L’Algeria è stato tra i paesi meno toccati dalle rivolte del Medio Oriente e dell’Africa del Nord. Nel 2011 il governo ha accettato di abolire lo stato d’emergenza, in vigore nei precedenti 31 anni, ma con vecchie e nuove limitazioni alla libertà di manifestazione, di associazione e di stampa è riuscito a tenere sotto controllo l’informazione e la protesta sociale, che nel paese prende forma di lotta contro la corruzione, le politiche economiche e l’impunità che ha dominato la fine del “decennio nero”, dal 1992 al 2002.
Il 2013 potrebbe riservare delle novità, affatto positive. Da un lato, la possibile escalation degliscontri con Al Qaeda nel Maghreb islamico, anche rispetto a come evolverà la situazione nel vicino Mali, i cui territori del nord sono controllati da gruppi armati islamisti e su cui il Consiglio di sicurezza ha recentemente autorizzato una forza militare internazionale.
Dall’altro, la repressione nei confronti degli attivisti per i diritti umani pare aumentare. Il 2 gennaio Taher Belabès, coordinatore del Comitato nazionale per la difesa dei diritti dei disoccupati, è stato arrestato a Ouargla, nel sud del paese, per “ostacolo al flusso della circolazione” e “incitamento a manifestare”, reati per i quali sono previsti fino a cinque anni di carcere.
Come a Siliana, in Tunisia, a Ouargla le forze di polizia sono intervenute in massa per disperdere una manifestazione pacifica convocata per chiedere lavoro e le dimissioni delle autorità locali, incapaci di affrontare la crescente mancanza d’impiego in una zona ricca di giacimenti e nella quale operano numerose compagnie petrolifere. In questo centro dell’Algeria meridionale, le proteste vanno avanti da tempo.
Non si è trattato del primo arresto nei confronti di chi manifesta per il diritto al lavoro: nel 2012 era accaduto allo stesso Belabès e ad altri cinque attivisti. In passato, però, quasi tutte le persone fermate venivano trattenute per poche ore, interrogate, “ammonite” a stare calme e poi rilasciate. Con la rilevante eccezione di Abdelkader Kherba, arrestato lo scorso agosto mentre guidava una protesta per il diritto all’acqua e protagonista di uno sciopero della fame lungo quasi un mese, prima di essere prosciolto e scarcerato.
A dare uno status legale a questi arresti arbitrari è la legge 19 del 1991 sugli incontri pubblici e le manifestazioni, che obbliga gli organizzatori a chiedere l’autorizzazione otto giorni prima del loro svolgimento. L’autorizzazione può essere negata se l’iniziativa “è contraria ai valori nazionali o pregiudica i simboli della Rivoluzione del 1° novembre (del 1954, Ndr), l’ordine pubblico o la morale”.
Amnesty International e il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà d’espressione continuano a chiedere l’abrogazione della legge o, come minimo, la sostituzione dell’obbligo di autorizzazione con quello di notifica e la fine dei poteri discrezionali di diniego del permesso di svolgimento.