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Oristano: lettera di un detenuto; il carcere di Massama è nuovo di zecca, ma sembra un lager

fabbricato-inagibileUn carcere nuovo di zecca dove piove dal tetto, il cibo è scarso, le porte delle celle rimangono sempre chiuse e la palestra è inagibile. A pochissimi giorni dalla condanna di Strasburgo che definisce “inumane e degradanti” le condizioni dei detenuti nei penitenziari italiani, la lettera di 35 condannati descrive la situazione nel carcere “Salvatore Soro”, inaugurato da una manciata di settimane nella frazione Massama di Oristano, descritto sulla carta come “carcere modello” e invece già sottoposto a interventi di ristrutturazione.
Il taglio del nastro è avvenuto negli ultimi giorni di novembre 2012, in fretta e furia per rimediare al sovraffollamento degli altri istituti sardi. Eppure sembra andare quasi tutto storto. Così un gruppo di detenuti ha preso carta e penna per descrivere quello che succede: “Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli”.
Costretti e rimanere dietro le sbarre, senza alcun programma di rieducazione, i firmatari sono preda della depressione: “Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento”. La fretta con la quale il ministero della Giustizia ha voluto aprire il nuovo edificio carcerario, accusano anche i sindacati di polizia penitenziaria, è la ragione del malfunzionamento degli impianti tecnologici che dovrebbero aprire e chiudere automaticamente le celle – senza dunque l’intervento degli agenti.
La missiva è arrivata nelle mani di Maria Grazia Caligaris, ex consigliera regionale della Sardegna e presidente dell’associazione Socialismo Diritti e Riforme: “Sappiamo che quando apre un nuovo penitenziario ci vogliono tempi lunghi per mettere in funzione i servizi, ma questo disagio è scandaloso”.
Per il provveditore regionale del Dap, Gianfranco De Gesu, le condizioni del carcere di Oristano-Massima sono invece “quasi alberghiere”: “Ogni cella ospita due detenuti e se l’acqua calda è erogata secondo fasce orarie è per risparmiare”. Non nega, De Gesu, che la struttura abbia dovuto essere parzialmente rifatta a causa di difetti di costruzione: la ditta non aveva previsto una guaina di impermeabilizzazione nelle docce e sotto il tetto e così, dopo nemmeno 24 ore, si sono verificate vistose infiltrazioni nelle celle. Un assurdo difetto di progettazione, ancora più grave visto il costo della costruzione del penitenziario: 40 milioni di euro.
Delle quattro nuove case circondariali volute dall’allora ministro della giustizia Roberto Castelli, oltre a Oristano-Massama è stata aperta una struttura a Tempio Pausania mentre attendono quella di Uta (Cagliari) e Sassari.
Quello che preoccupa maggiormente i detenuti – coloro che hanno firmato la lettera sono 35 su 161 presenti – è comunque la qualità della vita. Pessima. Alcuni di loro provengono dal carcere che sorgeva nel centro di Oristano, ospitato da un edificio di origine medievale e fatiscente dove topi e scarafaggi erano ormai abituali compagni di cella. Con il trasferimento nella nuova struttura avevano sperato di trovare un sistema migliore: “Non possiamo nemmeno acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvivere allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.

di Laura Eduati

Huffington Post, 21 gennaio 2013


Alghero – in tre tentano evasione dal carcere

Uno dei tre albanesi che all’alba di lunedì hanno tentato la fuga dal carcere di San Giovanni di Alghero, lavorava in una officina all’interno della casa di reclusione,

fugaNon è stato difficile per lui procurarsi alcuni seghetti con i quali nella notte tra venerdì e sabato hanno concluso il lavoro di segare le sbarre.

Poi con una corda realizzata unendo diverse lenzuola arrotolate, sono usciti dalla finestra della cella fino al cortile sottostante che si trova a una decina di metri di altezza .

Uno di loro è riuscito a salire sul tetto della direzione del carcere ma in quel momento è stato subito inquadrato dalle telecamere della sala di regia.

Da quell’istante ogni mossa dei tre albanesi è stata controllata. Il sottufficiale di servizio ha allertato gli uomini in turno notturno, tre agenti per 130 detenuti. Dopo un primo tentativo di saltare il muro di via Catalogna , oltre 15 metri, un’impresa a rischio di rompersi l’osso del collo, uno dei tre ha raggiunto il muro di cinta dalla parte di via Vittorio Emanuele, in corrispondenza del del passo carraio, dove l’altezza è inferiore.

Ma proprio sul muro è stato raggiunto da un agente di Polizia Penitenziaria che gli ha puntato la pistola d’ordinanza. L’albanese, e gli altri due compagni di fuga, hanno a quel punto capito che l’evasione era fallita.

Nel frattempo nel carcere di San Giovanni erano già arrivati gli uomini del Commissariato di Polizia e subito dopo i Vigili del Fuoco, allertati sempre dalla cabina di regia .

Nel giro di un’ora gli agenti del carcere, in collaborazione con i poliziotti, avevano rimesso le manette ai polsi dei tre e li avevano rinchiusi nuovamente in cella a disposizione della Procura della Repubblica per i reati commessi nel tentativo di evasione.

I tre stavano scontando condanne per reati di droga, contro il patrimonio ed estorsione. Uno di loro aveva soltanto qualche mese da scontare, gli altri due diversi anni. Nel corso della perquisizione personale a uno dei tre sarebbe stato trovato addosso un telefonino . Secondo gli agenti della Polizia Penitenziaria e gli uomini del Commissariato, i tre avevano dei complici all’esterno, si parla anche di una donna, che avrebbero dovuto accoglierli e proteggerne la fuga.

La mancata evasione dei tre detenuti dal carcere di San Giovanni testimonia l’efficienza del servizio di vigilanza interna nonostante una situazione a dir poco tragica per quanto riguarda l’organico in servizio attivo.

Fonte: buongiornoalghero.it


Carcere: detenuto s’impicca nella sua cella all’Ucciardone

Un detenuto del carcere Ucciardone di Palermo stamane si e’ tolto la vita nella sua cella, impiccandosi con un lenzuolo alla parte piu’ alta delle sbarre poste alla finestra. Si tratta di Giuseppe Pizzo, imputato per l’omicidio di una prostituta, fatto per il quale doveva essere giudicato nei prossimi giorni con il rito abbreviato.

A trovarlo agonizzante e in fin di vita sono stati gli agenti penitenziari che appena due ore prima avevano fatto un controllo. I medici hanno tentato di salvarlo, ma non c’e’ stato nulla da fare.

 


Suicidio nel carcere di Foggia

Foggia, 12 dicembre, detenuto s’impicca in carcere: si chiamava Arcangelo Navarrino
avrebbe dovuto scontare una pena di 20 anni

Ennesima tragedia nel carcere di Foggia. Un detenuto di 44 anni originario di Fasano si è impiccato in cella con un lembo del lenzuolo legato alla finestra. La notizia è stata data dal sindacato degli agenti penitenziari Osapp.

E’ il secondo dopo quello del detenuto di Polignano a Mare avvenuto a febbraio

Fonte FoggiaToday

 


Detenuto suicida a Catanzaro

  • In attesa di giudizio per tentato omicidio si e’ impiccato

CATANZARO – Un detenuto di origine marocchina si e’ suicidato l’11 dicembre nel carcere di Catanzaro. A dare la notizia e’ il sindacato Sappe. L’uomo, in attesa di giudizio per tentato omicidio, si e’ impiccato all’interno della cella dove si trovava da solo. Nonostante l’intervento della polizia penitenziaria per l’uomo non c’e’ stato nulla da fare.

Fonte ANSA


Avellino, quattro detenuti evadono

Le forze dell’ordine sono ancora alla ricerca di tre dei quattro detenuti evasi dal carcere di Bellizzi Irpino in provincia di Avellino. Il quarto è stato ripreso dai carabinieri a Potenza. La Polizia penitenziaria e i Carabinieri stanno effettuando una vasta battuta a caccia dei tre evasi, anche con l’ausilio di un elicottero. I tre evasi dal carcere di Avellino, attualmente ricercati, sono, secondo quanto riferisce la Uil Pa Penitenziari, Cristiano Valanzano, nato a Vico Equense (Napoli), fine pena nel 2028, Salvatore Castiglione, nato a Crotone, fine pena nel 2036 e Fabio Pignataro, nato a Mesagne (Brindisi), fine pena nel 2025.

 – Gli evasi hanno procurato un foro di uscita dal bagno della cella rimuovendo un intero blocco di mattoncini, poi si sono calati con un lenzuolo annodato. Raggiunto il muro di cinta, si è appreso da Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari e da Pasquale Montesano, segretario nazionale dell’Osapp, i detenuti hanno posizionato un contenitore dell’immondizia sul quale hanno posato alcune pedane che hanno funzionato da scala.

I carabinieri li hanno intercettati a bordo di un’auto rubata – La fuga è stata scoperta stamane durante la conta dei detenuti: l’evasione sarebbe avvenuta nella nottata o nelle prime ore della mattinata. I quattro evasi sono stati poi intercettati dai carabinieri nella zona del Potentino a bordo di un’auto rubata. Uno dei quattro è stato arrestato, gli altri tre si sono dati alla fuga. Secondo le notizie in possesso ai sindacati, si tratta di detenuti comuni che erano reclusi al secondo piano della sezione ‘Giovani adulti’ tutti con condanne gravi: il fine pena più breve dei quattro era al 2028.

La Uil: fare luce sulle responsabilità – “La rocambolesca evasione messa in atto da quattro pericolosi delinquenti, ristretti alla Casa Circondariale di Avellino, non può non generare preoccupate riflessioni sull’evento odierno, ma più in generale sulle criticità operative che oberano, sino a portarlo alla completa inefficienza, il sistema penitenziario italiano”. Lo sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari.

PURTROPPO
E’ durata poco più di 24 ore la fuga dei quattro pregiudicati evasi ieri notte dal carcere di Bellizzi Irpino (Avellino). Dopo che ieri era stato bloccato il tarantino Daniele Di Napoli, preso in provincia di Potenza mentre era alla guida di un’automobile rubata, i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza hanno arrestato gli altri tre fuggitivi. Si tratta di Cristiano Valanzano, di Castellammare di Stabia, Salvatore Castiglione, di Crotone, e Fabio Pignataro, di Mesagne (Brindisi). I tre sono stati individuati nelle campagne di Sibari di Cassano allo Jonio nei pressi di un casolare diroccato in cui avevano trascorso la notte.


Tonelli – fuggitivo racconta, tra carceri e OPG

RIMINI – La fuga dalla comunità di recupero di Marradi, nascosto nel bagagliaio di un’auto. E il viaggio lungo 36 ore che lo porterà oltre confine, in una Paese straniero, una località sconosciuta sulla quale vuole mantenere il segreto. E poi i ricordi degli anni trascorsi in carcere o nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Fabio Tonelli, 38 anni, gli ultimi dei quali passati in una cella per espiare le colpe di un’eterna lite con i vicini di casa. Chi è Tonelli? L’uomo che da del “lei” a sua madre, ripudiato dai genitori, un avvocato mancato, uno dei primi a subire la condanna per stalking a Rimini, un attaccabrighe: un folle o solo un po’ borderline? Non ci cimenteremo in una risposta che non ha trovato d’accordo gli stessi psichiatri.

Quel che riteniamo importante in queste righe è la testimonianza in presa diretta di una persona che ha vissuto la dolorosa detenzione in un ospedale psichiatrico giudiziario. E che sa trovare le parole per raccontare la sua disavventura.
Tonelli, che nel tempo è stato definito una personalità “dissociata”, o affetto da un“narcisismo maligno”, con consapevole lucidità, in un carteggio pervenuto alla Voce, motiva i suoi dissapori con il mondo intero. “A San Vittore rimasi pochi mesi perché la direzione non mi voleva per quello che ero, per quello che raccontavo e per quello che facevo”.

Con la stessa franchezza spiega perché é fuggito dalla comunità di don Nilo dove si trovava ricoverato, dopo aver espiato la sua pena perché ritenuto giuridicamente pericoloso. Scrive: “La magistratura italiana è così pressapochista da non rendersi neppure conto che le misure di sicurezza successive a fine pena detentiva godono di particolare discredito in molti paesi europei e sono invise davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Infatti si tratta di misure pseudosanitarie. Se una persona fosse ammalata dovrebbe essere curata subito e non dopo anni trascorsi in carcere senza cure”.

Se la magistratura italiana decidesse di mettersi sulle sue tracce o di chiedere al Paese che lo ospita di estradarlo, “farebbero il mio gioco perché sarei pronto a fare diventare il mio un caso internazionale, frutto di un provvedimento abnorme e attuato per perseguitarmi”.
Pungola, Tonelli, e diventa anche ironico quando racconta come funzionano le comunità di recupero. “Sono stato ospite di una comunità per tossicodipendenti ed ero l’unica persona a non essere mai stata tossicodipendente. Il mio programma di recupero era identico al loro e consisteva nel raccogliere castagne nella loro piantagione, lavoro ritenuto presupposto indispensabile per uscire dal tunnel della droga. Mi trovavo a Marradi in misura di sicurezza per presunta pericolosità sociale giuridica (mentre la pericolosità psichiatrica è stata esclusa da tutti i consulenti che lo hanno visitato, ndr). Secondo il giudice non potevo lasciare la struttura se non accompagnato”. Ma infine il giudice del tribunale di Sorveglianza di Firenze si è arreso e gli ha concesso di andare da solo alle udienze, nei vari processi (in cui è spesso imputato e talvolta vittima). “Come si giustifica la pericolosità sociale pur attenuata e la presunzione di rifare reati se poi vai di continuo da Marradi a Rimini da solo e stai via tutto il giorno per udienze e treni? E dire che se fossi stato pericoloso, avrei ben potuto presentarmi sotto casa della famiglia Bugli (la famiglia di Riccione con cui si innescato il conflitto con il vortice di querele e contro querele, ndr).

Ma la pagina più toccante del “diario di Tonelli dalla località segreta”, il fuggiasco la scrive sulla sua esperienza di paziente di Opg (ospedale psichiatrico giudiziario). “Quando ho visto che luoghi erano gli Opg ho ritenuto di credere che in carcere si hanno ancora taluni diritti, mentre in Opg tanti diritti sono assenti e si è nelle mani dello psichiatra – carceriere. Credo che se non avessi rinunciato all’attenuante del vizio totale di mente e non avessi fatto il giro delle carceri del nord a quest’ora sarei stato lobotomizzato e non potrei scrivere queste memorie”.
Per i presunti abusi subiti nell’Opg di Reggio Emilia, due anni fa Tonelli sporse denuncia contro la direzione della struttura. Un anno dopo, mentre si trovava al carcere di Montorio a Verona, andarono i carabinieri a interrogarlo per tre ore e mezza. I carabinieri indagavano in seguito alla sua denuncia sull’uso punitivo della medicina psichiatrica e sull’ipotesi di tortura”.

Nella sua denuncia ha menzionato persone internate provenienti dal forlivese e dal cesenate, oltre che dal riminese. Persone sottoposte al cosiddetto “<ergastolo in bianco”. Dimenticate cioè in quelle strutture di cura. “A Reggio ho anche incontrato Alessandro Doto il ragazzo che uccise l’addestratrice di delfini a Riccione. “Ma soprattutto ho visto cose assurde. Ho visto persone assolte per vizio totale di mente che si trovavano lì per resistenza a pubblico ufficiale, internate da 9 anni. Ho visto persone di 80 anni e oltre sulla sedia a rotelle, internate provvisoriamente a Reggio. Alcuni mi hanno raccontato di essere stati legati al letto per giorni, perfino settimane. Il mio compagno di cella fu scarcerato dopo che io gli scrissi il Riesame contro la misura di sicurezza provvisoria. Molte di queste persone sono abbandonato da parenti ed amici e non possono essere scarcerate perché nessuno li prende in affido. C’è un cesenate, che molti anni fa uccise il suocero, che è stato rinchiuso nell’Opg per vizio totale di mente e sta scontando, inconsapevolmente, un ergastolo in bianco.
Anche Tonelli fu legato al letto, avendo rifiutato le cure. Più avanti aveva poi imparato a gettare i farmaci nel water “gli infermieri erano compiacenti e mi tenevano il gioco con il medico psichiatra affinché la mia situazione non si aggravasse e non fossi di nuovo legato al letto”.

Nella località segreta in cui si trova oggi Tonelli, ha cominciato a prendere qualche contatto per una futura attività lavorativa. Un patronato che cerca docenti i lingua italiana per immigrati che da questo paese vanno in Italia gli ha promesso di ricontattarlo in gennaio. Talora mi chiedo quanto tempo durerà questo viaggio prima che possa ritornare nella mia Rimini, in un’Italia diversa”.

Fausta Mannarino