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Aggiornamenti sul caso Giuseppe Uva (presidio 16\4 e denuncia contro il PM)

uvaTra 436 giorni i procedimenti contro i presunti colpevoli della morte di Giuseppe Uva rischiano di andare in prescrizione. Occorre mobilitarsi affinchè ciò non accada. nei prossimi giorni Lucia Uva ha convocato a Varese una manifestazione, è importante esserci. Contattate Lucia e fate di tutto per sostenere la sua lotta che è anche la nostra, per una giustizia giusta e una sicurezza sicura, e per il diritto alla verità. 
Irene Testa

Associazione Detenuto Ignoto
se puoi comunicacelo, scrivendo a questo indirizzo mail: detenutoignotogmail.com 
CASO UVA: PM DENUNCIATO = NON NOTIZIA
Nessuna tra le più importanti testate italiane oggi ha riportato questa notizia: una giovane donna, una comune cittadina ha sporto denuncia per favoreggiamento e abuso in atti d’ufficio contro un magistrato. Eppure nella giornata di ieri erano anche uscite un paio di agenzie. I protagonisti della storiaccia sono, loro malgrado  la famiglia Uva e il pm Agostino Abate di Varese.  La firmataria dell’esposto presentato ieri alla Procura di Brescia è Angela De Milato (figlia di Lucia Uva(nella foto), nipote di Giuseppe morto tra la notte del 14 giugno 2008). La ragazza è stata molto chiara: “Ho deciso di dire basta ai soprusi contro mia mamma e mio zio. Ho sporto denuncia contro il pm. Dovrà processare tutta la nostra famiglia per farci tacere”.
Sull’argomento, nei giorni scorsi Ilaria Cucchi aveva scritto una lettera riferendosi alle accuse mosse dal Csm a taluni magistrati che con le loro dichiarazioni avrebbero nuociuto all’immagine della Magistratura stessa. Ma Ilaria scrive anche: “Da cittadina mi chiedo come si possa non pensare che il primo pm del caso Aldrovandi non abbia nuociuto all’immagine della Magistratura querelando Patrizia Moretti per aver criticato le sue non indagini sulla morte del figlio. E che dire allora del dott. Agostino Abate, titolare personalizzato del caso della morte di Giuseppe Uva?. Quel pm non solo ha manifestato apertamente il suo odio personale nei confronti di Lucia allontanandola arbitrariamente dall’aula del suo processo un paio di volte insieme a noi, non solo l’ha infamata in modo subdolo facendo più volte esplicito riferimento al fatto che lei avrebbe “manipolato” il povero corpo di Giuseppe sul tavolo dell’obitorio in riferimento alle terribili 78 macchie di sangue che avevano i suoi pantaloni e che è stato dimostrato essere uscito dal suo povero ano, ma ora sta facendo di tutto per portare a prescrizione reati commessi in danno di suo fratello la notte in cui morì , sottraendoli alla cognizione di un cip quando lo stesso Giudice penale di Varese aveva ordinato che si procedesse nelle indagini per essi “.
Tornando alla questione Uva, evidentemente trattata come una “non-notizia” visto il silenzio tombale dei quotidiani la preoccupazione è grande. Perché Angela De Milato, semplice cittadina ha avuto un diverso trattamento da parte della stampa rispetto all’ultimo tweet di qualsiasi politicante di passaggio. O presunto tale.
Eppure questa donna nell’esposto presentato dal legale Fabio Amato ha dichiarato cose di importanza generale, considerando che quello che sta passando la famiglia potrebbe accadere ad ognuno di noi.
“Ritengo di dover denunciare le condotte e sottoporle all’autorità giudiziaria, chiedendo che vengano svolte indagini nei confronti del dott. Agostino Abate e di ogni altro che venisse ritenuto responsabile, per le ipotesi di reato che fossero ritenute sussistenti”.
I pm di Varese sono giunti peraltro a dare valutazioni sulle abitudini di vita di Giuseppe Uva definendolo anche un “senza fissa dimora”. Tralasciando poi il “dettaglio” che come era emerso nei giorni scorsi, la famiglia aveva già presentato richiesta di avocazione al procuratore generale della Corte d’Appello di Milano del procedimento penale (5509/09) della Procura di Varese. Un atto deciso alla luce delle stesse parole scritte dal pm: “La conclusione naturale di questa indagine doveva essere quindi la richiesta di archiviazione al competente Giudice, non emergendo ipotesi di reato di responsabilità…(prosegue)”. Smentendo poi se stesso poche righe più avanti: “Essendo quindi emerse ipotesi di reato a carico di persone indicate in rubrica non si procede alla richiesta di archiviazione e si formalizza il presente avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 415bis”.
Per chi non ricordasse la vicenda di Giuseppe Uva va detto che per quella morte non è ancora stato ascoltato nessun testimone (neppure l’amico Alberto Biggiogero condotto in caserma insieme a Giuseppe la stressa notte) e neppure messe agli atti delle conversazioni telefoniche registrate (disponibili in you tube) tra carabinieri e 118. In compenso però la sorella Lucia Uva è stata denunciata per gli insulti che aveva scritto contro quegli stessi carabinieri che  al telefono ridacchiavano tra di loro parlando della notte precedente e facendo il nome di Giuseppe Uva. Traducendo: per il morto viene indagata la sorella per quello che ha scritto.
Ma torniamo all’atto di Angela: “I magistrati sono perfettamente consapevoli che tra 436 giorni si prescrivono tutti i reati configurati dagli avvocati miei e di mia mamma, ma anche dal Giudice penale di Varese, compreso quello ipotizzata bile in via riduttiva di omicidio colposo”.
“Che l’anomalo 425 bis sopra descritto dove si trasforma il 5509/09 in una diffamazione che vede imputata l’originale denunciante Lucia Uva, viene redatto e notificato, stranamente, proprio durante il procedimento istaurato presso la Procura Generale di Milano con richiesta di avocazione di quel fascicolo”. Termini che possono apparire incomprensibili ai non addetti ai lavori ma fondamentali per ogni singolo cittadino che potrebbe trovarsi nelle stesse condizioni della famiglia Uva. Tanto che riprendendo un passaggio della lettera di Ilaria Cucchi ci si chiede: “Forse per la giustizia le vite di Patrizia e Lucia non valgono un procedimento disciplinare verso che ha sbagliato e poi addirittura si accanisce contro di loro?”.
Sulla morte di Uva lo stesso Giudice di Varese Muscato, aveva espressamente disposto e ordinato che la Procura procedesse proprio su questi fatti specifici e sulla notizia di reato. Le parole del Giudice erano state: “Sullo sfondo va rimarcato con chiarezza come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Giuseppe Uva – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti propri della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se gli accadimenti intervenuti antecedentemente all’ingresso del oro congiunto in Ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote ragioni per le quali Giuseppe Uva – nei cui confronti risulta essere stato redatto un verbale di arresto o di fermo, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per la contravvenzione di cui all’art. 659 cp –è stato prelevato e portato in caserma, così come tuttora conosciuti rimangono gli accadimenti intervenuti all’interno della stazione dei carabinieri di Varese (certamente concitati, se è vero che sul posto confluirono anche alcune volanti della Polizia) ed al cui esito Uva – che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica – verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il Tso, Trattamento sanitario obbligatorio”.
Ma tutto ciò e molto altro ancora per i giornali è  “non-notizia”…
di Elisabetta Reguitti

 


La notte mai terminata di Giuseppe Uva

Adriano Chiarelli, l’autore di “Malapolizia” ricostruisce in un docufilm, “Nei secoli fedele”, le ultime ore di vita del giovane varesino. Fermato da una pattuglia di carabinieri nella notte fra il 14 e il 15 giugno 2008, il 43enne varesino, morì il giorno dopo nell’ospedale della sua città

ASCOLI PICENO – In una notte di metà giugno Giuseppe Uva eAlberto Biggiogero, dopo una cena, raggiungono a piedi il centro di Varese. Hanno bevuto un po’ e spostano delle transenne al centro della strada. Arriva sul posto una pattuglia di carabinieri e l’agente Dal Bosco inizia ad aggredire verbalmente e fisicamente i due uomini. Per Uva è l’inizio di una lunga notte, che non riuscirà a superare.

 Adriano Chiarelli, già autore di “Malapolizia” (Newton & Compton, pp. 336, 9,90 euro) e assistente alla regia di Paolo Sorrentino, ha deciso di ricostruire questa triste vicenda perché “Qui si uniscono tre tipi di mala gestione: quella dei carabinieri, della polizia e delle sanità” come ha affermato sabato sera, 22dicembre, presso la sala della Biblioteca di Storia Contemporanea “Ugo Toria”, in occasione della proiezione di “Nei secoli fedele.

All’evento, promosso dal collettivo Brigata 3 Ottobre, non è potuta intervenire per problemi di salute la battagliera protagonista del docufilm, Lucia Uva, sorella della vittima, che si batte da anni insieme all’avvocato Fabio AnselmoIlaria Cucchi e Patrizia Moretti (madre si Federico Aldrovandi) per l’introduzione nel codice penale italiano del reato di tortura.

Chiarelli piacciono poco i giri di parole e, per niente interessato a caratterizzare il suo lavoro con una estetica enfatica, si preoccupa di far emergere in maniera chiara quei pochi fatti faticosamente riconosciuti come verità processuali e quelli che ancora rimangono fuori dal procedimento, per incuria o non si sa bene cos’altro, ma che sarebbero determinanti per stabilire la verità.

Il 14 marzo 2013 inizierà il processo bis relativo al caso Uva. Per i familiari e la sorella Lucia in particolare rappresenta l’occasione per fare chiarezza su quanto accaduto al fratello più di 4 anni fa. L’anno scorso il tribunale di primo grado, dopo aver disposto una nuova perizia sul cadavere di Giuseppe, ha assolto i due medici accusati di omicidio colposo durante l’espletamento del trattamento sanitario obbligatorio a cui l’uomo fu sottoposto. Dal secondo esame medico-legale è emerso che a causare la morte del gruista varesino non sarebbero stati i farmaci somministrati e l’assunzione di alcool.

La speranza della famiglia Uva e dell’avvocato Anselmo è che il fascicolo non sia rimesso in mano al P.M. Abateresponsabile secondo loro di aver formulato dei capi d’accusa errati. Sarebbe inoltre importante capire che cosa sia successo durante le 3 ore in cui Giuseppe è stato trattenuto in caserma da8 tra carabinieri e poliziotti. Biggiogero, unico testimone presente in caserma non è mai stato sentito, come non sono mai stati interrogati gli esponenti delle forze dell’ordine presenti. Sono molto eloquenti invece le foto del cadavere, in particolar modo quelle che ritraggono la parte posteriore dei suoi pantaloni, macchiata da un’estesa chiazza di sangue, riconducibile, secondo il dottor Fineschi consulente della difesa, a gravi lesioni interne.

Casi come questo, come quello di Cucchi e altri ancora meno conosciuti, che Chiarelli affronta nel suo libro, dimostrano quanto sia labile, in alcuni casi, il confine fra tutela dell’ordine pubblico e abuso di potere e come spesso si preferisca insabbiare realtà scomode. Maturare una coscienza civile riguardo a questi casi, seppur spiacevole, è necessario. Troppo spesso, prima dei fatti del G8, non si è data la giusta attenzione agli abusi commessi dalle forze dell’ordine, perché magari le vittime venivano etichettate come sbandati, innescando così una sorta di legittimazione alla “pulizia” sociale da parte di polizia e carabinieri.

Chiarelli sottolinea che l’Italia non ha ancora recepito il codice di condotta europeo per le forze dell’ordine, ma la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dal 2009 produce degli obblighi internazionali, anche più stringenti, che il nostro Paese ha il dovere costituzionale di rispettare. L’articolo 3 di questa Convenzione annovera il reato di tortura. Se la famiglia Uva e il suo difensore decidessero di fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti, avrebbero a disposizione un precedente anche in caso di prescrizione del reato: con sentenza emessa nel marzo del 2011, la Corte di Strasburgo dichiarava l’incompatibilità rispetto al diritto alla vita del proscioglimento per prescrizione di un imputato riconosciuto colpevole di omicidio a distanza di meno di 10 anni dal compimento del reato.

Il ricorso alla Corte Europea, se diventasse un’abitudine costante in questi casi, potrebbe aiutare a superare le resistenze interne del nostro ordinamento, visto che le parole e le petizioni sul web hanno dato prova di non essere il mezzo adeguato, incidendo così sui lavori della Commissione Giustizia, che si sta occupando dell’inserimento nel nostro codice penale del reato di tortura.