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Francia, rivolta in carcere a Vivonne: detenuti incendiano edificio

aUna rivolta è scoppiata nel carcere di Vivonne, vicino a Poitiers, in Francia, dove una sessantina di detenuti ha occupato una parte della prigione appiccando un incendio dopo aver sottratto le chiavi delle celle alle guardie carcerarie. Lo riporta le Figaro spiegando che nella rivolta non sono stati presi ostaggi e che le fiamme sono state sedate grazie all’intervento dei pompieri. Non vi sarebbero feriti né tra i detenuti né tra le guardie.

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No, vaffanculo, io non sono Charlie!

arton4158-81560Questa mattina i parigini e le parigine, e attraverso loro il mondo intero, si sono svegliati in un odore macabro di polvere da sparo. Alcuni fanatici religioni, non sono i primi, non saranno gli ultimi, hanno aperto il fuoco durante la riunione settimanale della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Una dozzina di morti e dei feriti, per la maggior parte si tratta di giornalisti e caricaturisti conosciuti da tutti e regolarmente presenti sui mass media, poi due sbirri, i quali, a differenza degli altri, ricevevano un salario per farsi sparare addosso. Continue reading


Parigi: ucciso dai nazi militante antifascista.

nonaziIeri, 5 giugno, un giovane militante di Azione Antifascista Paris-Benlieue, Clement, si trovava con tre amici presso la Gare Saint Lazare di Parigi, dove aveva luogo una vendita di abiti in stile skinhead. Riconosciuto come militante antifa da alcuni fascisti presenti sul posto, che hanno atteso rinforzi, è stato vittima di una vile aggressione in cui ha trovato la morte. Colpito alla testa da un tirapugni, dopo aver battuto il capo contro un palo, è stato soccorso dai passanti; alcune ore dopo (verso le 21 di ieri sera), l’ospedale Pitié Salpêtrière in cui era ricoverato, ha dichiarato la morte cerebrale di Clement. La notizia si è subito diffusa nella Parigi antifascista e tra gli studenti, considerato che
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Francia: Quattro anni fa è morta Zoé

Diffondiamo da contrainfo

cordatesaQuattro anni. Difficile sapere se quattro anni già o se solo appena quattro anni. Quattro anni e un lungo duello che non ha potuto iniziare fino a diversi anni dopo la sua morte, dopo che quellx a chi la giustizia stimò che dovevano essere punitx direttamente per l’incidente che ha ucciso Zoé finissero le pene di carcere che gli/le sono state assegnate, dopo che quellx che sono statx lasciatx fuori della prigioni hanno finito di essere ascoltatx, raccolte le impronte, fotografatx, registratx, intimiditx. In ogni caso, questa storia è finita. Dopo di chi pensa che vedere morire ad un’amica non è sufficiente, siano stati soddisfatti con il nostro dolore, siano stati saziati con la nostra tristezza e siano rimasti con la pancia piena e la testa alta, orgogliosi di aver riportato l’ordine e la giustizia. Questo ordine e questa giustizia che hanno tenuto ai/alle nostrx amici/che e i nostri amori, e che cerca di distruggerli, perchè sono tra le altre cose, di dove nascono i nostri desideri e le nostre possibilità di Continue reading


Francia. Suicida in carcere l’autore della “rapina del secolo”

cordatesaEra stato arrestato in Olanda per traffico di cocaina, ma in Francia tutti lo conoscevano come il “cervello” della “la rapina del secolo”.

Questa mattina il cinquantaseienne Marc Armando è stato ritrovato impiccato nella sua cella nella prigione delle Baumettes, a Marsiglia, dove era arrivato poche ore prima, in seguito all’estradizione dai Paesi Bassi. L’uomo, che era già stato condannato a 18 anni di reclusione per la rapina di Tolone negli anni Novanta, oggi pomeriggio era atteso a presenziare di fronte ai giudici, insieme ad altri due francesi, Sarimi Laribi e Lofti Bengadim, suoi complici nel nuovo piano criminale che aveva orchestrato, stavolta senza successo. I tre erano stati fermati a metà aprile a Rotterdam, il più grande porto commerciale d’Europa, dove Continue reading


Evasione dal carcere di Sequedin (FR)

evasioneLille, 13 aprile 2013  – Come in un film il ‘re’ dei rapinatori francesi, Redoine Faid, è evaso stamane dal carcere di Sequedin, vicino Lille, in una sequenza di azioni spettacolari tra cui la presa di cinque ostaggi, tutti liberati, e l’esplosione di alcuni ordigni.

Esperto di rapine e di attacchi ai furgoni blindati, Faid, 40 anni, soprannominato il ‘Dottore’, è famoso per aver rilasciato diverse interviste ultimamente e aver pubblicato un libro “Braquer (rapinatore, ndr.)” in cui racconta di essersi ispirato per le sue rapine ai grandi film americani, come Heat di Michael Mann.

Arrestato a giugno del 2011 per un attacco a mano armato a un furgone che era costato la vita a una poliziotta, Faid era rinchiuso nel carcere di Lille dopo aver avuto numerose condanne tra cui una di venti anni nel 1997.Era uscito di prigione nel 2009 ed era diventato una ‘stella mediatica’ raccontando di spettacolari furti per cui indossava, come Robert de Niro in Heat, la maschera da Hockey.

Stamane, prima dell’evasione, aveva ricevuto in carcere la sua compagna che, come sospetta la polizia, gli avrebbe fornito l’esplosivo che aveva fatto detonare per aprire la porta della cella. Aveva quindi preso cinque ostaggi facendosi scudo con il loro corpo, ne aveva liberati quattro ed era salito su un auto e scappato verso l’autostrada. Lì aveva rilasciato l’ultimo ostaggio per poi incendiare l’auto e scomparire.

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Un algerino detenuto a Guantanamo chiede asilo alla Francia

guantanamoNabil Hadjarab, arrestato nel 2001 alla frontiera tra Pakistan e Afghanistan, ha trentatré anni, dei quali gli ultimi undici trascorsi tra le strette mura della prigione americana di Guantanamo, nonostante, secondo il suo avvocato Cori Cride, non sia mai stato formalmente incolpato e in ogni caso risulti da ben sei anni discolpato dalla stessa amministrazione americana rispetto ai sospetti di terrorismo per i quali era stato imprigionato. La sua famiglia non lo ha abbandonato, ben lontana da Cuba, risiede in Francia ed è proprio dalla République che lo zio Ahmed, dopo ben sedici comunicazione inviate senza successo egli ultimi anni, ha lanciato l’ennesimo appello al riconoscimento dell’asilo politico, dopo aver promosso una petizione con una lettera indirizzata ad alcune alte autorità d’oltralpe (François Hollande, Presidente della Repubblica, Manuel Valls, Ministro dell’Interno, Laurent Fabius, Ministro degli Affari Esteri, Soria Blatmann, Consigliere tecnico alle relazioni con la società civile, François Zimeray, Ambasciatore per i Diritti dell’uomo).

 Ma per lasciare Guantanamo Hadjarab deve prima trovare un paese pronto ad accoglierlo, e nato in Algeria rischia di essere rimpatriato in una nazione nella quale ha vissuto relativamente poco, abbandonato dalla madre dopo il divorzio e poi sballottato prima presso la nuova famiglia del padre e, dopo la morte prematura del genitore, presso innumerevoli altri nuclei, molti dei quali in Francia, dalla quale, non essendo riuscito ad acquisire la nazionalità, è passato in Inghilterra, dove per lunghi mesi si sono perse le sue tracce. Secondo un documento rivelato da Wikileaks, è proprio oltremanica che avrebbe incontrato Abu Jafar Al-Jazairi, all’epoca principale coordinatore della logistica d’Al-Qaeda, che gli avrebbe finanziato un viaggio in Afghanistan con soggiorno a Jalalabad, prima di raggiungere il gruppo internazionale di 65 combattenti a Tora-Bora ed essere arrestato un mese dopo.Il problema è che tutte queste informazioni sarebbero state estorte con la tortura e, secondo il legale Sylvain Cormier, Hadjarab nega totalmente il testo trascritto dal Dipartimento della Difesa USA. Restano ancora tre i criteri necessari per essere accolti oltralpe: la non-pericolosità, la volontà di stabilirsi nel paese e dei legami forti con lo stesso, condizioni che, secondo l’avvocato Cride, Nabil riempirebbe appieno. Resta da vedere se la Francia è dello stesso avviso e se Hadjarab avrà la stessa sorte di due ex-detenuti di Guantanamo accolti nel 2009.

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La morte in carcere di Daniele: la Procura chiede nuove indagini

Il giudice istruttore francese aveva chiesto la chiusura delle indagini che hanno portato a essere indagati il medico e due infermieri del carcere francese

Carcere_Luce_SbarreR375Viareggio, 22 febbraio 2013 – La Procura della Repubblica di Grasse, in Francia, ha chiesto un supplemento di indagini sul caso che riguarda la morte di Daniele Franceschi, l’operaio viareggino di 36 anni morto in circostanze ancora tutte da chiarire il 25 agosto mentre si trovava nel carcere di Grasse per una storia di carte di credito rubate. Lo ha reso noto l’avvocato Aldo Lasagna, il legale che cura gli interessi di Cira Antignano, madre del detenuto morto.

Il giudice istruttore francese aveva chiesto la chiusura delle indagini che hanno portato a essere indagati il medico e due infermieri del carcere francese. La Procura ha invece richiesto invece un supplemento di indagini, con il rischio che i tempi dell’inchiesta possano ulteriormente dilatarsi. L’udienza con la quale verra’ deciso se accettare o meno la richiesta di supplemento di indagini e’ prevista per il prossimo 28 febbraio.

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Francia – Da una prigione all’altra

CIEIl 16 dicembre 2012, cinque persone cercano di evadere dal CIE di Palaiseau [una ventina di km a sud di Parigi, NdT]. In quattro ce la fanno, ma la quinta persona, Ibrahim, resta nelle mani della polizia, che lo pesta. Viene arrestato e due giorni dopo passa in tribunale, accusato di aver tenuto fermo uno sbirro, al fine di rubargli un badge magnetico che ha permesso agli altri di evadere. Viene poi messo in detenzione preventiva a Fleury-Mérogis [prigione che si trova nel sud della regione di Parigi – è la più grande d’Europa, NdT], fino al 18 gennaio 2013, quando viene condannato a due anni di prigione e a versare 1200 euro ai due sbirri che lo hanno denunciato per lesioni. Visto che l’evasione da un CIE non è reato, sbirri e giudici cercano di appioppargli altri capi d’imputazione.

Ibrahim si trova ora detenuto a Fleury-Mérogis. Non ha fatto appello contro la sua condanna. Quando si è isolato, senza avvocato, straniero e non si parla francese, è quasi impossibile capire che si hanno solo dieci giorni per fare appello. Se si è poveri e clandestini, si viene schiacciati ancor di più dalla giustizia.

Da una prigione all’altra, dalla prigione per stranieri alla casa di reclusione, la strada è tracciata,  in un senso come nell’altro. Il potere prenderà sempre a pretesto le rivolte, i tentativi di evasione, i rifiuti di imbarcarsi [sugli aerei, per le espulsioni dei clandestini, NdT], per rinchiudere sempre di più i recalcitranti. E, all’inverso, quando si esce di prigione e si è clandestini, nella maggior parte dei casi quello che ci attende sono il CIE e l’espulsione.

Quando si è rinchiusi in un CIE, quando tutti i ricorsi legali sono stati inutili e l’espulsione è imminente, le sole alternative sono l’evasione e la rivolta. Ecco perché casi come questo si ripetono: qualche giorno prima dell’evasione di Palaiseau, tre persone sono fuggite dal CIE di Vincennes, e speriamo che siano sempre liberi. A Marsiglia, nel marzo 2011, alcuni detenuti hanno incendiato la prigione per stranieri del Canet. Da allora, due persone sono in libertà vigilata in attesa del processo, dopo essere passate per la casella prigione preventiva.

Nel caso di Ibrahim come in quello degli accusati dell’incendio di Marsiglia, è importante essere solidali con quelle e quelli che si rivoltano per la propria libertà, siano essi colpevoli od innocenti. Perché finchè ci saranno prigioni, documenti e frontiere, la libertà non resterà che un sogno.

Fuoco a tutte le prigioni!
Libertà per tutte e tutti!


Per non lasciare Ibrahim isolato di fronte alla giustizia, si può scrivergli:

Ibrahim El Louar
écrou n°399815
Bâtiment D4 – MAH de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 Sainte-Geneviève-des-Bois

Gli vengono inviati dei soldi. Se volete contribuire, potete mandare del denaro a Kaliméro – Cassa di solidarietà con gli accusati della guerra sociale in corso.
Se volete mandargli dei vestiti o pacchi, o per ogni contatto, mail: evasionpalaiseau@riseup.net

Informa-azione  da non-fides.fr

 


Giornata internazionale di mobilitazione per Georges Abdallah !

Il 10 gennaio un tribunale francese ordinava infine il rilascio (legato a un’espulsione) di Georges Abdallah, dopo oltre 28 anni trascorsi detenuto in Francia.

cordatesaMalgrado tale detenzione eccezionalmente lunga, Georges Abdallah ha mantenuto il suo impegno al servizio dei popoli arabi libanese e palestinese contro il sionismo, l’imperialismo e la reazione araba.

Georges era divenuto contemporaneamente un esempio dell’accanimento della repressione imperialista, e un esempio di resistenza e di determinazione rivoluzionarie.

Dunque, noi abbiamo creduto al rilascio di Georges, ma le autorità francesi, non emettendo l’ordinanza di espulsione, hanno reso inoperante la decisione del tribunale. Sotto pressione diretta e chiara degli USA (dichiarazione del Dipartimento di Stato, petizioni di membri del Congresso…), il governo francese perpetua così il blocco di una decisione del tribunale.

La social-democrazia francese, che è sempre stata strettamente legata all’imperialismo americano e al sionismo, lo dimostra ancora una volta.

Il Soccorso Rosso Internazionale è fiero di aver iniziato più di 10 anni fa la campagna per il rilascio di Georges Abdallah. Dall’inizio di questa campagna, sono decine le manifestazioni in una mezza dozzina di paesi che hanno portato all’iniziativa delle differenti organizzazioni partecipanti alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale e, nel corso degli anni, abbiamo visto estendersi la solidarietà verso Georges, con l’aggregazione progressiva di forze nuove, e trasformarsi finalmente in un movimento grande che denuncia il mantenimento in carcere di Georges Abdallah.

Una giornata internazionale di mobilitazione per il rilascio di Georges Abdallah è organizzata il 27 febbraio, ossia la vigilia della sua prossima comparizione davanti al tribunale per l’applicazione delle pene. Noi chiediamo a tutte le forze partecipanti al processo di costruzione del Soccorso Rosso Internazionale, a tutte le forze con cui intratteniamo rapporti di lavoro, a tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, di rispondere a questo appello e impegnarsi risolutamente per strappare definitivamente il rilascio di Georges.

La Commissione  per un Soccorso Rosso Internazionale

(Bruxelles-Zurigo)

4 febbraio 2013


Tornati in Libertà!

spagna-sciopero-generaleIl compagno Alfonso Fernandez é stato scarcerato oggi alle 18, dopo aver passato piu di due mesi nel carcere madrileno del Soto del Real, sotto regime Fies ( Ficheros de Internos de Especial Seguimiento). É in libertá vigilata. La sua scarcerazione é una vittoria della solidarietá contro la meccanica repressione dello Stato bugiardo. Resistenza sempre!

Spagna – Cresce il numero di prigionieri politici in Europa. In seguito al primo sciopero paneuropeo del 14 novembre, c’è un compagno in carcere. Non una persona a caso, in quanto Alfonso Fernandez “Alfon”, così come sua madre, sono noti attivisti, antifascisti e anticapitalisti, particolarmente attivi nel quartiere proletario di Vallecas a Madrid. Alfon, un ragazzo di 21 anni, è stato arrestato la mattina del 14 novembre, a 100 metri dalla sua abitazione, mentre con la sua compagna si stava recando ad un punto informativo, con l’accusa di stare trasportando una tanica di benzina. Sono seguiti interrogatori continui da parte della polizia, uno ogni due ore, torture e minacce, anche di morte, nei confronti loro e della loro famiglia, da parte di sbirri con il volto coperto. Mentra la compagna è stata rilasciata, Alfon è tuttora prigioniero presso il modulo F.I.E.S. del carcere di Soto del Real a Madrid. Secondo gli ultimi aggiornamenti, oltre alle restrizioni su comunicazioni, colloqui e posta, pratiche afflittive tipiche del regime punitivo F.I.E.S., Alfon viene minacciato di trasferimento presso un carcere alle Canarie, lontano da compagni e affetti. I collettivi solidali invitano a non scrivere direttamente al prigioniero, onde evitare l’interruzione di comunicazioni prioritarie visto il limite imposto di 2 lettera a settimana.

 

geoges-ibrahim-abdallahGeorges Ibrahim Abdallah è libero!

Giovedì 10 gennaio Georges Ibrahim Abdallah è stato finalmente liberato dopo oltre 28 anni trascorsi in detenzione in Francia.
Malgrado questa detenzione eccezionalmente lunga, la cui entità è a misura della complicità delle autorità francesi con lo stato sionista e imperialista USA, G.I. Abdallah è rimasto fedele al proprio impegno al servizio dei popoli arabi, libanesi e palestinesi contro il sionismo, l’imperialismo e la reazione araba. Georges I. Abdallah era divenuto contemporaneamente un esempio di accanimento della repressione imperialista e un esempio di resistenza e determinazione rivoluzionarie.
Il Soccorso Rosso Internazionale è fiero d’aver iniziato, oltre dieci anni fa, la campagna per la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah. Da questo «calcio d’inizio» sono decine le iniziative fatte in una mezza dozzina di paesi da diverse organizzazioni partecipanti alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale e, nel corso degli anni, abbiamo visto la solidarietà verso Georges estendersi sempre più, con l’aggregazione di nuove forze, e trasformarsi infine in un grande movimento che denuncia il mantenimento in prigione di G.I.Abdallah. Il successo, dopo tanti anni di lotte, della mobilitazione per la liberazione di G.I.Abdallah ci invita a raddoppiare gli sforzi per strappare tutti i prigionieri rivoluzionari, comunisti, antifascisti, anarchici condannati dalla giustizia di classe e tenuti in ostaggio nelle carceri della borghesia imperialista.

Libertà per tutti i prigionieri rivoluzionari !
La Commissione per un Soccorso Rosso Internazionale (Zurigo-Bruxelles)
Soccorso Rosso Arabo (Parigi)
10 gennaio 2013


Francia – Appello alla solidarietà con i prigionieri in lotta nella prigione di Roanne

carcere21-222x160Nell’aprile 2012, alcuni prigionieri inviano al magistrato di sorveglianza ed al direttore della casa di reclusione di Roanne [dipartimento della Loire, regione Rhône-Alpes, NdT], in forma anonima, una lettera di rivendicazione nella quale esigono un certo numero di misure, che rimettono in questione il funzionamento e l’esistenza stessa della prigione, in particolare: la fine dell’isolamento, del tribunale interno alla prigione, del quartiere disciplinare, dei regimi chiusi, che sono i mezzi di pressione e repressione di cui dispone l’Amministrazione Penitenziaria. Menzionano anche il sistema del racket della spesina, lo sfruttamento nelle officine di lavoro, le restrizioni per ciò che riguarda i colloqui, etc.1 Questa lettera ha larga diffusione e viene volantinata davanti a questa prigione e ad altre. C’è anche un presidio solidale, fuori.

Quello stesso weekend, la stampa riporta diverse notizie: il tentativo di suicidio di un prigioniero, un altro che è accusato di aver buttato un frigo sui sorveglianti. Chiedeva spiegazioni sul perché gli era stato impedito, diverse volte, di uscire al passeggio. Viene duramente pestato da molti secondini, si becca un mese d’isolamento, poi passa in processo al tribunale di Roanne. Vi è condannato a due anni di prigione supplementari.2

Poco tempo dopo, una lettera pubblica scritta da un prigioniero spiega meglio com’è la vita quotidiana nella casa di reclusione. Nel novembre 2011, questo stesso prigioniero era stato all’origine di alcune petizioni che criticavano, fra l’altro, le perquisizioni ai colloqui e lo sfruttamento nelle officine di lavoro. Come conseguenza, la direzione lo aveva messo in isolamento per 3 mesi, poi lo aveva tenuto 5 mesi in regime chiuso. Per finire, quando il rumore fatto intorno alla sua situazione è diventato scomodo per l’amministrazione penitenziaria e viene a mescolarsi ad altre vicende, è stato trasferito.3 La sua lettera spiega, fra l’altro, come l’amministrazione penitenziaria e le guardie ci si mettono per cercare di isolare e spezzare i prigionieri recalcitranti.
Nonostante ciò, la resistenza si manifesta sotto diverse forme.

Il 4 luglio c’è un blocco del cortile, che è seguito da un pestaggio da parte dei secondini che intervengono. Alcuni detenuti filmano la scena, altri gettano oggetti sui secondini, solidali con quelli che si sono rifiutati di tornare in cella. Queste ultime persone erano confinate in regime chiuso ed il blocco arriva quando l’AP ha deciso l’ennesimo cambiamento per quanto riguarda gli orari del passeggio.
Qualche giorno dopo, il video viene largamente diffuso su internet, accompagnato da una lettera esplicativa scritta dai prigionieri.4

Qualche volta, la stampa ufficiale ha parlato di questi avvenimenti, pubblicando anche una parte della lettera di rivendicazione ed il video del blocco, cosa, questa, che ha fatto circolare di più le informazioni. La stampa ha però sempre messo in avanti il punto di vista dei sindacati dei sorveglianti e dell’amministrazione penitenziaria.

Pochi giorni dopo, in città vengono incollati dei manifesti che raccontano del blocco e, in particolare, fanno i nomi dei secondini che hanno pestato i prigionieri. Ciò fa scandalo, i giornali riprendono questa storia, quindi tutti i prigionieri ne vengono a conoscenza, visto che il giornale viene distribuito gratuitamente in prigione (anche se proprio quel giorno viene censurato).

Il giorno dopo, i secondi dichiarano che si sentono in stato d’insicurezza. Gli ERIS [i GOM francesi, NdT] prendono il loro posto; i prigionieri restano chiusi in cella tutto il giorno, passeggio ed attività vengono soppressi, i colloqui sono ritardati e per qualcuno soppressi, i pasti serviti in ritardo, etc.
I sorveglianti vengono insultati e minacciati da numerosi prigionieri arrabbiati, ci sono diversi tentativi d’incendio, il blocco di un piano, la casa di reclusione è in ebollizione. Poi la routine riprende il suo corso.

L’estate, c’è una piccola manifestazione selvaggia a Lione, in solidarietà con le lotte dei prigionieri. Viene distribuito un volantino, la sede locale dello SPIP (quelli che si occupano della re-inserzione) viene vandalizzata.5

Alla fine dell’estate, sul tribunale di Roanne compare una scritta, con il nome di un graduato dei secondini, seguito da: “vuoi degli infami, non avrai che il nostro odio, fuoco alle prigioni”.6

Qualche tempo dopo, davanti al tribunale vengono ritrovati dei dispositivi incendiari; uno ha danneggiato la porta d’entrata del tribunale, l’altro non ha funzionato. Questi fatti compaiono nel giornale locale, che li mette in relazione con quanto successo nella casa di reclusione.7

Sempre in settembre, uno dei prigionieri che aveva partecipato al blocco del passeggio durante l’estate esce di prigione.8 Parla del blocco, di come poi i secondini gli hanno fatto trovare lungo. Spiega anche che, a fine estate, è stato nominato un nuovo maggiore, che ha irrigidito la gestione della prigione. Ciò, vigilando sull’applicazione letterale del regolamento interno, cosa che ha come conseguenza che molti prigionieri passano in commissione disciplinare (oppure davanti al tribunale interno della prigione) per delle stupidaggini come fumare o mangiare nei corridoi. Vengono anche fatte delle perquisizioni di massa delle celle, cosa che ha grosse conseguenze. Tensione permanente, perdita di fiducia nei legami fra prigionieri, rinvii davanti al tribunale interno che generano pene che vanno da alcuni giorni d’isolamento con la condizionale, fino a mesi di prigione che si aggiungono alle vecchie condanne; ciò a causa di un po’ di fumo, dei telefoni o dei caricabatterie, delle chiavette USB od altri oggetti trovati in cella e vietati all’interno della prigione.
Ne è un esempio la situazione di una donna che si è presa 10 mesi di galera supplementari, più 14 mesi con condizionale, per il possesso di un cellulare.9
L’amministrazione penitenziaria ha certamente altre armi dalla sua per cercare di far regnare la paura e la sottomissione. Cercare ed utilizzare degli infami, far vedere la carota (permessi di uscita, possibilità di libertà condizionata, sconti di pena), oltre al bastone, che usa bene.

francia-proteste21Nell’autunno, nella città di Roanne, viene attuato un blocco stradale in solidarietà con i prigionieri in lotta e 500 volantini vengono distribuiti nelle cassette delle lettere della città. Essi precisano, in particolare, chi sono quelli che fanno funzionare la casa di reclusione e quale posto essa ha nella città.10 Ad inizio dicembre, un furgone della Eiffage [la grande impresa di costruzioni che è proprietaria dell’edificio della prigione; si tratta del primo caso in Francia di cogestione pubblico-privato delle carceri, NdT] viene incendiata e dell’olio per motori viene versato davanti alla prigione, prima dell’ora del cambio mattutino dei secondini.11

L’amministrazione penitenziaria vuole isolare le persone che resistono e soffocare le informazioni che potrebbero uscire dalle mura. Per questa ragione, essa vieta l’ingresso di alcuni giornali, o quello del quotidiano locale in funzione delle informazioni che contiene.
Ma le testimonianze e le informazioni varie che arrivano da dentro e fuori la prigione circolano, per quanto possibile, sui media alternativi e vengono in particolare ripresi da emissioni radio anticarcerarie.

L’amministrazione penitenziaria cerca con ogni mezzo di schiacciare quelli che non chinano la testa, moltiplicando gli attacchi, dentro. Isolare nel quartiere disciplinare oppure attraverso dei trasferimenti, pestare, mantenere in stato di carenza, aggiungere mesi o anni di prigione, essi fanno il loro sporco lavoro e ne hanno tutto i mezzi. In questo modo, vogliono spaventare e sottomettere tutti i prigionieri. Nonostante ciò, la resistenza si manifesta quotidianamente, in maniere diverse (rifiuti di tornare in cella, rifiuti di obbedire agli ordini, sabotaggi vari, come la cassetta delle lettre dei secondini, che serve per raccogliere i buoni spesa della Eurest, che si trova riempita di escrementi), etc.

Siamo solidali con coloro che resistono e vogliamo renderli più forti!
Per distruggere tutte le prigioni, per non lasciare in pace i bastardi!
Perché quelli che resistono (ed i loro boia) sentano che hanno del sostegno fuori.
Per influire su questo rapporto di forze in tensione permanente, ogni iniziativa è la benvenuta!!!

da non-fides.fr

Fonte: informa-azione.info


Francia – Riflessioni sulle misure alternative al carcere

“La rottura nei confronti delle autorità giudiziarie”
Notizie da Mike, condannato a causa dell’esplosione di Chambéry del 1 maggio 2009. 

Nota per il lettore di lingua italiana.

Verso la mezzanotte del 1 maggio 2009, una bomba esplode in una fabbrica abbandonata vicino a Chambéry. Zoé vi perde la vita, Mike rimane gravemente ferito. La polizia dirà che i due stavano preparando un ordigno esplosivo ed in seguito Mike ammetterà di aver confezionato la bomba insieme a Zoé, sempre negando una qualunque intenzione sovversiva quanto al suo utilizzo. Visto che i due sono schedati come “anarchici” è l’antiterrorismo che viene incaricato delle indagini. Altre quattro persone vengono messe sotto inchiesta con l’accusa di aver “ripulito”, dopo l’incidente, il furgone di Mike ed il domicilio di Zoé da materiale “scottante” (in realtà, per lo più libri e scritti anarchici). La condotta di queste persone al momento dell’arresto varia molto: si va da un comportamento degno, al fare dichiarazioni su sé stesso ed altri (fornendo indicazioni su una persona ricercata, come fa J.), fino al limite di William, che inventa particolari su obiettivi immaginari della bomba ed altrettanto immaginarie scorte di clorato di sodio.
Alla fine il “caso” viene derubricato dall’antiterrorismo al diritto ordinario. Nel maggio 2012, Mike e tre suoi coimputati vanno a processo (il quarto non è giudicabile, grazie ad un cavillo tecnico). Anche in questa occasione, diversi sono gli atteggiamenti nel rapporto alla giustizia: c’è chi sottolinea il suo “reinserimento”, chi minimizza il proprio operato (a scapito di altri) e chi assume a pieno le proprie idee e scelte.

Chi volesse approfondire può leggere, in francese, il resoconto del processo, che contiene anche una ricostruzione dell’incidente:
http://cettesemaine.free.fr/spip/article.php3?id_article=5076

Il 16 ottobre 2012 sono stato convocato dalla JAP [Juge d’Application des Peines – ha funzioni simili a quelle del Magistrato di sorveglianza dell’ordinamento italiano, NdT], per discutere delle forme che prenderà la condanna ad un anno di carcere, di cui sei mesi passati in condizionale, pronunciata contro di me nel processo del 25 maggio 2012, in relazione all’esplosione del 1 maggio 2009 a Cognin (Savoia).
Dopo lunghe e numerose riflessioni, sono alla fine rimasto su una linea politica vicina alla rottura nei confronti delle autorità giudiziarie, situando questa rottura all’interno di un profondo conflitto con lo stesso concetto di autorità e le derive carcerali e statali che ne derivano.

Allo stesso tempo, ho rifiutato di entrare nelle categorie della sedentarizzazione e del lavoro salariato, confermando così la mia determinazione a non integrarmi nella loro miseria sociale.

Le conseguenze della mia posizione e la mia volontà di non entrare in qualche forma di dialogo e di pacificazione del conflitto che ci oppone hanno fatto sì che l’argomento delle pene alternative alla detenzione non sia stato nemmeno affrontato dall’AP (amministrazione penitenziaria) e che io sia convocato per il 7 gennaio 2013 alla Casa Circondariale di Chambéry, per espiarvi quello che mi resta della pena (4 mesi di prigione, 2 e mezzo tenendo conto degli ipotetici sconti di pena).

Al contrario di ciò che pretenderebbe la giustizia, che in vano ha cercato di farmelo controfirmare, non si tratta di una detenzione volontaria. Si tratta della messa a nudo di un rapporto di forza nel quale le armi sono ineguali ed il loro potere di nuocere alla mia vita è tale che io ho deciso (mantenendo la possibilità di cambiare idea) di recarmi in prigione. Malgrado tale rapporto di forze, il mio desiderio di un mondo senza dominazione non è che rinforzato e la mia determinazione a lottare contro tutte le forme di autorità non può che essere sempre più grande.

Ne approfitto, allo stesso tempo, per ringraziare i diversi gruppi ed individui che hanno condiviso le discussioni e le riflessioni che mi hanno aiutato ad arrivare alle mie attuali prese di posizione.

Al momento della mia incarcerazione, il mio indirizzo ed il mio numero di matricola verranno resi pubblici e le lettere saranno le benvenute.

Poiché, qui ed altrove, le nostre esistenze ed i nostri spazi di vita non sono gestibili, distruggiamo ciò che ci distrugge e facciamola finita con il concetto di autorità e di dominazione.

Che crepi questo mondo di merda!

Mike
Germogli di Libertà.
Riflessioni sulle misure alternative alla carcerazione
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In seguito alla sentenza ed alle diverse forme di reclusione che possono esserne le conseguenze, mi sembra importante cercare di mettere giù alcune delle mie riflessioni.

Considerando i due mesi di preventiva già fatti, mi restano da scontare quattro mesi di carcere, più sei mesi di condizionale (che restano in sospeso per i prossimi cinque anni). Spontaneamente, il mio primo riflesso è stato la voglia di fuggire questa situazione, ma sono stato rapidamente scoraggiato dall’isolamento, l’energia ed i mezzi tecnici che richiederebbe una latitanza come si deve e dalla paura di vedere il mio quotidiano, i miei progetti ed i miei legami sociali ritmati una volta di più dalla psicosi della reclusione. Nonostante la mia volontà politica di non sottomissione all’AP (amministrazione penitenziaria) ed il desiderio di rendere loro il lavoro il più duro possibile, ho comunque rapidamente concluso che la fuga causerebbe più disastri alla mia vita e a quella delle persone che mi circondano che i pochi mesi di prigione a cui sono stato condannato.

Ho quindi cercato di immaginarmi le diverse forme che la mia reclusione potrebbe prendere, per anticipare le conseguenze che questa condanna avrà sul mio quotidiano e su quello delle persone a me vicine.

Di fronte alle diverse forme detentive messe in atto dall’AP per le pene brevi o i fine pena (semi-libertà, braccialetto elettronico), numerose questioni a proposito di queste misure alternative alla prigione sono comparse e si sono affinate lungo le riflessioni individuali e collettive.
Il seguito di questo testo si snoderà quindi lungo la dualità fra  la “scelta” di pene alternative e quella della prigione.

Visto che la scelta di una pena alternativa al carcere classico, intesa come miglioramento del quotidiano, è valida solo all’interno di una logica carceraria, è primordiale per me pormi delle vere domande sulle forme che può prendere la reclusione durante questo periodo, affinché la mia “decisione” non sia condizionata dall’AP, ma sia il frutto di riflessioni collettive ed individuali che mirino a limitare le conseguenze delle restrizioni che ne derivano, sempre mantenendo una coerenza politica.

In una situazione in cui le pene alternative al carcere permettono di aumentare massicciamente il numero di persone sotto restrizioni carcerali, allo stesso tempo riducendo considerevolmente i costi di queste restrizioni, esse  introducono quotidianamente queste restrizioni nel seno stesso delle sfere pubblica e privata della popolazione e garantiscono una manodopera docile e sfruttabile a basso prezzo, grazie a mezzi di ricatto e restrizione ancora più forti che in una situazione salariale classica; mi è quindi impossibile non essere scettico di fronte a pratiche giudiziarie che mirano ad estendere la reclusione al di fuori delle mura delle prigioni.

È ciononostante vero che una pena alternativa al carcere può permettere di avere più legami sociali con i propri prossimi, visto che le possibilità di incontro e di comunicazione non sono sottomesse al formalismo ed all’arbitrio dei colloqui [in carcere, NdT], che senza l’intermediario e i limiti della spesina e con la possibilità di poter cucinare, procurarsi i propri alimenti, fare la doccia quando lo si vuole, mantenere una parte della propria vita sociale, affettiva e sessuale… si conserva una maggiore autonomia in quel che resta del quotidiano, in confronto a quello vissuto fra le mura di una prigione.
Ma tutto ciò è davvero rappresentativo della realtà di una pena alternativa al cercere?

Nella mia situazione personale di rifiuto della sedentarizzazione e del lavoro salariato, gestire questa pena significherebbe inevitabilmente partecipare all’elaborazione delle forme che prenderebbe la sanzione e di conseguenza entrare in una forma di partnership con l’AP.

Durante gli anni vissuti in libertà vigilata, ho avuto il tempo e le occasioni per affinare qualche riflessione sulle restrizioni carcerali al di fuori delle mura, ho potuto constatare che quando si è “rinchiusi fuori” le nostre attese si volgono automaticamente verso le persone che ci circondano e, quali che siano gli strumenti messi in atto, compaiono delle delusioni. Fare la scelta di una pena alternativa significherebbe quindi avere delle frustrazioni nei confronti delle persone a me vicine, invece che dirigerle contro lo Stato, che è alla base delle mie oppressioni.

Vivere una realtà carceraria all’esterno mi metterebbe in una condizione d’isolamento, poiché mi ritroverei ad essere il solo a vivere questa oppressione, in mezzo a persone avvantaggiate quanto alla propria libertà di movimento. Vivere una tale situazione d’isolamento causerebbe obbligatoriamente delle gerarchie nella ripartizione dei compiti e delle attese affettive nel seno delle mie relazioni sociali e, anche con una reale volontà e mettendoci un’attenzione particolare, mi sembra impossibile che le conseguenze non si incrostino nei miei legami sociali e nei confronti dei miei prossimi.

Essere rinchiuso in una cella la cui porta resta aperta mi obbligherebbe a rifare la scelta della reclusione ogni volta che sarei tentato di oltrepassarla; ciò significherebbe autodisciplinarmi di continuo, in modo da vietarmi ogni pulsione che miri alla mia emancipazione sociale, politica ed affettiva. In un modo di vita collettivo, ciò significherebbe condividere i ruoli del secondino e condurrebbe inevitabilmente a relazioni sociali in cui la repressione si mescolerebbe agli altri parametri che richiedono una gestione quotidiana.

Nel periodo della libertà vigilata, ho gestito il mio equilibrio sociale creando delle fessure nelle restrizioni impostemi ed accettare un braccialetto elettronico significherebbe sopprimere questi spazi di libertà, in assenza dei quali il mio equilibrio sociale non può che essere pesantemente danneggiato.
Ciononostante, la realtà carceraria attuale non permette di conoscere la data della propria scarcerazione, poiché ad ogni momento un’infrazione commessa durante la detenzione può portare ad una nuova condanna e significare quindi un prolungamento della durata della carcerazione.

Avendo delle rivendicazioni e cercando di avere delle pratiche antiautoritarie nel mio quotidiano, mi è difficile immaginare una realtà carceraria senza conflitti con l’AP e ciò significa proiettarmi in un periodo in cui sarei costantemente tentato di soffocare la mia coscienza ed i miei istinti di rivolta, nella prospettiva di non prendere delle pene supplementari durante la detenzione.

Fare la scelta di essere incarcerato significherebbe perdere il controllo sulle forme che prenderebbe questa condanna e lascerebbe la possibilità all’AP di organizzare il mio quotidiano durante il periodo della reclusione, scegliere il luogo di detenzione, poter vedere i miei legami sociali all’esterno attraverso i colloqui, le lettere etc. Questa scelta significherebbe ugualmente che le mie amicizie sarebbero colpite da una separazione fisica e si manterrebbero unicamente sulla fiducia esistente e quella che potrebbe essere creata ed intrattenuta attraverso la solidarietà, fatta di azioni, lettere o colloqui e la mia cerchia di relazioni fisiche sarà molto ristretta e limitata alle poche persone che avranno diritto ai colloqui. Senza fare particolare attenzione alle sensazioni di ogni persona a me vicina, mi sembra probabile che venga accentuata una certa gerarchizzazione fra le mie relazioni e che ciò possa essere fonte di conflitto, per persone già abbastanza colpite dalla situazione.

Ma questa scelta significherebbe ugualmente costruire dei nuovi legami sociali nel mio quotidiano, senza disequilibri, poiché li condividerei con persone che vivono la stessa realtà carceraria e ciò mi spingerebbe a dirigere le mie frustrazioni verso le cause della mia oppressione e non contro le persone a me vicine.

Nel periodo di carcerazione preventiva, ricordo, fantasmavo sul mondo esterno, sulla forza delle mie relazioni affettive, e avevo voglia di mordere la vita a pieni denti, appena fuori. Di fronte ai ricordi di depressione e di frustrazioni sociali provati all’inizio della libertà vigilata e delle difficoltà a ritrovare un pieno sviluppo sociale ed affettivo, mi sembra più facile progettarmi in una realtà carceraria, in modo da preservarmi dalle frustrazioni sociali, piuttosto che progettarmi in una situazione in cui numerosi eventi mi farebbero ricordare un periodo della mia vita particolarmente difficile. Ho anche coscienza che la morte di Zoé mi ha gettato in una realtà in cui tutto il mi equilibrio sociale ed affettivo è stato modificato. I pochi mesi di preventiva [già fatta, NdT] mi hanno permesso di vivere tutto ciò isolato in una specie di bolla e non ho avuto veramente percezione del vuoto causato dalla sua morte e dalle conseguenze che questa ha avuto sulla mia vita, che una volta uscito di prigione.

Dato che la mia detenzione preventiva si è aggiunta ad una situazione di ricostruzione fisica e psichica, ho vissuto quel periodo in un modo “di sopravvivenza”, non lasciando che poco spazio ai miei sentimenti e frustrazioni, e questi non hanno potuto emergere che una volta in libertà vigilata.

Scrivendo queste poche righe, mi rendo conto che è difficile per me essere razionale riguardo a quello che sento di fronte alla dicotomia braccialetto elettronico / prigione, poiché tutto ciò mi rimanda a periodi difficili della mia vita, dai quali non ho ancora preso abbastanza distanza per poter capire ed affrontare i ruoli della repressione, del lutto, delle ripercussioni fisiche dell’incidente, le numerose altre conseguenze affettive ed i loro legami con la mia situazione attuale.
Perché, alla fine, questa scelta non è la mia e mai farei spontaneamente la scelta fra essere rinchiuso in una prigione oppure essere sotto sorveglianza elettronica; la mia scelta si limiterebbe ad evitare le pene alternative o la detenzione.

Da un punto di vista personale, non riesco ancora a prevedere la posizione che terrò di fronte al JAP, se cercherò o meno di avere una pena alternativa al carcere, e trovo primordiale il fatto di avere la libertà di cambiare opinione tante volte quante sarà necessario. Ciononostante, la mia coscienza politica e le mie pratiche di lotta antiautoritaria fanno sì che, se cerco una coerenza, non posso che essere contrario alle pene alternative e che l’opzione che renderà il lavoro il più difficile ed il più costoso possibile all’AP è quella della detenzione in carcere. Ma allo stesso tempo mi sembra indispensabile essere attento al mio equilibrio affettivo e sociale nel momento in cui vi sarò confrontato, affinché non sia un dogma politico il solo parametro ad influenzare la mia posizione. La cosa più importante ai miei occhi non è quindi la decisione finale che sarà il frutto di questa situazione, ma gli strumenti che permettono di costruire e di affinare delle riflessioni attorno a questa questione, e fare in modo che essi possano alimentare delle discussioni e delle pratiche, collettive così come individuali, all’interno delle lotte anti-carcerarie e antiautoritarie di questa società.

Forza e coraggio a quelli/e che lottano contro tutte le forme di detenzione.

Mike
[ottobre 2012]

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Fonte:non-fides