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Monza: detenuto tenta il suicidio, un agente lo salva in extremis

È stato un attimo, pochi istanti per evitare il peggio. Mostrando una gran dose di prontezza e sangue freddo un agente del carcere di Monza domenica ha impedito che un detenuto si togliesse la vita impiccandosi alle grate della cella. Erano le 11 quando l’agente di Polizia penitenziaria ha riaccompagnato in cella due detenuti. Lì ad aspettarli ci sarebbe dovuto essere un giovane italiano di trent’anni.
Jail--bars3L’uomo, approfittando dell’assenza dei compagni di cella che stavano rientrando dopo l’ora d’aria in cortile, ha preso la cintura dell’accappatoio e ha deciso di porre fine nella maniera più tragica al suo disagio. Si è legato la corda intorno al collo e si è appeso alle grate in ferro della finestra. Solo un caso ha evitato che il gesto dell’uomo si compisse. Appena entrati in cella sia l’agente di Polizia sia i due detenuti hanno immediatamente soccorso l’uomo liberandolo dal cappio.
È subito intervenuto il medico per visitare il detenuto che però non ha per niente apprezzato l’iniziativa di salvataggio. Ora il giovane si trova in una cella del reparto di isolamento priva di alcun oggetto che potrebbe nuocergli, come da prassi, in attesa che si chiariscano i motivi del suo gesto. “Questi episodi alla luce di un sovraffollamento in continuo incremento avvengono di frequente su tutto il territorio nazionale, passando in genere sotto silenzio fino a quando non si registra un decesso”, ha commentato Giuseppe Bolena, segretario provinciale dell’Organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria. Per il collega che ha saputo con il suo intervento salvare la vita al detenuto è già stata fatta richiesta di un riconoscimento ufficiale da parte della direzione.

Da Il Cittadino Monza e Brianza

13 settembre 2012


La rivolta non si arresta! Solidarietà con i compagni arrestati

notav_siamoEsprimiamo la nostra totale solidarietà con i due compagni Massimo e Daniela che sono stati arrestati il 27 agosto, e ribadiamo la nostra vicinanza agli altri 40 indagati.

Quando il potere vede il suo dominio messo in discussione, non può far altro che reprimere, e i primi a subire la repressione sono sempre coloro che si fanno portatori di pratiche e concetti che lo mettono in discussione radicalmente.

Osservando il palese collegamento tra i recenti arresti e la resistenza NoTav, appare evidente di come e dove il potere predispone i sui anticorpi, siano essi sbirri, magistrati e pennivendoli vari con il seguito dei loro lacchè. Colpisce là, da dove potrebbe partire il contagio di quella pericolosa malattia chiamata ribellione, per prevenirne la diffusione nelle teste decerebrate da anni di propaganda e di pacificazione sociale democratiche.

Tra le urgenze maggiori sembra ci sia quella zittire compagni come Massimo, sempre in prima linea nella diffusione di idee che mettono in discussione l’esistente e tutti i suoi difensori, con intelligenza e argomentazioni fondate.

 

L’applicazione del 270, associazione sovversiva, nel caso degli anarchici è sempre stato un paradosso e un’assurdità. Come si può imputare a una persona di essere uno dei capi di un’organizzazione eversiva, quando gli anarchici hanno sempre rifiutato ogni forma di organizzazione verticistica, in cui fosse possibile riconoscere un capo? E quanta tracotanza risiede nell’ideazione stessa di questo reato?

Se vediamo le accuse mosse nei loro confronti, troviamo fatti che sono il pane quotidiano di ognuno di noi: dai cortei alle occupazioni, dai volantinaggi ai blocchi.

E’ da anni che vari giudici provano ad incriminare gli anarchici con l’accusa del 270 bis e, anche se finora il gioco non gli è riuscito, non è da escludere che in futuro possa funzionare.

L’art. 270 (associazione sovversiva) è per altro una norma del codice penale, derivata direttamente dal codice Rocco di epoca fascista, che permette in via preventiva la custodia cautelare fino a 18 mesi. Il 270 è un articolo che ha lo scopo di reprimere il dissenso politico.

Non ci meravigliamo quindi che la polizia abbia usato il termine ZECCA(Ixodidae) per definire la loro operazione “contro gli anarchici”.

E’ sufficiente dimostrare la volontà di contrastare il sistema di potere vigente perché possa essere applicato e per questo motivo si basa di indagini legate principalmente a intercettazioni, pedinamenti e ricostruzioni poliziesche.
Alla luce delle difficoltà nel mantenere la pace sociale, che attualmente sta affrontando lo stato, è evidente che i primi a venire colpiti e eliminati sono proprio le persone che hanno sempre lottato e che hanno sempre dimostrato un’esemplare coerenza e costanza.

 

 

Solidarietà e complicità ai compagni colpiti dalla repressione!

Massimo e Daniela liberi subito!

Libertà per tutti gli arrestati NoTav!

 

CordaTesa

FOA Boccaccio 003


Monza, piove dentro le celle Sessantacinque detenuti sfollati

Monza, 1 settembre 2012 – Sessantacinque detenuti sfollati d’urgenza fra venerdì notte e questa mattina. Una ventina di celle dichiarate inagibili oltre alla sessantina già chiusa ormai un anno fa sempre per le pesanti infiltrazioni d’acqua. E un corto circuito che ha lasciato senza luce né acqua un’intera sezione dell’Alta Sicurezza.

infiltrazioniE’ di nuovo emergenza nel carcere di Monza. La violenta e abbondante pioggia fra venerdì e sabato ha riportato a galla un problema con cui detenuti e agenti avevano dovuto fare i conti la sera del 5 agosto 2011 quando un violento nubifragio fece finire sott’acqua anche le salette colloqui, l’ufficio matricola, la palestra e l’auditorium. «Ormai il tetto del carcere è diventato uno scolapiatti – sbotta Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -. Dopo un anno e decine di segnalazioni e denunce nulla è cambiato. Anzi, la situazione è addirittura peggiorata».

I detenuti della sezione numero 5 dell’Alta Sicurezza – rimasta senza energia elettrica e senza acqua – sono stati trasferiti in altri istituti della Lombardia. L’altro reparto cosiddetto AS è agibile solo a metà. Il fatto è che «sono stati fatti dei piccoli interventi tampone sul tetto ma quando piove molto ecco cosa succede – continua Benemia -. Detenuti e agenti sono costretti a vivere e lavorare in condizioni pietose e insane».

Da Il Giorno Monza Brianza 02/09/2012


Carceri, ieri superata la soglia 66.000 detenuti, per 45.572 letti

ROMA – Come era facilmente prevedibile, alle 17 di ieri i detenuti nelle carceri italiane hanno nuovamente superato la quota 66mila (66.065 presenze, per l’esattezza, per 45.572 posti-letto). Ed è altrettanto prevedibile che entro pochi mesi, i dati del sovraffollamento penitenziario assumeranno di nuovo rilevanza e pericolosità.

RivoltaL’appello della polizia penitenziaria. E’ in sintesi la nuova lettera che l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp 2)  ha trasmesso ai responsabili dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. “Le cifre di un incremento di 350 detenuti in soli tre giorni – scrive il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci – questa volta hanno riguardato principalmente la Sardegna (+84), la Sicilia (+54), la Toscana (+44), la Campania (41), il Lazio (+26) e il Piemonte (+24), ovvero regioni che già da tempo hanno superato i posti-letto disponibili e che adesso si apprestano a superare anche la capienza cosiddetta tollerabile, come già avviene per Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto, mentre del tutto insostenibile diventa anche la penuria di personale di polizia penitenziaria”.

Carenze nell’organico: “I detenuti gestiranno le carceri?”.
Infatti – si legge ancora nella lettera – “rispetto alle 7mila unità che mancano all’organico del Corpo, mai integrato dal 1992 (quando i detenuti erano meno di 40mila), in Piemonte ci sono 850 poliziotti penitenziari in meno, 700 ne mancano nel Lazio e in Toscana, 650 in Sicilia e 350 in Campania: con la spending review che blocca l’80% delle assunzioni, già da quest’anno e per i prossimi tre anni, ci aspettiamo persino carceri autogestiti dagli stessi detenuti”

Da Repubblica 25/08/2012


Io no-tav, vi racconto la mia esperienza in carcere

Pubblichiamo una riflessione di Zeno, sulla sua esperienza in carcere per la questione TAV. Ora, dopo 4 mesi di arresti domiciliari, è finalmente libero. Ha appena compiuto 20 anni.

BUSSOLENO: MARCIA IN VAL DI SUSA CONTRO IL CANTIERE TAV TORINO-LIONEAlle 6 del mattino del 26 gennaio 2012 sono stato arrestato e condotto nel carcere Due Palazzi dalla Digos di Padova su ordine del procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, che conduce l’inchiesta sui fatti del 3 luglio 2011 a Chiomonte (val di Susa), quando migliaia di persone assediarono il cantiere della TAV per difendere il loro territorio dalla devastazione ambientale e il paese intero da un gigantesco spreco di denaro pubblico. Dopo due giorni insieme agli altri detenuti, sono stato spostato nella sezione di isolamento. Il 9 febbraio il Tribunale del Riesame mi ha concesso gli arresti domiciliari, in cui mi trovo tuttora, da ormai quattro mesi.

Questo scritto è uno spaccato parziale e un po’ confuso di quella che è la vita in un carcere italiano e uno spunto per alcune riflessioni, a cui una società che si dice civile non dovrebbe sottrarsi.
In carcere entri ammanettato, è la regola. I funzionari di PG incaricati del trasporto ti accompagnano fino al braccio dove ci sono gli uffici, precisamente all’Ufficio Matricola, e ti consegnano nelle mani degli agenti di polizia penitenziaria, da cui da quel momento dipenderanno quasi tutte le decisioni che riguardano la tua vita all’interno di quelle mura.
In Matricola vieni registrato su un grande librone tipo quello degli alberghi, viene aperto il tuo fascicolo e ti prendono le impronte digitali, con un inchiostro che poi ci mette giorni a venir via. Sempre in Matricola ti prendi un bel “Comunista di merda!” e un “Che cazzo guardi!”, frasi non contenute nel protocollo, ma utili per farti capire che aria tira lì dentro e chi è che comanda.
Finita la parte burocratica passi nello stanzino vicino dove un altro agente (guai a chiamarli “guardie”!) estrae uno per uno ogni oggetto contenuto nella borsa che hai con te, prestando particolare attenzione anche al minimo frammento di fazzolettino di carta, potenziale contenitore di sostanze stupefacenti. Poi ti viene ordinato di toglierti i vestiti e te ne stai nudo come un verme mentre ogni piega, risvolto, cucitura, perfino delle mutande, viene ispezionato. A quel punto devi pregare che l’agente non si infili i guanti di lattice.
Dopo che ti sei rivestito si passa alla registrazione degli oggetti di valore: cellulare, documenti ecc. tutto in una busta, i soldi invece ti vengono accreditati sul libretto carcerario e ti serviranno per comprare quello che ti serve. Anche la borsa ti viene sequestrata, i vestiti che puoi tenere li devi buttare in un sacco nero, tipo quelli della spazzatura.
Il passo successivo è la visita medica: ti misurano la pressione, “Sei alcolizzato?” “No”, “Tossico?” “No”, “Malattie gravi?” “No”, “Okay a posto”, il medico firma e fine della visita.
E’ solo a questo punto che vieni accompagnato alla cella a cui sei stato assegnato ed è a questo punto che realizzi fino in fondo la tua situazione.
In una cella della Casa Circondariale vivono dalle 6 alle 8 persone, ma dovrebbero starcene al massimo 4. E’ uno spazio di pochi metri quadrati in cui ci sono due letti a castello in tripla fila (quello più alto è a più di 2 metri da terra e non sono pochi quelli che si fanno parecchio male cadendo), un angolo “cucina” con lavandino e un tavolino, un’altro tavolino per mangiare e un mobiletto dove riporre gli effetti personali di tutti. Una porta da’ sul bagno, in cui l’acqua calda arriva un’ora al mattino e un’ora verso sera.
In un carcere in cui i posti disponibili sarebbero 95, ma i detenuti sono 220-230, devi essere molto fortunato per avere un letto, se questo non c’è vieni accompagnato al magazzino dove ti prendi un materassino di gommapiuma tutta mangiata e le lenzuola e ti devi sistemare per terra durante la notte, incastrando il tutto sotto un letto durante il giorno, visto che altrimenti non ci sarebbe nemmeno lo spazio per muoversi. Se i tuoi compagni di cella sono gentili, ti insegnano come fare il letto in modo “ermetico”, annodando strette le lenzuola sotto il materasso perchè gli spifferi non ti congelino i piedi. Le finestre sono così isolanti che quando tira vento si crea corrente anche se sono chiuse, i termosifoni funzionano poco e male: il freddo è uno dei maggiori nemici con cui combattere e impari subito i vantaggi del doppio calzino e del doppio maglione. La pulizia della cella è di responsabilità dei suoi occupanti, sempre se sei fortunato hai dei compagni che hanno trovato nel lavare e pulire il loro passatempo preferito e ne hanno fatto un’attività compulsiva, con il risultato che c’è più pulito che in casa tua!
Se sei fortunato, vieni assegnato ad una cella in cui i tuoi compagni hanno un po’ di soldi nel libretto e sono lì da almeno qualche mese: questo significa che hanno diviso la spesa e arricchito al cella di fornellini a gas, la moka, delle pentole, il materiale per le pulizie, il telecomando, il sapone, la carta per scrivere, le carte da gioco. Ti rendi conto di come cose che nelle vita “fuori” ti sembrano assolutamente naturali e insignificanti in quella situazione possano migliorare sensibilmente la tua esistenza.
Se sei fortunato, i tuoi compagni sono generosi e dividono con te queste cose, altrimenti ti tocca aspettare il martedì e il sabato, i giorni in cui viene consegnata la spesa.
Funziona così: il giorno prima vengono distribuite nelle celle le liste dei prodotti acquistabili al sopravitto (lo “spaccio” del carcere) e ognuno scrive la quantità di cose che vuole. Il giorno dopo ti vengono consegnate e ti scalano la spesa dal conto sul libretto. Inizialmente ti sembra un buon sistema, ma poi ti accorgi di come ogni consegna sia momento di grande tensione: spesso non viene consegnato quello richiesto o viene consegnato nella quantità sbagliata senza nessuno a cui rivolgersi per sistemare la cosa, ma soprattutto la tensione si crea perchè si evidenzia la differenza tra chi ha parenti che ricaricano periodicamente il libretto e chi, solo come un cane, non ha i soldi neanche per un pacchetto di tabacco. Questa diseguaglianza innesca un sistema di relazioni perverso che porta a fare di un pacchetto di cicche o una confezione di batterie l’obiettivo della propria giornata, per cui scambiare qualsiasi cosa, concedere favori, fare promesse, spaccare una faccia o infilare armi improvvisate nella pancia del proprio vicino. Si crea un circolo vizioso di potere misero, violenza e sopraffazione nel quale vige il “mors tua vita mea”, un’etica iper-individualista che disgrega le relazioni sociali, gli istinti solidali e cooperativistici delle persone.
La tua giornata è scandita così:
alle 7.30 il lavorante della cucina consegna il latte e il pane; dalle 9 alle 11 si può uscire all’aria; a mezzogiorno viene consegnato il pranzo; dalle 13 alle 15 altra aria; dalle 18 alle 19 si può fare “socialità” in una stanza con un calcetto e un ping-pong; alle 19 consegna della cena; alle 20.30 chiusura della porta blindata delle celle.
Altre possibili variazioni sul tema potrebbero essere: convocazione in Matricola, visita dell’avvocato, convocazione dallo psicologo, dal prete o dall’educatore, partita a calcetto (devi metterti in lista, due volte a settimana), cambio lenzuola, ispezione e “battitura”, cioè quando gli agenti prendono a martellate le inferriate delle finestre per assicurarsi che non siano state manomesse.
Il tempo in cella non ti passa mai, sempre accompagnato da tre imprescindibili costanti: la televisione, il caffè e il fumo.
La TV rimane accesa tra le 20 e le 24 ore giornaliere, quasi sempre a volume altissimo e sintonizzata su programmi improponibili, utili solo a estraniare la mente delle persone e far dimenticare la situazione reale in cui ti trovi. Il controllo del telecomando è prerogativa di colui che in cella ha acquisito la maggiore autorità e la presenza stessa di questo prezioso strumento con annesse batterie funzionanti è un lusso di cui non tutte le celle possono fregiarsi. Si vedono quasi sempre telefilm o qualunque altra cosa che abbia la minore attinenza possibile con la realtà al di fuori delle mura del carcere, i telegiornali sono motivo di interesse solo quando vengono pronunciate le parole “indulto” o “amnistia”, le uniche vere speranze per molti davanti a cui si prospetta un periodo di carcerazione di 5, 10 o 20 anni. Ti viene la pelle d’oca quando tutto il carcere esplode in un boato di grida, cori e sbarre percosse al solo sentire pronunciare queste due magiche parole. E devi reprimere il tuo istinto di spiegare che al momento attuale non c’è alcuna speranza che si verifichino queste evenienze, perchè dovresti togliere anche questa unica speranza a cui tanti si aggrappano?
Il caffè è in produzione continuativa dalla mattina presto fino a notte fonda, è un rito a cui inizialmente cerchi di sottrarti limitandoti nel consumo come se fossi a casa, ma a cui presto cedi per unirti agli altri in questo momento di raccoglimento intorno al tavolino e finendo per ripeterlo tra le 10 e le 15 volte al giorno!
La cicca diventa compagna di vita per tutti, compresi quelli che prima non fumavano, nonchè il prodotto maggiormente scambiato e conteso nel mercato interno che si crea tra i detenuti.
La maggior parte del tempo in cella lo passi disteso a letto, tuo unico nido d’intimità in un luogo tanto promiscuo e unica maniera di combattere il freddo che ti prende quando esci dalle coperte.
Il cortile dell’”aria” è una quadrilatero di cemento, circondato da sbarre e diviso a metà dal corridoio attraverso al quale vi si accede: da una parte i maghrebini, soprattutto tunisini, dall’altra italiani, slavi e i maghrebini che per qualche motivo non possono stare con i loro connazionali. Quando vai all’aria le prime volte è buona prassi farsi accompagnare da qualcuno dei tuoi compagni, che “garantiscono” per te, ti presentano e ti introducono alle basilari regole di convivenza in quell’universo parallelo che è il carcere. Impari quali sono i personaggi a cui rivolgersi se si ha bisogno di qualcosa, quelli da evitare perchè inaffidabili, violenti o amici delle guardie e i reati commessi da ognuno. Subito ti fa un po’ impressione parlare con rapinatori, assassini, trafficanti di droga, ma ti dimentichi in fretta dei motivi per cui sono lì, impari a dare importanza solo allo stretto presente, senza curarti tanto del passato ne’ troppo del futuro, perchè alla fine lì dentro tutti sono allo stesso livello sotto molti punti di vista.
Non c’è niente da fare in cortile, l’unica attività è girare per due ore lungo il perimetro per sgranchirti le gambe e respirare un po’ di aria fresca, affiancandoti di volta in volta a quelli con cui vuoi fare quattro chiacchere.
Una cosa fondamentale che devi imparare da subito è il comportamento da tenere con gli agenti: sei costretto a mettere da parte ogni istinto ribellistico, sei inserito in un ambiente in cui non hai alcun vantaggio dalla sfida, la disobbedienza, lo sguardo cattivo. E’ un meccanismo talmente ben rodato che lo stesso detenuto è controllore di se stesso e degli altri, ancora una volta l’individualismo spinto a cui il sistema riduce le relazioni all’interno del carcere impedisce qualunque presa di coscienza collettiva, soffoca ogni possibilità di rivendicazione anche dei diritti più banali. Difficilissimo incrinare tutto questo e solo a costo di accettare privazioni, difficoltà e sacrifici. La figura della guardia non è quella cinematografica che impone “militarmente” il potere, infatti le guardie non sono nemmeno armate, ma viene esercitato un potere più sottile che solo un’istituzione totale come quella del carcere concede, nonostante non manchino gli episodi di violenza sui detenuti.
Percepisci come questa convivenza forzata in un luogo ristretto livelli, senza ovviamente eliminarla, la contrapposizione teoricamente ferrea carceriere-carcerato, finendo per far accettare del tutto supinamente i piccoli e grandi soprusi quotidiani, come se facessero in modo ineluttabile parte del gioco. La sostanziale partecipazione delle guardie all’intreccio di scambi, favori e piccoli traffici e la loro tendenziale neutralità, anche fisica, nelle dispute tra detenuti spingono molti a considerare più comoda e lucrosa l’individuazione del proprio “antagonista” non tanto in colui che gira la chiave della propria cella e garantisce la propria privazione della libertà, quanto semmai nel proprio compagno di cella o sezione.
Quasi subito ti accorgi di come venga utilizzato un altro potente mezzo di controllo: l’uso massiccio e ampiamente incoraggiato di sonniferi, tranquillanti e psicofarmaci. La tossicodipendenza con la conseguente astinenza, lo sfasamento totale dei ritmi vitali in un ambiente del genere, la necessità di staccare la mente dalla realtà che si vive, sono tutti elementi che spingono la maggioranza dei detenuti a imbottirsi di sostanze, consegnate quotidianamente nelle celle, la maggior parte senza nemmeno ricetta, essendo per altre sufficiente andare in infermeria e lamentare una semplice insonnia. Qualcuno ti dirà “Preferisco dormire 14 ore al giorno e restare rincoglionito le altre 10 che dover svegliarmi ogni mattina e pensare che senso dare al mio tempo in questo luogo”. E dall’altra parte è solo un vantaggio avere da controllare una massa di persone docili e sonnacchiose.
Capisci come questa sia un’arma a doppio taglio: aumentando la dipendenza dai farmaci, basta un errore nella somministrazione per scatenare reazioni e crisi dagli esiti anche disastrosi, ma soprattutto non facilita quel lavoro psicologico di riscoperta di sè e di cambiamento che la detenzione dovrebbe toricamente avviare.
Se per qualche motivo finisci in cella d’isolamento la situazione cambia radicalmente, in peggio. La sezione è un piccolo edificio separato dagli altri con una decina di celle al suo interno, ogni cella, sporca e scrostata, è grande più o meno 3×2, con solo un letto, un tavolino e il water. Se sei fortunato trovi la TV, sennò niente. Secondo il regime di isolamento le ore di aria si riducono da quattro a una soltanto, da trascorrere in un cortiletto lungo e stretto rigidamente da solo, guardato a vista tutto il tempo da una guardia. Vieni privato di ogni occasione di socialità con gli altri detenuti e in pratica passi la totalità della giornata chiuso in cella. Essendoci al massimo 5-6 persone per volta è una sezione piuttosto trascurata sotto molti aspetti: i pasti arrivano alle 11 del mattino e alle 17.30, la posta viene spesso dimenticata o consegnata in ritardo, la spesa può non arrivare. Devi abituarti a fare i tuoi bisogni a mezzo metro da dove mangi, con la concreta probabilità che una guardia, passando, ti sorprenda proprio nel momento topico. La doccia non c’è, devi chiedere di essere accompagnato in una stanza a parte, incredibilmente sporca, in quanto è il luogo dove vengono purgati coloro che devono espellere gli ovuli ingeriti, una vera schifezza.
Devi sforzarti a non cadere nell’apatia totale, a cogliere come preziosi quei momenti di distrazione dalla monotonia sfibrante della solitudine: due parole col vicino di cella, due parole con una guardia un po’ più loquace, le visite in Matricola o dallo psicologo, utile peraltro solo a farti a tagliare l’aria. Aspetti con ansia la consegna pomeridiana della posta perchè sai che per una mezzora sarai occupato a leggere e potrai percepire su quella carta la solidarietà che ti circonda. Benedici l’avvocato che ha trovato il tempo di venirti a trovare. Aspetti il mercoledì e il sabato, i giorni nei quali i tuoi genitori possono venire a trovarti, dovendo subire l’umiliazione di ore e ore di attesa per entrare, senza un luogo dove ripararsi, qualcuno che spieghi loro cosa fare o quantomeno faccia trasparire, oltre alla rigida applicazione delle procedure, un po’ di comprensione umana. Eserciti la pazienza, quando vedi come alle guardie basterebbero gesti semplicissimi per migliorare la tua situazione e quella dei tuoi vicini ma non se ne curano minimamente: un accendino allungato tra le sbarre, un pezzo di sapone, un giornale del giorno prima, una telefonata per verificare l’orario di una visita medica, semplici richieste rimesse totalmente al capriccio di coloro che stanno “dall’altra parte”, senza alcuna presa di responsabilità rispetto a quello che succede.
Ad un certo punto, dopo giorni passati in un’attesa angosciante passando da momenti di grande speranza ad altri di sconforto e rassegnazione, ti viene ordinato di raccogliere in fretta tutte le tue cose, perchè l’udienza ha avuto esito positivo e puoi uscire di lì. Butti tutto nel solito sacco nero, regali le cibarie che ti rimangono ai tuoi vicini e con una gioia che fatichi a controllare ti avvii verso l’uscita. Nell’attesa dei tuoi genitori che ti riportino a casa ti fumi quattro cicche di fila per sfogarti e guardi dall’esterno quelle mura in cui sei rimasto confinato.
Ti rendi conto di aver vissuto qualcosa che non si può esprimere a parole nella sua interezza, capisci di essere entrato in un vero e proprio “universo parallelo”, completamente avulso dal mondo circostante, in cui regole e valori sono stravolti, così come vengono stravolte le esistenze di coloro che vi passano. Ti riconnetti alla vita “fuori” sapendo che tu esci, ma altre decine di migliaia di persone rimangono “dentro” e dovranno subire quello che tu hai provato in maniera appena accennata per mesi, anni, decenni. Maturi al tuo interno tante domande che quell’esperienza ti ha instillato:
E’ accettabile che una società releghi tanti uomini in quella condizione?
Quale uomo merita di vedere la sua vita consumarsi nell’assenza di speranza?
E’ prerogativa di una società democratica violare i diritti umani e spingere un uomo al suicidio?
E’ accettabile che un detenuto non abbia alcun modo di far valere i propri diritti, anche quelli legalemente riconosciuti?
Come si fa a non rendersi conto che il carcere per come è adesso non è altro che un luogo di riproduzione all’ennesima potenza delle stesse relazioni devianti che hanno portato al commettere un reato?
Un carcere non dovrebbe essere luogo di recupero e rieducazione?
E poi, rieducazione a cosa?
E’ ammissibile che una persona si faccia anni in carcere in attesa di giudizio?
Come è possibile continuare a trattare la tossicodipendenza e in generale il problema sostanze seguendo i dogmi del proibizionismo, quando più della metà dei detenuti è dentro per reati legati a questo tema e un terzo è tossico?
Sono solo alcuni degli interrogativi che ti nascono dentro toccando con mano la dura realtà del carcere e che continui a portarti dentro.
Soprattutto però ti porti dentro i volti e le storie di marginalità e sofferenza di quelli che hai incontrato, alcuni capaci, nonostante l’ambiente duro e disumano, di gesti buoni e generosi, che assumono il valore di veri e propri atti di resistenza.
E’ anche pensando a loro che ti convinci sempre di più della necessità di moltiplicare gli sforzi per lottare contro questo sistema malato e ingiusto che colpisce sempre i più deboli: anche in questo campo sarebbe quanto mai necessaria la ripresa di conflitto dal basso, che rivendichi risorse, diritti e un profondissimo cambiamento sul piano culturale. Compito quanto mai arduo, con una politica sempre più cieca, autoreferenziale e impermeabile alle necessità di chi veramente subisce drammaticamente, ogni giorno, le conseguenze di scelte fatte secondo becero populismo elettorale o freddo calcolo economico.
ZENO ROCCA
Fonte: notav.info

Il carcere di Monza scoppia, sciopero della fame per 350 detenuti

Sciopero della fame nel carcere di Monza. Da mercoledì mattina circa 350 detenuti della casa circondariale di via Sanquirico (circa la metà del totale) hanno deciso di rifiutare il cibo aderendo all’iniziativa lanciata a livello nazionale da Marco Pannella sullo stato della giustizia civile e penale.

sciopero-della-fame2Il motivo dello sciopero sono le condizioni della struttura e il sovraffollamento delle celle, problemi che si trascinano da anni senza una soluzione. A peggiorare la situazione, in queste ultime settimane, ha contribuito il forte caldo che ha trasformato le sezioni della casa circondariale in veri e propri forni.

Da MBnews 19/07/2012


Milano: il carcere di San Vittore scoppia, 1.600 detenuti per 780 posti

Il carcere di San Vittore a Milano scoppia: troppi detenuti, 1.600, in spazi che potrebbero contenerne 780 (questa la capienza massima prevista sulla carta per l’istituto di pena). Anche nella casa circondariale della metropoli lombarda è dunque emergenza sovraffollamento, problema comune a molte strutture italiane, con tutti i rischi igienico-sanitari che le celle strapiene comportano. A segnalare le criticità Lamberto Bertolè e Mirko Mazzali, rispettivamente presidente e vice presidente della sottocommissione Carceri del Comune di Milano.

san vittoreAl termine di una visita a San Vittore, i due consiglieri fanno il punto: “Segnaliamo le condizioni molto critiche del sesto raggio di cui abbiamo visitato il primo e il secondo piano. Altri reparti come il terzo raggio, dove i numeri lo consentono, versano in condizioni decisamente più consone”.

Tutto questo, continuano, “rafforza la convinzione che sia urgente e necessario provvedere alla ristrutturazione dei raggi chiusi, a cominciare dal quarto, scelta che potrebbe alleggerire le condizioni complessive del carcere. Tramontata l’ipotesi del trasferimento e riaffermata l’importanza che il carcere rimanga nella città, ci sembra una questione non più rinviabile”.

Bertolè e Mazzali concentrano l’attenzione anche sulla caserma degli agenti penitenziari che “versa in condizioni pessime, a cominciare dal degrado complessivo e, in particolare, delle docce e dei servizi igienici, insufficienti anche per numero”.

Tra le priorità, continuano, “segnaliamo anche l’importanza di garantire il kit d’ingresso a tutti i detenuti e l’insufficienza del numero degli agenti penitenziari che, in alcuni momenti della giornata, non possono garantire condizioni di sicurezza e la gestione delle emergenze”.

I due consiglieri riservano invece parole positive invece al reparto di cura La Nave per detenuti con problemi di tossicodipendenza, gestito dalla Asl di Milano in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria: “Riesce a garantire progettualità, proposte stimolanti e momenti di socializzazione, consentendo ai detenuti di non trascorrere in cella 21 ore su 24. Si tratta di un progetto innovativo che andrebbe esportato anche in altre realtà”, spiegano. Il report si conclude con un ringraziamento alla direzione del carcere “per il lavoro svolto. Insieme agli operatori e ai volontari ci sembra che, in una situazione molto difficile, i loro sforzi contribuiscano a rendere le condizioni dei detenuti meno lontane dai dettami costituzionali”.

 

Cappato (Radicali): carcere San Vittore è in situazione illegale

 

Dichiarazione di Marco Cappato, Presidente del Gruppo Radicale Federalista Europeo: “Stamane con una delegazione del Consiglio comunale abbiamo visitato il carcere di San Vittore a Milano. La condizione di assoluta illegalità nella quale sono costretti sia i detenuti che gli agenti è confermata e aggrevata: la capienza è di 500 detenuti, la capienza “tollerata” è di 785, ma i detenuti sono 1.600. Sono ormai passati quasi 7 mesi da quando, il 22 Dicembre 2011, il Consiglio comunale – su iniziativa del Radicale Lucio Bertè- aveva approvato una mozione che impegna il Sindaco Pisapia “a deliberare la formazione di una Commissione tecnica ad hoc con competenze medico sanitarie, di igiene edilizia e sicurezza degli impianti, per rilevare le condizioni di vita nelle carceri milanesi”.

L’Assessore Majorino si era poi impegnato a formare la Commissione, ma tale impegno è finora rimasto lettera morta. Chiedo al Sindaco e all’Assessore di attivarsi affinché finalmente la Commissione tecnica sia costituita e operativa, al fine di tenere sotto stretto monitoraggio la violazione dei diritti umani fondamentali di detenuti e agenti.

Per quanto riguarda l’iniziativa dei “Quattro Giorni di nonviolenza, sciopero della fame e silenzio” per la Giustizia e l’Amnistia, che inizierà domani 18 luglio, ho potuto riscontrare un buon livello di conoscenza e partecipazione da parte dei detenuti, in un clima di attesa e di speranza per un provvedimento di clemenza. Per fare un esempio, tra i 104 detenuti del Centro clinico, sono 64 quelli che hanno inviato ieri una lettera a Radio radicale annunciando l’adesione allo sciopero della fame”.

Adnkronos, 17 luglio 2012


Presidio e corteo a Cuneo

Cuneo – Almeno 200/250 persone hanno partecipato ieri al presidio indetto per la liberazione di Masurizio Paolo Ferrari e gli altri 2 notav ancora rinchiusi in carcere, Alessio e Juan. Maurizio, in particolare, è stato trasferito a Cuneo lo scorso 16 giugno, venendo subito confinato in situazione di isolamento e particolare accanimento, vedendosi proibita anche la posta in entrata.

Il presidio di ieri pomeriggio è stato lungo e partecipato, con una grossa presenza di compagni milanesi, un pullman partito dal campeggio di Chiomonte e molte altre delegazioni da tutto il nord Italia. Numerosi gli interventi, le “battiture”, i fuochi artificiali esplosi in solidarietà con tutti i detenuti del carcere. Significativi momenti di scambio e comunicazione con alcuni detenuti del blocco più prossimo alla cinta del carcere. Alcuni detenuti maghrebini hanno richiesto (e ottenuto dal presidio) la canzone dell’amato Cheb Khaled, “Aicha”.

Durante le 4 ore di presidio siamo stati anche testimoni di probabili pestaggi avvenuti all’interno. Per “calmare” l’esuberanza di molti detenuti che hanno risposto alla solidarietà dei compagni, dev’essere partita un’ispezione interna con perquisizioni cella per cella. Pare che alcuni detenuti che si sono rifiutati abbiano ricevuto percosse. Il presidio è comunque continuato fino a oltre le 19, quando si è optato per uno corteo improvviso verso la stazione di Cuneo, dove poi si è sciolto e i pullman sono rientrati alle destinazioni d’origine.

Discreta e pressoché invisibile la presenza di Polizia, Carabinieri e altre forze dell’ordine. Le poche volanti avvicinatesi sono state allontanate.

Ancora una volta, si parte e si torna insieme..e 3 non sono ancora tornati!

Mau, Alessio, Juan liberi! Liber* tutt*!

Ora e sempre No Tav!

16/07/2012


DETENUTO INALA GAS NELL’OPG DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO

Una via estrema come estreme sono le condizioni di vita dei penitenziari italiani. Il caldo non aiuta, nelle celle di tutta la nazione si vive un disagio spesso insuperabile. E così aumenta il malessere e anche i suicidi, tra detenuti e agenti di polizia è una vera mattanza. L’ultimo in ordine cronologico è quello segnalato  martedì 10 luglio. E’ successo nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Nello stesso istituto psichiatrico il 2 luglio scorso un altro detenuto si era impiccato.

Questa volta la modalità è stata diversa. Un ristretto di 28 anni, italiano, e’ morto dopo aver inalato il gas di una bomboletta nell’ospedale psichiatrico giudiziario a Barcellona Pozzo di Gotto. A riferirlo Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. ”Bisogna rivedere la possibilita’ che i detenuti – ha spiegato Capece – continuino a tenere questi oggetti nelle celle per cucinare e riscaldare cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario. Si sta accertando se si tratta di un suicidio o  come e’ piu’ probabile, da un decesso avvenuto dopo avere sniffato il gas”.

Sale così a 87 il numero delle persone detenute morte dall’inizio del 2012 e i decessi diventano una media di 14 al mese.

Fonte: Clandestinoweb 16/07/2012

 


2012 morti di carcere dal 2000 ad oggi

Il recente suicidio nella casa cicondariale bustocca riporta al centro il dramma dei decessi nei penitenziari: a partire dal 2000 i suicidi sono stati 717. Da inizio giugno 6 decessi, di cui 2 per suicidio e 3 per “cause da accertare”. La denuncia dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere

Nel carcere di Busto Arsizio è morto il 2012esimo detenuto in Italia a partire dal 2000. L’uomo di 45 anni è morto dopo avere inalato del gas da una bomboletta nel bagno della sua cella. Il problema è che il detenuto era un pentito di ‘ndrangheta, aspetto che secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere (Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”) rende la questione più complessa. L’uomo aveva infatti testimoniato nel maxi processo antimafia “Santa Tecla” e sui rapporti della ‘ndrina di Corigliano Calabro (Cosenza) con esponenti politici locali.
«Non è compito nostro fare ipotesi “investigative”- scrivono i rappresentanti dell’Osservatorio – e sicuramente ci saranno tutti gli accertamenti del caso da parte degli organi giudiziari e amministrativi competenti. Invece è compito nostro tenere sempre alta l’attenzione sulle condizioni di vita e sulle troppe morti che avvengono nelle carceri del nostro Paese: dal 2000 ad oggi 2012 decessi, di cui 717 per suicidio; da inizio giugno 6 decessi, di cui 2 per suicidio e 3 per “cause da accertare”».
25/06/2012


Giustizia: “regimi aperti” di detenzione, per favorire la permanenza al di fuori delle celle

Nella consapevolezza che il sovraffollamento, ben lungi dall’essere superato (21mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari), ha deteriorato le condizioni di vita dei detenuti, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria cerca di porvi riparo istituendo i regimi aperti di detenzione.

È dei giorni scorsi la Circolare G-DAP 0206745-2012 a firma del capo del Dap Giovanni Tamburino che cerca di spingere verso una regionalizzazione della esecuzione della pena e verso la moltiplicazione di esperienze positive come quella di Bollate a Milano dove i detenuti sono liberi di circolare nella proprie sezioni e non costretti a stare, come accade in buona parte delle prigioni italiane, per venti ore e passa chiusi in cella a non far nulla.

Un tentativo che fa seguito a quello ardito e rimasto sulla carta di qualche mese fa – circolare n. 3594-6044 del 25 novembre 2011 – con il quale ogni detenuto veniva associato a un colore e da quello sarebbe successivamente dipeso il suo destino penitenziario. Quella circolare di novembre era subito risultata di difficile, incerta e rischiosa applicazione.

Ora quei detenuti associati in modo bizzarro a dei colori, diventano un ricordo del passato. I codici e i colori sono stati esplicitamente soppressi. Eppure quella circolare era stata presentata in pompa magna neanche sei mesi fa. Nella nuova circolare Dap si specifica che questione primaria e centrale è la tutela dei diritti della persona detenuta. Oggi gli spazi di vita si sono ridotti a pochissimi metri quadri a persona. Il lavoro per i detenuti è poco e mal pagato.

Le attività ricreative e scolastiche sono anch’esse in calo a causa della mancanza di risorse. Di fronte a un quadro di questo tipo, per evitare tensioni e violenza verso se stessi (i suicidi sono stati ben 24 dal’inizio dell’anno), viene scritto che bisogna favorire la permanenza dei detenuti fuori dalle loro celle anguste. Viene richiamato l’art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n.230 (Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario) il quale al primo comma prevede che “in ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive la cui ricettività complessiva soddisfi il principio di territorialità dell’esecuzione penale, tenuto conto anche di eventuali esigenze di carattere generale”.

Ciò significa che un detenuto deve soggiornare vicino ai propri familiari. La lontananza deprime, aiuta i propositi suicidari. In ogni regione deve esservi una offerta penitenziaria variegata: dalla detenzione dei reclusi più pericolosi agli istituti a regime aperto. Quella che un tempo era definita detenzione a media sicurezza oggi dovrà caratterizzarsi per una maggiore apertura di spazi e di occasioni di reintegrazione sociale. Il provveditore deve organizzare la vita penitenziaria di quel territorio regionale assicurando la territorialità della pena e tenendo conto della specificità del luogo dove opera.

Deve creare occasioni e non solo occuparsi dell’amministrazione ordinaria. Nelle case di reclusione – dove ci sono le persone già condannate – è scritto che devono essere ampliati “gli spazi utilizzabili dai detenuti per frequentare corsi scolastici, di formazione professionale, attività lavorative, culturali, ricreative, sportive e, ove possibile, destinando un istituto o una sezione di questo totalmente a “regime aperto”. Il reparto sarà destinato a “detenuti prossimi alla dimissione il cui fine pena sia inferiore ai diciotto mesi, in considerazione del corrispondente innalzamento del limite di pena per ottenere la detenzione domiciliare speciale”.

Ogni detenuto all’atto di entrare in un carcere aperto deve sottoscrivere un “patto” con l’amministrazione con cui accetta le prescrizioni ivi contenute. La detenzione deve essere responsabilizzante e non infantilizzante. In questo modo anche il lavoro degli agenti di sezione sarà meno gravoso e più gratificante. Il poliziotto penitenziario deve assicurare una sicurezza “dinamica”. Non deve limitarsi ad aprire e chiudere celle.

Deve essere attore del progetto di rinnovamento istituzionale e di recupero individuale. I posti di servizio degli agenti non devono essere quelli preconfezionati sulla carta ma quelli legati agli uomini effettivamente a disposizione. Questa è una importante novità che sarà sicuramente apprezzata dai sindacati meno oltranzisti

Patrizio Gonnella

Da Italia Oggi, 7 giugno 2012


Incendio a San Vittore

Il rogo è scoppiato poco prima delle 22 in un contanier e non ha interessato l’area per i detenuti
All’interno c’erano detersivi e bombole di gas. Smentita seccamente l’ipotesi di una rivolta

Un incendio è scoppiato di un container che viene utilizzato come magazzino dei detersivi nel carcere di San Vittore a Milano. Le fiamme, domate dai vigili del fuoco, non hanno interessato aree occupate dai detenuti. La questura ha subito smentito l’ipotesi di una rivolta dei carcerati, circolata senza controllo attraverso i social network, rassicurando che non si sono verificati problemi di ordine all’interno del penitenziario.

Cinque agenti della polizia penitenziaria e un vigile del fuoco sono rimasti leggermente intossicati, mentre un altro vigile ha riportato una contusione al ginocchio. Il container, di pochi metri quadrati, conteneva detersivi e altro materiale, tra cui alcune bombolette a gas (fornite ai detenuti per poter cucinare) che sono esplose senza provocare danni.

Da Repubblica 05/06/2012


Sciopero della fame a Canton Mombello

E’ iniziato oggi, lunedì 4 giugno, a Canton Mombello di Brescia, il
carcere-lager fra i più sovraffollati d’Italia, lo sciopero della fame
ad oltranza dei detenuti, annunciato nella lettera diffusa nei giorni
scorsi da Radio onda d’urto.

Dentro la casa circondariale ci sono 530 reclusi, a volte con picchi
570-580, quando la capienza regolare è di 200. Troppe persone in una
sola cella,senza spazio vitale e un solo bagno, a volte anche per 18
persone.

Così sabato i detenuti hanno iniziato a “suonare” pentole e altri
oggetti contro le grate del carcere per attirare l’attenzione della
comunità e delle istituzioni, mentre fuori si teneva il partecipato
presidio del Comitato per la chiusura del carcere lager di Brescia.

Una delegazione ha incontrato la direzione del carcere, che ha
sostenuto di voler “rispettare la protesta” consentendo ai detenuti di
costituire un comitato interno. Intanto da oggi e fino a venerdì,
fuori dal carcere, presidio tutti i giorni dalle 9 alle 19 del
Comitato per la chiusura del carcere – lager di Canton Mombello.
All’interno, intanto, si ripetono le proteste attraverso la cosiddetta
“battitura”.

Da  Radio Onda D’Urto

 

 


Dati carcere 2012

Di seguito alcuni dati relativi al carcere  a gennaio 2012. 

Sono 67510 i reclusi in Italia, 45572 i posti disponibili. Un tasso di sovraffollamento del 149% 
contro il 99% della media europea. Resta alto il numero dei suicidi: 684 nel 2011. 
E dal 2000 sono 85 gli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita.
Di questi 28457 I detenuti in carcerazione preventiva
47 I detenuti eccedenti ogni 100 posti disponibili
66 I suicidi in carcere nel 2011
85 I suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria dal 2000 ad oggi
1491 I condannati all'ergastolo
7311 I detenuti con meno di 25 anni
20,68% La percentuale di detenuti che lavora
3, 95 miliardi di € Le risorse a disposizione nel 2007
2, 77 miliardi di € Nel 2010
134 milioni di € La situazione debitoria dell'amministrazione penitenziaria
25mila I detenuti di origine straniera, pari circa al 30%
7000 Di questi, di origine balcanica
5200 I marocchini
3500 I romeni
675 milioni di € La cifra promessa in tre anni dal piano carceri di Alfano
9150 I posti previsti in più
20 I nuovi padiglioni previsti

Lecce:detenuto muore per sciopero della fame

Detenuto muore per sciopero della fame
la procura di Lecce apre un’inchiesta
Bulgaro di 38 anni, si è sempre professato innocente: per questo aveva iniziato la protesta a fine marzo. Trasferito dal carcere di Lecce in ospedale, è morto. Sequestrate le cartelle cliniche. Il medico: ha rifiutato anche le flebo

Detenuto muore per sciopero della fame la procura di Lecce apre un’inchiesta Il carcere di Lecce
Era stato rinchiuso in carcere per reati contro il patrimonio ma lui si era sempre dichiarato innocente e 50 giorni fa, per protesta, aveva cominciato lo sciopero della fame: è morto a 38 anni nell’ospedale Vito Fazzi di Lecce, dopo che le sue condizioni di salute erano peggiorate a causa della ferrea decisione di non toccare cibo. Ora la procura ha aperto un’inchiesta ed un medico legale è stato incaricato di accertare le cause della morte.

Popo Virgil Cristria, di 38 anni, di Bucarest, era giunto, da Benevento, nel carcere di Lecce alla fine dello scorso anno perché doveva scontare pene definitive che gli erano state inflitte per reati contro il patrimonio e la persona. Alla fine di marzo aveva deciso di iniziare lo sciopero della fame perché voleva richiamare l’attenzione delle autorità sulla sua situazione. L’uomo non ha più toccato cibo, chiedendo la sospensione della pena, che non gli è stata concessa. Le sue condizioni di salute sono via via peggiorate fino alla morte. Il magistrato di turno, il sostituto procuratore Carmen Ruggiero, ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria che si trova in carcere.

“Ha preso l’ago della flebo che gli era stata somministrata per tentare di dargli un po’ di forze e se lo è strappato dal braccio”: è l’ultimo episodio, che risale a qualche giorno fa, avvenuto nel carcere di Lecce che ricorda Sandro Rima, dirigente sanitario della casa circondariale del capoluogo salentino parlando di Pop Virgil Cristria.
“Rifiutava il cibo in maniera categorica, voleva parlare con il magistrato – racconta il medico – ‘Il magistrato, diceva, mi deve ascoltare e lui mi deve liberare’, questa era la frase che ripeteva sempre”.

“Ogni giorno – aggiunge Rima – veniva visitato da un medico, da uno psicologo e da uno psichiatra. Abbiamo tentato tutti di dissuaderlo, ma inutilmente. E l’ultima volta si è anche sfilato l’ago della flebo. Era intenzionato a continuare nella sua protesta fino in fondo”. Il 38enne era nel carcere di Lecce da circa un anno per reati contro il patrimonio e la persona: una cinquantina di giorni fa aveva deciso di non toccare più il cibo perché voleva essere liberato: “sono innocente”, continuava a ripetere. Qualche giorno fa i medici del carcere hanno rilevato la necessità di un trasferimento del detenuto in ospedale, dove poi è morto.

14/05/2012


Ecco come pestavamo i detenuti in carcere

ROMA – La falange del dito destro l’hanno cercata tutto il giorno in cella. Era nello stomaco del detenuto assieme ai tendini strappati alla guardia penitenziaria. A.P. era intervenuto per sedare una rissa nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Lui, piccolo, magro, contro un extracomunitario due volte la sua altezza, rinchiuso in una piccola cella da chissà quante ore. Esasperato, non ci ha visto più e l’ha aggredito. I colleghi, i sindacati, la stampa sono intervenuti per sottolineare la gravità del fatto, la violenza che si vive quotidianamente in carcere. Tra l’altro anche la beffa giudiziaria di vedere assolto il proprio aggressore.

Ma la violenza in carcere ha tante facce. Quella più oscura è quella sui detenuti, difficile da trattare, da dimostrare e persino da ipotizzare. Quello che avviene all’interno del carcere resta chiuso tra quattro mura. Nessuno denuncia niente. O si trova il modo di fargli cambiare idea. «A Sollicciano, il carcere fiorentino, i detenuti si stavano rivoltando per i pestaggi. Le rivolte sono state sedate con la semplice promessa che li avrebbero fatti lavorare e guadagnare qualche soldo in carcere» racconta Alessio Scandurra dell’associazione Antigone. Andiamo a Poggioreale. Da qui ci giungono la maggior parte di segnalazioni di violenze, pestaggi, vessazioni. «Non credete a quello che vi fanno vedere. Sicuramente vi porteranno nei reparti migliori come l’Avellino. Ma negli altri reparti i detenuti malmenati non si contano». Lo scrive la moglie di un ragazzo detenuto a Poggiorele da quattro anni. Quasi una veggenza.
Il giorno dopo ci portano a visitare il padiglione Avellino e quello Venezia. Tutto pulito e nuovo. I detenuti all’interno non ci sono. Solo televisori accesi. Non ci permettono di parlare con nessuno. La nostra domanda è sempre la stessa: «Vi risultano violenze in carcere?». Quando un anziano si avvicina alle sbarre e inizia a raccontare qualcosa, il capitano delle guardie penitenziarie di Poggioreale ci spintona via, cerca di strapparci la telecamera di mano. «Se non chiudi ‘sta telecamera te la spacco in testa». La visita finisce lì.

Ma è ad Asti che capiamo bene cosa davvero può succedere in un carcere. Le intercettazioni di un processo descrivono cinque guardie dedite quotidianamente al pestaggio. Ma la scoperta avviene per caso. Gli inquirenti se ne accorgono seguendo il filone della droga che gira in quel carcere. Troppa. Tanti detenuti, anche non tossicodipendenti, risultato positivi ai test durante le visite mediche. Sono gli agenti che la portano, insieme con i superalcolici ed altro. Si scopre uno strano scambio di favori tra guardie e detenuti che consigliano dove comprare la cocaina. Da qui vengono fuori pestaggi gratuiti, ingiustificati, coperti dall’omertà degli altri agenti, il digiuno forzato (fin anche una settimana) e poi le celle. Quelle di isolamento. «Le chiamavamo una estiva e l’altra invernale» racconta Andrea Fruncillo, una ex guardia penitenziaria cacciata dal corpo per favoreggiamento ai detenuti e altri reati. Lui era tra quelli che assistevano ai pestaggi, per non dissociarsi girava la faccia dall’altra parte. «Nella invernale li portavamo quando faceva freddo perché alle finestre non c’erano i vetri. In quella estiva quando era troppo caldo. La finestra c’era ma era sigillata con una lamiera e solo due buchi per far passare l’aria». I particolari che racconta sono agghiaccianti. Tutti riscontrati nel processo di primo grado conclusosi a fine gennaio scorso. «Tutti assolti» scrive il giudice. Secondo il magistrato i comportamenti delle guardie configurerebbero il reato di tortura e in Italia sono anni che si tenta di introdurlo nel nostro ordinamento. L’udienza di appello è stata fissata il 21 maggio prossimo. «Prima che un’altra sentenza di Stato racconti una verità di carta – dice Fruncillo – voglio che la gente sappia cosa avviene in quel carcere e penso in tanti altri posti. Sono stanco di vedere davanti agli occhi gente pestata. Vivo con il rimorso di non aver denunciato prima. E’ ora che se ne parli e si inizi a parlare di questo strazio».

Corriere Della Sera, 03/05/2012


Iniziative in solidarietà con gli arrestati del 7 febbraio 2007

Domenica 6 maggio al Centro sociale F.O.A. Boccaccio di Monza ore 13.00 pranzo pranzo di sottoscrizione delle spese processuali per gli arrestati del 12 febbraio 2007.
Se qualcuno ha qualche bicchiere e qualche posata di troppo le porti
E’ gradita la prenotazione
Giovedì 10 maggio assemblea-dibattito presso il centro sociale Cox18 ore 20:30
Martedì 15 maggio presidio davanti al tribunale di Milano, corso di Porta Vittoria ore 9:00

 

 


Modena: detenuto muore in ospedale dopo 4 giorni di coma

Aveva tentato di togliersi la vita a Pasqua, utilizzando un maglione e appendendosi al letto a castello. Tempestivo il massaggio cardiaco, che non è bastato: l’uomo non ha mai ripreso conoscenza. Il massaggio cardiaco non è bastato a salvargli la vita.

Un detenuto del carcere di Modena, che aveva tentato di togliersi la vita il giorno di Pasqua, è deceduto oggi in ospedale. Si era impiccato alla terza branda del letto a castello usando un maglione come cappio. Era intervenuto immediatamente un agente della polizia penitenziaria che lo aveva adagiato a terra e lo aveva soccorso. Condotto in ospedale, l’uomo – dietro le sbarre per reati di natura sessuale – era però entrato in coma senza riprendersi più.

“La polizia penitenziaria – ricorda Giovan Battista Durante del Sappe – riesce ogni anno a salvare oltre mille detenuti che tentano di suicidarsi, questa volta, purtroppo, l’uomo è’ deceduto, nonostante l’agente sia intervenuto immediatamente ed abbia fatto di tutto per salvargli la vita”.

Ansa, 12 aprile 2012

 


Pedro

Giovedì 12 aprile, ore 21.30, F.O.A. BOCCACCIO 003, via Rosmini 11, Monza

 

Riappropriarsi della memoria per affrontare con più forza le lotte e la repressione.

Proiezione video “Pedro vive nelle lotte” sull’omicidio di stato di un compagno accusato con i reati associativi nell’ambito dell’inchiesta “7 Aprile”.

Seguirà dibattito La repressione con denunce, arresti, reati associativi, processi, galera, fino agli omicidi, ieri come oggi non arresta le lotte. Impariamo ad affrontarla

cordatesa.noblogs.org

 

Il 9 Marzo del 1985 si consumava uno degli eventi più dolorosi dell’azione di repressione dell’Autonomia iniziata sei anni prima col noto “processo 7 Aprile”.Agenti della Digos e dei Servizi assassinano Pietro Maria Greco detto Pedro,militante comunista, freddandolo all’uscita del suo appartamento di Trieste.Il movimento veneto, sconvolto dall’accaduto, si risveglia dopo anni di quiescenza e solidarietà attiva giunge da tutta Italia.E’ solo l’ultima di una serie di azioni repressive anche violente basate sul teorema Calogero, dal nome del pm che condusse l’inchiesta, che vedeva nell’Autonomia il bacino di reclutamento delle Brigate Rosse e nei teorici del movimento dei quadri dello stesso partito armato. Il processo 7 Aprile fece per la prima volta largo uso di due strumenti repressivi che negli anni successivi diverranno la prassi consolidata dell’azione dello stato contro chi osa mettere in discussione il suo potere: i reati associativi e il carcere preventivo.Migliaia di compagni finirono nelle patrie galere spesso colpevoli unicamente di conoscere qualcuno.Il tutto ovviamente fu accompagnato da una campagna stampa denigratoria e martellante e dall’unanime plauso delle forze parlamentari. Riteniamo che oggi più che mai sia di stretta attualità tornare a parlare di carcere e di repressione dei movimenti sociali, soprattutto dopo le carcerazioni notav degli ultimi mesi.Le strategie repressive di ieri gettano luce su quelle di oggi,che è fondamentale comprendere per neutralizzarne l’azione. La tragica fine di Pedro e la storia del processo Calogero possono costituire ottimi spunti per il dibattito. Ne parliamo Giovedì 12 Aprile alle 21.00, presso la F.O.A. Boccaccio di Monza, via rosmini Monza.


Catania: detenuto si suicida, agente scrive sul registro dei movimenti “pace, uno di meno”

Al carcere di Bicocca: un detenuto si suicida, un agente scrive sul registro dei movimenti “pace, uno di meno”. Due suoi colleghi cercano di cancellare la scritta.
Erano stati accusati di un riprovevole episodio di “falso” e, per questo, erano finiti davanti al gup. Un ufficiale e un agente della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Bicocca, Giuliano Cardamone e Massimiliano Cavaliere, il 15 dicembre del 2008 avevano “coperto” l’opera di un loro collega, Giuseppe Bellino, che in occasione del suicidio di un detenuto, nella casella del registro dei movimenti detenuti relativo al suicida, aveva scritto in corrispondenza del nome: “Pace, uno di meno”.
Cardamone e Cavaliere avevano poi cancellato la dicitura con il “bianchetto”, apponendo un tratto di penna per ricostituire la riga del registro ed avevano poi fotocopiato l’atto, ottenendo delle copie nelle quali non doveva essere rilevabile l’alterazione. In realtà, le correzioni grossolane erano evidenti ed entrambi sono stati indagati per i reati di alterazione di atto pubblico e falso.
Stessi reati contestati al collega che aveva materialmente scritto la frase sul registro. Quest’ultimo, ha chiesto ed ottenuto di essere giudicato con il rito abbreviato. Per gli altri due il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio. Bellino è stato assolto, Cardamone (difeso dall’avvocato Dario Fina) e Cavaliere (difeso dall’avvocato Licinio La Terra) non sono mai arrivati al dibattimento in quanto il gup Alessandro Ricciardolo, li ha prosciolti entrambi “perché il fatto non sussiste”.
Per il giudice, infatti, pur essendo la loro condotta “inopportuna ed eventualmente rilevante in sede disciplinare, non è munita di tale offensività da avere rilievo penale”. Secondo il gup il caso rientra nelle ipotesi di “falso innocuo” (sentenza della Cassazione 29 settembre 2010) perché l’alterazione sarebbe del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto, non comportando effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso.

La Sicilia, 25 marzo 2012


Detenuto suicida a Parma

Ancora  brutta notizie dal pianeta carcere. Un altro decesso dietro le sbarre ci racconta di disagi ed emergenze da risolvere. Non passa giorno senza che dai penitenziari italiani arrivino news che lasciano interdetti. Quella che le agenzie di stampa battono oggi parla della morte di un 25enne detenuto a Parma. Si tratta di suicidio.

Il ragazzo era stato condannato e costretto a scontare il carcere per omicidio plurimo. La notizia è stata diffusa dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe che rilancia per l’ennesima volta l’allarme. ”Nonostante ogni buona intenzione da parte dell’Amministrazione penitenziaria quella delle morti in carcere resta un problema insoluto e, probabilmente, irrisolvibile – ha dichiarato Giovan Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe – considerate le enormi carenze di personale di polizia penitenziaria e di altre figure professionali, oltre, ovviamente, al sovraffollamento”. ”In Italia mancano 6500 unita’ di personale tra agenti, sovrintendenti ed ispettori, in Emilia Romagna ne mancano 650. Anche a Parma mancano oltre cento unita’ di personale. Gli eventi critici, tra suicidi, tentativi di suicidio, aggressioni, gesti di autolesionismo e danneggiamento a beni dell’Amministrtazione superano i 200 al giorno nei 206 istituti del nostro Paese”.

Il problema che grava di più su questa situazione esplosiva è sicuramente il sovraffollamento: ”I detenuti – conclude il sindacalista – seppur stabili da piu’ di un anno a seguito della legge Alfano e del decreto salvacarceri del ministro Severino restano comunque tantissimi, consaiderato che sono circa 67000, per una capienza di 44000″.

Da Clandestinoweb.com


Quando il No TAV entra nel carcere

Nelle ultime settimane ci sono state manifestazioni ed iniziative sotto diverse carceri a sostegno di alcuni detenuti appartenenti al movimento No TAV.

Il 26 gennaio scorso infatti sono state arrestate 25 persone, accusate di aver lanciato sassi contro polizia e carabinieri in occasione delle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 in Val di Susa (To) quando migliaia di manifestanti hanno tentato di riprendersi l’area recintata del cantiere dove dovrebbero cominciare i lavori per la linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione.

A Milano si sono tenute diverse iniziative sotto il carcere di San Vittore – dove tuttora sono rinchiusi tre degli arrestati – che hanno visto la partecipazione di alcune centinaia di persone.

La musica, i fuochi d’artificio e i numerosi interventi al microfono sono riusciti a superare le alte mura di cemento che circondano il carcere e a mettere in comunicazione il fuori con il dentro.

Oltre a sostenere i nostri compagni, a comunicare le ragioni della lotta contro il TAV e contro le altre grandi opere lombarde (TEM, Pedemontana, EXPO 2015), queste manifestazioni hanno espresso solidarietà con le proteste e le lotte dei detenuti di quest’ultimo anno, dovute sicuramente al sovraffollamento ma anche alla mancanza di cure sanitarie adeguate, alle continue violenze inflitte da apposite squadrette di agenti di polizia penitenziaria, ai costi delle merci acquistate nel carcere ben al di sopra dei prezzi correnti di mercato. A questo si aggiungono le difficoltà che incontrano i familiari dei detenuti nel percorrere anche centinaia di chilometri per poter fare i colloqui, spesso dopo estenuanti attese e dovendo riportarsi a casa buona parte del cibo cucinato per ragioni che variano a seconda dei giorni e a seconda delle persone.

Come per l’Alta Velocità anche sul tema delle carceri il nuovo governo si presenta come continuazione del precedente. Di fronte alle drammatiche condizioni carcerarie, il governo Monti non solo non vuole alcun provvedimento di amnistia ma ripropone come soluzione quella di costruire più carceri coinvolgendo anche banche ed aziende private, favorendo così il business carcerario che negli USA ha portato nel giro di dieci anni a raddoppiare la popolazione detenuta che ad oggi conta di oltre 2 milioni di detenuti con un aumento medio settimanale di 1.500 persone. E questo lo chiamano progresso…

Nei suoi venti anni di storia, la lotta contro il TAV in Val di Susa è cresciuta e si è rafforzata arrivando a mettere in discussione il modello capitalistico di progresso, l’unico sostenuto dai vari governi che si sono avvicendati; è perciò riuscita a comunicare e ad unire oltre le proprie specificità e il proprio territorio, diventando un punto di riferimento per molte altre lotte e movimenti di emancipazione sociale. Per questo motivo è duramente attaccata dallo stato che in epoca di crisi economica e di credibilità politica vede come una minaccia tutti quei movimenti che concretamente rappresentano un’alternativa ad un modello di sviluppo basato sulla distruzione dell’ambiente, sulla militarizzazione dei territori, sulla finanza e sullo sfruttamento di molti a favore di pochi.

Per portare sostegno e solidarietà agli arrestati del 26 gennaio il movimento No TAV ha indetto una giornata di mobilitazione sotto le carceri; sotto il carcere di San Vittore questa sarà una nuova occasione per portare sostegno e solidarietà anche alle lotte dei detenuti e dei loro familiari.

domenica 11 marzo

manifestazione sotto il carcere di San Vittore

(ore 16.30 Viale Papiniano angolo Via degli Olivetani)

Milano, 5 marzo 2012

Assemblea regionale contro carcere e CIE – Lombardia

Per contatti:

CP 10241 intestata all’associazione “Ampi Orizzonti” – 20122 Milano

CP 86 intestata all’associazione “Oltre le sbarre” – 22077 Olgiate Comasco (Como)

Cordatesa, via casati 31 – 20043 Arcore (Mb)


Nuovo suicidio in carcere

Roma, 28 feb. (Adnkronos) – Ennesimo suicidio in carcere. “Ieri sera, verso le ore 23.15, un detenuto di origine romeno si e’ suicidato nel carcere di Catanzaro impiccandosi all’interno della cella, dove si trovava da solo. Aveva circa 25 anni. Sono 12 i suicidi dall’inizio dell’anno nei penitenziari italiani ai quali vanno aggiunte le morti per cause naturali”. Lo riferiscono Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario nazionale del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe).

“In Calabria – ricordano in una nota – i detenuti presenti sono piu’ di 3000, per una capienza regolamentare di 1875 posti. I detenuti in attesa di giudizio sono 1498: 917 in attesa di primo giudizio, 283 appellanti, 206 ricorrenti in Cassazione e 92 in posizione mista. A Catanzaro i detenuti sono circa 600, per una capienza regolamentare di 354 posti. C’e’ un nuovo padiglione che non potra’ essere utilizzato per mancanza di personale”.

“Speriamo che il disegno di legge presentato dal ministro della giustizia Paola Severino sulla messa in prova – auspicano – venga approvato al piu’ presto. Nell’incontro che abbiamo avuto la scorsa settimana al ministero della giustizia il ministro ci ha assicurato che il disegno di legge ha ottenuto in Parlamento una corsia preferenziale per una celere approvazione. Anche il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini che abbiamo incontrato ieri – riferiscono – ci ha assicurato il suo personale impegno. Con l’approvazione di questo disegno di legge i condannati fino a quattro anni di reclusione possono essere affidati all’esterno del carcere per svolgere lavori socialmente utili”.


Il decreto non svuoterà il carcere di Monza

Monza, 12 febbraio 2012 -Se l’indulto, per il carcere di Monza, è stato «solo un’aspirina» come l’avevano bollato gli agenti, il decreto «svuotacarceri<» non sposterà neanche di una virgola la situazione. «Non ci dobbiamo aspettare grandi cambiamenti>», ammettono dalla direzione della casa circondariale. Certo, secondo la media lombarda anche a Monza un detenuto su sette potrebbe lasciare via Sanquirico con un anno e mezzo di anticipo per scontare gli ultimi mesi di condanna agli arresti domiciliari. Una possibilità che allunga di sei mesi quanto già previsto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano nel 2010, e di cui l’anno scorso ne hanno beneficiato 75 detenuti di Monza.

E adesso? La conta precisa non è stata ancora fatta ma «i numeri non cambieranno di molto, anche perché per poter anticipare l’uscita dal carcere – mettono i puntini dalla direzione dell’istituto – oltre alla valutazione del magistrato di sorveglianza è necessario anche avere una casa idonea per scontare i domiciliari. E non tutti i detenuti ce l’hanno, soprattutto gli stranieri», che a Monza sono quasi la metà (il 45%) su una popolazione di 740 persone. Morale: nemmeno il decreto «svuotacarceri» aiuterà ad allargare gli spazi nelle celle. «La situazione è certamente difficile – riconoscono in direzione -, peggiorata anche dal fatto che abbiamo 57 celle chiuse perché inagibili a causa delle infiltrazioni d’acqua».
Un problema venuto a galla dopo il nubifragio dell’agosto scorso. I primi interventi-tampone sui reparti matricola, osservazione e lungo i camminamenti sono quasi ultimati ma per i lavori in grado di mettere all’asciutto le celle, la cappella, la palestra e il teatro tutto è ancora fermo al Ministero. In settimana, invece, si comincerà a mettere mano all’impianto di riscaldamento ma anche qui si tratta solo di un palliativo nell’attesa del rinnovamento completo delle caldaie. E «qui si continua a stare al freddo, le temperature degli ambienti e dell’acqua è gelida. Un problema che riguarda anche la caserma degli agenti interna al carcere (dove alloggia una cinquantina di poliziotti) e la Pastrengo in via Lecco in cui vivono circa 200 persone – lamenta Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -. Il fatto è che tutto viene trascurato, a cominciare dalle sedie rotte degli uffici».

Inflitrazione, locali chiusi, sovraffollamento, mezzi di trasporto vecchi che «d’estate sono dei forni e d’inverno delle ghiacciaie» ma che «non possono essere sistemati perché mancano i soldi per pagare le officine»: «Verso il carcere serve maggiore attenzione», chiede Benemia. Per quanto possibile i Comuni della Provincia ci provano, almeno fin dove il problema diventa di competenza del Ministero.

«Ogni Comune sostiene con una quota pro capite, progetti rivolti ai detenuti per usare il tempo passato in carcere in maniera produttiva – spiega l’assessore alle Politiche sociali di Monza, Pierfranco Maffè -. Dallo sportello anagrafe allo sportello lavoro, dalla scuola (dall’alfabetizzazione al biennio delle superiori, ndr) alla mediazione culturale alla biblioteca. Cerchiamo di dare e creare opportunità per cambiare il volto del carcere». A cui si aggiungono gli investimenti di aziende private che danno lavoro a una cinquantina di persone, mentre altri 79 (50 uomini e 29 donne) si occupano dei servizi interni, dalle pulizie alla cucina alla distribuzione del vitto. «Cerchiamo anche di dare supporto agli agenti che spesso arrivano dal Sud – conclude Maffè -, perché non diventino anche loro prigionieri della struttura in cui lavorano».

Da Il Giorno Monza e Brianza


Tre morti in poche ore nelle carceri italiane

ROMA – Tre morti nelle ultime ore negli istituti di pena italiani. Il segretario generale della Uil-penitenziari, Eugenio Sarno, ha reso noto che intorno alle 7 di questa mattina un uomo di 39 anni, D.R.M., è stato trovato senza vita nel proprio letto nel carcere bolognese della Dozza. A scoprirlo è stato il suo compagno di cella. “Dalle prime notizie parrebbe che la morte sia sopravvenuta per cause naturali (probabile infarto). Il detenuto scontava una pena per rapina, spaccio internazionale, sequestro di persona ed altro. Avrebbe terminato la detenzione nel 2024”, ha precisato Sarno.

A Campobasso è morto in ospedale il detenuto napoletano che si era sentito male in carcere. Era in prigione per associazione a delinquere e rapina. Donato Capece, segretario generale del Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, ha sottolineato ancora una volta le criticità delle carceri molisane: “Campobasso ha una disponibilità regolamentare per 112 posti letto ma i presenti al 31 gennaio scorso erano 136, Isernia ha 70 posti letto occupati da 81 persone e Larino conta 293 detenuti per 219 posti regolamentari. E’ evidente che questo sovraffollamento contribuisce ad acuire lo stress e le già gravose condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari e condiziona inevitabilmente la serenità all’interno delle sezioni detentive”.

Infine a Roma un uomo di 30 anni è morto a Regina Coeli. Anche lui è stato trovato cadavere nella sua cella, nella IV sezione del penitenziario storico della capitale. Era in carcere dallo scorso novembre, in attesa di giudizio per reati connessi alla droga. Ieri pomeriggio aveva avuto un colloquio con i suoi familiari. Osservando che si tratta del “secondo decesso in meno di un mese a Regina Coeli”, il garante dei detenuti Angiolo Marroni ha chiesto che “la magistratura faccia luce” e che “si prenda atto che la struttura non è, ormai, più in grado di garantire condizioni di detenzione accettabili”.

Da “La Repubblica” 11/02/2012


Monza – Emergenza freddo in carcere

I sindacati: i detenuti si scaldano coi fornellini, bisogna intervenire

— MONZA —
CARCERE AL GELO. Le caldaie vanno a singhiozzo e in ampie zone dell’istituto, dal detentivo agli uffici e alla caserma degli agenti di polizia penitenziaria, i caloriferi sono freddi quanto l’acqua che esce dai rubinetti e dalle docce. «La situazione è difficile – denuncia Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -. Il problema riguarda un po’ tutto l’istituto. In molte sezioni il riscaldamento non funziona e i detenuti si devono scaldare con i fornellini a gas che hanno nelle celle. E anche nelle camerate non si va meglio come nei posti di guardia all’esterno e sui camminamenti. Ci siamo attrezzati con delle stufette elettriche ma non riscaldano mai abbastanza con le temperature polari che ci sono, soprattutto durante la notte». Per questo Benemia chiede «un intervento urgente altrimenti partiremo con uno stato di agitazione». L’emergenza freddo riguarda comunque tutta la città. Particolare attenzione è rivolta soprattutto ai senzatetto. Tanto che venerdì un clochard è stato salvato in extremis dall’assideramento. Soltanto grazie all’intervento del custode di un giardino pubblico si è evitata la tragedia. È successo pochi minuti prima delle 20 al parco di via Azzone Visconti. Quando il custode è arrivato per chiudere il cancello d’ingresso ha notato il corpo di un uomo sdraiato su una panchina. Ha provato a svegliarlo invitandolo a uscire perché il giardino stava chiudendo, ma non ha ottenuto risposta. A quel punto ha chiamato il 118. Quando i soccorritori sono arrivati, hanno trovato il clochard con un principio di assideramento, non riuscendo ad alzarsi e a muovere gambe e braccia. Quindi è stato accompagnato al Policlinico di via Amati.

PROPRIO per scongiurare situazioni di questo tipo il Comitato provinciale della Croce Rossa in questi ultimi giorni di neve e di freddo ha potenziato le Unità di strada e soprattutto, grazie al Comune di Monza, ha aumentato il numero di letti disponibili (oggi a quota 18) nella tenda riscaldata allestita dai volontari in via Spallanzani. «Un servizio che si svolge in silenzio, senza sirene né lampeggianti – le parole del commissario della Cri di Monza e Brianza, Mirko Damasco -, come troppo spesso è silenziosa la sofferenza di chi vive in condizione di totale indigenza.
Noi offriamo un posto caldo per la notte, vestiti e il nostro supporto sanitario e psicologico. Ma, per riuscire a rispondere ai bisogni di coloro che le nostre Unità di strada incontrano durante le uscite, abbiamo bisogno dell’aiuto di tutta la popolazione, che possa portarci coperte, indumenti e cibo».

Da Il Giorno Monza e Brianza


Accade nelle camere di sicurezza delle questure

Ha strappato una striscia di coperta, se l’è legata al collo e ne fissato, l’altro capo, alla grata della porta blindata di una delle camere di sicurezza della questura di Firenze. Si è ucciso così Youssef Ahmed Sauri, marocchino di 27 anni, ieri sera, intorno alle 23. Era stato arrestato nel pomeriggio per ubriachezza, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.

Il caso ha subito sollevato polemiche da parte dei sindacati di polizia in relazione al contestato articolo 1 del dl “svuota carceri” che prevede la custodia nelle celle di sicurezza della polizia per gli arresti in flagranza, in attesa di convalida, nel caso in cui l’arrestato non abbia un domicilio.

Il marocchino era stato bloccato presso l’ospedale di Santa Maria Nuova da parte degli agenti di una volante, chiamata dai medici del pronto soccorso dove l’uomo era stato portato in stato di ubriachezza nel pomeriggio, dando in escandescenze.

Portato in questura, l’uomo era stato chiuso in una camera di sicurezza. L’allarme è scattato alle 23,20, nel corso del normale controllo delle celle. I primi a soccorrerlo sono stati gli agenti del corpo di guardia della questura fiorentina e poi i sanitari del 118 che ne hanno tentato a lungo, ma inutilmente, la rianimazione.

Siulp e Silp non hanno esitato a indicare l’inadeguatezza delle strutture disponibili per la custodia degli arrestati, situazione che, secondo i sindacati, non consentirebbe di attuare il decreto del Governo nella parte che prevede la permanenza nelle camere di sicurezza degli arrestati in flagranza di reato. “Quanto accaduto ieri è, se mai ve ne fosse stato bisogno – afferma Riccardo Ficozzi, segretario del Siulp -, la chiara riprova di quanto il provvedimento di legge sia assurdo ed inattuabile e di quanto, almeno la questura di Firenze, non sia in condizione di dare attuazione al provvedimento senza correre il rischio concreto che, episodi analoghi a quelli accaduti ieri sera, possano ripetersi.

I cittadini tratti in arresto – ricorda il Siulp, infatti, vengono “trattenuti” in camere di sicurezza allestite nel sotterraneo della questura e sorvegliate, solo all’esterno, tramite una telecamera, da personale che ha mille altre incombenze (sorveglianza dell’intero plesso presso cui è ubicata la questura, accesso cittadini per ufficio denunce, accesso ed uscita veicoli, ecc.).

“E pensare – aggiunge il Silp Cgil – che si volevano utilizzare proprio le celle degli uffici di Polizia per decongestionare le fatiscenti carceri. Una soluzione tutta italiana che preoccupa gli operatori di polizia fiorentini, perché, alla luce dei fatti, si ha la sensazione (certezza) che chi deve intervenire non abbia chiaro il quadro complessivo nel quale operano quotidianamente le forze dell’ordine a Firenze come altrove”

Ansa, 29 gennaio 2012

 

E per rimanere in tema una storia di cui a suo tempo si erano occupati anche i giornali mainstream con diffusione di un video in cui si vedeva chiaramente l’uomo implorare aiuto.  E’ servito a qualcosa? A giudicare dalla sentenza si direbbe proprio di no.

 

Archiviato. Scende il sipario sulla vicenda della morte di Saydou Gadiaga, il 37enne senegalese morto per una crisi d’asma mentre si trovava nella cella di sicurezza della caserma Masotti di piazza Tebaldo Brusato a Brescia dove era detenuto perché fermato dai carabinieri durante un controllo e risultato privo del permesso di soggiorno. Il Gip di Brescia Cesare Buonamartini ha chiuso il caso, decretando che non siano ravvisabili condotte erronee da parte dei carabinieri durante quella tragica serata in cui l’immigrato, da molti anni nel nostro Paese, ma che al momento risultava senza lavoro, perse la vita dopo una grave crisi respiratoria. L’associazione Diritti per tutti, sostenendo la famiglia dell’uomo, aveva fatto ricorso contro la cancellazione dell’inchiesta per la morte dello straniero, e diverse sono state le manifestazioni a sostegno di Gadiaga, conosciuto dagli amici come El Haji, affinché, come aveva dichiarato il presidente dell’associazione antirazzista Umberto Gobbi, il fascicolo sulla morte di Saydou non venisse “seppellito in un armadio”.
Per l’associazione sarebbero diversi i “punti oscuri” sulla morte dell’immigrato, la cui agonia è stata ripresa dalle immagini interne di videosorveglianza della caserma Masotti. “Diritti per tutti” e la famiglia del senegalese aveva fatto leva, nel ricorso presentato contro l’archiviazione, la testimonianza di un cittadino bielorusso, detenuto in una cella accanto a quella di Saidou, che avrebbe sentito il senegalese lamentarsi e chiedere aiuto per almeno una quindicina di minuti prima di morire. Testimonianza che però il pm Piantoni, titolare del fascicolo aveva ritenuto “imprecisa”. Altri dubbi riguardavano poi gli orari riferiti dai carabinieri sui soccorsi all’uomo colto da malore, ma per il pm che ha condotto le indagini militari hanno agito in buonafede.

www.quibrescia.it, 2 febbraio 2012

 

 


Iniziativa in Boccaccio


Liberalizzazioni: arrivano le carceri private

Goldman Sachs, Mario Monti e le carceri private

Da “Bello come una prigione che brucia” trasmissione di Radio Blackout

Stiamo vivendo una nuova trasformazione della società capitalista: l’esplicita sovrapposizione/sostituzione dello Stato con entità economiche-finanziarie private. Tralasciamo il fatto che nonostante alcune sue pretese di autonomia e liberismo, il capitalismo abbia potuto proliferare esclusivamente grazie alla sua simbiosi con le autorità politiche sovrane.

Nonostante Goldman Sachs sia tra i principali responsabili dell’attuale crisi finanziaria e dell’occultamento del debito pubblico greco, a gestire e coordinare quelle che vengono propagandate come “operazioni di rianimazione” dell’Italia troviamo:

Mario Monti – Presidente del Consiglio eletto dalla “Soluzione alla Crisi”, consulente internazionale di Goldman Sachs fino al 2011, nonché membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg, consulente internazionale di Coca Cola Company e insignito di molti altri galloni dello Stato Maggiore del Capitalismo.

Goldman Sachs detiene 29.425.000 bond (obbligazioni finanziarie) di Geo Group, essendone il principale azionista.
Goldman Sachs è (insieme ad American Express) tra i principali azionisti di Correction Corporation of America (CCA).

CCA e Geo Group sono le principali compagnie di carcerazione privata al mondo.

In Italia il governo dei tecno-banchieri ha inaugurato il 20 gennaio 2012 l’ingresso dei privati nella costruzione e gestione delle carceri, esclusa la sorveglianza che, per ora, resta compito dei secondini pubblici. Lo strumento applicato per l’attuazione di questo progetto è il Project Financing, lo stesso che da dicembre invita le banche e i fondi di investimento privati a costruire e gestire tratte autostradali, linee metropolitane, alta velocità ferroviaria e altre infrastrutture.

Il teorema alla base del business delle carceri private è molto semplice: più persone vengono trasformate in “criminali” e quindi detenute, più i gestori delle strutture generano profitto. Si chiama Complesso Industriale Carcerario. La sua espressione più avanzata, molto in voga nelle carceri di CCA e Geo Group, prevede che i detenuti lavorino a prezzi concorrenziali con l’apparato produttivo dei “paesi in via di sviluppo”, generando manodopera schiavizzata.

Se la giustizia penale serve nella maggior parte dei casi a trasformare questioni di disagio sociale ed economico in problemi di “criminalità”, il sistema bancario con il suo ingresso nella gestione dell’apparato detentivo, è riuscito, anche in Italia, a recuperare (in termini di profitto) quell’umanità che ha contribuito a stritolare e che, talvolta, gli si è rivolta contro

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Dal Sole 24 ore 22 gennaio 2012

Il decreto su liberalizzazioni e infrastrutture approvato venerdì dal Consiglio dei ministri consegna il piano di emergenza per realizzare in fretta nuove carceri e decongestionare così quelle esistenti nelle mani della finanza di progetto. È infatti con l’apporto “in via prioritaria”

dei capitali privati che si prevede la realizzazione delle nuove strutture penitenziarie.

Anzi, si può dire che per le carceri nasca una particolare forma di concessione di costruzione e gestione un po’ diversa dalle altre. Per la durata, ad esempio, che qui è di massimo venti anni, contro gli ordinari quaranta. E per il promotore: nel finanziamento si chiede un grosso sforzo alle fondazioni bancarie che devono rilevare almeno il 20% del capitale delle società di progetto. Particolare questo che attende però una conferma definitiva. Il canone corriposto al concessionario deve comprendere i costi di costruzione e quelli di gestione e dei servizi, esclusa la parte relativa alla sicurezza e alla custodia dei detenuti. Ammessa anche la residua possibilità di società di progetto con capitale tutto in mano all’economia.

 Decreto “Liberalizzazioni”

 Art. 44 – Project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie

 1. Al fine di realizzare gli interventi necessari a fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento delle carceri, si ricorre in via prioritaria, previa analisi di convenienza economica e verifica di assenza di effetti negativi sulla finanza pubblica con riferimento alla copertura finanziaria del corrispettivo di cui al comma 2. alle procedure in materia di finanza di progetto, previste dall’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni. Con decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, sono disciplinati condizioni, modalità e limiti di attuazione di quanto previsto dal periodo precedente, in coerenza con le specificità anche ordinamentali, del settore carcerario.

2. Al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento, al concessionario è riconosciuta a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione dell’infrastruttura e per i servizi connessi, a esclusione della custodia, determinata in misura non modificabile al momento dell’affidamento della concessione, e da corrispondersi successivamente alla messa in esercizio dell’infrastruttura realizzata ai sensi del comma 1. È a esclusivo rischio del concessionario l’alea economico-finanziaria della costruzione e della gestione dell’opera. La concessione ha durata non superiore a venti anni.

3. Il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, con il finanziamento di almeno il venti per cento del costo di investimento.


Una buona notizia e una cattiva

Cominciamo con una buona notizia.

Una detenuta madre di nazionalità argentina, di 38 anni e in attesa di giudizio definitivo, con fine pena tra 7 mesi, è evasa alle 22 di martedì 17 gennaio dall’apposita sezione a custodia attenuata annessa alla casa circondariale di San Vittore. La detenuta è fuggita aprendosi un varco tra le inferriate del piano terra portandosi appresso la figlioletta di due anni ed è attualmente ricercata dalla polizia penitenziaria.

 

E terminiamo con la brutta.

 

FIRENZE – Un detenuto italiano di 29 anni, di Lucca, si è tolto la vita nell’istituto penitenziario a custodia attenuata Gozzini, conosciuto come Solliccianino, a Firenze. Lo rende noto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe secondo il quale il giovane recluso si è impiccato con le tendine delle finestre. Il ventinovenne, spiega sempre il sindacato, era detenuto per reati di rapina e spaccio di stupefacenti, con fine pena al 29 giugno 2014. Il 7 gennaio, Davide, un fiorentino di 30 anni si era ucciso impiccandosi in un bagno di Sollicciano.

«La notizia dell’ennesimo detenuto suicida – commenta il Sappe in una nota – è sempre, oltre che una tragedia personale e familiare, una sconfitta per lo Stato. Quella delle morti in carcere, per suicidio o per cause naturali, si sta configurando come una vera e propria ecatombe. E se il drammatico numero non sale ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria, che quotidianamente sventano numerosi tentativi di suicidi».

Dal Corriere 19/01/2012