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Oggi è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

00-devid1Anche quest’anno, in occasione del 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, l’Associazione Centro Antiviolenza Onlus di Parma rende pubblici i dati che la riguardano e presenta le iniziative che la coinvolgeranno.
Al 31 ottobre 2014, sono 225 le donne accolte al Centro Antiviolenza, di cui 210 hanno subito violenza, Continue reading


“Vi racconto le torture che ho subito a Guantanamo”

cordatesaFu vittima di torture, picchiato e umiliato nel carcere vergogna di GuantanamoMohamedou Ould Slahi, un cittadino della Mauritania, ha deciso di raccogliere in un libro di memorie la sua storia, raccontata dalla rivista Slate che ne ha pubblicato diversi estratti. Dal racconto emergono dettagli imbarazzanti per gli Stati Uniti: nonostante Obama abbia ribadito pochi giorni fa di non aver cambiato linea e di continuare a ritenere necessario la chiusura del centro di detenzione, la situazione resta pesante. Anche perché da due settimane prosegue lo sciopero della fame all’interno della struttura penitenziaria. L’immagine della guerra al terrore voluta da George W. Bush dopo l’11  settembre.

IL RACCONTO E LE TORTURE – Detenuto a Guantanamo Bay a Continue reading


Violenza nel carcere di Voghera, detenuto picchia tre agenti

stampelleUna stampella usata come arma contro quattro agenti di polizia penitenziaria, tre dei quali hanno dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso. E’ accaduto l’altro pomeriggio all’interno della casa circondariale di Voghera e ora ci si interroga sulle politiche di “apertura” che l’intera Amministrazione penitenziaria sta seguendo.

«Quello che si è verificato a Voghera è senza dubbio un episodio isolato —  dice Gian Luigi Madonia, segretario regionale della Uil di categoria —  deve comunque far riflettere e, se occorre, far compiere qualche passo indietro. L’istituto sta vivendo un momento storico di sostanziale serenità, anche dal punto di vista lavorativo, con molti obiettivi raggiunti ed altrettante conquiste sindacalima non deve rimetterci il personale. Il responsabile dell’aggressione deve essere immediatamente trasferito e sottoposto a idonee misure di vigilanza, più restrittive».

L’episodio al quale il sindacalista si riferisce è quello che ha avuto per protagonista un detenuto comune di nazionalità italiana al rientro dall’infermeria. Dopo un’incomprensione con un medico specialista, si è scagliato contro alcuni agenti di polizia penitenziaria. Tre agenti sono stati trasportati al pronto soccorso con prognosi fino a 20 giorni. «E’ stato un fulmine al ciel sereno quello che si è abbattuto sull’istituto di Voghera — aggiunge Madonia — che, già da qualche tempo, aveva raggiunto equilibrio e serenità, soprattutto per la gestione detenuti. La direzione ha rivalorizzato i rapporti con il territorio e sono state potenziate le opportunità di trattamento per i detenuti. Una clima reso tangibile anche grazie all’apporto di tutti: polizia penitenziaria, personale civile, volontari». Nonostante gli organici limitati, perché mancano 40 persone all’organico.

«E con questi numeri l’istituto è prossimo all’ampliamento per l’apertura di un nuovo padiglione.Ma è anche preoccupante la scarsissima presenza di ispettori e sovrintendenti, figure fondamentali di raccordo tra vertici dell’istituto e personale  — conclude il sindacalista della Uil —  La carenza dei sottufficiali è di circa 25 unità. Come si può pensare di fare trattamento e garantire sicurezza senza almeno un adeguamento del personale? E’ utile che l’amministrazione penitenziaria avvii uno studio sulla destinazione d’uso del penitenziario di via Prati Nuovi che senza uomini sarebbe una struttura fuori legge e ad alto rischio».

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Violenze a detenuti del carcere ad Asti: quattro agenti coinvolti, due hanno perso il lavoro

cerco lavoroAd Asti, non si è ancora conclusa una inchiesta condotta nel carcere per accertare le responsabilità di quattro agenti della polizia penitenziaria che nel 2004 erano accusati di abuso di autorità per aver picchiato e perseguitato un detenuto.

Processati nel gennaio 2012 per due agenti era scattata la prescrizione del reato e due erano stati assolti per assenza di querela da parte del detenuto.

Ieri, l’apposita commissione del “Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria” di Roma, a conclusione di un’istruttoria amministrativa ha destituito dal Corpo della Polizia Penitenziaria due degli agenti accusati di violenze e vessazioni. Si è immediatamente provveduto al ritiro della pistola e del distintivo.

Come conseguenza i due poliziotti dovranno trovarsi un altro lavoro. Gli altri due sono stati sospesi dal lavoro per alcuni mesi. Per i quattro c’è ancora la possibilità di ricorrere al Tribunale Amministrativo.

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Donna somala in prigione per aver denunciato il suo stupro

silenzioLei aveva avuto un grande coraggio a raccontare la violenza subita in un campo profughi di Mogadiscio al giornalista freelance, Abdiaziz Abdnur Ibrahim. Un’accusa pesante nei confronti delle forze di sicurezza che, secondo voci insistenti, si approfittano delle rifugiateMa quel momento di verità le costerà caro. Ieri è stata condannata da un tribunale di Mogadiscio a un anno di carcere per “oltraggio alle istituzioni” e un’identica pena è stata inflitta al free lance che l’aveva intervistata senza però aver mai pubblicato il pezzo (nella foto la lettura del verdetto).  L’uomo, già detenuto, comincerà subito a scontare la punizione. A salvarlo non sono bastate le rassicurazioni di Al Jazeera, che aveva mandato in onda un’inchiesta sugli abusi ma che ha sempre negato il coinvolgimento di Ibrahim nel servizio. Per la donna, invece, si apriranno le porte del carcere quando avrà finito di allattare il suo bambino.

Il caso è talmente eclatante che ha destato l’indignazione del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: “Le Nazioni Unite hanno ripetutamente espresso allarme davanti alle notizie di violenze diffuse nei campi per profughi intorno e a Mogadiscio – ha detto  -. Questi delitti non vengono denunciati abbastanza spesso a causa dei rischi per le vittime, i testimoni e i familiari”. Ban ha voluto lodare “lo straordinario coraggio” della donna “per uscire allo scoperto”.

Il processo è sembrato fabbricato sin dall’inizio.  Il 18 gennaio il governo aveva sostenuto in un comunicato ufficiale che la denuncia della donna era falsa e che la vicenda era una montatura.

Lo scorso novembre, il presidente Hassan Sheikh Mohamud aveva dichiarato che gli appartenenti alle forze di sicurezza responsabili di stupro avrebbero dovuto essere puniti, prospettando addirittura la pena di morte. Aspettiamo ancora che in carcere ci vadano gli aggressori e non le vittime.

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Brasile: attentati lanciati dal carcere, paralizzato lo stato di Santa Caterina

Lo stato di , nel sud del , è diventato teatro di attentati contro autobus e commissariati della polizia organizzati da detenuti del gruppo Primeiro Grupo Catarinense (), che rivendicano maggiori diritti nelle carceri. Lo stato ha registrato 54 attacchi dal 30 febbraio, e il governatore Raimundo Colombo ha chiesto l’appoggio del governo federale per far fronte alla crisi.

carcere-brasiliano-brasile-espirito-santoL’ondata di violenza, nella quale sono stati dati alle fiamme veicoli, autobus e basi di polizia in 18 città dello stato, ha finora lasciato un morto, un ferito e 24 arresti. Si tratta della seconda serie di attentati in Santa Catarina da novembre, quando il Pgc aveva realizzato i suoi primi attacchi, almeno 68.

Colombo, riunitosi questa settimana con il ministro della Giustizia José Eduardo Cardozo, ha proposto il trasferimento dei detenuti Pgc in carceri federali di massima sicurezza.

Secondo la stampa locale, la mole di attentati è aumentata dopo che il quotidiano A Noticia, di Joinville (la maggiore città dello stato), diffondesse un video girato il 18 gennaio che mostra alcuni agenti penitenziari che maltrattano dei prigionieri, nudi e accovacciati, con bombe lacrimogene, spray al peperoncino e proiettili di gomma. Tutti gli agenti sono stati licenziati e sono sotto processo per abusi.

Il segretario della Sicurezza Pubblica dello stato, Cesar Grubba, ha ammesso che gli attacchi sono diretti dalle carceri.

Il Pgc segue il modello di attacchi ideato da Primeiro Comando da Capital (), la maggiore organizzazione criminale brasiliana nata nel 1993 da narcotrafficanti attualmente detenuti nel carcere di Taubaté, a 141 chilometri da . Nel 2008 Pcc ha paralizzato la più grande città brasiliana con una serie di attentati. Entrambe i gruppi entrano in azione, coordinando attacchi contro le città, quando si verificano abusi delle autorità nei centri penitenziari.

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Avellino: il carcere di Bellizzi Irpino… come quello iracheno di Abu Ghraib?

Nel carcere Bellizzi Irpino di Avellino ci sono dieci celle di isolamento. Dieci celle piccole, sporche, buie e rovinate, dove pare che accada di tutto. Maltrattamenti, violenze, abusi.

jailDieci piccole celle che ricordano, e non poco, ciò che accadeva nel carcere di Abu Ghraib…

“Nelle celle di isolamento del carcere di Avellino – racconta Paolo nell’ultima puntata di Radio Carcere su Radio Radicale – le persone vengono sistematicamente maltrattate. I detenuti vengono spogliati, picchiati e poi lasciati nudi su materassi bagnati, con addosso una coperta bagnata e vengono lasciati lì con la finestrella della cella spalancata. Ho passato un mese in quelle celle di isolamento e ne ho visti tanti trattati così”.

Ma perché una persona detenuta subisce questi maltrattamenti nel carcere di Avellino?

Secondo Paolo i motivi sono spesso banali. O perché si chiede pacificamente un trasferimento o perché si chiede di essere curati. “Ricordo un signore che chiedeva solo dei medicinali per essere curato – precisa Paolo – ebbene quel signore, è stato spogliato, picchiato e poi messo in una cella di isolamento con altri detenuti. Io l’ho visto quel signore con gli atri detenuti in quella cella ed è stato terribile. Erano in tre, nudi, infreddoliti e rannicchiati uno vicino all’altro sullo stesso materasso (ovviamente bagnato) sembravano tre cagnolini maltrattati. È stato agghiacciante!”.

Già agghiacciante. E non solo per il racconto di Paolo, ma soprattutto per la sistematicità, per il metodo che pare caratterizzare tali maltrattamenti.

“È vero – risponde Paolo – nelle celle di isolamento del carcere di Avellino c’è un metodo, un metodo ai maltrattamenti. Un metodo che viene attuato sistematicamente sempre dagli stessi agenti. Agenti che abbiamo ribattezzato “il clan”, proprio perché sono sempre gli stessi. Sono gli esperti delle torture che si consumano nel carcere di Avellino”.

Ora è lecito domandarsi: ma perché nessuno nel carcere di Avellino denuncia questi maltrattamenti?

Secondo Paolo, perché regna una grande omertà, e non solo tra gli agenti.

“Anche i medici – precisa Paolo – conoscono queste realtà, ma non fanno nulla per fermare le torture. Si limitano a passare davanti a quelle celle e a darci le gocce per farci dormire”.

E la direttrice del carcere?

“C’ero anche io quando la direttrice è passata davanti a quelle celle di isolamento – risponde Paolo – ha visto quei detenuti spogliati, ma nulla è stato fatto. Eppure, tempo fa un ragazzo è morto in quelle maledette celle di isolamento, o meglio, non ce l’ha fatta più e si è impiccato”.

Dunque, la prigione di Avellino come quella di Abu Ghraib?

Nell’impossibilità di verificare la veridicità del racconto di Paolo, si spera che la magistratura risponda a questa domanda.


Sui TSO e come difendersi

Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)

Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) è l’erede della coazione e della violenza che ha sempre contraddistinto la (incon)scienza psichiatrica dal suo sorgere.

tsoThomas Szasz lo definisce un crimine contro l’umanità. Di fatto la psichiatria ha sempre fondato la sua azione sull’uso della forza per piegare la resistenza di coloro che non si piegavano (e non si piegano) alle sue diagnosi e ai suoi (mal)trattamenti.

La legislazione italiana, che viene considerata come la più avanzata del mondo nel campo della difesa dei diritti degli utenti dei servizi psichiatrici, ha mantenuto, nello smantellare le strutture manicomiali, l’istituto e la logica che ne rappresentavano le fondamenta: il trattamento coatto.

Non tutti sanno che la pluridecorata “legge 180” in realtà si occupa di regolare le situazioni in cui e le procedure con cui gli psichiatri possono obbligarci a sottostare alle loro “diagnosi” e “terapie”. Aldifuori di queste situazioni, previste dalla legge, ogni azione contro la nostra volontà rappresenta una violazione dei nostri diritti e un comportamento rilevante dal punto di vista penale.

In questi ultimi anni sono nati in varie parti d’Italia gruppi di azione di tutela e di difesa dagli abusi psichiatrici (generalmente sedi di Telefono Viola) che cercano di fornire informazioni legali precise a coloro che sono minacciati dai servizi psichiatrici.

Scopo di questa sezione è fornire agli interessati informazioni e strumenti pratici di autotutela dai trattamenti psichiatrici coatti a partire dall’esperienza maturata dal movimento antipsichiatrico italiano.

Ulteriori contatti e approfondimenti possono essere richiesti contattando il nostro sportello di consulenza online.


TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO – Scheda informativa

COS’ E’ ricovero psichiatrico coatto (contro la nostra volontà)
CHI LO DISPONE il Sindaco del comune di residenza o presso cui ci si trova
CHI LO PROPONE un medico (non importa se psichiatra o meno, appartenente alla struttura pubblica o privato)
CHI LO CONVALIDA un medico operante nella struttura sanitaria pubblica (spesso l’Ufficiale Sanitario)
QUANDO PUO’ ESSERE FATTO quando i due medici di cui sopra dichiarano:

  • che la persona è affetta da alterazioni psichiche tali da doversi attivare urgenti interventi terapeutici;
  • che la stessa rifiuta tali interventi;
  • che non esistano alternative extraospedaliere al ricovero.
CHI VIGILA Il Giudice Tutelare competente nel territorio del Comune che ha disposto il TSO (generalmente operante presso le preture). A lui il Sindaco deve inviare, entro 48 ore dalla firma, il provvedimento corredato dalle certificazioni mediche. Il Giudice Tutelare assunte le informazioni del caso può convalidare o non convalidare il ricovero
DOVE PUO ESSERE EFFETTUATO IL RICOVERO solo presso i reparti psichiatrici istituiti presso gli ospedali civili
QUANTO DURA 7 (sette) giorni; rinnovabili con provvedimento del Sindaco su proposta del Primario del reparti psichiatrico
CHI VIGILA SUL RINNOVO DEL TSO il Giudice Tutelare. A lui Sindaco manda il provvedimento di proroga del TSO per la convalida
CHE DIRITTI ABBIAMO
  1. abbiamo diritto alla notifica del provvedimento di TSO. In assenza di questa notifica nessuno può obbligarci a seguirlo o ad assumere terapie (esclusi i casi di comportamenti penalmente rilevanti e i casi in cui si ravvisano gli estremi dello stato di necessità);
  2. abbiamo diritto di presentare ricorso avverso al TSO al Sindaco che lo ha disposto. Questo ricorso può essere proposto anche da chi ne ha interesse (familiari, amici, associazioni…). Per ridurre i tempi conviene inviarne copia al Giudice Tutelare, specie se il ricorso parte entro le prime 48 ore dal ricovero (quando presumibilmente lo stesso non ha ancora convalidato il provvedimento);
  3. abbiamo diritto di avanzare richiesta di revoca al Tribunale, chiedendo la sospensione immediata del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo;
  4. abbiamo diritto di scegliere, ove possibile, il reparto presso cui essere ricoverati;
  5. abbiamo diritto di conoscere le terapie che ci vengono somministrate e di poter scegliere fra una serie di alternative;
  6. abbiamo diritto di comunicare con chi riteniamo opportuno;
  7. abbiamo diritto di essere rispettati nella nostra dignità psichica e fisica. Anche se sottoposti a TSO nessuna contenzione fisica può esserci applicata, se non in via eccezionale e per il tempo strettamente necessario alla somministrazione della terapia. Gli atti di contenzione di natura punitiva sono reati penalmente perseguibili;
  8. abbiamo diritto di dettare nella nostra cartella clinica ogni informazione riguardante il nostro stato di salute e i trattamenti che riceviamo;
  9. abbiamo diritto di conoscere i nomi e la qualifica degli operatori del reparto (essi devono indossare cartellini di riconoscimento)

Cos’è il Trattamento Sanitario Obbligatoriotso1

Il T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è un provvedimento emanato dal Sindaco che dispone che una persona sia sottoposta a cure psichiatriche contro la sua volontà, normalmente attraverso il ricovero presso i reparti di psichiatria degli ospedali generali (SPDC – Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura).

In alcune zone del nostro paese è uso consolidato attuare il TSO, oltre che nei reparti psichiatrici, anche presso il domicilio della persona. Ma in linea generale e nella stragrande maggioranza dei casi, il provvedimento di TSO si risolve nell’accompagnamento coatto, tramite i vigili urbani, presso i reparti psichiatrici.

La legge regola due istituti di coercizione: l’A.S.O. (accertamento sanitario obbligatorio) e il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).

Il Sindaco può emanare l’ordinanza di TSO nei confronti di un libero cittadino solo in presenza di due certificazioni mediche che attestino che: 1. la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici; 2. gli interventi proposti vengono rifiutati; 3. non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere.

Le tre condizioni di cui sopra devono essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico (che può essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi esercente la professione medica) e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura pubblica. La legge non prevede che i due medici debbano essere psichiatri.

Le certificazioni oltre a contenere l’attestazione delle condizioni che giustificano la proposta di TSO, devono essere motivate nella situazione concreta. In altre parole non dovrebbero essere ammesse certificazioni che si limitano alla mera enunciazione delle tre condizioni, né tantomeno prestampati. Così come non dovrebbero essere prese in considerazione certificazioni che si limitano alla sola indicazione della diagnosi. In realtà l’uso di prestampati è una prassi comune accettata dai sindaci e dai giudici tutelari che dovrebbero vigilare sul rispetto delle procedure e delle garanzie previste dalla legge. (Nella sezione sentenze trovate alcune decisioni della magistratura che ratificano l’obbligo di motivare i TSO in maniera sostanziale e non meramente formale).

Ricevute le certificazioni mediche, il sindaco ha 48 ore per disporre, tramite un’ordinanza, il trattamento sanitario obbligatorio facendo accompagnare la persona dai vigili urbani presso un reparto psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC). In genere il reparto è scelto secondo la disponibilità dei posti, ma in teoria la legge fornisce il diritto alla persona di scegliere il reparto dove essere ricoverati. Va sottolineato comunque che il TSO può essere realizzato solo in questi reparti. Qualsiasi altro ricovero in una qualsiasi altra struttura psichiatrica o sociale, indipendentemente dalle modalità con cui avviene, è da considerarsi sempre ricovero volontario. Nessuno può essere trattenuto contro la sua volontà presso nessuna di queste strutture e, in SPDC, ciò è possibile solo in presenza di un provvedimento di TSO.

Un capitolo importante in questa fase, non ancora approfondito e affrontato dal movimento antipsichiatrico, è quello della notifica del TSO a chi vi è sottoposto. In altre parole, come fa un cittadino a difendersi legalmente rispetto ad un atto di cui non è a conoscenza? E ancora, come si fa a sapere quando si è obbligati alle cure e quando invece abbiamo ogni diritto legale di rifiutarle? In genere le persone si orientano a naso nelle situazioni. Se si è fuori, è la presenza dei vigili urbani che ci fa supporre di essere in TSO; se si è già ricoverati, volontari o meno, ci si fa capire subito che non abbiamo alcun diritto e dobbiamo sottostare alle cure senza avere possibilità di andarcene o di rifiutarle.

La notifica del provvedimento va richiesta nel momento in cui qualcuno ci impone di seguirlo, di assumere una terapia, di entrare in un reparto. In assenza di tale provvedimento, infatti, ogni azione di coazione nei nostri confronti può essere denunciata come reato penale. Restano fuori le situazioni in cui può essere invocato l’art. 56 del codice penale sullo stato di necessità (“non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o d altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo). Negli altri casi possono ravvisarsi gli estremi di violenza privata, sequestro di persona…

Pur se la legge non dispone esplicitamente l’obbligo di tale notifica, lo stesso è connaturato alla natura stessa del provvedimento. Il TSO infatti è un provvedimento di limitazione della libertà personale (necessita infatti, come vedremo, della convalida dell’autorità giudiziaria) e ha la forma giuridica dell’ordinanza sindacale che, come sappiamo, acquista efficacia in ragione della notifica ai soggetti interessati (si pensi alle ordinanze di sgombero….). Ciononostante non ci risulta che tale obbligo venga soddisfatto da nessuno dei Sindaci italiani che emanano provvedimenti di TSO. Da qui la campagna del Comitato d’Iniziativa Antipsichiatrica che rivendica, fra gli altri, il diritto alla notifica del TSO a chi vi è sottoposto.

Una volta che il sindaco ha emanato il provvedimento di TSO, e esso ci è stato notificato, possiamo essere condotti presso uno dei reparti di psichiatria (SPDC – servizio psichiatrico diagnosi e cura) funzionanti presso gli ospedali generali. In nessun caso possiamo essere condotti contro la nostra volontà in altre strutture psichiatriche sia pubbliche che private (reparti universitari, comunità alloggio, Comunità etc.).

Il Sindaco ha l’obbligo di inviare il provvedimento di TSO al Giudice Tutelare (entro le 48 ore successive al ricovero) per la necessaria convalida. Il Giudice Tutelare, assunte le informazioni del caso, convalida il provvedimento entro le 48 ore successive. La mancata convalida da parte del Giudice Tutelare del provvedimento fa decadere automaticamente il TSO.

L’esperienza maturata negli anni ci dice che il Giudice Tutelare raramente esercita la sua funzione di controllo sui TSO. In genere si limita ad un controllo “formale”, verificando se la documentazione è completa e se sono stati rispettati i tempi di notifica del provvedimento etc. In realtà detto controllo potrebbe avere effetti più incisivi se i Giudici Tutelari esercitassero concretamente i loro poteri di convalida (vedi a proposito la sentenza del pretore di torino).

Una volta ricoverati in TSO presso il servizio psichiatrico i nostri diritti (primo fra tutti quello alla libertà di movimento e di scelta) vengono limitati e siamo obbligati a subire gli interventi degli operatori del reparto.Anche in questa situazione di coazione manteniamo una serie di diritti inalienabili.

  1. Possiamo fare ricorso al Sindaco contro il TSO. Questa possibilità, oltre che all’interessato, è allargata a “chiunque vi abbia interesse” (quindi anche amici, familiari, associazioni…). Il Sindaco deve rispondere entro 10 giorni. Fatto paradossale se si pensa che il TSO dura di norma 7 (sette) giorni, eventualmente prorogabili di 7 giorni in 7 giorni. Se presentiamo ricorso entro le 48 ore successive al ricovero, è conveniente mandarne copia al Giudice Tutelare per attivarne l’azione di controllo. In caso di risposta negativa, il ricoverato può presentare richiesta di revoca direttamente al Tribunale, chiedendo al contempo la sospensione immediata del TSO e delegando una persona di sua fiducia per rappresentarlo in giudizio davanti al Tribunale.
  2. Seppure non possiamo rifiutare le cure, abbiamo senzaltro diritto di essere informati sulle terapie che ci sono somministrate e di poter scegliere su un ventaglio di proposte diverse. In ogni caso, è conveniente, ove le terapie somministrateci ci risultino particolarmente invasive, presentare al responsabile del reparto una dichiarazione di diffida ai sanitari rispetto alla somministrazione di terapie che si ritengano lesive, chiedendo che venga inserita nella nostra cartella clinica.
  3. Anche se ci viene fatto credere il contrario, il TSO non giustifica la contenzione o la violenza fisica ai danni di chi vi è sottoposto. L’uso della forza deve essere sempre legato alle esigenze terapeutiche e non travalicare il rispetto della dignità e dell’integrità fisica della persona. Non è quindi legalmente ammissibile l’uso punitivo della contenzione, le violenze fisiche e verbali degli infermieri, l’essere legati per un periodo superiore a quello necessario alla somministrazione di una terapia… Queste situazioni vanno e possono essere denunciate alla magistratura.
  4. Abbiamo diritto di comunicare con chi riteniamo opportuno. In questo senso non è ammissibile una selezione da parte del personale dei soggetti autorizzati a entrare in contatto con noi. Ciò è molto importante perché gli operatori tendono a limitare l’accesso a coloro che possono darci una mano a praticare i nostri diritti. In questo senso è importante per coloro che sono a rischio di TSO rivolgersi alla sede di telefono viola più vicina e sottoscrivere la Procura contro i trattamenti psichiatrici coatti e l’elettroshock. La procura è un atto con il quale affermiamo le nostre volontà rispetto alle cure psichiatriche e diamo mandato ai soci del Telefono Viola di farle valere.

tso2Il TSO, come abbiamo detto, ha la durata di 7 giorni. Alla scadenza il responsabile del reparto deve comunicare al Sindaco se ritiene necessario prorogare il trattamento obbligatorio. In caso contrario la persona viene dimessa, oppure il suo ricovero viene trasformato in ‘volontario’.

La proroga del TSO avviene attraverso tutti i passaggi di cui abbiamo già parlato (ordinanza del sindaco, convalida del giudice tutelare). Anche nel caso di proroga, va richiesta la notifica per evitare di rimanere rinchiusi in reparto pur risultando formalmente volontari.

Aldilà di quello che ci lasciano a volte credere, nessuno ‘firma’ per la nostra scarcerazione, né è necessario che qualcuno ci accompagni o si prenda la ‘responsabilità’ per noi. Chi viene ricoverato (o si ricovera) in psichiatria non è una persona incapace e interdetta, per cui mantiene tutti i diritti e doveri di qualsiasi altro utente della struttura sanitaria. Una volta venuto meno il TSO, per scadenza dei termini, revoca o altro, possiamo chiedere di essere dimessi in ogni momento e tale richiesta non può essere disattesa senza integrare gli estremi di reato del sequestro di persona.

fonte: http://www.ecn.org/antipsichiatria


Prigionieri russi lottano contro la corruzione e la brutalità della polizia

Centinaia di prigionieri del Carcere Numero 6 di Kopeisk, nella regione degli Urali della Russia, hanno combattuto feroci battaglie contro le forze di sicurezza e hanno lanciato una occupazione sul tetto per una protesta contro le condizioni draconiane, oltre che di torture, estorsioni e l’uso dell’isolamento. Quattro detenuti sono morti in carcere negli ultimi anni in seguito alle percosse usate dal personale. La protesta è durata per due giorni prima che la polizia e le forze speciali dell’esercito riuscisseo a riprendere il controllo.

russiaLa rivolta è iniziata quando circa 250 prigionieri hanno rifiutato di seguire le regole e la routine della prigione, chiedendo la liberazione immediata di quelli che erano in isolamento, oltre la fine di un trattamento barbaro e l’estorsione usata dai loro aguzzini. Sul tetto, i prigionieri esponevano cartelli con scritto “Aiutateci” e “Siamo migliaia in sciopero della fame”

Circa 300 familiari e amici dei prigioniri, così come molti ex detenuti, si sono raccolti al di fuori del carcere, e hanno messo in scena una protesta. Gridavano oscenità e lanciavano bottiglie contro la polizia e il personale penitenziario. La polizia ha percosso i manifestanti e ne hanno 39 arresti prima che la protesta si concludesse.

Un giornale locale ha riferito che:

“L’attivista per i diritti umani, Oksana Trufanova, ha detto alla stazione radio Ekho Moskvy che le truppe dell’OMON (polizia anti-sommossa) hanno attaccato il gruppo al di fuori del carcere. Ci hanno picchiato con bastoni, ha detto Trufanova. “I loro occhi brillavano.” Non sono mai stato in tale caos”

Alla sorella di un prigioniero, Olga Belousova, è stato permesso l’ingresso in carcere insieme ad un piccolo numero di parenti. Ha dato una breve intervista dopo aver lasciato il carcere:

“C’erano 60 persone nella stanza, tutti erano in piedi in silenzio. Ho detto loro che li sosteniamo e sono venuti per assicurarci che tutto va bene e che vogliono fare in modo che le loro voci siano ascoltate al di fuori della prigione.”

Le denunce, che sono stati lette dai detenuti, sono esempi esaurienti di estorsione, uso improprio ed eccessivo della forza e continue umiliazioni. Belousova ha aggiunto che:

“Essi non toccano coloro che gli danno i soldi, e spesso percuotono gli altri per costringere i parenti a pagare”

La madre di un ex prigioniero afferma che suo figlio è stato torturato innumerevoli volte e che gli agenti di polizia penitenziaria hanno sessualmente abusato di lui al carcere Numero 6.

Il padre di un altro ex prigioniero ha detto ad una agenzia di notizie locale che ha dato i suoi risparmi al ​​personale del carcere in due occasioni:
“Ogni mese … se portavo i soldi, non c’erano problemi. I pagamenti in carcere sono spesso indicati come contributi volontari ”

Un mediatore che ha indagato sulle denunce precedenti, ha riferito che il denaro richiesto dal personale del carcere può essere fino a 200.000 rubli ($ 6.400). In confronto, il salario medio in Russia è di soli $ 10.000.

Il direttore del carcere non nega l’estorsione del suo staff. Ha incontrato i parenti e ha annunciato che è disposto a sopprimere i “contributi volontari”. I parenti sono preoccupati che una mossa del genere porterebbe portare ritorsioni da parte di costoro.

Dopo due giorni di disordini e di controllo del carcere da parte dei detenuti, la polizia, l’esercito e le forze speciali sono riusciti a riprendere il controllo della struttura. Ci sono 250 poliziotti in tenuta antisommossa all’interno del carcere.

Fonte: Libcom  traduzione: ienaridensnexus.blogspot.it


Sicilia: carceri, poliziotti aggrediti da detenuto a Siracusa

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Siracusa, 4 gen. – Un detenuto straniero ha aggredito violentemente diversi poliziotti in servizio nel carcere di Siracusa. I Baschi Azzurri sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari per diverse contusioni. Un’ennesima aggressione “che deve preoccupare”, dice il Sappe, secondo cui “la carenza di personale di Polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Spesso, come a Siracusa, “il personale di Polizia Penitenziaria e’ stato ed e’ lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”.

Fonte: agi.it