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Centri di identificazione ed espulsione: i dati nazionali del 2012

carcereSecondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione (CIE) operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54%. Si conferma dunque la sostanziale inutilità dell’estensione della durata massima del trattenimento da 6 a 18 mesi (giugno 2011) ai fini di un miglioramento nell’efficacia delle espulsioni, dal momento che il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei CIE è incrementato di appena il 2,3% rispetto al 2010, anno in cui il limite massimo per la detenzione amministrativa era ancora di sei mesi. Rispetto al 2011, poi, l’incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3%). Per di più, se si compara il numero effettivo di rimpatri effettuati nel 2008 (anno in cui i termini massimi di trattenimento erano ancora di 60 giorni) con quello del 2012, si registra una flessione da 4.320 a 4.015 (si veda grafico rendimento CIE). Il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i CIE nel 2012 risulta essere l’1,2% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità presenti sul territorio italiano (326.000 secondo le stime dell’ISMU al primo gennaio 2012).

Se dal punto di vista della rilevanza dei numeri e dell’efficacia, la detenzione amministrativa si conferma essere uno strumento sostanzialmente fallimentare nel contrasto dell’immigrazione irregolare, il prolungamento del tempo massimo di detenzione nei CIE ha invece drammaticamente peggiorato le condizioni di vita dei migranti all’interno di queste strutture. Tale evidenza è stata sistematicamente riscontrata dai team di Medici per i Diritti Umani (MEDU) durante le viste effettuate in tutti i CIE nel corso dell’ultimo anno e confermata dagli stessi enti gestori e, sovente, anche dai rappresentanti delle Prefetture. In effetti per quanto concerne il prolungamento dei tempi massimi di trattenimento è pressoché unanime il giudizio negativo espresso dai responsabili degli enti gestori dei 10 CIE monitorati da MEDU nel corso degli ultimi 12 mesi. Tale misura ha infatti seriamente compromesso la gestione complessiva dei centri causando gravi problemi organizzativi, logistici e sanitari. A conferma dell’aggravamento del clima di tensione e dell’ulteriore deterioramento delle condizioni di vivibilità all’interno dei centri di identificazione ed espulsione, vi sono le numerose rivolte e fughe che si sono verificate nel corso dell’anno appena trascorso: nel 2012 sono stati 1.049 i migranti fuggiti dai CIE, vale a dire il 33% in più rispetto al 2011.

Alla luce delle ulteriori evidenze acquisite in un anno di monitoraggio, Medici per i Diritti Umani ritiene necessario riportare la questione del superamento dei CIE nel dibattito elettorale delle prossime elezioni politiche. Le gravi e ripetute violazioni dei diritti umani dei migranti – ancor più dell’evidente inefficacia dei centri di identificazione ed espulsione – impongono una radicale revisione dell’attuale sistema di detenzione amministrativa. Tale revisione non può che avvenire nell’ambito di una profonda riforma della legge “Bossi-Fini” che porti a politiche migratorie atte a garantire reali possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale. Su questi argomenti è quanto mai urgente che le forze che si candidano a governare l’Italia si esprimano con la dovuta chiarezza.

Roma, 30 gennaio 2013

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Tabella con i dati nazionali 2012 e 2011 sui CIE
PDF - 31.1 Kb
Grafico rendimento CIE

fonte: Medici per i Diritti Umani


Tutti i presidi contro il carcere di capodanno

BERGAMO

TOLMEZZO

COMO

ROMA

31 Dicembre, 2012 – 10:00
Via Bartolo Longo-angolo Via U. Majetti

 

 

Ogni giorno, 250 persone vengono rinchiuse in carcere.

90mila ogni anno.

Nelle carceri italiane sono stipate quasi 70.000 persone in STRUTTURE che

ne potrebbero contenere 40mila.

E’ il sovraffollamento, che moltiplica le sofferenza di chi viene

rinchiuso dalla repressione dello stato. Ma è l’esistenza stessa del

carcere il problema: affollato o meno che sia.

Oggi più che mai, il carcere tende a essere la naturale prosecuzione delle condizioni di esclusione sociale e di poverta’ in cui molte e molti si vengono a trovare, per questo il carcere è sempre più uno strumento in mano alla classe dominante, utile a controllare e reprimere la massa di sfruttate e sfruttati.Pensiamo all’inasprimento delle leggi contro l’uso delle droghe, alle

leggi contro l’immigrazione, alle norme che irregimentano la vita nelle citta’. sta diventando sempre piu’ facile cadere nelle maglie della giustizia prima e del carcere, poi.

L’esistenza del carcere decreta, in modo terroristico, il risultato della guerra tra vincenti e perdenti, rinchiudendo questi ultimi.

Per farla finita con la legge della giungla, con l’arroganza dei potenti, con la disuguaglianza, attiviamoci per abolire il carcere.

Per una società senza galere e senza sfruttamento.

Svuotiamo le carceri: libere tutte liberi tutti

COSENZA

CONTRO IL CARCERE, GIORNO DOPO GIORNO!
il 31 dicembre, come ogni anno, invitiamo tutte e tutti a partecipare al presidio di solidarietà davanti la casa circondariale di via popilia a Cosenza per far sentire la nostra vicinanza a chi è privato della libertà e ribadire la nostra totale avversione contro il sistema carcerario e repressivo.
APPUNTAMENTO IL 31 DICEMBRE ALLE ORE 18

Cosenza Contro il Carcere!

 

 


Presidio di capodanno a Tolmezzo

Già nei presidi dell’ 8 settembre e del 24 novembre scorsi, portando fuori dalle mura carcerarie le voci dei detenuti, abbiamo denunciato i pestaggi delle “squadrette speciali”, l’isolamento punitivo, le minacce fisiche e psicologiche, le pessime condizioni igienico-sanitarie, il vitto scarso e immangiabile, lo sfruttamento del lavoro, l’insabbiamento delle denunce inviate dai detenuti alla procura di Udine e al magistrato di sorveglianza,

Le azioni di rappresaglia della direzione verso chi non piega la testa e ha deciso di rompere il muro dell’omertà, non riescono a fermare la protesta collettiva dei prigionieri, che valica le mura dell’inferno tolmezzino, a cui fanno eco le azioni dei/delle solidali fuori dalle carceri.
Percorsi di vita che si intrecciano: iniziative anticarcerarie di fronte alle mura di Tolmezzo; uno sciopero del vitto in solidarietà con Maurizio Alfieri, un prigioniero che per il suo coraggio e determinazione nella denuncia degli abusi è tenuto in regime di isolamento e nonostante ciò trova la forza, assieme ad altri detenuti, per appoggiare la lotta dei compagni anarchici detenuti ad Alessandria nella sezione AS2 contro le finestre a bocca di lupo; un presidio solidale a Roma davanti al ministero di grazia e giustizia;…

Per dare forza a questi percorsi di liberazione nella notte di capodanno saremo ancora a Tolmezzo.
Saremo presenti con le nostre voci ed i nostri corpi per dire ai prigionieri che non sono soli e che la loro lotta è la nostra lotta.
Alla direzione del carcere diciamo che il silenzio è rotto e che il tempo dell’impunità è finito.


Quei natali in carcere a contare milioni di passi

Il pallone, la messa e i milioni di passi dei Natali in carcere.
La festa dietro le sbarre tra soprusi e speranze

È una ragazza rom, ha un bambino di neanche due anni, ed è incinta. Ci sono altri due bambini nella sezione femminile che hanno meno di tre anni. Nel corridoio c’è un albero di Natale finto coperto di stagnola e di strisce di cotone. C’è un albero artificiale anche nel corridoio della sezione maschile, con dei pendagli di cartone colorato.

Vengono sua madre, sua moglie e la bambina, che ha 11 anni. Hanno fatto la coda per quattro ore, in strada, e pioveva, ma non glielo diranno. Lui si è preparato fin dalle sette, benché le celle vengano aperte solo alle dieci. Ha fatto la doccia, anche se le caldaie sono guaste e l’acqua è fredda, ma non glielo dirà. Ha fatto una domandina per portare dei cioccolatini alla bambina. Lei ha imparato una poesia e gliela reciterà: “Il campanile scocca / la mezzanotte santa”.
La ragazza rom incinta incontra suo marito, un ragazzo anche lui, e un altro suo bambino che avrà quattro anni. Il ragazzo a un tratto la insulta, lei piange, anche i bambini piangono, poi passa. I colloqui finiscono dopo l’una. Quelli, la maggioranza, che non ricevono visite, sono chiusi già da più di un’ora. Alcuni erano andati all’aria, non tanti, fa freddo. Chi era al colloquio mangerà freddo, tanto non ha fame. Chi ha ricevuto posta sta sdraiato in branda e la legge per un’ennesima volta. Anche chi non l’ha ricevuta sta in branda, perché non c’è altro posto in cui stare.
Alle due si può tornare all’aria. Oggi alla sezione penale spetta il campetto di terra, dove si può giocare a pallone se si trova un pallone, e poi si sentono le voci del femminile. A Natale le voci dei bambini incarcerati fanno più impressione. C’è un tubo da cui esce un filo d’acqua rugginosa. C. raccoglie il filo d’acqua nel cavo di una mano, tiene l’altra appoggiata al muro. Ha posato in terra gli occhiali da miope, con la montatura tenuta da un nastro adesivo. Avrà una sessantina d’anni, è tarchiato.
Arriva N., uno di pochi anni e pochi muscoli, istoriato di tatuaggi da strapazzo, vuole il posto. “Scansati, pezzo di merda!”, intima. L’altro è chinato e fa finta di non sentire, o davvero non sente. Il ragazzo gli sferra un calcio nel fianco, e lo manda a sbattere sul muro. L’uomo si volta e mostra i denti, ma solo per un momento, poi si allontana piegato com’è, con una specie di guaito. Il ragazzo dà un calcio agli occhiali e si prende il suo filo d’acqua sporca, poi torna alla partita.
Il pivello è nessuno, uno scapparifero da-casa. L’uomo è un assassino. Ha ucciso sua moglie, due anni fa, con un coltello da cucina. Quarantatré coltellate, secondo la perizia. Erano una coppia di paese, non più giovane, la cosa è sì e no arrivata alle cronache locali: “Tragedia della gelosia”. Gli altri vanno e vengono. Tengono gli occhi bassi, per lo più, sembrano assorti in qualcosa di essenziale. Forse, semplicemente, contano i passi. Non è appropriato, per la verità, dire “semplicemente”, per un’operazione impegnativa come contare i passi. È come pregare coi piedi. Fuori la gente dice, alla leggera: “Conto i minuti”, “Conto le ore”, “Conto i giorni” — “Conto gli anni no”, non lo dice — e vuol dire che non vede l’ora che qualcosa succeda.
Qui contano davvero gli anni, e anche le notti e le ore e i minuti, ma soprattutto, per vendicarsi del tempo che ti passa addosso a fondo perduto, contano i passi. Migliaia, centinaia di migliaia, milioni di passi.
Su e giù all’aria, da un muro all’altro, quaranta all’andata e quaranta al ritorno, e anche in cella, se la ressa lo permette, tre dal muro al blindo e ritorno, come se i passi accumulati avvicinassero la meta. Ma sono passi davvero perduti, come chiamano futilmente il corridoio di quel parlamento dove due giorni fa, alla vigilia di Natale, hanno cancellato i pochi fondi per il lavoro in carcere e la misera legge sulle pene alternative. Se i giudici sapessero di che cosa parlano, farebbero alzare in piedi l’imputato e gli direbbero: “Per questo e quest’altro, caro signore, la Corte la condanna a quattordici milioni e seicentotrentaset-temilacinquecentododici passi”.
M. è un ergastolano cui è vietata la speranza, lui non conta i passi, e nemmeno i Natali che gli mancano: tutti i Natali della vita. Alle quattro di pomeriggio sono tutti chiusi di nuovo, passa la conta e la battitura ferri, e poi la terapia. J. prende il metadone e finge di inghiottire: lo fa benissimo. Poi lo risputa in un bicchierino di carta, lo venderà a uno del secondo piano per un rotolo di
igienica. R. ingoia sul serio il suo Tavor — è obbligatorio prendere i farmaci davanti a infermiere e agente, anche se è un analgesico e il mal di denti arriverà fra cinque ore. R. ha un solo desiderio: addormento-
tarsi e risvegliarsi quando le feste saranno passate. Le celle restano chiuse dalle sedici alle dieci del giorno dopo.
A mezzanotte lo scampanio arriva fin qui dentro. P. è polacco e si tiene sveglio perché sa che a casa preparano anche per lui e suo padre versa anche nel suo bicchiere e beve per suo conto.
La mattina di Natale quasi tutti si preparano per la messa, anche quelli che non ci vanno mai. Viene il vescovo oggi, poi andrà a dire la messa solenne per la brava gente in Duomo. Vengono anche i musulmani — solo qualche duro se ne astiene. I musulmani hanno una devozione per Maria e per Gesù, e poi la messa del Natale è la più grande occasione per incontrarsi. Il vescovo dice che è questo il posto giusto per il Natale, che le celle sono il luogo più somigliante alla grotta al freddo e al gelo. Dice che c’è una differenza fra la giustizia e Dio, e che Dio non può farli uscire dalla galera, ma può liberarli dalla schiavitù del peccato, perché li ama.
Qualche vescovo dice che Dio ama loro specialmente. L’idea che un Dio bambinello appena nato in una stalla ami specialmente loro fa venire le lacrime agli occhi, e anche certi gran farabutti sono un po’ sinceri, come ragazzini presi in fallo. I detenuti sono devoti soprattutto alla Madonna, e il Natale in carcere è una festa della mamma. Quando l’officiante esorta a scambiarsi un segno di pace, i detenuti vorrebbero darla e prenderla a tutti i presenti, mano di carcerato con mano di carceriere, mano di nigeriana con mano di romeno, finché maresciallo e appuntati non mettono fine a quell’allarmante viavai.
E comunque C., che ha accoltellato la sua anziana moglie, avrà dato la mano al pivello N. e alla suorina, e per un momento tutti i debiti saranno rimessi a tutti. Intanto, approfittando della ridotta vigilanza, il giovane B., all’isolamento, che aveva fatto il matto per essere portato alla messa anche lui, si è impiccato con la sua canottiera a un calocarta freddo: se muoia o si salvi, non lo diremo.
Dopo la messa gli agenti incalzeranno i fedeli che indugiano come scolari alla fine della ricreazione. Passerà però ancora la suora con qualche regaluccio. C’è un pranzo speciale, oggi, e chi può ha fatto una spesa da festa. (Ognuno dei 67 mila detenuti costa 250 euro al giorno allo Stato, il quale spende 3 — tre — euro per il mantenimento quotidiano del detenuto, colazione pranzo e cena…). Così uno strascico di euforia dura ancora, nonostante una sequela di cancelli blindati si sia richiusa su ogni rapporto col mondo di fuori. Volontari, vescovi, educatori e visitatori se ne sono andati, ciascuno a fare Natale con i suoi. È come se si fossero portati dietro l’aria bianca e rossa del Natale.
Per due giorni — anche domani è festa — si resterà soli, senza visite, senza posta, senza telefonate. Senza. Si capisce che la vera aria del Natale, l’aria triste, si insedi ora sovrana nelle celle.
Una volta si dava a Natale un bicchiere di cattivo spumante a ogni detenuto, e un piccolo mercato moltiplicava le dosi di chi anelava al sonno o alla rissa. I propositi di bontà della mattina scadevano prima del tramonto: bontà e cattività vanno male assieme. Ma anche a spumante abolito — “Economia, Orazio, economia!” — non c’è niente di più triste di un pomeriggio di Natale. Fra poco, si sentirà russare, gemere, urlare. E i televisori a tutto volume, non guardati da nessuno, finché un agente arriverà a dire di spegnere. Poi andrà a sedersi al suo tavolino, in quei rumori di zoo umano. È un giovane agente che prova a studiare perché si è iscritto a legge, è in servizio perché non ha una famiglia propria, e i suoi stanno ad Avellino, così ha sostituito volentieri un collega padre di famiglia. Ha una radiolina accesa e l’auricolare, per ascoltare i racconti dei radicali che hanno passato Natale in carcere.
Dietrich Bonhoeffer era un pastore luterano, fu impiccato dai nazisti. In un Natale, dalla prigione, aveva scritto una lettera ai suoi: “Che Cristo sia nato in una stalla perché non trovava posto negli alberghi, è una cosa che un carcerato può capire meglio di altri”.

Adriano Sofri  24/12/2012.


2012/Carceri: nuovo ‘anno horribilis’. Sovraffollamento drammatico

L’ultimo grido d’allarme e’ venuto dal mondo cattolico che ha fatto da eco alla coraggiosa protesta di Marco Pannella. Tra i silenzi assordanti che non scuotono il Belpaese c’e’ anche quello del dramma-carceri che ci avvicina ormai piu’ a un paese del terzo mondo che ad una nazione avanzata, cosi’ come testimoniano varie ‘reprimende’ e piu’ di una condanna da parte del Consiglio d’Europa. Il 2012, infatti, verra’ ricordato come un ennesimo ‘anno horribilis’ dai numeri sconcertanti. Innanzitutto quello del sovraffollamento quantificato dalla Caritas a punte ormai pari al 140% di presenze in piu’ rispetto al limite massimo di capienza degli istituti carcerari.

Situazione definita dalla realta’ cattolica ”ormai ai limiti dell’immaginabile” e che costituisce una ”costante violazione del dettato costituzionale”.

Gli ultimi dati a disposizione fotografano una presenza nei nostri penitenziari che ha toccato quota 67 mila detenuti, 20 mila in piu’ rispetto al numero effettivo dei posti disponibili (circa 45 mila).

Al 30 novembre 2012 sono 9.953 i detenuti che usufruiscono dell’affidamento in prova al servizio sociale e 9.126 quelli in detenzione domiciliare, di cui 2.676 per effetto della legge 199 del 2010; 874 in semiliberta’; 2.675 in misure di sicurezza e sanzioni sostitutive. Sono circa 24 mila, invece, i detenuti stranieri provenienti da 107 diversi paesi.

Eppure il Guardasigilli Paola Severino che nel corso dell’anno di governo tecnico ha cercato di mettere in cantiere qualche misura legislativa per affrontare l’ormai drammatica questione, nelle ultime sue dichiarazioni non si e’ detta cosi’ pessimista. ”Non e’ vero che abbiamo numeri da record, – e’ stata la posizione espressa dalla Severino – il sovraffollamento ha cifre simili alle nostre in altri paesi ed e’ un problema comune in quasi tutti gli Stati dell’Unione”. Per affrontare il problema del sovraffollamento ha, quindi, indicato due misure: da una parte la costruzione di nuovi posti di detenzione per aumentare la capienza delle carceri, dall’altra far si’ che la detenzione in carcere sia una misura da adottare il meno possibile, privilegiando la espiazione del reato fuori dal carcere.

Ma una drammatica spia della situazione, e’ rappresentata dai suicidi in cella che, ha ricordato la Caritas, al 12 dicembre 2012 hanno raggiunto la cifra di 59 detenuti che si sono tolti la vita, oltre a 9 poliziotti pinitenziari ed a 151 il totale delle morti in carcere.

Una vera mattanza se si pensa che dal 2000 ad oggi si contano ben 750 suicidi tra i detenuti e 96 tra le fila della Polizia penitenziaria.

Dati che hanno portato il responsabile dell’Area carcere della Caritas don Sandro Spriano a parlare di strutture, le attuali carceri italiane, che ”di fatto condannano a morte centinaia di persone”. ”Il carcere oggi – ha detto il cappellano – non passa neppure uno slip all’anno ai cittadini che vi vengono ‘ospitati’, passa solo un letto (e alle volte neppure quello) e un pasto che costa all’erario 3 euro al giorno tra colazione, pranzo e cena. Qui non e’ piu’ solo lo scandalo del sovraffollamento ma delle inumane condizioni di vita in cui decine di migliaia di esseri umani sono costretti a vivere, soprattutto i piu’ poveri”.

Eppure nel dicembre 2011 il governo Monti aveva approvato il cosiddetto Decreto ‘svuota-carceri’ con la previsione di due modifiche nell’art. 558 del codice di procedura penale che prevedevano, nei casi di arresto in flagranza, che il giudizio direttissimo dovesse essere necessariamente tenuto entro, e non oltre, le quarantotto ore dall’arresto, non essendo piu’ consentito al giudice di fissare l’udienza nelle successive quarantotto ore.

Con la seconda modifica veniva introdotto il divieto di condurre in carcere le persone arrestate per reati di non particolare gravita’. In questi casi l’arrestato doveva essere, di norma, custodito dalle forze di polizia.

Tra le altre misure, il passaggio da dodici a diciotto mesi della pena detentiva che puo’ essere scontata presso il domicilio del condannato anziche’ in carcere. Secondo le stime del Dap una misura che avrebbe cosi’ consentito di estendere la platea dei detenuti ammessi alla detenzione domiciliare di circa 3.300 unita’.

Tra le altre iniziative allora approvate dal governo, lo stanziamento di 57 milioni di euro per l’edilizia carceraria e l’introduzione della cosiddetta ”messa in prova” nel quale ”il giudice valuta il percorso per il recupero della persona imputata che dovrebbe essere fatto nella prima fase del dibattimento”. Evidentemente nulla di tutto cio’ si e’ realizzato.

Fonte: Asca.it