A poche ore una dall’altra le due carceri di Alessandria hanno vissuto ieri momenti di tensione. Nel
penitenziario Cantiello-Gaeta un detenuto romeno ha cercato di gettarsi dal tetto della struttura,
poco dopo in quello di San Michele altri due detenuti magrebini hanno provocato un incendio e
tentato di darsi fuoco. Lo comunica il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE). I
detenuti sono stati salvati dal tempestivo intervento degli agenti. ”E’ evidente – dichiara Donato
Capece, segretario generale del SAPPE – che le costanti criticita’ quotidiane delle carceri italiane
sono il sintomo palese della loro invivibilita”’.”La situazione penitenziaria e’ sempre piu’
incandescente” sottolinea. Capece ricorda che ”ad Alessandria oggi ci sono complessivamente piu’
di 800 detenuti: 395 alla Casa circondariale Cantiello e Gaeta (che ha 260 posti letto
regolamentari) e 416 alla Casa di reclusione S. Michele, che ha anch’essa 260 posti letto
regolamentari. Insomma, 300 detenuti in piu’ rispetto al previsto”. Dal 1 gennaio al 30 giugno
2012 ad Alessandria ci sono stati 18 atti di autolesionismo e 4 tentati suicidi.(ANSA).
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Alessandria,proteste nelle due carceri della città
Alessandria, un detenuto sale sul tetto del carcere
Pomeriggio di tensione al carcere Don Soria per la plateale protesta di un detenuto rumeno salito sul tetto dell’edificio.
All’indomani della sentenza della Corte Europea di Strasburgo che condanna lo Stato italiano a risarcire centomila euro a sette detenuti per i danni morali derivanti dal trattamento disumano subito nelle celle sovraffollate dell’istituto di pena di Busto Arsizio, un’altra triste storia sempre collegata con il regime carcerario e con i guasti del sistema giustizia guadagna l’attenzione dei media.
Per fortuna, almeno in questo caso, si tratta di una storia a lieto fine anche se per decine di minuti si è temuto il peggio. Un uomo di nazionalità rumena di 26 anni, del quale non sono ancora state rese note le generalità, rinchiuso nella Casa Circondariale di Piazza Don Soriaad Alessandria, nel primo pomeriggio di quest’oggi si è arrampicato sul tetto della struttura detentiva proclamando la sua innocenza. Come abbia fatto il rumeno a raggiungere il tetto non è ancora stato chiarito.
La questione è attualmente al vaglio delle forze dell’ordine. Fatto sta che il detenuto ha attirato l’attenzione degli agenti della polizia penitenziaria. Dopo un primo attimo di smarrimento le guardie carcerarie hanno allertato i Vigili del Fuoco di Alessandria, prontamente intervenuti sul posto. A quel punto è iniziata una trattativa tra il detenuto ed il responsabile dell’ufficio di Polizia Giudiziaria dei Vigili del Fuoco Roberto Pascoli il quale, assistito anche da un dirigente della struttura penitenziaria e da una educatrice, intorno alle ore 16, ha convinto il rumeno a scendere a terra. Secondo quanto si è appreso, il detenuto, padre di un bambino in tenera età, sarebbe in carcere con l’accusa di furto e rapina, ma protesta la sua innocenza che, a quanto pare, non riuscirebbe a dimostrare poiché non può permettersi di assumere un avvocato di fiducia.
Carcere – Resoconto del capodanno sotto il carcere di Tolmezzo
Come una buona vecchia tradizione vuole, alcuni di noi hanno trascorso la notte di Capodanno sotto un carcere.
Quest’anno il carcere non poteva che essere quello di Tolmezzo. Anche se a poche settimane dalla fine dell’anno, intorno al 20 dicembre, Maurizio Alfieri è stato trasferito a Saluzzo (CN), abbiamo deciso di mantenere l’appuntamento a Tolmezzo perché lì rimangono le decine di detenuti che ci scrivono e con i quali vorremmo allacciare rapporti per poterli supportare nella lotta.
Di sicuro l’allontanamento di Maurizio è un tentativo di affievolire il percorso intrapreso a Tolmezzo, un carcere in cui è nata una conflittualità condivisa da più detenuti e che non deve tornare ad essere la tomba dove prevaricazioni di ogni tipo vengono perpetrate nel silenzio e nella connivenza di tutti gli “organi preposti”.
Questa volta, considerando i vari presidi sotto le mura per la notte di Capodanno- Bergamo, Cosenza, Como, Monza, Roma, Torino e altri- possiamo dirci contenti di come sia andata l’iniziativa: eravamo una cinquantina di persone; da dentro c’è stata una buona risposta ed è stato possibile comunicare con i detenuti delle celle più in alto – in particolare durante un intervento in cui si è nominato Massimo Russo, aguzzino particolarmente distintosi per le minacce, i pestaggi, i dispetti , i detenuti hanno fatto sentire bene cosa pensano di questa merda di uomo; abbiamo salutato in modo particolare chi ci ha scritto invitandoli a farlo ancora.
E’ stato un saluto caloroso per ricordare che siamo solidali con i detenuti in lotta, un saluto la notte di capodanno per dire che non ci dimentichiamo dei detenuti di Tolmezzo.
A tal proposito però pensiamo che questo carcere avrebbe avuto ed ha bisogno di iniziative più incisive. Ben vengano ad esempio le iniziative come quella organizzata a Roma davanti al DAP. Auspichiamo che non siano iniziative isolate. Detto questo non possiamo non chiederci quale trattamento avrebbe ricevuto Maurizio se il presidio organizzato per lo scorso 24 novembre avesse visto la partecipazione richiesta da una situazione come quella di Tolmezzo in quel momento: dalla aggressione contro Mohamed commissionata dal comandante ed effettuata da un detenuto, ai 115 giorni di isolamento a Maurizio a cui sono seguiti altri 45.
Il presidio era stato pubblicizzato con largo anticipo e con l’attenzione a non sovrapporsi alle altre iniziative di solidarietà che erano state organizzate per Maurizio, per Nicola e Alfredo, per Alessio… era stata rimarcata più volte la necessità di una iniziativa grossa e determinata che facesse capire alla direttrice, al comandante e scagnozzi che non potevano più permettersi le continue angherie, vere e proprie pratiche di tortura.
La solidarietà arrivata da tanti compagni e da tante persone che si occupano di carcere ai detenuti di Tolmezzo, le informazioni circolate in rete su informa-azione, su Radio Black Out di Torino, Radio Onda Rossa di Roma, le iniziative fatte a Trento e Rovereto hanno sicuramente influito sull’andazzo in carcere, tant’è che non ci sono pestaggi da un po’. Alcuni detenuti ci hanno scritto che in altri tempi Maurizio sarebbe stato massacrato.
Ma le rappresaglie della direttrice e del comandante non sono finite, si sono fatte più subdole: il già citato ferimento di Mohamed, i mesi di isolamento a Maurizio e l’ultimo trasferimento di Maurizio a Saluzzo passando da …Trani! Maurizio ha subito 18 ore di viaggio con i secondini che continuavano a provocarlo, che l’hanno trasferito attirandolo fuori dalla cella con l’inganno, portandolo via senza lasciargli il tempo di recuperare le sue cose, tra cui l’abbigliamento pesante, e facendogli credere che l’avrebbero lasciato a Trani, dove lui non voleva assolutamente rimanere avendo i suoi fratelli più cari a Milano.
E ora che Maurizio è stato trasferito, tra l’altro proprio vicino Cuneo, pensiamo sia importante tenere alta l’attenzione su ciò che accade tra quelle mura, supportare maggiormente le iniziative che verranno costruite a Udine e dintorni e portare a casa il messaggio che i detenuti di Tolmezzo hanno lanciato con la loro determinazione, con l’iniziativa di solidarietà agli anarchici rinchiusi ad Alessandria: dentro nessuno, solo macerie!
Anarchici di Trento e Rovereto
Oristano. Lettera choc dei detenuti: “Il carcere di Massama è un lager meglio la pena di morte”
“Questo non è un carcere ma un lager creato per spersonalizzare il detenuto non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società. Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi”. Sono le parole di trentacinque detenuti del carcere di Oristano – Massama “Salvatore Soro” che hanno fatto pervenire una lettera all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” rappresentando la realtà nella struttura penitenziaria inaugurata alla fine di novembre e già sottoposta a pesanti lavori di restauro.
CAGLIARI – “Qui – viene precisato dai firmatari della missiva – si trovano persone che devono scontare 10 giorni, alcuni mesi o qualche anno insieme ad altre che hanno alle spalle oltre 35 anni di reclusione. Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli. Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento. Insomma è vero che il carcere è aperto da poco tempo ma noi non abbiamo colpa e non abbiamo chiesto noi il trasferimento a Oristano. E’ assurdo infine – conclude la lettera – che non si possano acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvive allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.
“Le nuove strutture penitenziarie hanno necessità – osserva la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris – di un opportuno periodo di rodaggio durante il quale testare i dispositivi di sicurezza e quelli relativi alla vita comune come le cucine, le docce, i servizi igienici, i dispositivi elettrici e l’organizzazione interna con un numero adeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria e di operatori. Per mettere in moto e gestire una struttura così complessa e delicata sono necessarie progettualità e gradualità che poco si conciliano con un’assurda approssimazione che crea soltanto gravi difficoltà. La pretesa urgenza di aprire la struttura per rimediare ai danni del sovraffollamento e della vetustà del carcere di piazza Mannu ha determinato gravi disagi non solo ai detenuti e a tutti gli operatori ma anche ai familiari dei ristretti doppiamente penalizzati dalle difficoltà per raggiungere un carcere costruito volutamente in una zona isolata. La macchina quindi non funziona e nascondere la realtà non giova”.
Fonte: sardegnaoggi.it
Francia – Appello alla solidarietà con i prigionieri in lotta nella prigione di Roanne
Nell’aprile 2012, alcuni prigionieri inviano al magistrato di sorveglianza ed al direttore della casa di reclusione di Roanne [dipartimento della Loire, regione Rhône-Alpes, NdT], in forma anonima, una lettera di rivendicazione nella quale esigono un certo numero di misure, che rimettono in questione il funzionamento e l’esistenza stessa della prigione, in particolare: la fine dell’isolamento, del tribunale interno alla prigione, del quartiere disciplinare, dei regimi chiusi, che sono i mezzi di pressione e repressione di cui dispone l’Amministrazione Penitenziaria. Menzionano anche il sistema del racket della spesina, lo sfruttamento nelle officine di lavoro, le restrizioni per ciò che riguarda i colloqui, etc.1 Questa lettera ha larga diffusione e viene volantinata davanti a questa prigione e ad altre. C’è anche un presidio solidale, fuori.
Quello stesso weekend, la stampa riporta diverse notizie: il tentativo di suicidio di un prigioniero, un altro che è accusato di aver buttato un frigo sui sorveglianti. Chiedeva spiegazioni sul perché gli era stato impedito, diverse volte, di uscire al passeggio. Viene duramente pestato da molti secondini, si becca un mese d’isolamento, poi passa in processo al tribunale di Roanne. Vi è condannato a due anni di prigione supplementari.2
Poco tempo dopo, una lettera pubblica scritta da un prigioniero spiega meglio com’è la vita quotidiana nella casa di reclusione. Nel novembre 2011, questo stesso prigioniero era stato all’origine di alcune petizioni che criticavano, fra l’altro, le perquisizioni ai colloqui e lo sfruttamento nelle officine di lavoro. Come conseguenza, la direzione lo aveva messo in isolamento per 3 mesi, poi lo aveva tenuto 5 mesi in regime chiuso. Per finire, quando il rumore fatto intorno alla sua situazione è diventato scomodo per l’amministrazione penitenziaria e viene a mescolarsi ad altre vicende, è stato trasferito.3 La sua lettera spiega, fra l’altro, come l’amministrazione penitenziaria e le guardie ci si mettono per cercare di isolare e spezzare i prigionieri recalcitranti.
Nonostante ciò, la resistenza si manifesta sotto diverse forme.
Il 4 luglio c’è un blocco del cortile, che è seguito da un pestaggio da parte dei secondini che intervengono. Alcuni detenuti filmano la scena, altri gettano oggetti sui secondini, solidali con quelli che si sono rifiutati di tornare in cella. Queste ultime persone erano confinate in regime chiuso ed il blocco arriva quando l’AP ha deciso l’ennesimo cambiamento per quanto riguarda gli orari del passeggio.
Qualche giorno dopo, il video viene largamente diffuso su internet, accompagnato da una lettera esplicativa scritta dai prigionieri.4
Qualche volta, la stampa ufficiale ha parlato di questi avvenimenti, pubblicando anche una parte della lettera di rivendicazione ed il video del blocco, cosa, questa, che ha fatto circolare di più le informazioni. La stampa ha però sempre messo in avanti il punto di vista dei sindacati dei sorveglianti e dell’amministrazione penitenziaria.
Pochi giorni dopo, in città vengono incollati dei manifesti che raccontano del blocco e, in particolare, fanno i nomi dei secondini che hanno pestato i prigionieri. Ciò fa scandalo, i giornali riprendono questa storia, quindi tutti i prigionieri ne vengono a conoscenza, visto che il giornale viene distribuito gratuitamente in prigione (anche se proprio quel giorno viene censurato).
Il giorno dopo, i secondi dichiarano che si sentono in stato d’insicurezza. Gli ERIS [i GOM francesi, NdT] prendono il loro posto; i prigionieri restano chiusi in cella tutto il giorno, passeggio ed attività vengono soppressi, i colloqui sono ritardati e per qualcuno soppressi, i pasti serviti in ritardo, etc.
I sorveglianti vengono insultati e minacciati da numerosi prigionieri arrabbiati, ci sono diversi tentativi d’incendio, il blocco di un piano, la casa di reclusione è in ebollizione. Poi la routine riprende il suo corso.
L’estate, c’è una piccola manifestazione selvaggia a Lione, in solidarietà con le lotte dei prigionieri. Viene distribuito un volantino, la sede locale dello SPIP (quelli che si occupano della re-inserzione) viene vandalizzata.5
Alla fine dell’estate, sul tribunale di Roanne compare una scritta, con il nome di un graduato dei secondini, seguito da: “vuoi degli infami, non avrai che il nostro odio, fuoco alle prigioni”.6
Qualche tempo dopo, davanti al tribunale vengono ritrovati dei dispositivi incendiari; uno ha danneggiato la porta d’entrata del tribunale, l’altro non ha funzionato. Questi fatti compaiono nel giornale locale, che li mette in relazione con quanto successo nella casa di reclusione.7
Sempre in settembre, uno dei prigionieri che aveva partecipato al blocco del passeggio durante l’estate esce di prigione.8 Parla del blocco, di come poi i secondini gli hanno fatto trovare lungo. Spiega anche che, a fine estate, è stato nominato un nuovo maggiore, che ha irrigidito la gestione della prigione. Ciò, vigilando sull’applicazione letterale del regolamento interno, cosa che ha come conseguenza che molti prigionieri passano in commissione disciplinare (oppure davanti al tribunale interno della prigione) per delle stupidaggini come fumare o mangiare nei corridoi. Vengono anche fatte delle perquisizioni di massa delle celle, cosa che ha grosse conseguenze. Tensione permanente, perdita di fiducia nei legami fra prigionieri, rinvii davanti al tribunale interno che generano pene che vanno da alcuni giorni d’isolamento con la condizionale, fino a mesi di prigione che si aggiungono alle vecchie condanne; ciò a causa di un po’ di fumo, dei telefoni o dei caricabatterie, delle chiavette USB od altri oggetti trovati in cella e vietati all’interno della prigione.
Ne è un esempio la situazione di una donna che si è presa 10 mesi di galera supplementari, più 14 mesi con condizionale, per il possesso di un cellulare.9
L’amministrazione penitenziaria ha certamente altre armi dalla sua per cercare di far regnare la paura e la sottomissione. Cercare ed utilizzare degli infami, far vedere la carota (permessi di uscita, possibilità di libertà condizionata, sconti di pena), oltre al bastone, che usa bene.
Nell’autunno, nella città di Roanne, viene attuato un blocco stradale in solidarietà con i prigionieri in lotta e 500 volantini vengono distribuiti nelle cassette delle lettere della città. Essi precisano, in particolare, chi sono quelli che fanno funzionare la casa di reclusione e quale posto essa ha nella città.10 Ad inizio dicembre, un furgone della Eiffage [la grande impresa di costruzioni che è proprietaria dell’edificio della prigione; si tratta del primo caso in Francia di cogestione pubblico-privato delle carceri, NdT] viene incendiata e dell’olio per motori viene versato davanti alla prigione, prima dell’ora del cambio mattutino dei secondini.11
L’amministrazione penitenziaria vuole isolare le persone che resistono e soffocare le informazioni che potrebbero uscire dalle mura. Per questa ragione, essa vieta l’ingresso di alcuni giornali, o quello del quotidiano locale in funzione delle informazioni che contiene.
Ma le testimonianze e le informazioni varie che arrivano da dentro e fuori la prigione circolano, per quanto possibile, sui media alternativi e vengono in particolare ripresi da emissioni radio anticarcerarie.
L’amministrazione penitenziaria cerca con ogni mezzo di schiacciare quelli che non chinano la testa, moltiplicando gli attacchi, dentro. Isolare nel quartiere disciplinare oppure attraverso dei trasferimenti, pestare, mantenere in stato di carenza, aggiungere mesi o anni di prigione, essi fanno il loro sporco lavoro e ne hanno tutto i mezzi. In questo modo, vogliono spaventare e sottomettere tutti i prigionieri. Nonostante ciò, la resistenza si manifesta quotidianamente, in maniere diverse (rifiuti di tornare in cella, rifiuti di obbedire agli ordini, sabotaggi vari, come la cassetta delle lettre dei secondini, che serve per raccogliere i buoni spesa della Eurest, che si trova riempita di escrementi), etc.
Siamo solidali con coloro che resistono e vogliamo renderli più forti!
Per distruggere tutte le prigioni, per non lasciare in pace i bastardi!
Perché quelli che resistono (ed i loro boia) sentano che hanno del sostegno fuori.
Per influire su questo rapporto di forze in tensione permanente, ogni iniziativa è la benvenuta!!!
da non-fides.fr
Fonte: informa-azione.info
Carceri, l’Ue: «Italia viola i diritti umani»
La Corte europea dei diritti umani «invita l’Italia a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la convenzione Ue». Con queste parole la magistratura di Strasburgo condanna il belpaese per il trattamento inumano e degradante (violazione dell’articolo 3) di 7 carcerati detenuti nell’istituto penitenziario di Busto Arsizio e in quello di Piacenza.
I detenuti erano rinchiusi in gruppi di 3 in celle di 9 metri quadrati, ovvero scontavano la loro condanna in uno spazio inferiore ai 3 metri quadrati, senza acqua calda e in alcuni casi privi di illuminazione insufficiente, ha denunciato la Corte, invitando l’Italia a porre rimedio alla questione entro un anno e a pagare ai sette carcerati un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali. La Corte ha infine osservato che nella fattispecie le due carceri, in grado di accogliere non oltre 178 detenuti, nel 2010 ne ospitarono 376, toccando un picco massimo di 415 detenuti.
Lecce, Morto di carcere a 38 anni
Si chiamava Mohamed Abdi, aveva 38 anni, di origine somala. Era detenuto da circa un anno nella Casa Circondariale di Borgo San Nicola a Lecce per reati contro il patrimonio. Si è impiccato in una cella dell’Infermeria del Carcere. La salma è stata trasportata presso l’Ospedale “Vito Fazzi” e le Autorità Locali hanno avvisato il Consolato perché sembra che l’uomo non abbia parenti in Italia. “Anche se immediati, i soccorsi dei pochi Agenti lasciati nella programmazione dei servizio nella serata festiva di ieri, non sono serviti”, così ha dichiarato il Vice Segretario Nazionale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Agenti Polizia Penitenziaria) Domenico Mastrulli il quale sottolinea che “il carcere leccese è vessato da vari problemi, fra cui un sovraffollamento mai risolto”. Ieri nella struttura erano reclusi in 1.400. Mastrulli parla della carenza di uomini e donne nell’organico nei Reparti detentivi delle carceri e dei Nuclei traduzioni e piantonamenti che operano sotto scorta nell’accompagnamento dei detenuti nelle aule di Giustizia e per trasferimento di sede e per urgenti ricoveri esterni. Lecce – sottolinea il sindacato – ha “il primato delle ‘vittime’ le cui responsabilità o le colpe non devono e non possono ricercarsi sull’anello più debole del sistema penitenziario italiano, ma vanno ricercate nel fallimento di un sistema dove ministro e capo dipartimento poco fanno nonostante la drammaticità dei penitenziari e della situazione del personale di polizia dipendente”. Mastrulli aggiunge che l’Osapp è pronto “a dichiarare lo stato di agitazione, proteste su tutto il territorio con l’astensione dalla mensa di servizio” e si accinge a organizzare manifestazioni in strada “per attirare la sensibilità dell’opinione pubblica se non saranno da subito rafforzate gli organici nelle carceri togliendo il personale da compiti e servizi che poco ci appartengono in questo drammatico momento”. Tra questi, Mastrulli cita “esecuzione penale esterna”, vigilanza a procura della Repubblica, tribunali, e, in genere, edifici giudiziari, scorte a politici, magistrati e funzionari e incombenze varie negli uffici amministrativi.
Nel Carcere di Lecce, a fronte di una capienza regolamentare di 680 posti, sono rinchiuse in condizioni disumane ed illegali 1.400 persone detenute. Una situazione insostenibile, che vede il 90 per cento dei detenuti che assumono ansiolitici per tirare avanti. Vede le attività ricreative all’interno del carcere come una chimera per la stragrande maggioranza. Vede il campi da calcio inutilizzabili perché privi dei requisiti di sicurezza necessari. E se a tutto ciò si aggiunge che Borgo San Nicola è un carcere di recente costruzione (ha poco più di vent’anni), tutto suona come una beffa. Una beffa da cui scaturiscono le vicende che hanno portato il Magistrato di Sorveglianza a condannare lo Stato per aver ristretto un individuo in una cella di 3,39 metri quadri (compresi gli arredi), sistemandolo in un letto a castello che dista solo 50 centimetri dal soffitto.
Dal 1° Gennaio ad oggi sono già 2 i decessi avvenuti nelle sovraffollate ed illegali Carceri Italiane ed entrambi sono stati dei suicidi. Dal 2000 invece sono 2.089 i detenuti “morti di carcere” dei quali ben 753 si sono suicidati.
di Emilio Quintieri
Fonte: clandestinoweb.com
Milano: il carcere di San Vittore scoppia, 1.600 detenuti per 780 posti
Il carcere di San Vittore a Milano scoppia: troppi detenuti, 1.600, in spazi che potrebbero contenerne 780 (questa la capienza massima prevista sulla carta per l’istituto di pena). Anche nella casa circondariale della metropoli lombarda è dunque emergenza sovraffollamento, problema comune a molte strutture italiane, con tutti i rischi igienico-sanitari che le celle strapiene comportano. A segnalare le criticità Lamberto Bertolè e Mirko Mazzali, rispettivamente presidente e vice presidente della sottocommissione Carceri del Comune di Milano.
Al termine di una visita a San Vittore, i due consiglieri fanno il punto: “Segnaliamo le condizioni molto critiche del sesto raggio di cui abbiamo visitato il primo e il secondo piano. Altri reparti come il terzo raggio, dove i numeri lo consentono, versano in condizioni decisamente più consone”.
Tutto questo, continuano, “rafforza la convinzione che sia urgente e necessario provvedere alla ristrutturazione dei raggi chiusi, a cominciare dal quarto, scelta che potrebbe alleggerire le condizioni complessive del carcere. Tramontata l’ipotesi del trasferimento e riaffermata l’importanza che il carcere rimanga nella città, ci sembra una questione non più rinviabile”.
Bertolè e Mazzali concentrano l’attenzione anche sulla caserma degli agenti penitenziari che “versa in condizioni pessime, a cominciare dal degrado complessivo e, in particolare, delle docce e dei servizi igienici, insufficienti anche per numero”.
Tra le priorità, continuano, “segnaliamo anche l’importanza di garantire il kit d’ingresso a tutti i detenuti e l’insufficienza del numero degli agenti penitenziari che, in alcuni momenti della giornata, non possono garantire condizioni di sicurezza e la gestione delle emergenze”.
I due consiglieri riservano invece parole positive invece al reparto di cura La Nave per detenuti con problemi di tossicodipendenza, gestito dalla Asl di Milano in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria: “Riesce a garantire progettualità, proposte stimolanti e momenti di socializzazione, consentendo ai detenuti di non trascorrere in cella 21 ore su 24. Si tratta di un progetto innovativo che andrebbe esportato anche in altre realtà”, spiegano. Il report si conclude con un ringraziamento alla direzione del carcere “per il lavoro svolto. Insieme agli operatori e ai volontari ci sembra che, in una situazione molto difficile, i loro sforzi contribuiscano a rendere le condizioni dei detenuti meno lontane dai dettami costituzionali”.
Cappato (Radicali): carcere San Vittore è in situazione illegale
Dichiarazione di Marco Cappato, Presidente del Gruppo Radicale Federalista Europeo: “Stamane con una delegazione del Consiglio comunale abbiamo visitato il carcere di San Vittore a Milano. La condizione di assoluta illegalità nella quale sono costretti sia i detenuti che gli agenti è confermata e aggrevata: la capienza è di 500 detenuti, la capienza “tollerata” è di 785, ma i detenuti sono 1.600. Sono ormai passati quasi 7 mesi da quando, il 22 Dicembre 2011, il Consiglio comunale – su iniziativa del Radicale Lucio Bertè- aveva approvato una mozione che impegna il Sindaco Pisapia “a deliberare la formazione di una Commissione tecnica ad hoc con competenze medico sanitarie, di igiene edilizia e sicurezza degli impianti, per rilevare le condizioni di vita nelle carceri milanesi”.
L’Assessore Majorino si era poi impegnato a formare la Commissione, ma tale impegno è finora rimasto lettera morta. Chiedo al Sindaco e all’Assessore di attivarsi affinché finalmente la Commissione tecnica sia costituita e operativa, al fine di tenere sotto stretto monitoraggio la violazione dei diritti umani fondamentali di detenuti e agenti.
Per quanto riguarda l’iniziativa dei “Quattro Giorni di nonviolenza, sciopero della fame e silenzio” per la Giustizia e l’Amnistia, che inizierà domani 18 luglio, ho potuto riscontrare un buon livello di conoscenza e partecipazione da parte dei detenuti, in un clima di attesa e di speranza per un provvedimento di clemenza. Per fare un esempio, tra i 104 detenuti del Centro clinico, sono 64 quelli che hanno inviato ieri una lettera a Radio radicale annunciando l’adesione allo sciopero della fame”.
Adnkronos, 17 luglio 2012
SUL DDL “SVUOTACARCERI”
In Italia, tra i detenuti che stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4% ha un residuo pena inferiore ad un anno,addirittura il 64,9% inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l’accesso alle misure alternative della semilibertà dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Si tratta di numeri impressionanti che dimostrano inequivocabilmente come nel nostro Paese il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; il che continua ad accadere nonostante le statistiche abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il detenuto che sconta la pena in misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28%), mentre chi la sconta in carcere torna a delinquere con una percentuale addirittura del 68%.
Il ministro della Giustizia ha presentato un disegno di legge rubricato “Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”.
L’iniziativa del ministro appare subito coraggiosa e senza precedenti, in quanto per la prima volta viene previsto che la detenzione domiciliare possa essere applicata anche ai recidivi, il tutto attraverso una procedura di concessione praticamente automatica, e quindi sottratta alle valutazioni discrezionali della magistratura di sorveglianza.L’obiettivo dichiarato è quello di compiere un primo importante passo verso il lento e graduale deflazionamento dell’attuale popolazione carceraria.
Appena approdato in Commissione Giustizia della Camera, il disegno di legge è stato sottoposto ad un fuoco incrociato di critiche da parte della Lega,dell’Italia dei Valori e del Partito democratico, i quali si sono subito opposti con forza alla richiesta del Governo di trasferire l’esame del provvedimento alla sede legislativa.
In pratica, l’impostazione originaria del disegno di legge è stata stravolta laddove viene stabilito che la detenzione presso il domicilio non si possa applicare “quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti”. La nuova disposizione abroga ogni sorta di automatismo nell’applicazione della detenzione domiciliare e ai fini della concessione del beneficio – richiede la verifica di un requisito soggettivo del condannato di delicata interpretazione: è necessario,infatti, che il magistrato di sorveglianza esprima un giudizio prognostico positivo sulla idoneità della misura alternativa ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. Il legislatore però non si è soffermato sui criteri che dovranno regolare questa valutazione dell’organo giudicante, lasciando così alla magistratura di sorveglianza l’arduo compito di provvedere in merito.
Stando così le cose, è facile prevedere che la prognosi circa l’idoneità della detenzione domiciliare ad evitare il pericolo di consumazione di altri reati verrà basata, nel caso di concessione della misura prima dell’inizio della esecuzione della pena,sul comportamento tenuto dal condannato successivamente e antecedentemente al reato, con la conseguenza che se il soggetto è persona recidiva, con significativi precedenti penali e carichi pendenti sulle spalle, difficilmente potrà usufruire di questo beneficio.
E quindi, pur essendo vero che in teoria questa nuova forma di detenzione domiciliare potrà essere concessa anche ai recidivi, di fatto, il numero dei condannati con precedenti penali che riuscirà a scontare la pena nel proprio domicilio senza transitare per il carcere sarà davvero modesto.
Se invece il condannato si trova già in carcere, il pericolo di ricaduta nel reato da parte del detenuto andrà valutato sulla base della relazione di sintesi delle attività di osservazione scientifica della personalità. Il problema è che questo tipo di relazione non viene quasi mai prodotta secondo i tempi prescritti dalla normativa, e questo a causa della forte carenza degli educatori penitenziari.
In conclusione, le nuove disposizioni sulla detenzione domiciliare lasceranno la situazione carceraria sostanzialmente invariata, il che renderà sempre più drammatica la condizione dei quasi 68mila detenuti ristretti all’interno dei 205 istituti di pena italiani. Di tutto questo la Lega, l’Italia dei valori e il Partito democratico saranno presto chiamati ad assumersi le proprie responsabilità di fronte all’intera comunità penitenziaria.
CARCERI POLVERIERE
Sempre più esplosiva la situazione nelle carceri italiane.
L’aggressione di un detenuto ad un appartenente al Corpo di Polizia
penitenziaria, avvenuta ieri sera (11 maggio) nel carcere di Benevento e di un sovrintendente di polizia penitenziaria in quello di Como da parte di una detenuta sono gli ennesimi segnali della tensione che si registra nelle sovraffollate
carceri italiane e che rischia di acuirsi ulteriormente con
l’approssimarsi del periodo estivo.
Lo scorso anno il bilancio di poliziotti penitenziari feriti da detenuti
è stato di circa 380. E ci riferiamo solo a diagnosi superiori ai
cinque giorni. Con il poliziotto penitenziario ferito ieri a Como nel
2010 siamo già a 72 , a cui debbono aggiungersi anche due medici e
cinque infermieri feriti durante le loro prestazioni in ambito
penitenziario.
È evidente che questo delle violenze e delle
aggressioni è un problema che non si ripercuote solo sull’ordine interno
ma anche sulla funzionalità dei servizi, generando assenze per
convalescenze. L’altro giorno ad Opera un detenuto ha simulato un
suicidio per poi aggredire, spezzandogli un braccio, l’agente che si era
prodigato per salvarlo.
E nel frattempo viene resa pubblica la relazione del Comitato europeo per la
prevenzione della tortura relativa alle condizioni degli Ospedali
psichiatrici giudiziari in Italia. Dal rapporto emergono fatti
sconcertanti: violenze, abusi, uso indiscriminato della contenzione
(legare il paziente al letto, serrando polsi e caviglie, 24 ore su 24, a
volte per giorni e giorni).
Anche lì come
nelle caserme, nelle prigioni, nei centri di identificazione e di
espulsione per stranieri, le violenze, i soprusi, le umiliazioni sono
all’ordine del giorno. E a volte qualcuno lì trova la morte. E non
accade di rado.
CORDA TESA
Corda Tesa si occupa di indagare le cosidette istituzioni totali: carceri, ospedali psichiatrici ma anche C.I.E., vera e propria aberrazione della reclusione, in cui ciò avviene solamente in base alla propria nazionalità. E’ in questi luoghi che si manifesta in maniera completa la perdita dell’autonomia dell’individuo, che vede la propria esistenza regolata da leggi, le quali scandiscono i suoi ritmi, rendendo anche evidente quanto l’ordine sociale sia basato su codici e regole che non possono tollerare alcun tipo di devianza, per la propria realizzazione.
Il nostro obiettivo è
quello, non soltanto di rendere note informazioni spesso nascoste o
ignorate, ma anche di riuscire in qualche modo ad interagire con queste
realtà tramite il contatto con individui che vivono quotidianamente
dentro questi sistemi altri della società.
Ovviamente il nostro
sguardo nei confronti di queste realtà non può che essere critico e
vicino ad idee tendenti alla propria abolizione, consci che in questi
luoghi il potere rinchiude chi è più indifeso e maggiormente esposto
alle ripercussioni della legge perché non in grado di difendersi.
Ma anche perché crediamo
che, soprattutto in questo preciso periodo storico, sia importante
tornare ad occuparsi di questi luoghi che sempre più tornano a far
sentire la loro presenza, diventando lo specchio attraverso cui leggere
lo sviluppo della società.
Questi luoghi occultati,
rimossi e resi estranei al comune sentire delle persone rappresentano i
laboratori in cui sperimentare quello che poi verrà attuato sul corpo
dell’intero ordinamento sociale.
L’esclusione che operano
tende ad isolare, emarginandole e rendendole inoffensive, quelle
persone che rappresentano gli scarti della concezione sociale del tardo
capitalismo.
Il carcerato, il malato
rappresentano il lato oscuro e nascosto della vittoria della merce.
Componente fondamentale
nel nostro ragionamento è anche la consapevolezza che queste figure sono
fondamentali per l’ordine del capitale, il quale trova nella loro
esistenza ragione per esistere e per continuare.
Per questo motivo il
carcere produce criminali, la medicina produce malati. Il paradosso di
tutto ciò è legato al fatto che tutte queste figure producono anche
ricchezza, nel senso che una società ha bisogno di carceri, di ospedali,
di C.I.E., per far lavorare, per creare figure professionali che non
avrebbero modo di esistere senza queste realtà emarginate. Ma la più
idonea ipotesi dell’esistenza di queste istituzioni totali risiede nel
concetto che queste permettono alla società, al potere di infierire
timore nella popolazione, punendo quei comportamenti e quegl’
atteggiamenti che risultano essere scomodi da una parte, ma sfruttabili
come modelli scorretti di comportamento sociale.
Tutto questo è anche
aiutato dalla fitta campagna dei media che danno ampio risalto ai fatti
compiuti da individui appena usciti dal carcere o da malati
psichiatrici, al piccolo reato compiuto dall’immigrato o, più in
generale, dalla povera gente,creando nella struttura sociale il concetto
che esista una categoria criminale e l’idea che quest’ultima sia il
vero pericolo per la convivenza civile.
Quando poi dei detenuti
vengono liberati prima della fine pena o godono di attenuanti,
subito viene creata ad arte l’impressione che in carcere si entra e si
esca con facilità estrema, facendo credere, all’opinione pubblica
nazionale, che in Italia non esista né pena né giustizia e che si possa
godere di un’ impunità garantita e data per scontata.
L’idea che trasmettono i
media fa parte di una campagna di terrore tesa in principio a creare
paura ma di fatto a creare consenso per la vittoria della legalità
(triste parola dietro cui si nasconde l’accettazione delle regole che ci
controllano e ci rendono mansueti, il rifiuto della devianza e la
socializzazione forzata che ci troviamo costretti a vivere).
Tutti questi elementi
fanno parte della campagna di mistificazione del reale che ormai investe
la nostra quotidianità e che trasforma nel pericolo più temibile, più
pericoloso e da punire senza alcuna pietà, il ladruncolo, il consumatore
di sostanze stupefacenti, l’attivista politico, il malato psichiatrico o
più in generale il deviato.
Tutte persone che la
società dell’apparire, del vacuo e del benessere vuole togliere di
mezzo, rinchiudendoli e affidandoli a specialisti.
Gli agenti e i creatori
dello sfruttamento, coloro che delinquono nel nome della merce, nascono
come criminali sociali (soltanto perché inseriti all’interno dell’ordine
dominante e agenti per conto del capitale) ma diventano in seguito
vittime.
Le case farmaceutiche
uccidono, le banche rubano, la legge non è uguale per tutti.
Queste parole
qualunquiste fanno parte del sentire comune di chiunque ma non riescono a
creare indignazione, volontà di ribellarsi, alle continue ingiustizie
che vengono perpetrate verso gli innocenti, o verso i piccoli
criminali(deviati per necessità, il più delle volte), anziché a coloro
che commettono crimini inimmaginabili ed impensabili, a volto scoperto.
La tolleranza zero
diventa così l’unico modo, l’unico cavallo di battaglia di una società
de-ideologizzata, satura di disvalori, che crea continuamente nuove
paure e nuovi nemici.
Del resto, il popolo
terrorizzato è più disposto a rinunciare alla propria libertà nel nome
della propria sicurezza e per mantenere i propri privilegi.
In questo è bravo anche
il dominio che fa sì che venga resa impossibile sia una vicinanza e una
consapevolezza dei rinchiusi (impedendo così che essi possano
trasformarsi in un possibile motore di rivolta ed instabilità), sia una
nascita, in quei luoghi, di pratiche di resistenza alla realtà. Ciò che
traspare dai quei luoghi ultimi, emarginati è che questi siano luoghi di
disperazione e punizione, dove scompaiono le regole della dignità
umana.
Abbiamo scelto il nome
CordaTesa perché si presta a svariati interpretazioni e significati:
Corda tesa come una corda lanciata
verso l’abbandono e la solitudine che abitano e animano questi luoghi,
spezzando l’isolamento verso quell’umanità che viene dimenticata quando
delle sbarre gli si richiudono alle spalle.
Corda tesa come la corda
penzolante, troppo spesso con un corpo appeso, che rappresenta il solo
modo di dimenticare questa solitudine, sola via di fuga da un reale che
non si vuole, da un mondo che rifiuta ed emargina.
Corda tesa come una corda di uno
strumento musicale che ad ogni giro della chiavetta si tende sempre più
fino a giungere ad un punto di rottura e a spezzarsi, perché la tensione
è arrivata al massimo del tollerabile.
Corda tesa come la corda su cui tutti noi,
inconsci acrobati, ci troviamo a camminare sperando di non precipitare o
che non ci si spezzi sotto i piedi.