuta per la prima volta in Parlamento lo scorso 10 gennaio, la questione dovrà essere affrontata con grande rapidità per non incorrere nelle sanzioni delle Nazioni Unite.

Gb non rispetta condizioni carcere donne

teen-faces-sexual-exposing.nIgnorati standard dettati da Onu, centinaia i casi

La Gran Bretagna e’ lontana anni luce dagli standard delle Nazioni Unite sulla detenzione carceraria femminile e secondo uno studio le condizioni in cui le donne sono tenute in prigione sono in un gran numero di casi “ingiuste, sbagliate, non rispettose dei diritti umani”. Lo studio, condotto da Rachel Halford, direttrice del gruppo ‘Donne in carcere’, sostiene che il Regno Unito pur avendo firmato 2 anni fa un protocollo sui nuovi standard dell’Onu non ha finora ottemperato a tali direttive.

Fonte 1 e 2