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Aggiornamenti dalle carceri – Anna e Marco in isolamento, Cello e Saverio ai domiciliari

Diffondiamo da RoundRobin

La compagna anarchica Anna Beniamino (arrestata in settembre 2016 nel contesto dell’operazione Scripta Manent, attualmente detenuta in carcere di Rebibbia) ci fa sapere (2 aprile 2018) che gli “inevitabili commenti a voce alta” espressi durante il processo in corso per la suddetta operazione, “hanno fatto guadagnare” a lei e a Marco Bisesti (anche lui detenuto da 09/2016, attualmente in carcere di Alessandria) un paio di rapporti disciplinari, tramutati in qualche giorno di isolamento.

Entrambi i compagni se la ridono del “castigo”.

Solidarietà affine con Anna e Marco, e con i compagni detenuti nel carcere di Ferrara. Continue reading


Visitare le galere per scoprire che a 88 anni si impara ancora

cordatesaQuando si è più vicini agli ottantanove che agli ottantotto anni, e sono anni vissuti intensamente senza sprecare un’ora, attenti nel lavoro, attenti agli affetti, impegnati in ogni piccola cosa come se fosse la più importante… a un certo punto si pensa di aver vissuto e conosciuto tutto.

Così, dopo aver detto di essere pronta -ed anche Continue reading


Corteo contro la repressione

Il corteo finirà sotto il carcere di S.Vittore
Il 27 ottobre a Cusago un rave party viene duramente represso con un
violento attacco della celere. Il bilancio dell’operazione riporta una
ragazza in coma per diversi giorni, un cane ucciso e decine di ragazz*
feriti, diversi dei quali gravi. Nel sostanziale silenzio dei media, che
si sono limitati a riportare il comunicato della questura, si è
realizzato uno degli atti di polizia più violenti e insensati degli
ultimi anni. L’operazione evidenzia chiare responsabilità da parte della
Questura di Milano con l’avallo del DPA (Dipartimento delle Politiche
Antidroga), responsabile di una dura politica repressiva e
proibizionista. Le violenze di quel giorno, giustificate con motivazioni
ipocrite sulla tutela della salute dei partecipanti, hanno avuto il
chiaro intento di criminalizzare e reprimere un’esperienza libera ed
auto-organizzata.

L’attacco si inquadra in un contesto più ampio di crescita delle azioni
repressive, dalle quali si evince chiaramente quale sia la risposta
messa in campo dalle istituzioni nella gestione del diffuso clima di
conflitto sociale che stiamo respirando in Italia, come in tante altre
parti di Europa. In questi mesi si assiste ad un inquietante aumento
delle azioni violente da parte delle forze dell’ordine, con cariche a
freddo contro persone, siano queste studenti, lavoratori o appartenenti
a qualsiasi altro soggetto sociale politicamente attivo, “colpevoli” di
manifestare dissenso per le politiche governative o per la difesa dei
propri diritti, sgomberi di spazi sociali e di case occupate,
perquisizioni, arresti e disparate misure restrittive a carico di
attivisti, nel corso di operazioni repressive studiate a tavolino per
delegittimare i movimenti di lotta.

Non possiamo accettare questa deriva violenta e autoritaria, in cui lo
Stato usa il proprio braccio armato, le forze dell’ordine, ma sempre più
spesso anche l’esercito, come in Valsusa, in difesa degli interessi di
un sistema economico che ha dimostrato da tempo la propria
inadeguatezza.

E’ in questo scenario che quanto accaduto a Cusago non può restare
senza risposta: tutt* ci sentiamo chiamati in causa per difendere spazi
di libertà, temporanei o stabili, nei quali continuare a coltivare la
nostra opposizione al sistema vigente, attraverso lo sviluppo di
pratiche controculturali vecchie e nuove, pratiche con cui affermiamo la
nostra alterità rispetto alla mercificazione dell’esistenza che
contraddistingue il modello sociale in cui stiamo vivendo.

Riteniamo quindi indispensabile riportare all’attenzione collettiva
temi fondanti come autogestione e autoproduzione; riaffermiamo con forza
la legittimità delle pratiche di riappropriazione di spazi, tempi e
saperi. Rivendichiamo l’attualità dell’occupazione come atto in grado di
ridare vita, temporaneamente o in maniera stabile, a zone autonome e
liberate. Sfruttando gli sprechi e l’abbandono ci sottraiamo alle
logiche del potere e del profitto, creiamo spazi pubblici di socialità
in grado di autoregolarsi, sperimentiamo nuove modalità di relazione tra
le persone.

Su questi presupposti si è costruito un percorso di confronto, aperto
ed eterogeneo, tra soggetti di tutta Italia che in veste differente
hanno a cuore la creazione di nuovi ragionamenti e pratiche comuni:
tribe, spazi sociali, singole persone hanno popolato assemblee pubbliche
durante le quali si è sancita la necessità di dare una prima forte
risposta di piazza a tutte queste esigenze latenti, dando forma anche a
interconnessioni tra differenti percorsi politici e sociali.

Il 22 dicembre manifesteremo per rivendicare le nostre azioni e
denunciare questo clima di tensione attraverso una presenza consapevole
nelle strade e nelle piazze, in grado di spezzare il meccanismo
recriminatorio che ci circonda e portare la nostra voce e il nostro
pensiero. Il corteo si concluderà con un presidio davanti al carcere di
San Vittore, luogo simbolico e spina nel cuore del tessuto urbano
milanese, per portare la nostra solidarietà a tutti coloro che subiscono
l’oppressione dello stato e far sentire la nostra presenza attraverso la
musica.

Concentramento h 14.30 – Piazzale Cairoli
Per info o adesioni: reclaimthestreets2k12@inventati.org


Avellino, quattro detenuti evadono

Le forze dell’ordine sono ancora alla ricerca di tre dei quattro detenuti evasi dal carcere di Bellizzi Irpino in provincia di Avellino. Il quarto è stato ripreso dai carabinieri a Potenza. La Polizia penitenziaria e i Carabinieri stanno effettuando una vasta battuta a caccia dei tre evasi, anche con l’ausilio di un elicottero. I tre evasi dal carcere di Avellino, attualmente ricercati, sono, secondo quanto riferisce la Uil Pa Penitenziari, Cristiano Valanzano, nato a Vico Equense (Napoli), fine pena nel 2028, Salvatore Castiglione, nato a Crotone, fine pena nel 2036 e Fabio Pignataro, nato a Mesagne (Brindisi), fine pena nel 2025.

 – Gli evasi hanno procurato un foro di uscita dal bagno della cella rimuovendo un intero blocco di mattoncini, poi si sono calati con un lenzuolo annodato. Raggiunto il muro di cinta, si è appreso da Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari e da Pasquale Montesano, segretario nazionale dell’Osapp, i detenuti hanno posizionato un contenitore dell’immondizia sul quale hanno posato alcune pedane che hanno funzionato da scala.

I carabinieri li hanno intercettati a bordo di un’auto rubata – La fuga è stata scoperta stamane durante la conta dei detenuti: l’evasione sarebbe avvenuta nella nottata o nelle prime ore della mattinata. I quattro evasi sono stati poi intercettati dai carabinieri nella zona del Potentino a bordo di un’auto rubata. Uno dei quattro è stato arrestato, gli altri tre si sono dati alla fuga. Secondo le notizie in possesso ai sindacati, si tratta di detenuti comuni che erano reclusi al secondo piano della sezione ‘Giovani adulti’ tutti con condanne gravi: il fine pena più breve dei quattro era al 2028.

La Uil: fare luce sulle responsabilità – “La rocambolesca evasione messa in atto da quattro pericolosi delinquenti, ristretti alla Casa Circondariale di Avellino, non può non generare preoccupate riflessioni sull’evento odierno, ma più in generale sulle criticità operative che oberano, sino a portarlo alla completa inefficienza, il sistema penitenziario italiano”. Lo sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari.

PURTROPPO
E’ durata poco più di 24 ore la fuga dei quattro pregiudicati evasi ieri notte dal carcere di Bellizzi Irpino (Avellino). Dopo che ieri era stato bloccato il tarantino Daniele Di Napoli, preso in provincia di Potenza mentre era alla guida di un’automobile rubata, i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza hanno arrestato gli altri tre fuggitivi. Si tratta di Cristiano Valanzano, di Castellammare di Stabia, Salvatore Castiglione, di Crotone, e Fabio Pignataro, di Mesagne (Brindisi). I tre sono stati individuati nelle campagne di Sibari di Cassano allo Jonio nei pressi di un casolare diroccato in cui avevano trascorso la notte.


Tonelli – fuggitivo racconta, tra carceri e OPG

RIMINI – La fuga dalla comunità di recupero di Marradi, nascosto nel bagagliaio di un’auto. E il viaggio lungo 36 ore che lo porterà oltre confine, in una Paese straniero, una località sconosciuta sulla quale vuole mantenere il segreto. E poi i ricordi degli anni trascorsi in carcere o nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Fabio Tonelli, 38 anni, gli ultimi dei quali passati in una cella per espiare le colpe di un’eterna lite con i vicini di casa. Chi è Tonelli? L’uomo che da del “lei” a sua madre, ripudiato dai genitori, un avvocato mancato, uno dei primi a subire la condanna per stalking a Rimini, un attaccabrighe: un folle o solo un po’ borderline? Non ci cimenteremo in una risposta che non ha trovato d’accordo gli stessi psichiatri.

Quel che riteniamo importante in queste righe è la testimonianza in presa diretta di una persona che ha vissuto la dolorosa detenzione in un ospedale psichiatrico giudiziario. E che sa trovare le parole per raccontare la sua disavventura.
Tonelli, che nel tempo è stato definito una personalità “dissociata”, o affetto da un“narcisismo maligno”, con consapevole lucidità, in un carteggio pervenuto alla Voce, motiva i suoi dissapori con il mondo intero. “A San Vittore rimasi pochi mesi perché la direzione non mi voleva per quello che ero, per quello che raccontavo e per quello che facevo”.

Con la stessa franchezza spiega perché é fuggito dalla comunità di don Nilo dove si trovava ricoverato, dopo aver espiato la sua pena perché ritenuto giuridicamente pericoloso. Scrive: “La magistratura italiana è così pressapochista da non rendersi neppure conto che le misure di sicurezza successive a fine pena detentiva godono di particolare discredito in molti paesi europei e sono invise davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Infatti si tratta di misure pseudosanitarie. Se una persona fosse ammalata dovrebbe essere curata subito e non dopo anni trascorsi in carcere senza cure”.

Se la magistratura italiana decidesse di mettersi sulle sue tracce o di chiedere al Paese che lo ospita di estradarlo, “farebbero il mio gioco perché sarei pronto a fare diventare il mio un caso internazionale, frutto di un provvedimento abnorme e attuato per perseguitarmi”.
Pungola, Tonelli, e diventa anche ironico quando racconta come funzionano le comunità di recupero. “Sono stato ospite di una comunità per tossicodipendenti ed ero l’unica persona a non essere mai stata tossicodipendente. Il mio programma di recupero era identico al loro e consisteva nel raccogliere castagne nella loro piantagione, lavoro ritenuto presupposto indispensabile per uscire dal tunnel della droga. Mi trovavo a Marradi in misura di sicurezza per presunta pericolosità sociale giuridica (mentre la pericolosità psichiatrica è stata esclusa da tutti i consulenti che lo hanno visitato, ndr). Secondo il giudice non potevo lasciare la struttura se non accompagnato”. Ma infine il giudice del tribunale di Sorveglianza di Firenze si è arreso e gli ha concesso di andare da solo alle udienze, nei vari processi (in cui è spesso imputato e talvolta vittima). “Come si giustifica la pericolosità sociale pur attenuata e la presunzione di rifare reati se poi vai di continuo da Marradi a Rimini da solo e stai via tutto il giorno per udienze e treni? E dire che se fossi stato pericoloso, avrei ben potuto presentarmi sotto casa della famiglia Bugli (la famiglia di Riccione con cui si innescato il conflitto con il vortice di querele e contro querele, ndr).

Ma la pagina più toccante del “diario di Tonelli dalla località segreta”, il fuggiasco la scrive sulla sua esperienza di paziente di Opg (ospedale psichiatrico giudiziario). “Quando ho visto che luoghi erano gli Opg ho ritenuto di credere che in carcere si hanno ancora taluni diritti, mentre in Opg tanti diritti sono assenti e si è nelle mani dello psichiatra – carceriere. Credo che se non avessi rinunciato all’attenuante del vizio totale di mente e non avessi fatto il giro delle carceri del nord a quest’ora sarei stato lobotomizzato e non potrei scrivere queste memorie”.
Per i presunti abusi subiti nell’Opg di Reggio Emilia, due anni fa Tonelli sporse denuncia contro la direzione della struttura. Un anno dopo, mentre si trovava al carcere di Montorio a Verona, andarono i carabinieri a interrogarlo per tre ore e mezza. I carabinieri indagavano in seguito alla sua denuncia sull’uso punitivo della medicina psichiatrica e sull’ipotesi di tortura”.

Nella sua denuncia ha menzionato persone internate provenienti dal forlivese e dal cesenate, oltre che dal riminese. Persone sottoposte al cosiddetto “<ergastolo in bianco”. Dimenticate cioè in quelle strutture di cura. “A Reggio ho anche incontrato Alessandro Doto il ragazzo che uccise l’addestratrice di delfini a Riccione. “Ma soprattutto ho visto cose assurde. Ho visto persone assolte per vizio totale di mente che si trovavano lì per resistenza a pubblico ufficiale, internate da 9 anni. Ho visto persone di 80 anni e oltre sulla sedia a rotelle, internate provvisoriamente a Reggio. Alcuni mi hanno raccontato di essere stati legati al letto per giorni, perfino settimane. Il mio compagno di cella fu scarcerato dopo che io gli scrissi il Riesame contro la misura di sicurezza provvisoria. Molte di queste persone sono abbandonato da parenti ed amici e non possono essere scarcerate perché nessuno li prende in affido. C’è un cesenate, che molti anni fa uccise il suocero, che è stato rinchiuso nell’Opg per vizio totale di mente e sta scontando, inconsapevolmente, un ergastolo in bianco.
Anche Tonelli fu legato al letto, avendo rifiutato le cure. Più avanti aveva poi imparato a gettare i farmaci nel water “gli infermieri erano compiacenti e mi tenevano il gioco con il medico psichiatra affinché la mia situazione non si aggravasse e non fossi di nuovo legato al letto”.

Nella località segreta in cui si trova oggi Tonelli, ha cominciato a prendere qualche contatto per una futura attività lavorativa. Un patronato che cerca docenti i lingua italiana per immigrati che da questo paese vanno in Italia gli ha promesso di ricontattarlo in gennaio. Talora mi chiedo quanto tempo durerà questo viaggio prima che possa ritornare nella mia Rimini, in un’Italia diversa”.

Fausta Mannarino