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La prigione norvegese dove i carcerati vengono trattati come persone

carcereEsiste un carcere in cui i detenuti vengono trattati come esseri umani. Non ha muri, non ha manette  non c’è il filo spinato. Questa specie di paradiso si trova nell’isola di Bastoy, in Norvegia.

Stiamo parlando a tutti gli effetti di un carcere che non sembra un luogo di detenzione. Conta poco più di 120 detenuti, i quali godono di ampi spazi per muoversi, nell’ottica dei principi stabiliti dal sistema carcerario norvegese.

Tale sistema mira al reinserimento nella società. Questo moderno regime verrà applicato anche a Anders Behring Breivik. Costui è il killer di Utoya, ed è passibile di condanna.

Come funziona dunque la vita dei carcerati nell’isola di Bastoy? Un anonimo afferma che “nelle prigioni normali si rimane chiusi per la maggior parte della giornata. Vi è solo un’ora d’aria e alle otto si rientra in cella. Non esistono, dunque, costrizioni”.

Un altro uomo, Tom Cristensen trascorre il tempo sulle macchine: Tom ha unico appuntamento fisso, che l’appello al quale deve rispondere quattro volte al giorno.

Tom dice che “Puoi fare le stesse identiche cose che faresti qualora fossi libero, tra le quali il fatto di cucinare il cibo acquistato in negozio”. Una vera e propria overdose libertà, della quale non godono coloro sono dentro altri penitenziari dotati di regole più rigide.”

Ma ci sono anche coloro che non sopportano tutta questa libertà e desiderano addirittura tornare nelle prigioni di massima sicurezza. Lo dice  John Froyland, il capo di Bastoy Island.

Il sistema, fondato sul rispetto della dignità della persona, però, funziona alla perfezione. Da cosa lo deduciamo? Dal fatto che in Norvegia solo il 20% dei carcerati una volta tornato in libertà commette nuovamente reati. Ciò non accade in Gran Bretagna e Stati Uniti, dove oltre il 50% torna dietro le sbarre entro un paio d’anni.

Fonte


Prigioni Greche: Comunicato collettivo di 253 prigionieri, in solidarietà con lo scioperante della fame Spyros Dravilas

Da Contrainfo

prigionieroDal Lunedì, 4 Febbraio, il prigioniero Spyros Dravilas ha iniziato uno sciopero della fame. Chiede solo che gli siano concessi i desiderati giorni di congedo per i quali ha già diritto (come decine di altri detenuti) perché abbia servito il periodo di detenzione previsto dalla legge al fine di ottenere il regolare rilascio temporaneo dal carcere.

Tuttavia, l’amministrazione del carcere di Domokos nega a Spyros Dravilas il suo prossimo congedo a causa di un altro procedimento penale che è stato “portato alla luce” contro di lui, il qui risale al 2007. Secondo questo breve accusatorio, la procura di Nafplion lo abbia accusato di rapina in banca. Nonostante il fatto che lo stesso procuratore di Nafplion non ha mai ordinato misure restrittive nei confronti di Spyros – in quanto gli elementi di prova che lo collegano a quella rapina sono inesistenti (composte da una denuncia alla polizia con una telefonata anonima in materia di riconoscimento del sospetto) – il consiglio carcerale di Domokos lo ha privato dei giorni di concedo che aveva iniziato a ricevere nel corso degli ultimi mesi.

Noi siamo dalla parte dello scioperante della fame Spyros Dravilas, e quindi affermiamo la rivendicazione della sua richiesta per i regolari giorni di concedo dal carcere…per un soffio di libertà.

Prigionieri del 1° braccio della prigione maschile di Koridallos
(253 detenuti hanno firmato il comunicato)


Cile: Scritto di Freddy, Marcelo e Juan

Diffondiamo da RadioAzione

La Prigione, la tortura e l’ingiustizia non vanno in vacanza

repressioneDopo l’assalto più recente e persecutoria – l’apparato repressivo – la polizia, l’accusa e la Corte hanno concluso sospendendo il processo di preparazione che era in Corte costituzionale dal mese di agosto dello scorso anno, con l’obiettivo di invalidare l’intero pantano delle prove già escluse e rifiutate nel processo, prova che è stata archiviata dalla Corte Militare e portata avanti dal torturatore Roberto Reveco al Pubblico Ministero (legittimando, in questo modo, gli atti di persecuzione e di odio).

Sei mesi dopo, nel febbraio 2013, l’inganno continua ancora oggi, e lo fa presentando una nuova accusa contro il giudice che, si baserebbe sui dubbi che egli ha sulle prove di  porcellana ed i querelanti. Nel frattempo restiamo imprigionati, e la Corte d’Appello si occuperà sul valutare la disputa sul falso “onore” tra di loro, tutto quanto abilmente costruito dai persecutori. Ma non è questa la tendenza occulta, e il trucco in fondo non serve solo per rimuovere il giudice. Il suo scopo è quello di ripartire con un nuovo processo, in cui tutte le prove dell’accusa già escluse, eliminate sotto le proprie leggi, possono essere integrate di nuovo, a qualunque costo, rispondendo così alle esigenze di repressione, persecuzione e punizione- esigenze politiche di uno Stato che ci fotte con il suo ordinamento giudiziario.

L’insostenibilità del processo si riflette nelle pratiche aberranti per giustificare questa prigionia. Dove la macchina oppressiva deve dare una condanna esempio.

Così noi, ribelli, libertari, sovversivi siamo temporaneamente in carcere, con un altalenante processo in cui si azzuffano nelle loro interpretazione legale delle loro leggi, i quali neppure con tutto questo inganno attuale stanno assicurando gli interessi inquisatorial dellostato e della loro struttura giudiziaria repressiva. Così, in contraddizione palpabile con le proprie norme, questo caso è stato aperto per più di cinque anni, politicamente sostenuto dalla ragione di Stato e senza alcun fondamento giuridico. Una detenzione che cercano di legittimare semplicemente perché noi ci facciamo carico delle nostre vite  e non abbiamo mai avuto a che fare con il controllo capitalista imposto. Ariamo il percorso di emancipazione, che non rientra nei loro codici, e questo è il motivo per cui cercano di reinterpretare le proprie leggi, creando leggi temporanee, la riforma delle riforme e, attraverso la ragion di Stato, danno indiscutibile autorità e legittimità alla dottrina sacra del potere militare e le sue garanzie costituzionali.

Oggi, con una voce assetata di potere e importanza, la lingua d’argento di un procuratore vuole e deve mantenere le sue pene infernali. La sua manovra per avviare il processo tutto da capo non sarà il suo ultimo rantolo. Ieri, la persecuzione per annientare l’idea è stata effettuata con il piombo, oggi dosare la persecuzione nei regimi giudiziari per dare lo stesso risultato che il piombo mortale non gli ha portato.

I nostri cuori battono indomabile, respiriamo profondamente, amando la vita, amando i nostri amori!

Cerchiamo di vincere la nostra paura e rompere con indifferenza.

La solidarietà è un’arma, dobbiamo moltiplicare le iniziative, azioni e proteste, personali o collettivi.

Facciamo vedere allo Stato e alla sua stampa borghese
che, mentre vi è miseria, ci sarà la ribellione!

CONTRO LO STATO-PRIGIONE-CAPITALE: GUERRA SOCIALE!

Juan, Marcelo e Freddy

Febbraio 2013


Francia – Da una prigione all’altra

CIEIl 16 dicembre 2012, cinque persone cercano di evadere dal CIE di Palaiseau [una ventina di km a sud di Parigi, NdT]. In quattro ce la fanno, ma la quinta persona, Ibrahim, resta nelle mani della polizia, che lo pesta. Viene arrestato e due giorni dopo passa in tribunale, accusato di aver tenuto fermo uno sbirro, al fine di rubargli un badge magnetico che ha permesso agli altri di evadere. Viene poi messo in detenzione preventiva a Fleury-Mérogis [prigione che si trova nel sud della regione di Parigi – è la più grande d’Europa, NdT], fino al 18 gennaio 2013, quando viene condannato a due anni di prigione e a versare 1200 euro ai due sbirri che lo hanno denunciato per lesioni. Visto che l’evasione da un CIE non è reato, sbirri e giudici cercano di appioppargli altri capi d’imputazione.

Ibrahim si trova ora detenuto a Fleury-Mérogis. Non ha fatto appello contro la sua condanna. Quando si è isolato, senza avvocato, straniero e non si parla francese, è quasi impossibile capire che si hanno solo dieci giorni per fare appello. Se si è poveri e clandestini, si viene schiacciati ancor di più dalla giustizia.

Da una prigione all’altra, dalla prigione per stranieri alla casa di reclusione, la strada è tracciata,  in un senso come nell’altro. Il potere prenderà sempre a pretesto le rivolte, i tentativi di evasione, i rifiuti di imbarcarsi [sugli aerei, per le espulsioni dei clandestini, NdT], per rinchiudere sempre di più i recalcitranti. E, all’inverso, quando si esce di prigione e si è clandestini, nella maggior parte dei casi quello che ci attende sono il CIE e l’espulsione.

Quando si è rinchiusi in un CIE, quando tutti i ricorsi legali sono stati inutili e l’espulsione è imminente, le sole alternative sono l’evasione e la rivolta. Ecco perché casi come questo si ripetono: qualche giorno prima dell’evasione di Palaiseau, tre persone sono fuggite dal CIE di Vincennes, e speriamo che siano sempre liberi. A Marsiglia, nel marzo 2011, alcuni detenuti hanno incendiato la prigione per stranieri del Canet. Da allora, due persone sono in libertà vigilata in attesa del processo, dopo essere passate per la casella prigione preventiva.

Nel caso di Ibrahim come in quello degli accusati dell’incendio di Marsiglia, è importante essere solidali con quelle e quelli che si rivoltano per la propria libertà, siano essi colpevoli od innocenti. Perché finchè ci saranno prigioni, documenti e frontiere, la libertà non resterà che un sogno.

Fuoco a tutte le prigioni!
Libertà per tutte e tutti!


Per non lasciare Ibrahim isolato di fronte alla giustizia, si può scrivergli:

Ibrahim El Louar
écrou n°399815
Bâtiment D4 – MAH de Fleury-Mérogis
7 avenue des Peupliers
91705 Sainte-Geneviève-des-Bois

Gli vengono inviati dei soldi. Se volete contribuire, potete mandare del denaro a Kaliméro – Cassa di solidarietà con gli accusati della guerra sociale in corso.
Se volete mandargli dei vestiti o pacchi, o per ogni contatto, mail: evasionpalaiseau@riseup.net

Informa-azione  da non-fides.fr

 


Indonesia, evasione di massa!

fuga160 carcerati scappano dalla prigione di Jambi alle 3.30 di Sabato. Il guardiano della prigione Budi Privanto dice che sei degli evasi sono stati ricatturati, mentre gli altri 54 sono ancora liberi (notizia riportata da tribunews.com). 
I prigionieri sono scappati, continua il guardiano, durante la distribuzione del pranzo pomeridiano. Le guardie hanno aperto le porte in tutti i blocchi allo stesso momento (simultaneamente) prima della distribuzione del cibo. 
I 60 detenuti avevano probabilmente gia’ pianificato le loro evasione e hanno colto l’occasione per scappare immediatamente. 
I reclusi sono corsi al cancello (privo di sorveglianza) nella parte piu’ a sud della prigione, hanno forzato la porta e velocemente si sono dileguati in una vasta piantagione di olio di palma che si trova di fronte alla prigione. 
Il signor Budi dice che la fuga e’ stata anche resa possibile dalla mancanza di sorveglianza in quel momento. Infatti, Sabato solo 5 guardie stavano vigilando i 288 prigionieri. 
‘Dobbiamo ammettere che ci manca la forza lavoro, e il sabato e’ anche un giorno in cui alcuni di noi non lavorano.

Fonte: thejakartapost.com

Traduzione: De Monik (grazie)


Francia – Appello alla solidarietà con i prigionieri in lotta nella prigione di Roanne

carcere21-222x160Nell’aprile 2012, alcuni prigionieri inviano al magistrato di sorveglianza ed al direttore della casa di reclusione di Roanne [dipartimento della Loire, regione Rhône-Alpes, NdT], in forma anonima, una lettera di rivendicazione nella quale esigono un certo numero di misure, che rimettono in questione il funzionamento e l’esistenza stessa della prigione, in particolare: la fine dell’isolamento, del tribunale interno alla prigione, del quartiere disciplinare, dei regimi chiusi, che sono i mezzi di pressione e repressione di cui dispone l’Amministrazione Penitenziaria. Menzionano anche il sistema del racket della spesina, lo sfruttamento nelle officine di lavoro, le restrizioni per ciò che riguarda i colloqui, etc.1 Questa lettera ha larga diffusione e viene volantinata davanti a questa prigione e ad altre. C’è anche un presidio solidale, fuori.

Quello stesso weekend, la stampa riporta diverse notizie: il tentativo di suicidio di un prigioniero, un altro che è accusato di aver buttato un frigo sui sorveglianti. Chiedeva spiegazioni sul perché gli era stato impedito, diverse volte, di uscire al passeggio. Viene duramente pestato da molti secondini, si becca un mese d’isolamento, poi passa in processo al tribunale di Roanne. Vi è condannato a due anni di prigione supplementari.2

Poco tempo dopo, una lettera pubblica scritta da un prigioniero spiega meglio com’è la vita quotidiana nella casa di reclusione. Nel novembre 2011, questo stesso prigioniero era stato all’origine di alcune petizioni che criticavano, fra l’altro, le perquisizioni ai colloqui e lo sfruttamento nelle officine di lavoro. Come conseguenza, la direzione lo aveva messo in isolamento per 3 mesi, poi lo aveva tenuto 5 mesi in regime chiuso. Per finire, quando il rumore fatto intorno alla sua situazione è diventato scomodo per l’amministrazione penitenziaria e viene a mescolarsi ad altre vicende, è stato trasferito.3 La sua lettera spiega, fra l’altro, come l’amministrazione penitenziaria e le guardie ci si mettono per cercare di isolare e spezzare i prigionieri recalcitranti.
Nonostante ciò, la resistenza si manifesta sotto diverse forme.

Il 4 luglio c’è un blocco del cortile, che è seguito da un pestaggio da parte dei secondini che intervengono. Alcuni detenuti filmano la scena, altri gettano oggetti sui secondini, solidali con quelli che si sono rifiutati di tornare in cella. Queste ultime persone erano confinate in regime chiuso ed il blocco arriva quando l’AP ha deciso l’ennesimo cambiamento per quanto riguarda gli orari del passeggio.
Qualche giorno dopo, il video viene largamente diffuso su internet, accompagnato da una lettera esplicativa scritta dai prigionieri.4

Qualche volta, la stampa ufficiale ha parlato di questi avvenimenti, pubblicando anche una parte della lettera di rivendicazione ed il video del blocco, cosa, questa, che ha fatto circolare di più le informazioni. La stampa ha però sempre messo in avanti il punto di vista dei sindacati dei sorveglianti e dell’amministrazione penitenziaria.

Pochi giorni dopo, in città vengono incollati dei manifesti che raccontano del blocco e, in particolare, fanno i nomi dei secondini che hanno pestato i prigionieri. Ciò fa scandalo, i giornali riprendono questa storia, quindi tutti i prigionieri ne vengono a conoscenza, visto che il giornale viene distribuito gratuitamente in prigione (anche se proprio quel giorno viene censurato).

Il giorno dopo, i secondi dichiarano che si sentono in stato d’insicurezza. Gli ERIS [i GOM francesi, NdT] prendono il loro posto; i prigionieri restano chiusi in cella tutto il giorno, passeggio ed attività vengono soppressi, i colloqui sono ritardati e per qualcuno soppressi, i pasti serviti in ritardo, etc.
I sorveglianti vengono insultati e minacciati da numerosi prigionieri arrabbiati, ci sono diversi tentativi d’incendio, il blocco di un piano, la casa di reclusione è in ebollizione. Poi la routine riprende il suo corso.

L’estate, c’è una piccola manifestazione selvaggia a Lione, in solidarietà con le lotte dei prigionieri. Viene distribuito un volantino, la sede locale dello SPIP (quelli che si occupano della re-inserzione) viene vandalizzata.5

Alla fine dell’estate, sul tribunale di Roanne compare una scritta, con il nome di un graduato dei secondini, seguito da: “vuoi degli infami, non avrai che il nostro odio, fuoco alle prigioni”.6

Qualche tempo dopo, davanti al tribunale vengono ritrovati dei dispositivi incendiari; uno ha danneggiato la porta d’entrata del tribunale, l’altro non ha funzionato. Questi fatti compaiono nel giornale locale, che li mette in relazione con quanto successo nella casa di reclusione.7

Sempre in settembre, uno dei prigionieri che aveva partecipato al blocco del passeggio durante l’estate esce di prigione.8 Parla del blocco, di come poi i secondini gli hanno fatto trovare lungo. Spiega anche che, a fine estate, è stato nominato un nuovo maggiore, che ha irrigidito la gestione della prigione. Ciò, vigilando sull’applicazione letterale del regolamento interno, cosa che ha come conseguenza che molti prigionieri passano in commissione disciplinare (oppure davanti al tribunale interno della prigione) per delle stupidaggini come fumare o mangiare nei corridoi. Vengono anche fatte delle perquisizioni di massa delle celle, cosa che ha grosse conseguenze. Tensione permanente, perdita di fiducia nei legami fra prigionieri, rinvii davanti al tribunale interno che generano pene che vanno da alcuni giorni d’isolamento con la condizionale, fino a mesi di prigione che si aggiungono alle vecchie condanne; ciò a causa di un po’ di fumo, dei telefoni o dei caricabatterie, delle chiavette USB od altri oggetti trovati in cella e vietati all’interno della prigione.
Ne è un esempio la situazione di una donna che si è presa 10 mesi di galera supplementari, più 14 mesi con condizionale, per il possesso di un cellulare.9
L’amministrazione penitenziaria ha certamente altre armi dalla sua per cercare di far regnare la paura e la sottomissione. Cercare ed utilizzare degli infami, far vedere la carota (permessi di uscita, possibilità di libertà condizionata, sconti di pena), oltre al bastone, che usa bene.

francia-proteste21Nell’autunno, nella città di Roanne, viene attuato un blocco stradale in solidarietà con i prigionieri in lotta e 500 volantini vengono distribuiti nelle cassette delle lettere della città. Essi precisano, in particolare, chi sono quelli che fanno funzionare la casa di reclusione e quale posto essa ha nella città.10 Ad inizio dicembre, un furgone della Eiffage [la grande impresa di costruzioni che è proprietaria dell’edificio della prigione; si tratta del primo caso in Francia di cogestione pubblico-privato delle carceri, NdT] viene incendiata e dell’olio per motori viene versato davanti alla prigione, prima dell’ora del cambio mattutino dei secondini.11

L’amministrazione penitenziaria vuole isolare le persone che resistono e soffocare le informazioni che potrebbero uscire dalle mura. Per questa ragione, essa vieta l’ingresso di alcuni giornali, o quello del quotidiano locale in funzione delle informazioni che contiene.
Ma le testimonianze e le informazioni varie che arrivano da dentro e fuori la prigione circolano, per quanto possibile, sui media alternativi e vengono in particolare ripresi da emissioni radio anticarcerarie.

L’amministrazione penitenziaria cerca con ogni mezzo di schiacciare quelli che non chinano la testa, moltiplicando gli attacchi, dentro. Isolare nel quartiere disciplinare oppure attraverso dei trasferimenti, pestare, mantenere in stato di carenza, aggiungere mesi o anni di prigione, essi fanno il loro sporco lavoro e ne hanno tutto i mezzi. In questo modo, vogliono spaventare e sottomettere tutti i prigionieri. Nonostante ciò, la resistenza si manifesta quotidianamente, in maniere diverse (rifiuti di tornare in cella, rifiuti di obbedire agli ordini, sabotaggi vari, come la cassetta delle lettre dei secondini, che serve per raccogliere i buoni spesa della Eurest, che si trova riempita di escrementi), etc.

Siamo solidali con coloro che resistono e vogliamo renderli più forti!
Per distruggere tutte le prigioni, per non lasciare in pace i bastardi!
Perché quelli che resistono (ed i loro boia) sentano che hanno del sostegno fuori.
Per influire su questo rapporto di forze in tensione permanente, ogni iniziativa è la benvenuta!!!

da non-fides.fr

Fonte: informa-azione.info


Quei natali in carcere a contare milioni di passi

Il pallone, la messa e i milioni di passi dei Natali in carcere.
La festa dietro le sbarre tra soprusi e speranze

È una ragazza rom, ha un bambino di neanche due anni, ed è incinta. Ci sono altri due bambini nella sezione femminile che hanno meno di tre anni. Nel corridoio c’è un albero di Natale finto coperto di stagnola e di strisce di cotone. C’è un albero artificiale anche nel corridoio della sezione maschile, con dei pendagli di cartone colorato.

Vengono sua madre, sua moglie e la bambina, che ha 11 anni. Hanno fatto la coda per quattro ore, in strada, e pioveva, ma non glielo diranno. Lui si è preparato fin dalle sette, benché le celle vengano aperte solo alle dieci. Ha fatto la doccia, anche se le caldaie sono guaste e l’acqua è fredda, ma non glielo dirà. Ha fatto una domandina per portare dei cioccolatini alla bambina. Lei ha imparato una poesia e gliela reciterà: “Il campanile scocca / la mezzanotte santa”.
La ragazza rom incinta incontra suo marito, un ragazzo anche lui, e un altro suo bambino che avrà quattro anni. Il ragazzo a un tratto la insulta, lei piange, anche i bambini piangono, poi passa. I colloqui finiscono dopo l’una. Quelli, la maggioranza, che non ricevono visite, sono chiusi già da più di un’ora. Alcuni erano andati all’aria, non tanti, fa freddo. Chi era al colloquio mangerà freddo, tanto non ha fame. Chi ha ricevuto posta sta sdraiato in branda e la legge per un’ennesima volta. Anche chi non l’ha ricevuta sta in branda, perché non c’è altro posto in cui stare.
Alle due si può tornare all’aria. Oggi alla sezione penale spetta il campetto di terra, dove si può giocare a pallone se si trova un pallone, e poi si sentono le voci del femminile. A Natale le voci dei bambini incarcerati fanno più impressione. C’è un tubo da cui esce un filo d’acqua rugginosa. C. raccoglie il filo d’acqua nel cavo di una mano, tiene l’altra appoggiata al muro. Ha posato in terra gli occhiali da miope, con la montatura tenuta da un nastro adesivo. Avrà una sessantina d’anni, è tarchiato.
Arriva N., uno di pochi anni e pochi muscoli, istoriato di tatuaggi da strapazzo, vuole il posto. “Scansati, pezzo di merda!”, intima. L’altro è chinato e fa finta di non sentire, o davvero non sente. Il ragazzo gli sferra un calcio nel fianco, e lo manda a sbattere sul muro. L’uomo si volta e mostra i denti, ma solo per un momento, poi si allontana piegato com’è, con una specie di guaito. Il ragazzo dà un calcio agli occhiali e si prende il suo filo d’acqua sporca, poi torna alla partita.
Il pivello è nessuno, uno scapparifero da-casa. L’uomo è un assassino. Ha ucciso sua moglie, due anni fa, con un coltello da cucina. Quarantatré coltellate, secondo la perizia. Erano una coppia di paese, non più giovane, la cosa è sì e no arrivata alle cronache locali: “Tragedia della gelosia”. Gli altri vanno e vengono. Tengono gli occhi bassi, per lo più, sembrano assorti in qualcosa di essenziale. Forse, semplicemente, contano i passi. Non è appropriato, per la verità, dire “semplicemente”, per un’operazione impegnativa come contare i passi. È come pregare coi piedi. Fuori la gente dice, alla leggera: “Conto i minuti”, “Conto le ore”, “Conto i giorni” — “Conto gli anni no”, non lo dice — e vuol dire che non vede l’ora che qualcosa succeda.
Qui contano davvero gli anni, e anche le notti e le ore e i minuti, ma soprattutto, per vendicarsi del tempo che ti passa addosso a fondo perduto, contano i passi. Migliaia, centinaia di migliaia, milioni di passi.
Su e giù all’aria, da un muro all’altro, quaranta all’andata e quaranta al ritorno, e anche in cella, se la ressa lo permette, tre dal muro al blindo e ritorno, come se i passi accumulati avvicinassero la meta. Ma sono passi davvero perduti, come chiamano futilmente il corridoio di quel parlamento dove due giorni fa, alla vigilia di Natale, hanno cancellato i pochi fondi per il lavoro in carcere e la misera legge sulle pene alternative. Se i giudici sapessero di che cosa parlano, farebbero alzare in piedi l’imputato e gli direbbero: “Per questo e quest’altro, caro signore, la Corte la condanna a quattordici milioni e seicentotrentaset-temilacinquecentododici passi”.
M. è un ergastolano cui è vietata la speranza, lui non conta i passi, e nemmeno i Natali che gli mancano: tutti i Natali della vita. Alle quattro di pomeriggio sono tutti chiusi di nuovo, passa la conta e la battitura ferri, e poi la terapia. J. prende il metadone e finge di inghiottire: lo fa benissimo. Poi lo risputa in un bicchierino di carta, lo venderà a uno del secondo piano per un rotolo di
igienica. R. ingoia sul serio il suo Tavor — è obbligatorio prendere i farmaci davanti a infermiere e agente, anche se è un analgesico e il mal di denti arriverà fra cinque ore. R. ha un solo desiderio: addormento-
tarsi e risvegliarsi quando le feste saranno passate. Le celle restano chiuse dalle sedici alle dieci del giorno dopo.
A mezzanotte lo scampanio arriva fin qui dentro. P. è polacco e si tiene sveglio perché sa che a casa preparano anche per lui e suo padre versa anche nel suo bicchiere e beve per suo conto.
La mattina di Natale quasi tutti si preparano per la messa, anche quelli che non ci vanno mai. Viene il vescovo oggi, poi andrà a dire la messa solenne per la brava gente in Duomo. Vengono anche i musulmani — solo qualche duro se ne astiene. I musulmani hanno una devozione per Maria e per Gesù, e poi la messa del Natale è la più grande occasione per incontrarsi. Il vescovo dice che è questo il posto giusto per il Natale, che le celle sono il luogo più somigliante alla grotta al freddo e al gelo. Dice che c’è una differenza fra la giustizia e Dio, e che Dio non può farli uscire dalla galera, ma può liberarli dalla schiavitù del peccato, perché li ama.
Qualche vescovo dice che Dio ama loro specialmente. L’idea che un Dio bambinello appena nato in una stalla ami specialmente loro fa venire le lacrime agli occhi, e anche certi gran farabutti sono un po’ sinceri, come ragazzini presi in fallo. I detenuti sono devoti soprattutto alla Madonna, e il Natale in carcere è una festa della mamma. Quando l’officiante esorta a scambiarsi un segno di pace, i detenuti vorrebbero darla e prenderla a tutti i presenti, mano di carcerato con mano di carceriere, mano di nigeriana con mano di romeno, finché maresciallo e appuntati non mettono fine a quell’allarmante viavai.
E comunque C., che ha accoltellato la sua anziana moglie, avrà dato la mano al pivello N. e alla suorina, e per un momento tutti i debiti saranno rimessi a tutti. Intanto, approfittando della ridotta vigilanza, il giovane B., all’isolamento, che aveva fatto il matto per essere portato alla messa anche lui, si è impiccato con la sua canottiera a un calocarta freddo: se muoia o si salvi, non lo diremo.
Dopo la messa gli agenti incalzeranno i fedeli che indugiano come scolari alla fine della ricreazione. Passerà però ancora la suora con qualche regaluccio. C’è un pranzo speciale, oggi, e chi può ha fatto una spesa da festa. (Ognuno dei 67 mila detenuti costa 250 euro al giorno allo Stato, il quale spende 3 — tre — euro per il mantenimento quotidiano del detenuto, colazione pranzo e cena…). Così uno strascico di euforia dura ancora, nonostante una sequela di cancelli blindati si sia richiusa su ogni rapporto col mondo di fuori. Volontari, vescovi, educatori e visitatori se ne sono andati, ciascuno a fare Natale con i suoi. È come se si fossero portati dietro l’aria bianca e rossa del Natale.
Per due giorni — anche domani è festa — si resterà soli, senza visite, senza posta, senza telefonate. Senza. Si capisce che la vera aria del Natale, l’aria triste, si insedi ora sovrana nelle celle.
Una volta si dava a Natale un bicchiere di cattivo spumante a ogni detenuto, e un piccolo mercato moltiplicava le dosi di chi anelava al sonno o alla rissa. I propositi di bontà della mattina scadevano prima del tramonto: bontà e cattività vanno male assieme. Ma anche a spumante abolito — “Economia, Orazio, economia!” — non c’è niente di più triste di un pomeriggio di Natale. Fra poco, si sentirà russare, gemere, urlare. E i televisori a tutto volume, non guardati da nessuno, finché un agente arriverà a dire di spegnere. Poi andrà a sedersi al suo tavolino, in quei rumori di zoo umano. È un giovane agente che prova a studiare perché si è iscritto a legge, è in servizio perché non ha una famiglia propria, e i suoi stanno ad Avellino, così ha sostituito volentieri un collega padre di famiglia. Ha una radiolina accesa e l’auricolare, per ascoltare i racconti dei radicali che hanno passato Natale in carcere.
Dietrich Bonhoeffer era un pastore luterano, fu impiccato dai nazisti. In un Natale, dalla prigione, aveva scritto una lettera ai suoi: “Che Cristo sia nato in una stalla perché non trovava posto negli alberghi, è una cosa che un carcerato può capire meglio di altri”.

Adriano Sofri  24/12/2012.


Evasi dal carcere grattacielo di Chicago

una fuga incredibile avvolta nel mistero

CHICAGO (USA) – La domanda sorge spontanea: come può verificarsi una fuga da un carcere grattacielo statunitense, senza che nessuno se ne accorga?! Questo è un vero quesito: non è chiaro se ciò sia merito dei due detenuti che sono riusciti a fuggire, di nome Jose Banche, 37 anni, e Kenneth Conley, 38 anni, o se sia semplicemente colpa degli agenti penitenziari, che non si sono accorti proprio di un bel nulla.

La vicenda, come avrete capito, si è svolta in quel di Chicago, negli Stati Uniti d’America. La fuga dei due detenuti è stata davvero rocambolesca: sono riusciti a scappare da un grattacielo di ben 27 piani utilizzando il classico metodo visto nei film, ovvero formando una corda fatta di lenzuoli e corde. Ora, ovviamente, è stato dato il via alla caccia all’uomo.

La prigione federale della città, dalla quale i due sono riusciti ad evadere, è chiamata Metropolitan Correctional Centre. Il mistero più grande, ora, è: come avranno fatto i detenuti ad uscire dalla finestra della cella?! Si tratta infatti di una feritoia senza sbarre, con un’apertura di poco più di 15 centimetri. I due erano in prigione in seguito ad una rapina in banca, ed erano stati visti per l’ultima volta lo scorso lunedì notte, per il solito appello.

 Fonte: curiosone.tv