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L’ossessione per una donna l’aveva portato a tornare in carcere tre giorni fa. Il 28enne rumeno che ieri pomeriggio si è tolto la vita alla Dozza era accusato di stalking nei confronti di una 31enne rumena. Era già stato in carcere per averla minacciata e perseguitata e aveva finito di scontare la pena a dicembre. Ma lunedì pomeriggio la donna, una ex prostituta di cui l’uomo era follemente invaghito e con la quale aveva avuto una relazione, Continue reading
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Un terzo per suicidio, un terzo per cause naturali e un terzo per ragioni da accertare. Sono 2.358 i prigionieri deceduti in Italia dal 2000 a oggi. Non solo in carcere, ma anche per strada, in caserma o in ospedale. Come insegnano i casi Aldrovandi e Cucchi. Morire di carcere (ma non solo). Sebbene l’Italia nel giugno scorso sia stata parzialmente graziata dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sul trattamento inumano e degradante nelle carceri, nel segreto della cattività si continua a morire. E non solo per suicidio. Continue reading
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La lettera che pubblichiamo e che chiediamo di diffondere il più possibile (siti, radio di movimento, situazioni di lotta ecc.) è un coraggioso atto di accusa contro il carcere di Terni e contro tutta l’amministrazione penitenziaria. Non ci facciamo certo illusioni su di un’inchiesta da parte della magistratura, ma non possiamo lasciare solo Maurizio, uomo retto che non ha mai avuto paura di esporsi. Il DAP e i carcerieri devono sapere che a fianco di Maurizio ci siamo tutti/e noi ad urlare che sono degli assassini.
Carissimi/e compagni/e
Prima di tutto vi devo dire una cosa che mi sono tenuto dentro e mi faceva male… ma la colpa non è solo mia e poi potete capire e commentare la situazione in cui mi sono trovato e che ora rendiamo pubblica.
L’anno scorso mentre a Terni ero sottoposto al 14 bis arrivarono due ragazzi, li sentivo urlare che volevano essere trasferiti perché le guardie avevano ammazzato un loro amico… così mi faccio raccontare tutto, e loro mi dicono che un loro amico di 31 anni era stato picchiato perché lo avevano trovato che stava passando un orologio (da 5 euro) dalla finestra con una cordicina, così lo chiamarono sotto e lo picchiarono dicendogli che lo toglievano anche dal lavoro (era il barbiere), lui minacciò che se lo avessero chiuso si sarebbe impiccato, così dopo le botte lo mandarono in sezione, lui cercò di impiccarsi ma i detenuti lo salvarono tagliando il lenzuolo, così quei bastardi lo chiamarono ancora sotto e lo presero a schiaffi dicendogli che se non si impiccava lo uccidevano loro. Così quel povero ragazzo è salito, ha preparato un’altra corda, i suoi amici se ne sono accorti ed hanno avvisato la guardia, ma nel frattempo era salito l’ispettore perché era orario di chiusura, l’agente iniziò a chiudere le celle, ne mancavano solo tre da chiudere, tra cui quella del povero ragazzo, i due testimoni gridano all’ispettore che il ragazzo si sta impiccando e per tutta risposta ricevono minacce di rapporto perché si rifiutavano di rientrare in cella, finché dalla paura anche loro sono rientrati dopo aver visto che il loro amico romeno si era lasciato andare dallo sgabello con la corda al collo, e quei bastardi hanno chiuso a tutti tornando dopo un’ora con il dottore che ne costatava la morte e facendo le fotografie al morto…
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L’elenco dei pestaggi di Stato è lungo. Il conto di chi ha pagato è misero da Aldrovandi a Bianzino, da Uva a Magherini: le battaglie dei familiari.
Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Riccardo Magherini. Quando la mente prova a ricordare i nomi di tutti gli uomini morti mentre si trovavano nelle mani dello Stato, ce n’è sempre qualcuno che sfugge, e non certo per dolo. La lista è troppo lunga.
E quelli che conosciamo, forse, non sono neanche tutti, perché se li conosciamo è solo per il merito, la tenacia e il coraggio delle loro famiglie, eroiche nel mostrare cosa lo Stato ha fatto ai loro cari e contemporaneamente nel mettersi contro quello stesso Stato. Ci vuole fegato nel sapere che si sta andando verso il massacro e che tutta quella battaglia di giustizia si risolverà in un nulla di fatto. Già, perché è questo quello che viene da pensare. Perché di fronte a quella lista così lunga di morti ammazzati, il conto di chi ha pagato si tiene in una mano. Come un pugno di mosche.
Il primo fu “Aldro”, e non perché fu il primo a morire, il 25 settembre 2005 a Ferrara, ma perché fu il primo a guadagnarsi le pagine dei giornali, dopo una battaglia instancabile di sua mamma Patrizia. Aldro aveva 18 anni quando incontrò la polizia: Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri non si accontentarono di mettergli le manette. Tre anni e sei mesi di reclusione per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”, sentenzia la Cassazione nel 2012. Tutti beneficiari dell’indulto, tre di loro rientrati in servizio a gennaio 2014.
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MONZA: a un mese dal tragico gesto di Giulia Meregalli un altro coetaneo e amico si e’ tolto la vita nel reparto di Psichiatria dove avrebbe dovuto essere curato
Si è tolto la vita nel bagno della propria camera nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale San Gerardo a Monza. A cercare la morte è stato un paziente di 28 anni ricoverato nella struttura del capoluogo brianzolo. Il fatto è avvenuto nella notte tra domenica e lunedì: inutili i tentativi di rianimare il giovane da parte degli infermieri che si sono precipitati nella stanza appena si sono accorti dell’accaduto. I primi rilievi sono stati effettuati dai carabinieri di Monza che sono accorsi sul posto ed è stata disposta l’autopsia sul cadavere. E’ stata aperta un’indagine e sono stati notificati avvisi di garanzia a medici e infermieri.
Fonte
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Uno studente di Tolosa colpito a morte da una granata assordante durante una notte di assedio al cantiere per la diga di Sivens.
La polizia francese le chiama armi non letali. Ma fanno male. Tanti sono stati feriti, Remi invece è morto. Un omicidio di Stato.
Aveva 21 anni. Non lo conoscevamo, ma era uno di noi. Uno dei tanti che hanno scelto di mettersi di mezzo, di lottare contro l’imposizione di un’opera inutile e costosa. Contro la distruzione di una zona umida, per un’agricoltura misurata sulla qualità, non sul peso, per una vita libera dalla feroce logica del profitto.
La piccola dimensione, l’autogestione dei territori e delle proprie vite, un’idea di relazioni sociali che rifiuta il profitto e sceglie la solidarietà, un’utopia concreta per tanti, in ogni dove, uniti al di là delle frontiere che separano gli uomini e le donne ma non le merci.
Leggendo i racconti di chi era in quei boschi, la mente è corsa ai nostri boschi, alle nostre valli, alla nostra lotta.
Giovedì 30 ottobre
ore 18 presidio al consolato francese di Torino in via Roma 366 – quasi all’angolo con piazza Carlo Felice
Ci sara’ anche il Movimento No Tav al presidio davanti al consolato francese di Torino per chiedere verita’ e giustizia per Remi.
Alla stessa ora è previsto un presidio anche al consolato francese di Milano in via della Moscova 12.
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Si è spento nel carcere nuovo di Civitavecchia un cittadino di 37 anni che, sebbene malato, tossicodipendente e in possesso di documentazione sanitaria che ne dimostrava l’incompatibilità col carcere, è morto per cause ancora da accertare nel penitenziario laziale. Dura la reazione del legale dell’uomo, che ha annunciato una battaglia senza quartiere affinché siano puniti gli errori dei magistrati che non hanno permesso il trasferimento del detenuto nella Comunità il Merro che, a sua volta, ha espresso il proprio shock per quanto accaduto. Parliamo del caso di Fabio Giannotta. Continue reading
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Un uomo è morto dopo sette giorni di ricovero nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Cagliari. Ora i giudici d’appello hanno confermato l’assoluzione dei medici. Scrivendo però che si tratta di un “macroscopico caso di malasanità”. E la figlia chiede: “Diventi un esempio”. Perché non si ripetano vicende come questa.
Si chiamava Giuseppe Casu. Faceva l’ambulante. Ed è morto dopo essere rimasto per sette giorni legato a un letto d’ospedale. I medici che lo hanno tenuto in queste condizioni sono stati assolti, anche in secondo grado. Ora però i giudici della corte d’appello di Cagliari hanno chiarito le motivazioni della sentenza. Di una assoluzione che, dicono, ha molti “ma”. Perché si tratta, scrivono i magistrati, di un «macroscopico caso di malasanità». Di una vicenda «dall’evoluzione incredibile» che deve essere conosciuta. Anche perché non è poi così “anormale” come sembra. Continue reading
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Novembre 2013: secondo contributo video realizzato dalla FOA Boccaccio e da Cordatesa a proposito di carcere. Le voci della cittadinanza monzese a confronto sul drammatico tema delle morti in carcere (e non solo).
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#2
E per chi se la fosse persa, qui la prima puntata
CLICCA PER LA VISIONE DEL VIDEO
#1
cordatesa.noblogs.org
boccaccio.noblogs.org
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In un periodo dove la repressione si fa sempre più sentire contro chi lotta per ribaltare questo esistente, in Val di Susa violenza poliziesca e perquisizioni con l’accusa famigerata di terrorismo contro i No Tav, a Modena arresti contro chi
lotta per buttare giù i CIE e a Milano per gli scontri contro lo sgombero dell’ex-Cuem in università, nel carcere di Cremona succedono in brevissimo due fatti: domenica un prigioniero tenta (e quasi ci riesce…) il più grande sogno di libertà, tentando di evadere e oggi (lunedì) si consuma l’ennesimo “suicidio di Stato” in questo putrido lager di Continue reading
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Tra 436 giorni i procedimenti contro i presunti colpevoli della morte di Giuseppe Uva rischiano di andare in prescrizione. Occorre mobilitarsi affinchè ciò non accada. nei prossimi giorni Lucia Uva ha convocato a Varese una manifestazione, è importante esserci. Contattate Lucia e fate di tutto per sostenere la sua lotta che è anche la nostra, per una giustizia giusta e una sicurezza sicura, e per il diritto alla verità.
Irene Testa
Associazione Detenuto Ignoto
se puoi comunicacelo, scrivendo a questo indirizzo mail: detenutoignotogmail.com
CASO UVA: PM DENUNCIATO = NON NOTIZIA
Nessuna tra le più importanti testate italiane oggi ha riportato questa notizia: una giovane donna, una comune cittadina ha sporto denuncia per favoreggiamento e abuso in atti d’ufficio contro un magistrato. Eppure nella giornata di ieri erano anche uscite un paio di agenzie. I protagonisti della storiaccia sono, loro malgrado la famiglia Uva e il pm Agostino Abate di Varese. La firmataria dell’esposto presentato ieri alla Procura di Brescia è Angela De Milato (figlia di Lucia Uva(nella foto), nipote di Giuseppe morto tra la notte del 14 giugno 2008). La ragazza è stata molto chiara: “Ho deciso di dire basta ai soprusi contro mia mamma e mio zio. Ho sporto denuncia contro il pm. Dovrà processare tutta la nostra famiglia per farci tacere”.
Sull’argomento, nei giorni scorsi Ilaria Cucchi aveva scritto una lettera riferendosi alle accuse mosse dal Csm a taluni magistrati che con le loro dichiarazioni avrebbero nuociuto all’immagine della Magistratura stessa. Ma Ilaria scrive anche: “Da cittadina mi chiedo come si possa non pensare che il primo pm del caso Aldrovandi non abbia nuociuto all’immagine della Magistratura querelando Patrizia Moretti per aver criticato le sue non indagini sulla morte del figlio. E che dire allora del dott. Agostino Abate, titolare personalizzato del caso della morte di Giuseppe Uva?. Quel pm non solo ha manifestato apertamente il suo odio personale nei confronti di Lucia allontanandola arbitrariamente dall’aula del suo processo un paio di volte insieme a noi, non solo l’ha infamata in modo subdolo facendo più volte esplicito riferimento al fatto che lei avrebbe “manipolato” il povero corpo di Giuseppe sul tavolo dell’obitorio in riferimento alle terribili 78 macchie di sangue che avevano i suoi pantaloni e che è stato dimostrato essere uscito dal suo povero ano, ma ora sta facendo di tutto per portare a prescrizione reati commessi in danno di suo fratello la notte in cui morì , sottraendoli alla cognizione di un cip quando lo stesso Giudice penale di Varese aveva ordinato che si procedesse nelle indagini per essi “.
Tornando alla questione Uva, evidentemente trattata come una “non-notizia” visto il silenzio tombale dei quotidiani la preoccupazione è grande. Perché Angela De Milato, semplice cittadina ha avuto un diverso trattamento da parte della stampa rispetto all’ultimo tweet di qualsiasi politicante di passaggio. O presunto tale.
Eppure questa donna nell’esposto presentato dal legale Fabio Amato ha dichiarato cose di importanza generale, considerando che quello che sta passando la famiglia potrebbe accadere ad ognuno di noi.
“Ritengo di dover denunciare le condotte e sottoporle all’autorità giudiziaria, chiedendo che vengano svolte indagini nei confronti del dott. Agostino Abate e di ogni altro che venisse ritenuto responsabile, per le ipotesi di reato che fossero ritenute sussistenti”.
I pm di Varese sono giunti peraltro a dare valutazioni sulle abitudini di vita di Giuseppe Uva definendolo anche un “senza fissa dimora”. Tralasciando poi il “dettaglio” che come era emerso nei giorni scorsi, la famiglia aveva già presentato richiesta di avocazione al procuratore generale della Corte d’Appello di Milano del procedimento penale (5509/09) della Procura di Varese. Un atto deciso alla luce delle stesse parole scritte dal pm: “La conclusione naturale di questa indagine doveva essere quindi la richiesta di archiviazione al competente Giudice, non emergendo ipotesi di reato di responsabilità…(prosegue)”. Smentendo poi se stesso poche righe più avanti: “Essendo quindi emerse ipotesi di reato a carico di persone indicate in rubrica non si procede alla richiesta di archiviazione e si formalizza il presente avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 415bis”.
Per chi non ricordasse la vicenda di Giuseppe Uva va detto che per quella morte non è ancora stato ascoltato nessun testimone (neppure l’amico Alberto Biggiogero condotto in caserma insieme a Giuseppe la stressa notte) e neppure messe agli atti delle conversazioni telefoniche registrate (disponibili in you tube) tra carabinieri e 118. In compenso però la sorella Lucia Uva è stata denunciata per gli insulti che aveva scritto contro quegli stessi carabinieri che al telefono ridacchiavano tra di loro parlando della notte precedente e facendo il nome di Giuseppe Uva. Traducendo: per il morto viene indagata la sorella per quello che ha scritto.
Ma torniamo all’atto di Angela: “I magistrati sono perfettamente consapevoli che tra 436 giorni si prescrivono tutti i reati configurati dagli avvocati miei e di mia mamma, ma anche dal Giudice penale di Varese, compreso quello ipotizzata bile in via riduttiva di omicidio colposo”.
“Che l’anomalo 425 bis sopra descritto dove si trasforma il 5509/09 in una diffamazione che vede imputata l’originale denunciante Lucia Uva, viene redatto e notificato, stranamente, proprio durante il procedimento istaurato presso la Procura Generale di Milano con richiesta di avocazione di quel fascicolo”. Termini che possono apparire incomprensibili ai non addetti ai lavori ma fondamentali per ogni singolo cittadino che potrebbe trovarsi nelle stesse condizioni della famiglia Uva. Tanto che riprendendo un passaggio della lettera di Ilaria Cucchi ci si chiede: “Forse per la giustizia le vite di Patrizia e Lucia non valgono un procedimento disciplinare verso che ha sbagliato e poi addirittura si accanisce contro di loro?”.
Sulla morte di Uva lo stesso Giudice di Varese Muscato, aveva espressamente disposto e ordinato che la Procura procedesse proprio su questi fatti specifici e sulla notizia di reato. Le parole del Giudice erano state: “Sullo sfondo va rimarcato con chiarezza come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Giuseppe Uva – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti propri della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se gli accadimenti intervenuti antecedentemente all’ingresso del oro congiunto in Ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote ragioni per le quali Giuseppe Uva – nei cui confronti risulta essere stato redatto un verbale di arresto o di fermo, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per la contravvenzione di cui all’art. 659 cp –è stato prelevato e portato in caserma, così come tuttora conosciuti rimangono gli accadimenti intervenuti all’interno della stazione dei carabinieri di Varese (certamente concitati, se è vero che sul posto confluirono anche alcune volanti della Polizia) ed al cui esito Uva – che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica – verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il Tso, Trattamento sanitario obbligatorio”.
Ma tutto ciò e molto altro ancora per i giornali è “non-notizia”…
di Elisabetta Reguitti
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