Ghoncheh Ghavami, 25 anni, ha origini anglo-iraniane. L’avvocato: “Un anno di reclusione per giovane britannico-iraniana”. Si muove Londra.
ROMA – E’ stata condannata ad un anno di reclusione Ghoncheh Ghavami, la giovane britannica di origine iraniana sotto processo in Iran per aver cercato di assistere a una partita di pallavolo maschile a giugno. Lo riferisce un tweet di Al Arabiya. E’ stata riconosciuta colpevole di “aver fatto propaganda contro il sistema di governo”, riferisce l’avvocato della ragazza, Mahmoud Alizadeh Tabatabaei. La 25enne era stata arrestata il 20 giugno e rinchiusa nella prigione di Evin a Teheran per aver chiesto, assieme ad altre attiviste, di assistere all’incontro di World League Iran-Italia malgrado il divieto imposto dalla rigida morale islamico-sciita. Ghoncheh era stata rilasciata su cauzione e poi arrestata di nuovo. In carcere aveva anche iniziato uno sciopero della fame e il Foreign office aveva espresso preoccupazione per il suo caso.
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Como, 2 novembre 2014 – Lo hanno trovato gli agenti di polizia penitenziaria nella sua cella, quando ormai per lui non c’era più niente da fare. Nel pomeriggio di venerdì, un detenuto del carcere Bassone, si è tolto la vita impiccandosi. Italiano, 28 anni, era stato arrestato una decina di giorni fa per sequestro di persona, assieme ad altre quattro persone. Dopo il suo arresto, era stato portato in osservazione, quattro celle presidiate da un agente, dove confluiscono i detenuti che hanno motivi di incompatibilità con gli altri. In questo caso, si trattava di esigenze giudiziarie, legate alle indagini ancora in corso, per le quali la Procura aveva disposto il divieto di contatto tra i vari indagati. Venerdì pomeriggio verso le 16, gli agenti lo hanno trovato esanime, impiccato con le lenzuola della sua branda. Non aveva avuto contatti con nessun altro, se non l’agente che, a intervalli ravvicinati, controllava le sue condizioni in cella. Ciononostante, è riuscito a realizzare il suo intento.
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La lettera che pubblichiamo e che chiediamo di diffondere il più possibile (siti, radio di movimento, situazioni di lotta ecc.) è un coraggioso atto di accusa contro il carcere di Terni e contro tutta l’amministrazione penitenziaria. Non ci facciamo certo illusioni su di un’inchiesta da parte della magistratura, ma non possiamo lasciare solo Maurizio, uomo retto che non ha mai avuto paura di esporsi. Il DAP e i carcerieri devono sapere che a fianco di Maurizio ci siamo tutti/e noi ad urlare che sono degli assassini.
Carissimi/e compagni/e
Prima di tutto vi devo dire una cosa che mi sono tenuto dentro e mi faceva male… ma la colpa non è solo mia e poi potete capire e commentare la situazione in cui mi sono trovato e che ora rendiamo pubblica.
L’anno scorso mentre a Terni ero sottoposto al 14 bis arrivarono due ragazzi, li sentivo urlare che volevano essere trasferiti perché le guardie avevano ammazzato un loro amico… così mi faccio raccontare tutto, e loro mi dicono che un loro amico di 31 anni era stato picchiato perché lo avevano trovato che stava passando un orologio (da 5 euro) dalla finestra con una cordicina, così lo chiamarono sotto e lo picchiarono dicendogli che lo toglievano anche dal lavoro (era il barbiere), lui minacciò che se lo avessero chiuso si sarebbe impiccato, così dopo le botte lo mandarono in sezione, lui cercò di impiccarsi ma i detenuti lo salvarono tagliando il lenzuolo, così quei bastardi lo chiamarono ancora sotto e lo presero a schiaffi dicendogli che se non si impiccava lo uccidevano loro. Così quel povero ragazzo è salito, ha preparato un’altra corda, i suoi amici se ne sono accorti ed hanno avvisato la guardia, ma nel frattempo era salito l’ispettore perché era orario di chiusura, l’agente iniziò a chiudere le celle, ne mancavano solo tre da chiudere, tra cui quella del povero ragazzo, i due testimoni gridano all’ispettore che il ragazzo si sta impiccando e per tutta risposta ricevono minacce di rapporto perché si rifiutavano di rientrare in cella, finché dalla paura anche loro sono rientrati dopo aver visto che il loro amico romeno si era lasciato andare dallo sgabello con la corda al collo, e quei bastardi hanno chiuso a tutti tornando dopo un’ora con il dottore che ne costatava la morte e facendo le fotografie al morto…
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L’elenco dei pestaggi di Stato è lungo. Il conto di chi ha pagato è misero da Aldrovandi a Bianzino, da Uva a Magherini: le battaglie dei familiari.
Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Riccardo Magherini. Quando la mente prova a ricordare i nomi di tutti gli uomini morti mentre si trovavano nelle mani dello Stato, ce n’è sempre qualcuno che sfugge, e non certo per dolo. La lista è troppo lunga.
E quelli che conosciamo, forse, non sono neanche tutti, perché se li conosciamo è solo per il merito, la tenacia e il coraggio delle loro famiglie, eroiche nel mostrare cosa lo Stato ha fatto ai loro cari e contemporaneamente nel mettersi contro quello stesso Stato. Ci vuole fegato nel sapere che si sta andando verso il massacro e che tutta quella battaglia di giustizia si risolverà in un nulla di fatto. Già, perché è q
uesto quello che viene da pensare. Perché di fronte a quella lista così lunga di morti ammazzati, il conto di chi ha pagato si tiene in una mano. Come un pugno di mosche.
Il primo fu “Aldro”, e non perché fu il primo a morire, il 25 settembre 2005 a Ferrara, ma perché fu il primo a guadagnarsi le pagine dei giornali, dopo una battaglia instancabile di sua mamma Patrizia. Aldro aveva 18 anni quando incontrò la polizia: Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri non si accontentarono di mettergli le manette. Tre anni e sei mesi di reclusione per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”, sentenzia la Cassazione nel 2012. Tutti beneficiari dell’indulto, tre di loro rientrati in servizio a gennaio 2014.
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MONZA: a un mese dal tragico gesto di Giulia Meregalli un altro coetaneo e amico si e’ tolto la vita nel reparto di Psichiatria dove avrebbe dovuto essere curato
Si è tolto la vita nel bagno della propria camera nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale San Gerardo a Monza. A cercare la morte è stato un paziente di 28 anni ricoverato nella struttura del capoluogo brianzolo. Il fatto è avvenuto nella notte tra domenica e lunedì: inutili i tentativi di rianimare il giovane da parte degli infermieri che si sono precipitati nella stanza appena si sono accorti dell’accaduto. I primi rilievi sono stati effettuati dai carabinieri di Monza che sono accorsi sul posto ed è stata disposta l’autopsia sul cadavere. E’ stata aperta un’indagine e sono stati notificati avvisi di garanzia a medici e infermieri.
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Giornata molto delicata al carcere Sant’Anna di Modena
Una situazione di violenta protesta ha riguardato la sezione detentiva all’interno del Carcere Sant’Anna di Modena. Alcuni detenuti sono rimasti feriti ma senza conseguenze gravi.
La situazione si è verificata a causa delle condizioni ambientali che si registrano all’interno del carcere.
Secondo le informazioni diffuse, sembrerebbe che un detenuto abbia chiesto di parlare con la direttrice del carcere e al secco rifiuto ricevuto abbia risposto cospargendosi il corpo di olio e minacciando di darsi fuoco. Un altro si è invece cucito la bocca e si è procurato delle lesioni con una lametta. All’arrivo del Comandante di reparto, accompagnato da un gruppo di agenti della Penitenziaria, i detenuti hanno inscenato una dura protesta, cominciando a sbattere gli sgabelli contro le inferriate e il detenuto con la lametta si è lanciato contro il comandante, cercando di colpirlo con la stessa lametta. A frapporsi tra l’aggressore e il comandante è stato proprio un altro carcerato, rimasto poi lievemente ferito dalla lametta […]
“Il sappe dichiara che il problema è la troppa libertà concessa ai detenuti, che consisterebbe nell’ apertura delle celle. Ma di fatto sappiamo bene cosa accenda le rivolte: condizioni carcerarie e soprusi perpetrati dagli sceriffi delle galere.”
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Uno studente di Tolosa colpito a morte da una granata assordante durante una notte di assedio al cantiere per la diga di Sivens.
La polizia francese le chiama armi non letali. Ma fanno male. Tanti sono stati feriti, Remi invece è morto. Un omicidio di Stato.
Aveva 21 anni. Non lo conoscevamo, ma era uno di noi. Uno dei tanti che hanno scelto di mettersi di mezzo, di lottare contro l’imposizione di un’opera inutile e costosa. Contro la distruzione di una zona umida, per un’agricoltura misurata sulla qualità, non sul peso, per una vita libera dalla feroce logica del profitto.
La piccola dimensione, l’autogestione dei territori e delle proprie vite, un’idea di relazioni sociali che rifiuta il profitto e sceglie la solidarietà, un’utopia concreta per tanti, in ogni dove, uniti al di là delle frontiere che separano gli uomini e le donne ma non le merci.
Leggendo i racconti di chi era in quei boschi, la mente è corsa ai nostri boschi, alle nostre valli, alla nostra lotta.
Giovedì 30 ottobre
ore 18 presidio al consolato francese di Torino in via Roma 366 – quasi all’angolo con piazza Carlo Felice
Ci sara’ anche il Movimento No Tav al presidio davanti al consolato francese di Torino per chiedere verita’ e giustizia per Remi.
Alla stessa ora è previsto un presidio anche al consolato francese di Milano in via della Moscova 12.
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“Non è concepibile che si entri in un carcere sotto la tutela dello Stato e se ne esca morti per overdose”. E’ quanto afferma in una nota il direttivo della Camera penale di Firenze in merito al decesso, per sospetta overdose, di una giovane donna detenuta nel carcere fiorentino di Sollicciano, una morte che “suscita sentimenti di tristezza e di indignazione”. “Piccole riforme e provvedimenti tampone – prosegue la nota dei penalisti fiorentini – evidentemente non consentono di risolvere il problema della invivibilità delle carceri italiane. Amnistia e indulto non sono certo una soluzione strutturale. Bisogna garantire anche in carcere il diritto alla salute che è prima di tutto tutela della persona, privata della libertà personale, da parte dello Stato.”
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Rimini, 29 ottobre 2014 – L’hanno già fatto all’Idroscalo a Milano e a Bologna. E ora anche palazzo Garampi ‘arruola’ i detenuti per ripulire Rimini da scritte vandaliche e graffiti sui muri della città. Già entro la fine dell’anno un primo piccolo gruppo di carcerati dei ‘Casetti’ saranno utilizzati per togliere i graffiti per le strade e le piazze di Rimini, grazie all’accordo che è stato raggiunto tra l’amministrazione e la direzione del carcere. […]
Ci si era posti con il carcere la questione di come far passare il tempo ai detenuti: così l’idea: «Diamo a loro un compito utile, e per il quale il Comune doveva sempre rivolgersi a una ditta esterna. Potevamo far svolgere loro altri lavori, magari l’affissione di manifesti, ma abbiamo pensato di affidare ai detenuti mansioni che non vengono svolte da nessuno all’interno del Comune». […]
Ma quali saranno i carcerati impiegati nell’intervento di pulizia?
Ci sarà un’equipe interna al carcere, composta dagli ispettori di polizia penitenziaria, a decidere quali saranno i detenuti coinvolti, in base a: reati commessi, comportamento e allo stato del loro procedimento. Si partirà con un gruppo di 5 o 6 persone, […] con possibile aumento di manodopera a basso costo e differenziazioni tra detenuti.
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PESARO – Il detenuto straniero che nei giorni scorsi aveva aggredito un agente di polizia penitenziaria nel carcere di Villa Fastiggi a Pesaro ha dato fuoco alla cella, bruciando tutto quello che c’era: materasso, cuscino, tavolo e armadietto. Donato Capece: “la situazione, a Pesaro e nelle carceri italiane, resta grave.”
l’Italia risulta di fatto inadempiente rispetto alla sentenza Torreggiani della Corte europea per i diritti dell’uomo, il rinvio al giugno 2015 per un’ulteriore valutazione sull’attuazione delle misure decise dal governo per affrontare il problema del sovraffollamento segna il fallimento delle politiche penitenziarie adottate dal Dap, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria».
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Dal 2014, almeno 5000 oromo sono finiti in carcere perché sospettati di opporsi al governo o di incitare altre persone a esprimere il loro dissenso: manifestanti pacifici, studenti, esponenti politici, attivisti per i diritti culturali, contadini, uomini d’affari, insegnanti, funzionari dell’amministrazione statale, cantanti. A volte, vengono arrestati anche i familiari: per mero reato associativo di parentela o al posto della persona ricercata.
In molti casi, gli arrestati trascorrono mesi se non anni in attesa del processo in centri di detenzione non ufficiali all’interno delle basi militari, dove vengono ripetutamente torturati, senza poter chiedere assistenza ai familiari o agli avvocati.
Decine di oromo sarebbero stati vittime di esecuzioni extragiudiziarie.
Secondo il governo, la maggior parte delle persone arrestate sarebbero simpatizzanti del fronte di liberazione oromo, il gruppo secessionista attivo nella regione. Tuttavia, precisa il rapporto di Amnesty International, queste accuse restano indimostrate, dato che molti detenuti non vengono mai processati. Il “terrorismo” pare dunque un mero pretesto per ridurre al silenzio le voci critiche e giustificare la repressione. Continue reading
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ATHENS, SEPTEMBER 25 – The European Court of Human Rights has ordered Greece to pay sums ranging from 5,000 euros to 15,000 euros in damages to each of the 14 inmates of Nafplio Prison who appealed against what they described as degrading treatment at the penitentiary institution. The ruling which was made public on Thursday was a response to a joint appeal by Greek, Romanian, Hungarian, Turkish and American inmates, as daily Kathimerini online reported. Greece was condemned for violation of the Article 3 of the Convention of Human Rights, which prohibits inhuman or degrading treatment.
The prisoners had complained about the detention conditions at the institution, which they described as inhumane, and extreme overcrowding, a problem that plagues most Greek prisons.
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Questa mattina, nelcarcere modenese Sant’Anna di Modena – affermano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggìunto del Sappe e Francesco Campobasso, segretario regionale – sono stati trovatialtri 5 topi, alcuni morti ed altri vivi, all’interno del locale denominato ‘Buca Pranzi’, dove, cioè, transita la roba, compreso generi alimentari che i famigliari portano ai detenuti durante i colloqui. Si tratta di un altro episodio gravissimo dal punto di vista igienico sanitario che richiede interventi immediati e risolutivi, ammesso che gli attuali vertici della struttura siano in condizione di assicurare tali interventi, altrimenti chiediamo il commissariamento del carcere modenese. Altro che benessere del personale, come teorizza l’amministrazione, in due giorni sono stati trovati ben sette topi nel carcere di Modena e chissà cosa succederà nei prossimi. E i primi responsabili del benessere del personale sono i vertici della struttura“.
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Commenti disabilitati su CARCERE, TROVATI ALTRI CINQUE TOPI MORTI: “gli animali scoperti nella ’Buca Pranzi’, dove transitano anche i generi alimentari“

Inmates incarcerated at a closed E-type prison in the northwestern province of İzmit started a prison riot on Thursday night, climbing the roof of the prison and setting their bed sheets on fire.
Riot police and firefighters were dispatched to the prison after the riot broke out. The prisoners initially prevented firefighters from putting out a fire for some time, but it was eventually contained. Some inmates unfurled Turkish flags on the roof of the prison. Prison authorities held talks with representatives of the prisoners to end the riot.
Speaking to the press in front of the prison, Kocaeli Chief Public Prosecutor Mustafa Küçük said the prison was taken back under control around midnight. He said the prisoners had some demands and prison authorities listened to them.
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LUCCA, 23 ottobre – Era stato arrestato dalla Polizia a Viareggio, dopo un inseguimento nel mercato cittadino,aveva 25 anni il ragazzo, di etnia sinti che si è impiccato ieri in una cella del Carcere di Lucca. Conosciuto alle forze dell’ordine per i numerosi precedenti fra cui rapina e sequestro di persona, era ricercato perchè doveva scontare in carcere una pena residua di tre anni e tre mesi per ordine del Tribunale di Bolzano. I giudici avevano commutato la condanna in affidamento in prova, ma ilo ragazzo era fuggito facendo perdere le tracce. Indentificato e recluso nel Carcere di Lucca il giovane evidentemente non ha retto alla prospettiva della detenzione e ha compiuto il gesto estremo a una finestra del bagno della sua cella.
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PORT-AU-PRINCE, 11 AGO – Un centinaio di detenuti sono evasi da una prigione di massima sicurezza di Haiti, a una decina di chilometri di Port-au-Prince, a seguito di una rivolta scoppiata all’interno del penitenziario. Lo ha annunciato un portavoce della polizia haitiana. Un parlamentare che si trovava sul posto ha precisato che si è trattato di una evasione spettacolare. Tra gli evasi, anche un influente uomo d’affari, Clifford Brandt, accusato di rapimento. Su di lui pende una taglia da 40 mila dollari.
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Un proiettile d’artiglieria ha colpito domenica notte un carcere a Donetsk, la città dell’Ucraina orientale assediata dalle truppe di Kiev, facendo scoppiare una rivolta che ha portato alla fuga di 106 detenuti. L’esplosione ha ucciso una persona e ne ha ferite altre tre. Lo fa sapere su internet il Comune.Il bombardamento ha inoltre danneggiato il quartier generale, la stazione elettrica e la zona industriale della casa circondariale. Alcuni dei detenuti fuggiti domenica notte sono tornati in carcere stamattina.
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La Regione assicura piena collaborazione con le istituzioni nazionali e locali impegnate a gestire le nuove politiche sull’accoglienza dei profughi, alla luce del Piano appr
ovato recentemente dalla Conferenza Stato-Regioni. È quanto hanno affermato i rappresentanti degli assessorati del lavoro e delle politiche sociali nel corso del Tavolo di coordinamento regionale su accoglienza e immigrazione riunitosi oggi in Prefettura a Cagliari. La riunione è servita a verificare il Piano di ripartizione dei migranti per ogni provincia (le quattro storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano) e a fare il punto sulle strutture di prima accoglienza. Attualmente, i profughi ospitati nell’isola sono 419. In base alla nuova ripartizione dovranno essere 944. Le quote maggiori spettano a Cagliari (450) e Sassari (279); quindi Nuoro (124) e Oristano ( 91).
“Nel corso della riunione – si legge in una nota inviata dalla Regione – è stata confermata la chiusura del centro di prima accoglienza di Elmas ed è emersa l’urgenza di individuare nuove strutture. Il carcere minorile di Quartucciu e la Scuola di Polizia penitenziaria di Monastir potrebbero avere i requisiti per ospitare i migranti, ma la Regione, d’intesa con la Prefettura, non esclude altre soluzioni”. I rappresentanti della Regione, infine, hanno fatto appello alla Prefettura perché intervenga sul Governo circa le risorse da destinare ai centri di seconda accoglienza in Sardegna.
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Napoli 26 luglio
Tre detenuti del carcere di Ariano Irpino hanno attuato ieri una violenta protesta dopo che un loro compagno aveva finto un malessere per farsi trasferire in infermeria e gli agenti penitenziari avevano opposto un rifiuto.
Uno dei tre, Daniele Di Napoli, 30 anni, di Taranto, che il 12 dicembre 2012 evase dal carcere di Avellino, si è barricato in un locale. Un altro si è ferito con alcune lamette da barba.
Quattro agenti penitenziari hanno dovuto farsi medicare in ospedale.
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Giovanni Pucci, 44 anni, era in semilibertà, recentemente si era anche sposato. Poche ore prima della morte era stato sentito per una indagine sullo spaccio in carcere
PADOVA – Un detenuto della casa di reclusione di Padova è stato trovato morto questa mattina. L’uomo, un leccese condannato a più di 20 anni per omicidio e sequestro di persona, si sarebbe impiccato nella sua cella durante la notte. Il nome del de
tenuto era recentemente comparso all’interno di un’inchiesta della squadra mobile di Padova su un traffico di stupefacenti tra le mura del carcere Due Palazzi. Secondo quanto si è appreso dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe l’uomo avendo già scontato diversi anni di carcere e godeva ora di un regime di semilibertà. Recentemente si era anche sposato.
Il detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, era stato sentito dagli investigatori poche ore prima del presunto suicidio nell’ambito dell’inchiesta su un traffico di droga tra le mura del carcere. Forse il gesto potrebbe essere la risposta alla paura di un aggravamento di pena. Pucci sarebbe dovuto rimanere in carcere fino al 2021. «Quello di Padova è un carcere dove c’è un’emergenza nazionale – ha spiegato il responsabile del Sappe Giovanni Vona – dove evidentemente non si comprende bene cosa significa sotto l’aspetto umano vivere in una struttura affollata dal triplo delle persone che ci dovrebbero essere».
Pucci, elettricista di Castrignano de’ Greci, stava scontando una condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio della dottoressa Maria Monteduro, 40 anni, uccisa a colpi di cacciavite la notte tra il 24 e il 25 aprile 1999 mentre era in servizio di guardia medica a Gagliano del Capo (Lecce), comune in cui era anche assessore ai Servizi sociali. Al momento del delitto, secondo investigatori e giudici, Pucci era sotto l’effetto di un cocktail di stupefacenti. Per quell’omicidio, il 30 settembre 2003, Pucci era stato condannato all’ergastolo nei tre gradi di giudizio, pena poi rideterminata definitivamente in 30 anni dalla Cassazione il 10 gennaio scorso su ricorso dei difensori (gli avvocati Luca Puce e Giuseppe Stefanelli, del foro di Lecce).
La rideterminazione della pena aveva aperto per lui una serie di benefici, tant’è che aveva ottenuto di lavorare fuori dal carcere come elettricista e aveva un contratto a tempo indeterminato. Pucci usciva al mattino dal carcere e rientrava la sera per dormirvi; l’anno scorso si era anche sposato. Una decina di giorni fa, però, il magistrato di sorveglianza gli aveva sospeso il permesso di lavoro esterno dopo che Pucci era stato sentito dalla Procura nell’ambito di un’inchiesta su un presunto giro di droga nel carcere di Padova. Circostanze, queste, che anche secondo i suoi legali potrebbero aver inciso sull’improvvisa decisione del detenuto di farla finita.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, 15 anni fa Pucci uccise la dottoressa a colpi di cacciavite alla testa dopo averla costretta a salire a bordo della sua Renault 19 e aver imboccato un viottolo di campagna. Per gli inquirenti ci sarebbe stato anche un tentativo di violenza sessuale. Pucci scomparve subito dopo il delitto ma venne rintracciato e arrestato il 24 settembre 1999 in Kazakistan, dov’era andato a trovare il padre. L’uomo confessò l’omicidio, anche se fornendo una versione dei fatti ritenuta piena di contraddizioni. Nell’inchiesta finirono anche un paio di presunti favoreggiatori, ma alla fine Pucci è stato l’unico a finire sotto processo e ad essere condannato. Il 2 ottobre successivo, a poca distanza dal luogo del ritrovamento del cadavere, fu trovata nel terreno l’arma del delitto, un cacciavite lungo una ventina di centimetri.
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Accusati di omicidio preterintenzionale e altri reati in relazione alla morte di Giuseppe Uva avvenuta il 14 giugno 2008. La sorella in lacrime, ce l’abbiamo fatta
varese 21 luglio 2014
A sei anni dalla morte di Giuseppe Uva carabinieri e poliziotti dovranno affrontare un processo in Corte d’Assise. Il gup varesino Stefano Sala oggi
ha rinviato a giudizio sei agenti e un militare imputati per omicidio preterintenzionale, abbandono di incapace, arresto illegale e abuso di autorità nei confronti dell’uomo, morto il 14 giugno del 2008 all’ospedale di Circolo di Varese dopo essere stato fermato ubriaco per strada e portato in caserma. Un altro militare accusato degli stessi reati, che aveva scelto la strada del giudizio immediato, verrà processato insieme agli altri imputati. La decisione del giudice, che ha respinto la richiesta di proscioglimento da tutte le accuse contestate avanzata dal procuratore facente funzione Felice Isnardi e dai difensori degli imputati, è stata accolta con lacrime e festeggiamenti dai familiari di Uva, parti civili nel procedimento.
La sorella di Uva, Lucia, e i suoi legali, gli avvocati Fabio Anselmo, Fabio Ambrosetti e Alessandra Pisa, al termine dell’udienza preliminare hanno stappato una bottiglia di spumante per un brindisi in piazza Cacciatori delle Alpi, davanti al Palazzo di giustizia della città. “Dopo tanti anni ce l’abbiamo fatta – ha commentato Lucia Uva -. Dedico questo processo al pm di Varese Agostino Abate che non ha mai voluto cercare la verità – ha proseguito -, perché mio fratello non ha mai fatto atti di autolesionismo ma è stato picchiato in caserma”. I carabinieri, la notte del 14 giugno 2008, fermarono l’artigiano Giuseppe Uva, 43 anni, e l’amico Alberto Biggiogero mentre, ubriachi, spostavano delle transenne per regolare il traffico. Sette ore dopo l’uomo morì in ospedale, dove era stato ricoverato con trattamento sanitario obbligatorio, a causa di “insufficienza respiratoria con conseguente edema polmonare” provocata da una serie di cause scatenanti. Secondo i familiari Uva avrebbe subito violenze in caserma da parte dei carabinieri e dei poliziotti che intervennero a supporto dei militari. La Procura di Varese, invece, non aveva riscontrato irregolarità nel comportamento delle forze dell’ordine. Tre medici dell’ospedale di Circolo di Varese erano stati processati e poi assolti dall’accusa di aver somministrato a Uva una dose sbagliata di farmaci. Ora dovranno affrontare il processo davanti alla Corte d’Assise di Varese, che inizierà il 20 ottobre, i carabinieri e i poliziotti, tutti ancora in servizio, che condussero l’intervento: Paolo Righetto, Stefano Dal Bosco, Giocchino Rubino, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci, Francesco Barone Focarelli, Bruno Belisario e Vito Capuano.
Disponendo il rinvio a giudizio il giudice Sala ha quindi accolto la tesi di una loro responsabilità nella morte di Giuseppe Uva, già sostenuta dal gip di Varese Giuseppe Battarino che lo scorso 11 marzo aveva respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Agostino Abate sottolineando, nell’ordinanza con cui aveva disposto l’imputazione coatta, che Uva “è stato percosso da uno o più dei presenti in quella stanza, da ritenersi tutti concorrenti materiali e morali” nella morte “causalmente connessa in particolare con la prolungata costrizione fisica associata a singoli atti aggressivi e contenitivi”.
Secondo l’avvocato Luca Marsico, uno dei difensori degli imputati, “il rinvio a giudizio non equivale a una condanna, e ora si aprirà un processo che verrà affrontato a testa alta”. Mentre l’avvocato Fabio Anselmo, legale anche delle famiglie di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, esulta per una “prima vittoria” delle parti civili. “E’ uno scandalo che si arrivi solo oggi a un rinvio a giudizio – ha aggiunto – perché si rischia la prescrizione per gran parte delle accuse contestate”. Per il senatore del Pd Luigi Manconi, “questo risultato è dovuto alla tenacia di Lucia e dei familiari di Giuseppe Uva, al lavoro dei legali e a quanti per anni hanno voluto credere che anche a Varese ‘c’è un giudice'”.
http://www.ansa.it/lombardia/notizie/2014/07/21/uvaprocesso-8-agenti-ps-e-1-carabiniere_6b3515a4-12e0-4ba4-b8da-aaae1f4bb6d0.html
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Decreto carceri in Aula il 22 luglio: misure compensative, nuovi emendamenti e dichiarazioni Onu per misure di indulto e clemenza
Non solo riduzione della condanna e risarcimenti in denaro nel decreto svuota carceri che arriva in aula per il voto martedì 22 luglio. La Commissione Giustizia ha infatti approvato anche due correttivi al decreto carceri (92/2014), uno che esclude la custodia cautelare in carcere quando si prevede una pena da eseguire non superiore a tre anni e, in merito, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri ha precisato “Non sarà applicabile e quindi si potrà ricorrere alla custodia in carcere, in presenza di reati particolarmente gravi come mafia, stalking aggravato, maltrattamenti in famiglia aggravati, furto in abitazione, estorsione, ecc.”
E spiega: “Si potrà inoltre disporre la custodia in carcere, anche quando si prevede una pena inferiore ai tre anni, nei casi in cui l’imputato/indagato non dispone di un domicilio (cioè quando sia senza fissa dimora) dove poterlo mandare agli arresti domiciliari”. La seconda norma alza da 21 a 25 anni l’età di coloro che possono essere trattenuti negli Istituti penali per minorenni, lasciando “al magistrato di sorveglianza uno spazio di discrezionalità che gli permetterà di decidere dove collocare il giovane adulto (cioè la persona di età compresa tra i 21 e i 25 anni), se in carcere o in un Ipm, basando la propria decisione su finalità rieducative o di sicurezza”.
Nonostante il ministro Orlando abbia fatto sapere che “dall’inizio dell’anno, per effetto dei vari interventi normativi, i detenuti presenti nelle carceri al 15 luglio 2014 sono 55.805, con un decremento di ben 10.212 detenuti”, a farsi sentire è stata ancora una volta l’Onu.
“Quando gli standard minimi non possono essere garantiti in altro modo, il rimedio è la scarcerazione” ha detto Mads Andenas, uno degli esperti dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani che ha bocciato le condizioni di vita nelle carceri italiane definendole disumane. Stesso giudizio sui Cie, i centri di detenzione temporanei per i clandestini e i rifugiati politici, e ha invitato il governo al ricorso alle misure di clemenza di amnistia e indulto per risolvere definitivamente la situazione.
http://www.businessonline.it/news/24045/decreto-svuota-carceri-le-novita-della-settimana.html
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Pavia 21 luglio 2014
I familiari del “sinti” di Gambolò Jhonny Bianchi: <Era a rischio, dovevano controllarlo meglio>

PAVIA. «Jhonny era a rischio suicidio, in carcere dovevano controllarlo meglio». Sono parole dei parenti di Jhonny Bianchi il «sinti» di Gambolò che l’altro giorno si è impiccato nella sua cella del carcere di Torre del Gallo. Era accusato, insieme al fratello Mike, di aver ucciso, il 16 aprile scorso, Driss Sabri, un marocchino di 30 anni che abitava a Vigevano. Una delitto che era avvenuto a Gambolò.
«Aveva già cercato di uccidersi – spiega un fratello – alcuni mese prima del delitto. Era morto nostro padre e lui, forse per la disperazione, si era sparato un colpo di pistola in testa. Per fortuna il proiettile non aveva leso parti vitali e si era salvato miracolosamente Aveva ripreso una vita normale anche se aveva continui attacchi epilettici. Una volta in carcere perchè accusato di omicidio c’era la possibilità che ci potesse riprovare magari per la disperazione. Ed è stato così. Noi dovremo valutare il comportamento del personale del carcere di Pavia. Mio fratello è rimasto solo in cella, senza che nessuno lo guardasse. In più c’era anche la possibilità che la comunità marocchina di Torre del Gallo si potesse vendicare considerando l’accusa di omicidio nei confronti di un cittadino del Marocco. Aspettiamo l’esito dell’autopsia poi vedremo cosa possiamo fare». Un’autopsia che potrebbe chiarire alcuni dubbi del suicidio. Il carcere ha aperto un’inchiesta interna. I funerali sono in programma, forse già mercoledì, a Gambolò. La comunità sinti ha organizzato una colletta per il pagamento dei funerali. Il giovane, aveva 27 anni, si era ucciso venerdì mattina a Torre del Gallo. Il compagno di cella era in cortile per le prime due ore d’aria (dalle 9.30 alle 11.30) e così il sinti di Gambolò era rimasto solo e si era impiccato. Il personale lo aveva trovato ancora vita e il giovane era stato trasportato in infermeria. Poi il decesso. «Nel carcere di Torre del Gallo – spiegano alla comunità sinti – stanno morendo troppi nostri giovani. Per suicidio o per malattia. I responsabili dovrebbero stare più attenti».
http://laprovinciapavese.gelocal.it/cronaca/2014/07/21/news/suicidio-in-carcere-a-pavia-la-denuncia-dei-parenti-1.9629030
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Venerdì 11 luglio un’ennesima operazione repressiva si abbatte sul
movimento No Tav. Tre compagni di Milano, Lucio, Graziano e Francesco
vengono prelevati all’alba e portati in carcere . L’accusa per tutti è di aver partecipato all’azione dello scorso 13 maggio (lo stesso fatto per cui si trovano da mesi in carcere Mattia, Chiara, Claudio e Nico) e devono rispondere di danneggiamento, incendio, violenza a pubblico
ufficiale, detenzione e fabbricazione di ordigni.
Vediamo manifestarsi una prosecuzione del tentativo già fatto con
gli arresti precedenti di spezzare e dividere un movimento che finora ha
sempre reagito in maniera unita a questo tipo di iniziative.
Dopo gli arresti eclatanti del 26 gennaio 2012 in cui finirono coinvolti
anche cittadini e esponenti locali della Valle, gli ultimi arresti e
misure cautelari si sono concentrati su militanti esterni, per provare a far passare
la tesi che in Val Susa esistono due movimenti. Da una parte uno pacifico e colorato,
di marce popolari e polentate, dall’altra uno violento e pericoloso, tendenzialmente eteroctono, che si renderebbe protagonista di azioni che il movimento disconosce.
Questa tesi a oggi non passa grazie alla costante compattezza del movimento, in tutte le sue componenti, come dimostrato dall’oceanico corteo di Torino del 10 maggio 2014, quando decine di migliaia di solidali sono scesi in piazza per chiedere la scarcerazione dei compagni arrestati.
Il ricorso ad arresti mirati con evidenti sproporzioni d’accusa rispetto al fatto contestato (il danneggiamento di un generatore) non è il solo metodo che la magistratura attua cercando di isolare compagn* impegnati nella lotta contro il TAV. Gli arrestati vengono sottoposti a regimi di
carcerazione speciale che prevedono isolamento, restrizioni dei colloqui e delle comunicazioni con l’esterno fino ad arrivare al processo in videoconferenza, tutti trattamenti una volta riservati ai
sottoposti al 41 bis, il cosiddetto carcere duro che nell’idea di molte persone, è una cosa riservata ai mafiosi.
Al minimo accenno di radicalità, di rifiuto delle deleghe e di alterità all’esistente un movimento viene represso o perlomeno ostacolato tramite arresti mirati e misure cautelari che puntano a escludere e isolare dalle lotte elementi attivi e determinati, oltre che a
spaventare e a dissuadere tutte le altre persone che ne fanno parte.
E questo riguarda sia la lotta ormai ventennale della Valle, ma anche chi
occupa una casa e chi resiste agli sgomberi, chi difende il proprio territorio dalla voracità del capitale e chi difende il proprio posto di lavoro dalla rapacità di padroni sempre più arroganti, chi resiste alla devastazione dei territori e delle vite, chi sostiene la pratica dell’azione diretta e del sabotaggio.
Complici e solidali, come sempre.
Lucio, Francesco, Graziano liberi!!
Liberi tutti!!
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15 luglio 2014
Sono ore di tensione quelle che si stanno vivendo al carcere fiorentino di Sollicciano, dove un detenuto italiano R.A. di 47 anni si è barricato all’interno della sala colloqui del carcere assieme alla moglie e ai figli. Lo denuncia il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. L’uomo, in carcere per traffico di droga, armi, violenza, lesioni e con fine pena nel 2025, è barricato nella sala colloqui n.4 del penitenziario con la moglie e i tre figli minori. Il detenuto avrebbe dato in escandescenze ed ha colpito un ispettore di polizia penitenziaria, rinchiudendosi poi nella sala colloqui e tenendo con sé la moglie e i figli minori che erano arrivati per il colloquio. La polizia penitenziaria sta adesso tentando di convincerlo a desistere, usando cautela anche per la presenza dei ragazzi. Nei giorni scorsi, il detenuto era stato trovato con un telefono cellulare e per questo messo in isolamento in attesa di un trasferimento in altra sede.
19:40 dopo circa due ore di trattativa l’uomo ha interrotto la protesta ed è stato riaccompagnato in cella.
http://www.ilsitodifirenze.it/content/958-carcere-di-sollicciano-detenuto-barricato-con-moglie-e-figli-mediazione-corso-da-parte-d
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Parma 14 luglio 2014
La garante regionale dei detenuti Desi Bruno e il garante di Parma Roberto Cavalieri hanno visitato il carcere di via Burla, per verificare le condizioni di vita dei coscritti di Parma, ampiamente in sovrannumero rispetto alla capienza regolamentare. Nel penitenziario di Parma stanno attualmente 539 detenuti, quando la struttura è stata costruita per 385 posti. La capienza tollerata è di 652 persone. Dei detenuti presenti, 407 sono stati condannati in via definitiva, mentre 132 sono ancora imputati in processi: 80 gli ergastolani, 58 in regime di 41bis, 295 i detenuti comuni. Gli ammessi a lavori all’esterno e in regime di semilibertà sono appena 28. Molti gli stranieri, ben 228. Particare attenzione i garanti hanno riservato ai 23 ricoverati al Centro diagnostico e terapeutico, compresi sette nella sezione per tetraparaplegici.
La situazione sanitaria del Centro diagnostico e terapeutico(Cdt) è critica. Il centro è gestito dall’Ausl e si trova all’interno del carcere. Qui sono i detenuti sottoposti a trattamenti medici per patologie in fase acuta o cronica, con circa 20 posti. A Parma continuano ad arrivare sempre più detenuti malati da altri istituti di pena, con intere sezioni ordinarie che sono occupate da detenuti malati, nell’attesa di essere ricoverati. Secondo i garanti, il numero dei detenuti con gravi patologie è troppo alto per la capacità della struttura di Parma: “La promiscuità fra persone sane e malate provoca un peggioramento complessivo delle condizioni di vita. Tale criticità è stata da tempo segnalata dalla garante alle autorità competenti, in particolare al ministro della Giustizia, chiedendo che cessino le assegnazioni di persone malate al Cdt di Parma, nell’impossibilità di un’effettiva presa in carico”.
Nella sezione che ospita il Centro non è in vigore il regime “a celle aperte”, in ragione della compresenza di detenuti appartenenti al circuito dell’alta sicurezza e detenuti comuni (in tutto 23). I garanti segnalano la persistente mancanza di un medico specialista in urologia, con i detenuti che all’occorrenza vengono portati all’esterno, con il necessario accompagnamento della scorta, per effettuare questa tipologia di consulti e altre visite specialistiche. È nota la frequente difficoltà a garantire gli accompagnamenti, con il conseguente slittamento della visite specialistiche (diverse settimane e anche mesi) con grave disagio per i detenuti.
È in sensibile aumento, su base semestrale, anche il numero dei detenuti del circuito differenziato dell’alta sicurezza, con la corrispondente diminuzione dei detenuti comuni, in linea con quanto previsto dal progetto dipartimentale di realizzazione dei circuiti regionali, che prevede che la struttura si caratterizzi per la presenza di questa tipologia di detenuti. È invece stabile il numero degli ergastolani, per i quali sarebbe opportuno pensare a spazi dedicati ed esclusivi, laddove possibile. In tal senso l’auspicio è che alcuni spazi del padiglione in corso di costruzione possano essere riservati proprio a questa particolare tipologia di detenuti. Nelle sezioni dove sono collocati detenuti “comuni”, con un grado di pericolosità di lieve significatività, è in vigore il regime “a celle aperte” per alcune ore al giorno.
La visita ha interessato anche la cosiddetta “Sezione Iride”, destinata ai detenuti in isolamento disciplinare, sanitario e giudiziario. Ai detenuti in isolamento disciplinare viene applicato un regime di estremo rigore, roba da film: per tutta la durata della sanzione permangono in celle senza suppellettili (né scrittoio, né tv, né sedia – una sedia gli viene fornita solo durante la consumazione dei pasti), senza la porta a separare la camera di pernottamento dal bagno con la turca. La garante regionale e il garante di Parma chiederanno all’amministrazione penitenziaria di modificare in maniera sostanziale le condizioni dell’isolamento, senza far venir meno profili di sicurezza, al fine di tutelare l’equilibrio psico-fisico delle persone. Nei colloqui con i detenuti, le principali segnalazioni riguardano la materia sanitaria e la territorialità della pena, con la richiesta di favorire il trasferimento in istituti penitenziari più vicini al luogo di residenza della famiglia.
http://www.parmaquotidiano.info/2014/07/14/garante-troppi-ammalati-nel-carcere-di-parma/
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