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Ospedali psichiatrici giudiziari, a Pavia accoglienza temporanea

Socialmente PericolosiUno psichiatra per 20 ore e uno psicologo per 30 ogni 100 detenuti. 16 posti letto a San Vittore e altri 5 nella Casa circondariale di Monza, specifici per l’osservazione psichiatrica. In cantiere, infine, la progettazione, all’interno del carcere di Pavia, di un’area per l’accoglienza temporanea dei soggetti portatori di patologie psichiatriche. Sono alcuni degli impegni sottolineati dall’assessore alla Sanità e vicepresidente della Giunta regionale lombarda Mario Mantovani nella Commissione speciale sul sistema carcerario, presieduta da Fabio Angelo Fanetti (Lista Maroni).

Durante la seduta l’assessore e Continue reading


Il racconto degli internati

 

Adriano Sofri descrive su Repubblica l’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, uno dei sei che dovrebbero chiudere entro marzo

opg3Repubblica ha pubblicato oggi un reportage di Adriano Sofri sull’Ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Si tratta di uno dei sei OPG che entro il 31 marzo dovranno chiudere. Nell’OPG di Barcellona ci sono 183 internati e 18 detenuti che lavorano lì. Alcuni internati – che non sono imputabili per quello che hanno fatto, ma sono dichiarati socialmente pericolosi – sono difficili da gestire per le comunità di recupero e potrebbero essere trasferiti in carceri normali, quando l’OPG sarà chiuso.

Ci avviciniamo al Terzo Reparto, e uno grida, rivolto prima al direttore, poi a tutti noi: «Me lo merito? Non me lo merito! Non me lo merito! ». Abbiamo già visitato il Primo Reparto, il direttore ci ha avvertiti: «Al Terzo è più dura». È il vecchio Reparto Agitati. Non ci sarà nessun atto inconsulto, solo facce e gesti gentili e ansiosi e tristi. C’è un giovane chiuso, con lui bisogna stare attenti, avvertono; è lui stesso a sbattere la porta blindata della cella addosso al cancello già chiuso. Le altre camere sono aperte, grandi e luminose, sei persone, niente letti a castello. Pochi stanno in branda: meno di quanti se ne troverebbero, a qualunque ora, in una galera “normale”. Sta passando il carrello del vitto, portato da due giovani signore dall’aria cordiale. Gli internati (si chiamano così) raccontano di sé succintamente, devono aver fatto l’abitudine ai visitatori e imparato a usare il minuto che può toccar loro. «Venivano come al giardino zoologico».

(continua a leggere in PDF sul sito zeroviolenzadonne.it)


Psichiatria. Una persona morta ogni 50 giorni e tutto va bene…

 Clinica Colle Cesarano: un morto ogni 50 giorni. Polverini ignora le denunce

 mattiLo strano caso della casa di cura psichiatrica di Tivoli. Fino al 2004 era un centro d’eccellenza, ma, dopo il cambio di gestione e l’accreditamento (provvisorio) al servizio sanitario regionale, da tre anni muore un paziente ogni 50 giorni. L’ultimo caso ad agosto. Le interrogazioni si susseguono dal 2009 e ora la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari vuole vederci chiaro.
Di Ambra Murè
Un fuoco incrociato di interrogazioni bipartisan presentate in Consiglio Regionale e in Parlamento. Denunce. E la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari che chiede un supplemento d’indagine. La casa di cura psichiatrica Colle Cesarano sta a Tivoli, ma è diventata un caso nazionale.
UN MORTO OGNI 50 GIORNI – Sul sito si legge che la struttura, accreditata provvisoriamente al servizio sanitario regionale per 200 posti letto, è un “moderno centro di cura, con utilizzo di tecnologie di gestione avanzate”. La asl Roma G assicura che gli esiti dei controlli, “completi, puntuali e severi”, sono sempre stati positivi. Ma il numero impressionante di decessi tra i pazienti (42 dal 2004 al 2011, uno ogni cinquanta giorni negli ultimi tre anni) è già di per sé fonte di un legittimo sospetto.
L’ultimo, ambiguo caso è quello di un uomo di sessantacinque anni, morto ad agosto per soffocamento da cibo, mentre si trovava nella sala mensa. Il signor Saporetti, questo il suo nome, era affetto da depressione. E avrebbe dovuto essere adeguatamente sorvegliato. I familiari hanno sporto denuncia, consegnando ai Carabinieri anche un video girato col cellulare nella camera mortuaria della clinica (che in quel momento aveva peraltro l’impianto di condizionamento fuori uso).
Nelle immagini, scrive il senatore Domenico Gramazio (Pdl) in un’interrogazione presentata il 14 ottobre scorso, “appare il corpo straziato del signor Saporetti, in un lago di sangue, defluito dall’incisione praticata dai medici alla trachea, nel tentativo di farlo respirare. Incisione poi non suturata una volta constatato il decesso”. “Condizioni inumane, in apparente violazione della normativa in materia”, aggiunge il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari, Leoluca Orlando (Idv), che in questa vicenda è deciso “ad andare a fondo”. E per questo è tornato a suonare alla porta della Polverini, chiedendo informazioni più precise. La relazione inviata in precedenza dalla Regione infatti “non basta a chiarire quanto avvenuto”. È necessario un supplemento d’indagine.
3 ANNI DI DENUNCE – Le prime denunce sulla clinica Colle Cesarano risalgono al 2009. Già allora il consigliere regionale Tommaso Luzzi (Pdl), in un’interrogazione urgente, la paragonava a “un girone dell’inferno dantesco”. Già allora si parlava di “condizioni igienico-sanitario scandalose”, “farmaci scarsi”, “sicurezza inesistente” e “decessi palesemente sospetti”. Un caso su tutti: un paziente trovato morto, in stato avanzato di decomposizione, a oltre un chilometro di distanza dalla casa di cura. Era fuggito circa dieci giorni prima e i dipendenti già allora denunciarono la mancanza di un adeguato servizio di sorveglianza dei ricoverati.
In tre anni nulla è cambiato. Anzi. Il 16 giugno scorso, due mesi prima della morte del signor Saporetti, i consiglieri radicali Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo avevano (ri)sollevato il problema presentando un’interrogazione urgente sulla clinica. Diventata, a loro giudizio, “una realtà agghiacciante”, “il terrifico esempio di cosa produce la mala gestione se abbinata al torpore degli enti preposti al controllo”.
Le accuse contenute nel documento erano gravi e circostanziate: igiene e sanificazione dei reparti “inadeguati”, “servizi igienici spesso indecorosi”, “vitto scarso” e “non adeguato” alle patologie dei pazienti (tra cui diabetici, obesi, affetti da sindromi metaboliche, iponutriti ecc.), acqua attinta da “pozzi dove non sempre si rilevano parametri di potabilità”, riscaldamento “acceso per un numero di ore assolutamente insufficiente”, centro di riabilitazione chiuso.
Se tutto questo non bastasse, scrivevano Rossodivita e Berardo, “il solo dato delle morti dei degenti, pari a circa uno ogni cinquanta giorni negli ultimi tre anni, dovrebbe esser fonte di un immediato intervento della Regione per verificare lo stato della assistenza ai pazienti psichiatrici ricoverati”. Così non è stato. L’interrogazione urgente è rimasta senza risposta. Un altro ricoverato è morto. E i due consiglieri c’hanno riprovato, presentando una nuova interrogazione il 9 settembre.
piroL’ECCELLENZA PERDUTA – Se questa è la nomina, non proprio lusinghiera, della struttura, verrebbe da chiedersi come mai la Regione abbia deciso di inserirla (provvisoriamente) tra quelle accreditate al servizio sanitario. La risposta è semplice: fino a qualche anno fa, la casa di cura era considerata un centro di primo livello. Ottenendo riconoscimenti in entrambe le due prime edizioni (2003 e 2004) del premio “Eccellenza in Sanità”.
I problemi sono cominciati nel 2004, quando il centro ha subito un cambio di gestione. Passando dalla mani della Centro Clinico Colle Cesarano spa a quelle della Geress srl. Dal 1999, il tasso di mortalità del ricoverati era pari a zero. E nessuno aveva mai avanzato dubbi sulla qualità del servizio offerto. Poi, nel 2009, le prime morti sospette, le prime interrogazioni in Consiglio regionale e i primi articoli sui giornali.
La situazione, secondo Leoluca Orlando, è ulteriormente peggiorata dopo la decisione (marzo 2010) di “mettere in mobilità 26 lavoratori senza ridurre però i posti letto, obbligando il personale a turni fino a 178 ore mensili (a fronte delle 156 previste), lasciando turni scoperti e facendo svolgere attività delicate da personale non qualificato”. “I carichi di lavoro degli infermieri – scrivevano a giugno i consiglieri regionali Rossodivita e Berardo – sono tali da non permettere di agire secondo responsabilità e priorità assistenziale. La carenza è tale che talvolta un intero piano, pari circa a 57 degenti, è presidiato da un solo infermiere in nulla distinguendosi la situazione dal sovraffollamento delle carceri”.
Alla luce di questo i due consiglieri radicali hanno formalmente chiesto alla presidente Polverini “se non ritenga opportuno sospendere qualsiasi procedura volta ad un accreditamento definitivo della struttura”. Si attende ancora la risposta della governatrice (e commissario straordinario alla sanità).