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Caso Lonzi, madre ragazzo morto in carcere chiede riapertura indagini

cordatesaLivorno – (Adnkronos) – Secondo l’inchiesta, a uccidere il ragazzo sarebbe stato un infarto, mentre per la donna il figlio sarebbe morto per un pestaggio subito nella sua cella

Riaprire l’inchiesta sulla morte di Marcello Lonzi, il ragazzo deceduto in una cella del carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003. A chiederlo e’ la madre della vittima, la signora Maria Ciuffi, che ha sporto querela ai carabinieri di Pisa, citta’ in cui risiede, contro due medici del penitenziario e contro il medico legale che esegui’ l’autopsia all’epoca.

Secondo l’inchiesta, a uccidere il ragazzo sarebbe stato un malore, un infarto, mentre per la donna il figlio sarebbe morto per un pestaggio subito nella sua cella. Alla denuncia, Continue reading


Emorragie interne per pestaggi in carcere

 C09S0212_RT16Boise. Idaho.  Lo ha denunciato la moglie Naghmeh in un suo Tweet: “Vi chiedo di pregare per mio marito, Saeed Abedini. Soffre di emorragie interne a causa dei continui pestaggi di cui è vittima. 8 anni di carcere sono una condanna a morte. Ho il cuore rotto nell’apprendere la notizia di emorragie interne.

Saeed Abedini è un giovane pastore evangelico di origini iraniane ma con passaporto statunitense. E’ in carcere dal 26 settembre del 2012 con l’accusa di “attentato alla sicurezza nazionale”, un’imputazione creata ad arte per punirlo per la sua conversione dall’Islam e per le sue attività evangelistiche.


Torturatori assolti per pestaggi a Teramo

torturaIl primo febbraio il giudice ha chiuso per sempre il caso Castrogno. L’inchiesta sul pestaggio di un recluso e sull’audio shock con la frase «un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto» è stata archiviata dal gip Giovanni de Rensis che ha respinto la seconda opposizione presentata dal detenuto che accusava di essere stato pestato in carcere. Nell’inchiesta erano indagati l’ex comandante Giuseppe Luzi e quattro agenti di polizia: Donatello Pilotti, Giampiero Cordoni, Roberto Cerquitelli e Augusto Viva (difesi dagli avvocati Nicola De Cesare, Raffaella Orlando, Filomena Gramenzi, Renzo Di Sabatino, Carla Vicini, Antonio Valentini). Quella arrivata a de Rensis era la seconda richiesta di archiviazione. La prima era stata respinta dal gip Marina Tommolini (ora in servizio alla Corte d’appello di Ancona) che aveva disposto ulteriori indagini al pm Irene Scordamaglia . Il detenuto ha sempre sostenuto di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria di Castrogno come atto di ritorsione per una sua resistenza nei confronti di un agente.Va detto inoltre che il detenuto finì a processo (poi assolto) con l’accusa di lesioni e resistenza ad un agente di polizia penitenziaria. L’ex comandante, subito dopo l’esplosione del caso, aveva ammesso che era sua la voce che si sentiva nel colloquio shock registrato sul cd. E lui che diceva: «Il detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto. Abbiamo rischiato una rivolta perchè il negro ha visto tutto». Quel testimone era Uzoma Emeka, detenuto nigeriano morto in carcere un mese dopo i fatti, stroncato da un tumore al cervello non diagnosticato. Qualche giorno dopo la notizia tre compagni furono denunciati per delle scritte in città contro sbirri e politici. Sbirri che oggi sono dichiarati innocenti dalla giustizia statale e, soprattutto, ancora una volta non hanno trovato alcuna opposizione.

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“Fuga” da casa: dal centro di cura al carcere

MODICA – 28/01/2013 – I poliziotti erano andati a prelevarlo ma l´uomo se l´era filata da una porta secondaria

old-boyFugge da casa, dov’era ai domiciliari, per non farsi trovare dai poliziotti che avevano bussato alla porta per condurlo in una casa di cura e custodia del centro Italia. Adesso si ritrova di nuovo rinchiuso nel carcere di Piano del Gesù a Modica Alta. Quest’ultimo colpo di testa è costato caro al modicano Salvatore Cataldi, 46 anni, di recente finito in manette per aver picchiato un´avvocatessa 40enne a Ragusa dopo che quest’ultima si era rifiutata di difenderlo in un’aula di tribunale. Proprio a seguito di questo episodio, gli agenti si erano presentati ieri mattina al domicilio dell’uomo per notificargli il provvedimento di custodia emesso dal tribunale di Messina, che, come accennato, disponeva il ricovero in un centro specializzato.

Cataldi, invece di aprire ai poliziotti, se l’è filata da una porta secondaria sul retro, di cui gli agenti ignoravano l’esistenza. C’è voluto poco per scoprire la fuga del modicano, che, poche ore dopo, si è convinto a far rientro a casa, dove i poliziotti lo stavano ancora attendendo. A causa di questo ennesimo colpo di testa, però, la destinazione è cambiata: non più la casa di cura, ma la cella del carcere. Salvatore Cataldi non è nuovo ad episodi del genere: oltre a picchiare l’avvocatessa di Ragusa, l’uomo aveva tempo fa danneggiato il portone dello studio di un altro avvocato di Modica, spingendosi addirittura a minacciare un giudice nel corso di un’udienza al tribunale di Ragusa.

Era stato il gip del tribunale modicano a concedere i domiciliari a Cataldi, dopo che questi, nell’interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere sull’episodio delle botte all’avvocatessa.

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Pestaggi a San Sebastiano, interviene l’Europa

SASSARI. «San Sebastiano, una Guantanamo ante litteram». Dove nel 2000 la violenza di agenti della Penitenziaria contro una trentina di detenuti – in quella che i giudici hanno ribattezzato «galleria degli orrori» – «fu un vero e proprio atto di tortura».

omicidioSono passati tredici anni da quegli abusi, otto trascorsi in un’aula di Tribunale per arrivare a una sentenza di prescrizione. Ma solo ora, per uno dei reclusi che subì umiliazioni da chi doveva prendersene cura, botte con pezze bagnate, manganellate sui genitali, ora forse si apre lo spiraglio della giustizia europea. La Corte di Strasburgo ha avviato l’istruttoria per l’allora detenuto V.S., originario del Sassarese, che si è rivolto ai magistrati garanti della Convenzione sui diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 3, che vieta la tortura e «pene o trattamenti inumani o degradanti». Il ragionamento del suo avvocato, Giuseppe Onorato, è semplice. V.S., come tantissimi altri “ospiti” del carcere sassarese, in quel 3 aprile 2000 era affidato all’amministrazione penitenziaria. Eppure, è la stessa sentenza di primo grado (2009) a riconoscere come «la Repubblica italiana non sia stata in grado di garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione». Dunque, chiede alla Corte di condannare il nostro Paese, così come l’8 gennaio Strasburgo ha fatto con la sentenza che ci bacchetta per la stessa violazione – trattamento inumano e degradante – ma per il sovraffollamento nelle galere di Stato. Un verdetto che ha riaperto il dibattito sulla necessità di codificare il reato di tortura, che avrebbe potuto evitare, ad esempio, la prescrizione delle lesioni inflitte dagli agenti di polizia alla Diaz, durante il G8, in qualche modo simili a quelle di San Sebastiano. Perché quello di tortura sarebbe un reato che il tempo non può scalfire. V.S. non ha ottenuto alcun risarcimento per essere passato attraverso la «galleria degli orrori», caso che sollevò un’onda di indignazione in tutta Italia. Anche per la freddezza con la quale sarebbe stata portata avanti. Quella esplosa tra le mura dell’istituto sembrò violenza su commissione dell’allora amministrazione penitenziaria regionale, con agenti chiamati da altri penitenziari. Ma la verità processuale sconfessa in parte questa ricostruzione. Dopo le botte molti detenuti vennero trasferiti per evitare contatti con i parenti e denunce. Forse proprio per l’unicità del caso, a tre anni dal ricorso, la Camera – così si chiama il collegio composto da 7 giudici – sta valutando il merito delle richieste e ha informato la parte convenuta, cioè il Governo italiano. Lo ha comunicato all’avvocato del ricorrente con una lettera datata 8 gennaio.

Alla rappresentanza nostrana a Strasburgo si impone di rispondere a sei quesiti entro il prossimo 30 aprile, poi potrebbe essere fissata la data di udienza e sentenza. All’Italia si chiede, ad esempio, se chi è stato processato per quei fatti sia poi stato oggetto di procedimenti disciplinari e quali sanzioni, eventualmente, abbia subito. E poi se il ricorrente abbia la possibilità di ottenere una “compensazione” economica in altri modi; se l’inchiesta penale, alla luce della tutela processuale, abbia soddisfatto i criteri della Convenzione, oppure se il detenuto non abbia già ottenuto un ristoro per quei fatti. Ma non potrebbe mai averlo avuto, proprio perché non si può chiedere il risarcimento per un reato che non esiste, la tortura.

All’inaugurazione dell’Anno giudiziario il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha ricordato come sull’introduzione di questa fattispecie nel nostro ordinamento, l’Italia sia «in notevole ritardo».

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Uno schifo chiamato carcere

sbarre_ottavio-pinarelloSovraffollamento delle carceri significa sovraffollamento delle celle: impossibilità pressoché totale in cella di movimento fisico, d’intimità, di attenzione, rispetto proprio e di chi è concellino; un bagno, un rubinetto per sei o nove persone…

Sovraffollamento vuol dire anche sovraffollamento del cortile dell’aria, dove ginnastica e calcio sono difficili perchè in contrasto con la densità delle persone in piccoli spazi, con l’assenza d’acqua corrente, con i cessi intasati e puzzolenti.

Sovraffollamento prodotto dalle condanne decise arbitrariamente da polizia, carabinieri, giudici.

Si è chiusi in cella 2 x 4 metri quadrati in 5/6 persone per 21 ore al giorno; le ore d’aria sono ridotte dalle quattro previste a tre, a volte ancora meno perché in quelle ore è compreso il tempo della doccia.

Pestaggi e umiliazioni praticati dalle guardie contro chi non accetta di essere trattato come e meno di un animale da macello. Una condizione che spesso finisce nella tragedia del “suicidio”.

Le persone immigrate oltre che del sostegno dei propri cari mancano della lettura poiché a San Vittore vengono venduti solo giornali e riviste in italiano e la tv diffonde solo programmi in italiano.

I prigionieri catalogati “malati psichici” sono costretti in una condizione di vero e duro isolamento, senza fornello, impossibilitati a scambiare cibo, parole…

Cure, lavoro, igiene e vitto sono sempre più scarsi e scadenti; costruire nuove carceri non può che aggravare la situazione. La spesa interna al carcere è invece a prezzi da rapina.

Detenuti ridotti a larve umane con tranquillanti e bombe farmacologiche di stato che invece abbondano. Per fortuna che c’è ancora chi le rifiuta.

Anche amici e familiari scontano la loro condanna: lunghi e costosi viaggi per andare ai colloqui, file d’attesa, pacchi respinti per ragioni affidate alla massima arbitrarietà delle guardie.

urloVogliamo lottare contro questa situazione, anzitutto sostenendo le proteste che per queste ragioni nascono a San Vittore così come nelle carceri di tutta Italia dove amnistia è la parola che più abbiamo sentito urlare.

Riteniamo questo un obiettivo generale immediato che può dare forza al movimento di lotta se c’è unità e determinazione nel conseguirlo, ma che può indebolirlo se si confida nell’imparzialità dello stato o nell’illusione che basti mettere il tutto nelle mani di un partito.

Siamo persone che direttamente ed indirettamente hanno provato sulla propria pelle il carcere e le sue conseguenze.

Se l’amnistia è l’indicazione che esce dalle prigioni è da lì che vogliamo partire, lottando per una riduzione della pena carceraria altrettanto generale.

Milano, gennaio 2013

Solidali nella lotta contro il carcere

 volantino distribuito a San Vittore da OLGa


Testimonianza torture, pestaggi e psicofarmaci

Inoltriamo:

Testimonianze: Torturato e pestato in carcere

boccaDesidero portare a conoscenza la mia vicenda di TORTURA DI STATO in CARCERE MEDIANTE PSICOFARMACI – con tanto di INDOTTA CRISI IPERTENSIVA – nel reparto “Il Sestante” di Le Vallette a Torino, guidato dal Dott. Elvezio Pirfo. Dovuta ad un palese scambio di cartelle anamnestiche col mio compagno di cella.

Il sottoscritto è un incensurato in attesa di giudizio. Tra l’altro invalido oltre i 2/3 (80%): con tale invalidità non sarei nemmeno dovuto entrare in carcere.
Ma anche se fossi stato colpevole lo Stato non ha diritto di tortura, ma obbligo di custodia.

Questa assieme alla successiva vicenda del mio PESTAGGIO SQUADRISTA COPERTO DAL SINDACO E DAL MARESCIALLO del paesino di MONASTERO BORMIDA, con tanto di Sindaco che è venuto a dichiarare in Tribunale che IO DOVEVO ESSERE RINCHIUSO perchè pazzo, non ha spiegato il perchè ma lo ha detto e ribadito!!!

QUESTA è una VICENDA che CONFERMA le storie di CUCCHI ed ALDROVANDI, in particolare quella di Cucchi: LO STATO NON TIENE IN NESSUN CONTO LA VITA di chi è sotto custodia.

SONO SOPRAVISSUTO, VOGLIO TESTIMONIARE ED HO TUTTO DOCUMENTATO! TUTTO!!!

Occorre mettere fine alla Giustizia Sudamericana ed all’impunità dei poliziotti e di certi personaggi che gravitano nel sottobosco dei Tribunali e delle carceri – Avvocati e Periti -.

Sono sopravvissuto perchè sono un bestione ed ho fatto arti marziali, ho un fisico che era d’acciaio, anche se ero già invalido all’80% per Depressione Maggiore ed attacchi di panico – causa incidente a 20 anni -.

La mia vicenda RIBADISCE QUELLA DI CUCCHI e conferma che la Giustizia Italiana ha 2 vie, una veloce e spietata, con maltrattamenti compresi, per i poveracci, una inconcludente che tutela i ricchi.

Massimo Gallo