Quattro nuove carceri in Sardegna al posto di due in chiusura: il punto dei detenuti nell’isola

aPer quattro carceri che aprono, due chiudono i battenti. E alle proteste sulla realizzazioni dei grandi istituti si contrappongono proteste, invece, contro la soppressione dei piccoli. Sembra un paradosso, ma i distinguo sono d’obbligo. Altre polemiche sono piovute sul Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria quando, il 21 marzo, ha confermato le indiscrezioni circolate sull’addio alle sezioni di Iglesias e Macomer, il primo dedicato ai sex offender, l’altro con estremisti islamici.

La voce più critica che si è levata appartiene a Claudia Lombardo, presidente del Consiglio regionale nata proprio nel Sulcis-Iglesiente. “È incredibile che il Dap tolga alla Sardegna realtà funzionanti come quelle di Iglesias e Macomer, e invece realizzi grandi carceri di massima sicurezza. Siamo di fronte al solito Stato patrigno”. Non era la sola a ritenere infausta questa scelta. In una cittadina come Iglesias, il carcere era quasi una risorsa, nonostante le difficoltà che il provveditorato ha incontrato, talvolta, per far lavorare in quel territorio i detenuti, tutti reclusi per reati legati alla violenza sessuale su donne o minori. Per la criminologa Cristina Cabras, professore associato alla facoltà di Scienze politiche di Cagliari, la decisione invece rispetta un ovvio criterio di razionalizzazione.

“L’Italia ha il triplo di carceri della Spagna con il minor numero di detenuti”, spiega riferendosi ai 223 istituti nostrani per 67mila detenuti, contro gli 82 edifici destinati ai 70mila prigionieri spagnoli. “Com’è possibile lasciare aperto un carcere come Lanusei, ad esempio, che ha soli 31 posti? Si tratta di un costo troppo elevato”. Cristina Cabras sta effettuando uno studio per conto del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) sulla recidiva dei detenuti sardi. In pratica, il provveditorato vuole capire cosa fanno gli ex reclusi una volta in libertà e se qui si raggiungano i livelli italiani, dove tornano a delinquere sette detenuti su dieci, una enormità. A piano carceri completato, la Sardegna sarà una regione ad “autarchia detentiva”, nel senso che ospiterà tutte le tipologie di reclusi, forse caso unico in Italia.

Basti pensare che qui hanno sede tre delle quattro colonie penali del Paese – Isili, Mamone, Is Arenas – che invece sono sotto utilizzate, anche perché i detenuti lavorano e vanno retribuiti. Poi ci saranno le due (forse tre) sezioni per i 41 bis a Uta e Bancali e i due bracci speciali a Massama e Nuchis per detenuti altrettanto pericolosi, quelli soggetti al regime di Alta sicurezza. Si tratta di affiliati alle cosche o comunque condannati per reati legati alla criminalità organizzata. Oppure, capimafia per i quali il regime di carcere duro non viene rinnovato e allora è “declassato” in Alta sicurezza. Ma il piano prevede anche la costruzione di un istituto per madri detenute con i loro figli a Senorbì: sarebbe il secondo in Italia, dopo quello di Milano.

Fonte: La Nuova Sardegna


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