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Aumentano il numero delle donne in carcere, il dato da un Rapporto dell’UE

Un Rapporto dell’Unione europea denuncia che le donne nelle carceri stanno aumentando più degli uomini.  Lo “Sportello dei Diritti” impegnato a tutelare le detenute.

jail-girlSempre più donne si danno al crimine. Non è solo una percezione di come cambia in peius la società ma è un fenomeno studiato che purtroppo cresce giorno dopo giorno e impone di rivedere il sistema carcerario già inadeguato ai numeri che è costretto a sopportare.

Se è vero, infatti, che si è arrivati ad una parità formale nei diritti e l’uguaglianza è stata raggiunta in molti settori della vita quotidiana, è anche vero che le donne si avvicinano agli uomini anche in quelli negativi.

Le statistiche parlano chiaro: dal 2011, l’aumento del numero di donne che sono detenute a livello globale è aumentato di decine di volte più velocemente di quello degli uomini, secondo i dati nazionali così come è aumentato il livello della gravità dei reati che hanno commesso.

Mentre il numero di autori di reati di sesso maschile sono rimasti stabili sostanzialmente stabili negli ultimi dieci anni, i dati più recenti dimostrano un aumento del 15 per cento per il “gentil sesso”. Ciò quasi a denotare che anche l’aggressività nelle donne è aumentata costantemente negli ultimi 10 anni.

I ricercatori sono d’accordo, sostenendo che il comportamento violento da parte delle donne è in aumento e non mostra segni di rallentamento.

Anche un rapporto delle Nazioni Unite rivela che il tasso di crescita del numero di donne che entrano in carcere è superiore a quello degli uomini. Ciò nonostante la ridotta percentuale del 4,9% sulla totalità dei detenuti rappresentata dal gentil sesso.

A dire il vero, in relazione alle 100mila donne che sarebbero detenute attualmente nelle carceri europee, il rapporto cambia da paese a paese. Solo per fare gli esempi estremi, si passa da Malta dove le detenute sono appena una decina, alla Spagna dove arrivano al numero di 5.000 rappresentando l’8,8% del totale della popolazione carceraria.

L’Italia, invece, si pone in linea con la media europea con una percentuale di detenute pari a circa il 4,7% del totale, che è anche, più o meno lo stesso dato che viene confermato anche su scala mondiale dalle Nazioni Unite.

A livello mondiale le cose quindi non cambiano con le donne che comunque costituiscono una porzione molto piccola della popolazione carceraria, che varia generalmente dal 2 al 9%. Solo 12 sistemi penitenziari superano questa soglia nel resto del pianeta, mentre una statistica del Regional Office of Europe ha individuato nell’Azerbaijan la quota meno elevata (1,5%).

Ciò non vuol dire che il fenomeno sia sotto controllo. Ed, infatti, la tendenza di cui parlavamo conferma una crescita dappertutto. Per tornare all’Europa basta verificare come in Inghilterra e in Galles il numero delle donne che per varie ragioni sono finite in istituti di detenzione è aumentato negli ultimi dieci anni della sorprendente percentuale del 200%, a fronte di una crescita del numero degli uomini pari al 50%.

L’Unione Europea, ha anche precisato che la maggior parte delle donne detenute scontano pene brevi, legate al possesso di stupefacenti. A ciò consegue un permanente ricambio della popolazione carceraria che ovviamente aggrava la già complessa situazione dei sistemi penitenziari. Altro problema rilevato dall’UE riguarda il fatto che il numero di detenute in attesa di giudizio è equivalente se non addirittura superiore a quelle che scontano una pena definitiva.  Ciò comporta ulteriori questioni circa la gestione perché le donne in attesa di giudizio hanno opportunità ridotte di accedere ai programmi lavorativi, di mantenere contatti con le famiglie e anche con gli altri detenuti.

Tante, tantissime sono anche madri. Le statistiche conosciute in Europa sono sconvolgenti se si pensa che ci sono circa 10.000 bambini al di sotto dei due anni che hanno una madre in carcere. Mentre sono centinaia di migliaia i bambini di età superiore ed i ragazzi fino alla maggiore età che devono fare i conti con una mamma detenuta.

In tal senso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2003 ha approvato una risoluzione che invita “governi, autorità internazionali, istituzioni a tutela dei diritti umani e organizzazioni non-governative a impegnarsi per aumentare l’attenzione verso lo stato detentivo delle donne, compresi i figli di donne in prigione, in modo da identificare i problemi principali e impegnarsi a risolverli”.

Questo perché lo sviluppo psicosociale dei figli corre pericoli di gran lunga maggiori quando è la madre a finire in carcere piuttosto che il padre. Uno studio inglese del 2008 ha rilevato che quando le madri sono detenute, nell’80% dei casi i padri non si prendono cura dei loro figli. Anche alla luce di tali dati, ormai quasi tutti gli stati europei consentono alle madri di tenere con sé i figli piccoli  scontano la loro pena. Permangono anche in tal caso divergenze fra le varie normative nazionali che  passano da un limite minimo di zero a uno massimo di sei anni per la permanenza dei bambini negli istituti. Solo in Norvegia non è consentito ammettere bambini nelle carceri mentre la media nel resto d’Europa è di tre anni.

Un altro dato che dovrebbe far riflettere è quello dell’età delle detenute. Negli ultimi anni, infatti, è possibile evidenziare una costante crescita delle ragazze che finiscono negli istituti correzionali per minori. Un esempio lampante in tal senso sono gli Stati Uniti, dove le giovani rappresentano ormai il 25% della popolazione dei riformatori.

Questi dati in prospettiva dovrebbe far preoccupare ancora di più.

Le donne più anziane, ossia quelle che superano i 50 anni di età sono una categoria che richiede trattamenti particolari in ragione a problemi legati principalmente alla salute.

Molte, sono peraltro le straniere che costituiscono a livello europeo oltre il 30% delle donne rinchiuse negli istituti. La maggior parte hanno commesso crimini che riguardano la droga oltre a quelle detenute per ragioni concernenti il loro status illegale nel paese dove vivono.

Purtroppo, le detenute hanno molti più problemi di salute rispetto agli uomini. Molte di loro in genere arrivano in carcere in condizioni già complicate legate alla vita in povertà, all’uso di droghe, alla violenza familiare, a violenze sessuali e gravidanze giovanili. Nello specifico, le donne dipendenti da sostanze stupefacenti mostrano in proporzione maggiore degli uomini problemi come tubercolosi, epatite, anemia, ipertensione, diabete e obesità.Anche le malattie mentali sono molto diffuse negli istituti penitenziari femminili, e riguardano l’80% delle detenute. I due terzi, ad esempio, mostrano disordini legati a stress post-traumatico.

Ma sono tante le problematiche connesse alla detenzione delle donne ed all’aumento del fenomeno che per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, richiedono una revisione profonda dei sistemi carcerari a partire da quello nostrano che serva non solo per porre un limite a quella che appare come una vera e propria emergenza ma anche per gestire un problema in crescita ed adeguarsi a necessarie esigenze di civiltà, umanità e tutela dei diritti.

Se è vero, infatti, che di fronte a tale grave situazione le istituzioni europee hanno dato input a politiche per arginare il fenomeno e migliorare le condizioni delle donne in carcere è altrettanto vero che il processo di adeguamento dell’Italia procede a rilento.

Tra gli obiettivi fissati dall’UE ed ancora non del tutto realizzati nel nostro Paese vi è da segnalare in primo luogo la richiesta di ricorrere il più possibile alle misure alternative, soprattutto per le donne incinte e per quelle che hanno figli piccoli. In secondo, di assicurare un servizio sanitario efficiente e capace di rispondere ad ogni tipo di esigenza. Ed in ultimo di considerare come primario l’interesse del bambino quando questo è coinvolto nella detenzione della madre.

In quest’ottica, come “Sportello dei Diritti”, siamo impegnati a tutelare tutte le donne a partire dalle madri ed i loro bambini che subiscono trattamenti degradanti e non corrispondenti ai dettami delle linee guida europee all’interno delle carceri italiane.

Fonte


Le carceri in disuso e riqualificate in Italia ed Europa

Alcune carceri in disuso sono state adibite ad altri usi. Accade in Europa ma anche in Italia come il caso del Carcere delle Murate a Firenze. (ndr)

carcereDa prigioni a hotel di lusso: è quello che è successo ad alcune carceri abbandonate in varie parti d’Europa e anche d’Italia. Il magazine Swide ha elencato alcune tra le riqualificazioni migliori dai Paesi Bassi fino alla Svezia, noi del Ghirlandaio ne abbiamo aggiunte altre. Chi immaginerebbe di ricavare stanze lussuose in celle che fino a qualche tempo prima ospitavano criminali. Non solo hotel, le Murate o il vecchio carcere di Palencia sono rinati come centri culturali. La trasformazione è stata spesso lunga, ma ecco quali sono i migliori esempi

OLANDA, IL PIU’ FAMOSO
A Zwolle in Olanda si trova il Librije Hotel, un albergo a cinque stelle che offre ogni tipo di comfort. Il Librije di Thérèse e Jonnie è l’hotel di lusso più piccolo dei Paesi Bassi, la vecchia prigione era stata costruita nel diciottesimo secolo: la nuova struttura ha aperto nel 2008 e le sue stanze possono essere usate anche per meeting, feste private e matrimoni. Non solo, il Librije può contare anche su due maggiordomi che sorridono sulla web dell’hotel.

LETTONIA E TURCHIA
Più a Nord, in Lettonia, a Liepaja un’ex prigione del KGB è diventata un hotel, ma ha mantenuto l’atmosfera spartana del regime comunista. Contrariamente ai colleghi olandesi, i lettoni hanno deciso di lasciare tutto così com’era: inclusi bagni alla turca, stanze fredde e poco riscaldate. Tutto il contrario del Four Seasons di Istanbul: a Sultanahmet, lo splendido albergo affaccia sulle acque del Corno d’Oro, il mar di Marmara e il Bosforo. Sessantacinque stanze extra lusso e suite ricavate in una antica prigione neoclassica. Un lusso che si possono permettere in pochi, i prezzi vanno dai 340 euro per una camera deluxe ai 1.700 per la suite Deluxe. Ed esistono due suite di cui si conosce il prezzo: la Marmara e la Saint Sophia.

SPAGNA
È molto probabilmente gratis, invece, l’ingresso al Centro Cultural di Palencia: nella città della Castilla León l’aerea di 5.077 metri quadrati è stata completamente reinventata dai due architetti della Exit: Ángel Sevillano e José María Tabuyo. Il carcere era stato costruito alla fine del XIX secolo ed era compost di due plessi seguendo lo stile neomudéjar. I due architetti hanno creato un centro culturale rispecchiando la struttura del vecchio edificio, donandogli però un’apparenza più luminosa: nell’edificio terminato nel 2011 la luce gioca un ruolo fondamentale. Al suo ingresso, una biblioteca e un auditorium.

SVEZIA
Dalla Spagna alla Svezia: sull’isola di Långholmen, piccola lingua di terra nel centro di Stoccolma. Dove c’erano le celle, oggi sorgono camere d’albergo e al suo esterno c’è una piccola spiaggia e dei circuiti per fare jogging. L’hotel sull’isola è una sistemazione raffinata, ottima anche per organizzare conferenze. C’è anche un piccolo ristorante e la possibilità di visitare il museo della prigione.

USA
Un altro esempio si trova a Boston: nel 1990 la Charles Street Jail è stata abbandonata perché non era più in grado di ospitare detenuti. Un tempo fiore all’occhiello della città, fu acquistata dal Neighboring Massachusetts General Hospital e ristrutturata dal Cambridge Seven Associates to transform per trasformare l’ex prigione in hotel di lusso. Il vecchio edificio completato nel 1851 rappresentava uno dei più belli di tutta Boston e ha ospitato nelle sue celle alcuni fra i peggiori criminali. Dopo l’opera di ristrutturazione, la prigione di Boston è rinata diventando uno dei migliori alberghi del New England. In alcuni tratti sono ancora visibili le “cat walk”, i corridoi fra una cella e l’altra, mentre il ristorante dell’hotel, il Clink, è stato ricreato all’interno di una vecchia cella. Il Liberty conserva altre caratteristiche dell’ex istituto di detenzione: i muri perimetrali delle celle, i fregi sulle porte, i finestroni, le passerelle. Accanto all’edificio principale è stata costruita una torre che ospita 18 camere a vista. Il Liberty può ospitare fino a 300 persone.

I CASI ITALIANI
Non solo gli Usa e il Nord Europa, anche in Italia alcune carceri sono state rinventate. Il carcere delle Murate di Firenze è stato attivo dal 1883 al 1985, il progetto di recupero è stato affidato a Renzo Piano. Nell’ex struttura sorge oggi un centro dedicato alla cultura contemporanea fiorentina e non solo. Le mura del carcere ospitano: l’officina della creatività SUC, lo sportello ECO-EQUO, il parco dell’innovazione, un caffè letterario e il quartier generale della Fondazione Robert F. Kennedy. Le porte dell’ex carcere Le Murate sono state aperte per mostre, incontri, convegni e alte attività culturali. Meno fortunato il carcere borbonico sull’Isola di Santo Stefano a Ventotene: questa struttura ha ospitato fra i detenuti anche l’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ideato nel 1795, il carcere sorgeva nell’antico monastero dedicato al primo martire della chiesa cattolica: le 99 celle della struttura sono da tempo abbandonate. Nel 2010, spuntò l’idea, poi accantonata di trasformare la struttura in un resort a cinque stelle. Progetto poi abbandonato per assenza di spiagge nelle vicinanze, ma perché non prendere esempio dalle altre città?

fonte: ilghirlandaio.com


Carceri, l’Europa condanna l’Italia E il ministro studia il caso Monza

carcere_2Monza – Celle piccole e sovraffollate, condizioni che violano i diritti dei carcerati e l’articolo 3 della convenzione europea sui diritti umani. La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti a Busto Arsizio e Piacenza, disponendo un risarcimento per totali 100mila euro e dando un anno di tempo per adeguarsi. La sentenza è «una mortificante conferma dell’incapacità a garantire i diritti elementari dei reclusi», ha commentato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Avvilita, ma non sorpresa» si è detta invece il ministro della Giustizia Severino. Sottolineando che sono urgenti «misure strutturali».
Lo stesso ministro ha recentemente avuto modo di analizzare la situzione del carcere di Monza, carente proprio dal punto di vista della struttura. Severino ha risposto a una interrogazione della senatrice monzese Anna Maria Mancuso disponendo un’indagine, conclusa a dicembre, che ha confermato le condizioni di difficoltà. Ma per ragioni economiche non possono essere erogati fondi ulteriori in questa fase di legislatura, rimandando un eventuale intervento al prossimo governo.

Mancuso aveva comunicato al ministro che «dal punto di vista abitativo la struttura risulta non essere idonea in quanto fatiscente a causa di consistenti infiltrazioni d’acqua, di muffe e macchie di umidità, pertanto senza i requisiti igienici necessari per essere abitata». Una condizione di difficoltà che ricade sui detenuti e su chi lavora in via Sanquirico. E che dovrebbe vedere l’intervento del ministero per prendere provvedimenti.


La mappa dei CIE d’Europa

Da decenni gli Stati membri hanno implementato azioni legislative, amministrative e politiche per arginare il fenomeno dell’immigrazione illegale. Tra queste, la decisione del 1990 di creare dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE).Migreurop pubblica una mappa per identificarli in Europa e rendere la loro esistenza nota. Nel 2012, circa 420 luoghi di detenzione sono stati registrati per una capacità totale di 37 000 posti. Dall’ultimo censimento, risalente al 2009, la durata massima del fermo dei migranti è cresciuta ben oltre il tempo necessario per l’esecuzione delle espulsioni: da 32 a 45 giorni in Francia, da 40 a 60 giorni in Spagna, da 2 a 18 mesi in Italia, da 3 a 18 mesi in Grecia.

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