PADOVA. «Pochi agenti al Due Palazzi e troppi detenuti, la nostra è una lotta impari». Il provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Enrico Sbriglia e il direttore della Casa di reclusione Salvatore Pirruccio, smorzano i toni dopo gli echi dello scontro avvenuto il 22 gennaio scorso alle 17.50 nel quarto blocco, anche se dicono che le guardie sono sempre meno e detenuti il doppio di quelli previsti. «Nessuna rivolta di massa di detenuti, solo quattro facinorosi alticci che dopo aver bevuto grappa prodotta in cella hanno aggredito gli agenti. Nessuna lotta religiosa all’origine del gesto, purtroppo ordinario nella routine carceraria». Continue reading
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Rivolta dei detenuti: tre ore di paura al Due Palazzi, tre agenti feriti
Rissa tra le 18 e le 21 nel carcere padovano: secondini colpiti con la gamba di un tavolo, sequestrati coltelli rudimentali. Due agenti sono finiti al pronto soccorso. Il Sappe denuncia: “Molti detenuti inneggiavano ad Allah e all’Isis”. Ma gli inquirenti smentiscono: la rissa ha coinvolto detenuti romeni e albanesi, nessun arabo
PADOVA. Rivolta nel carcere Due Palazzi di Padova. Tre ore di fuoco, tra le 18 e le 21 di ieri, quando con una violenta rissa una sessantina di detenuti, rinchiusi nella sezione del quarto piano del “grattacielo”, ha reagito all’intervento delle guardie penitenziarie. Due agenti sono finiti al Pronto soccorso dell’ospedale di Padova, colpiti al basso ventre con la gamba di un tavolo. Un altro ha conseguenze minori. Sarebbero stati sequestrati dei coltelli rudimentali che i reclusi, spesso, ricavano dalle scatolette di tonno o da chiodi. Continue reading
«No all’ergastolo», in carcere è sciopero della Messa di Pasqua
PADOVA. Uno «sciopero» della Messa di Pasqua in carcere. Un atto semplice ma forte, un appello che nasce dalla disperazione. È l’iniziativa lanciata da Carmelo Musumeci, detenuto del carcere Due Palazzi di Padova, per sostenere la campagna a favore di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’abolizione dell’ergastolo. Campagna che ha raccolto numerose adesioni, soprattutto da personalità del mondo della cultura e della scienza. «Lo sciopero di Pasqua – scrive Musumeci in una lettera aperta a don Oreste Benzi (scomparso nel 2007) – perché per noi, almeno su questa terra, non ci sarà mai resurrezione».
Ecco per interno la lettera aperta di Carmelo Musumeci.
Lettera aperta a Don Oreste Benzi (in cielo dal 2007) , fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII
Don Oreste, nonostante le numerose iniziative, appelli, le lettere, le firme raccolte e le numerose adesioni di persone importanti, come Margherita Hack, Umberto Veronesi, Agnese Moro e Bianca Berlinguer, ma anche di tanti uomini e donne di Chiesa, contro l’esistenza in Italia della “Pena di Morte Viva”, l’ergastolo senza benefici, nulla è cambiato. E i buoni, nonostante che siano trascorsi dalle nostre condanne venti, trenta e più anni, non sono ancora sazi e continuano a torturarci l’anima, il cuore e la mente. In questi giorni mi sono domandato che altro possiamo fare per attirare l’attenzione, sensibilizzare l’opinione pubblica, per fare capire ai buoni che ricambiare male con altro male, (murare viva una persona senza neppure la compassione di ucciderla) fa sentire innocente qualsiasi criminale.
Don Oreste, ognuno combatte con le armi che ha ed ho pensato di proporre a tutti gli uomini ombra, sparsi nelle nostre Patrie Galere, lo sciopero della messa di Pasqua, perché per noi, almeno su questa terra, non ci sarà mai resurrezione. Che cosa abbiamo noi da spartire con questa festa? Tanto vale non festeggiarla, è una presa in giro per noi… Lo so, non sarai sicuramente d’accordo, non lo è neppure il mio compagno Ignazio che è di fronte alla mia cella, che non si perde mai una messa, ma che altro possiamo fare per tentare di cambiare il cuore della società civile, dei giudici, dei politici e degli uomini di chiesa, che spesso si occupano solo delle nostre anime e non dei nostri sogni e speranze?
Don Oreste, è da pazzi giudicare un uomo o una donna colpevole per il resto della sua vita e, a parte l’errore, è un orrore. Molti di noi sono diventati uomini nuovi, perché continuano a punirci? Che c’entriamo noi con quelli che eravamo prima?
Don Oreste, dall’ultima volta che ti ho visto nel carcere di Spoleto, quando ti schierasti dalla parte dei più cattivi (prima di te lo aveva fatto solo Gesù), mi manchi, ma perché te ne sei andato così presto in cielo? Potevi rimanere ancora un poco su questa terra per darci una mano ad abolire la “Pena di Morte Viva” in Italia. Ora ci sentiamo più soli. Diglielo tu a Dio, io non ho il coraggio (e poi sono anche ateo) che gli uomini ombra per Pasqua non andranno a messa.
Don Oreste, guarda cosa puoi fare da lassù perché stiamo invecchiando e non abbiamo più tempo. Siamo disperati, molti di noi (siamo già quasi in 300 che hanno aderito) a settembre sono pronti anche ad uno sciopero della fame: non ci resta che la nostra vita per cercare di ritornare nel mondo dei vivi e lotteremo con quella. Don Oreste, è dura vivere nell’ombra ed è per questo che gli uomini ombra non festeggeranno la Pasqua. Perdonaci almeno tu se puoi. Il mio cuore ti manda un abbraccio fra le sbarre.
Sparò al direttore di banca Infarto in carcere: è grave
PADOVA — Ha avuto un malore e si è accasciato nella cella del carcere di Treviso, dove si trova da circa due settimane. Luciano Franceschi, 54enne imprenditore di Borgoricco che l’11 febbraio scorso ha sparato a Pierluigi Gambarotto, direttore del credito cooperativo di Campodarsego, si trova ora in gravi condizioni nell’ospedale Ca’ Foncello. Franceschi, agli arresti per tentato omicidio volontario, è stato sottoposto ad accertamenti e cure e le sue condizioni sarebbero stazionarie. Dal punto di vista giudiziario invece la sua posizione sembra vacillare: è stato infatti depositato il verbale delle dichiarazioni fatte in ospedale dal direttore della banca colpito al ventre, e sembra che le due versioni, quella di Gambarotto e quella di Franceschi, siano discordanti. Il ferito dice infatti di aver discusso inizialmente con Franceschi della rinegoziazione di un fido, sul quale l’imprenditore avrebbe posto delle condizioni inaccettabili dal punto di vista della banca.
Alla risposta negativa del direttore, Franceschi avrebbe cominciato ad agitarsi, e quando Gambarotto si è alzato per accompagnarlo alla porta, il 54enne di Borgoricco avrebbe preso la pistola sparandogli all’addome. L’indagato invece aveva detto che ci sarebbe stata un momento di concitazione, e che non aveva intenzione di sparare al direttore, ma solo di mettergli paura e creare panico in banca, sequestrando tutti per attirare l’attenzione sulla «causa venetista». Relativamente alle dichiarazioni di Gambarotto, c’è da dire che l’uomo è apparso lucido e consapevole nel racconto di quell’incontro, salvo poi svelare qualche difficoltà nel definire nel dettaglio i momenti immediatamente precedenti allo sparo. Probabilmente il trauma subito non consente al direttore della banca di mettere ancora ordine negli attimi prima dei due colpi che gli hanno perforato l’addome. Di certo c’è che secondo la sua versione Franceschi avrebbe alzato la pistola all’improvviso e premuto il grilletto. Gambarotto è ancora in ospedale, ma sta migliorando, la sua vita è rimasta appesa a un filo per una settimana, ha subito un lungo intervento, ma da una decina di giorni circa l’uomo è fuori pericolo. E per un beffardo gioco del destino ora è proprio l’uomo che gli ha sparato ad essere in gravi condizioni in ospedale. Prima di sentirsi male Franceschi ha fatto richiesta di scarcerazione davanti al tribunale del Riesame.
Il documento ai magistrati lo ha scritto di suo pugno e in completa autonomia, all’insaputa anche del legale che lo sta seguendo, l’avvocato penalista padovano Giovanni Lamonica. Si tratta di un altro gesto di dimostrativo contro lo Stato italiano, una presa di posizione che in carcere si è andata rafforzando, stando a quanto diceva qualche giorno fa il fratello Enzo. Sembra infatti che tra i pensieri di Franceschi dall’11 febbraio a oggi i problemi finanziari dei caseificio di Borgoricco siano andati in secondo piano. Quelle ansie che lo avevano preso per aver sforato il fido, che lo preoccupavano dopo la perdita della moglie, sono state travolte dalla volontà di portare avanti la causa del Veneto libero e indipendente rispetto a uno Stato visto solo come un’invasore che chiede tasse senza dare nulla in cambio. L’obiettivo è infatti proseguire, anche dal carcere con la battaglia di carte e burocrazia che lo porteranno, dice lui, fino a Bruxelles. Di certo quello Stato italiano che Franceschi non riconosce dovrà processarlo per quei due colpi sparati contro un direttore di banca che peraltro conosceva da tempo. In ogni caso ora Franceschi dovrà superare l’attacco di cuore che lo ha colpito sabato e che lo vede sul letto di un ospedale, sottoposto a cure che gli stanno salvando la vita, prestate gratis da quello stesso Stato che lui detesta.
Op. Tramonto – Massimiliano Toschi libero
Diffondiamo
Comunichiamo l’attesa notizia che dalla mattina di domenica 17 febbraio il compagno Massimiliano Toschi è in libertà senza nessuna restrizione e ieri è arrivato finalmente a Padova. Max fu arrestato il 12 febbraio 2007 durante l’operazione tramonto assieme ad altri quindici compagni e da sei anni si trovava detenuto nella sezione AS2 del carcere di Siano Catanzaro dove sono detenuti da tempo altri prigionieri politici comunisti. Con la gioia di aver potuto riabbracciare un nostro compagno dopo tanto tempo, il nostro pensiero ora và agli altri compagni ancora detenuti a Siano dal 2007, ai quali esprimiamo tutta la nostra solidarietà di classe, così come a tutti i compagne e le compagni prigioniere/i.
Terrorista è chi sfrutta e bombarda!
Libertà per tutte le compagne e i compagni prigioniere/i !
Carceri sovraffollate e pene differite, il Tribunale di Padova solleva la questione
Con un’ordinanza senza precedenti, il Tribunale di Sorveglianza di Padova ha deciso di sollevare innanzi alla Corte Costituzionale una questione di incostituzionalità sulla sistematica violazione dei diritti umani perpetrata all’interno delle carceri italiane.
L’obiettivo dell’ordinanza redatta dal giudice Marcello Bortolato – secondo quanto riporta il Corriere della Sera – è quello di chiedere alla Consulta una sentenza “additiva”, cioè che conferisca ai giudici la facoltà di sospendere e rinviare l’esecuzione in carcere della pena di un detenuto non soltanto in presenza di grave infermità fisica (come previsto dall’art. 147 del codice penale), ma anche nel caso in cui la detenzione verrebbe scontata in condizioni intollerabili di sovraffollamento e dunque si risolverebbe in “trattamenti disumani e degradanti”.
L’iniziativa del Tribunale segue alla richiesta di sospensione della pena avanzata da un detenuto costretto a vivere per 9 giorni in una cella con 2,43 mq a disposizione e per 122 giorni con 2,58 mq di spazio nella casa circondariale di Padova.
Meno, quindi, della soglia minima di 3 mq prevista dalle due sentenze del 2009 e del 2013 con le quali la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia e il suo “strutturale sovraffollamento carcerario”. Secondo il tribunale il fatto che la pena non possa consistere in un trattamento contrario al senso di umanità significa che “la pena inumana non è legale, cioè è “non pena”, e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato”.
Per questi motivi al giudice dovrebbe essere riconosciuta la facoltà di rinviare la pena dopo aver operato, volta per volta nella vicenda singola, un “congruo bilanciamento degli interessi da un lato di non disumanità della pena, e dall’altro di difesa sociale”.
L’idea delle carceri “a numero chiuso”, come ribattezzata da alcuni organi di stampa, rappresenterebbe per il tribunale “l’unico strumento per ricondurre nell’alveo della legalità costituzionale l’esecuzione della pena”, a conferma del perenne stato di illegalità antidemocratica in cui versa lo Stato italiano.
La decisione di sollevare la questione di incostituzionalità, oltre a rappresentare una svolta nella gravissima emergenza carceraria e giudiziaria in cui si trova immerso il nostro paese, cerca di colmare il grande vuoto lasciato dalla politica, che imperterrita continua ad ignorare uno scandalo ormai di dimensione internazionale.
Padova: Evade il primo giorno di permesso premio
PADOVA, 26 GEN – E’ stata attivata l’Interpol per rintracciare un moldavo condannato per omicidio evaso dal carcere di Padova grazie al primo giorno di permesso concessogli dal giudice di sorveglianza. Il permesso gli era stato concesso il 18 gennaio scorso, ma Sergi Vitale, 28 anni da 6 detenuto a Padova, in carcere non è più rientrato. Condannato a 19 anni, deve scontare una pena che scade nel 2020. Era stato arrestato nel 2004 con altri due connazionali per aver ucciso a colpi d’ascia un romeno. (ANSA).
Padova: detenuti aggrediscono un poliziotto, per poter picchiare un altro ristretto
A poche settimane dalle violente colluttazioni contro poliziotti nelle carceri di Spoleto, Bologna, Siracusa e Saluzzo, un’altra aggressione a un poliziotto in un carcere italiano. Ieri nel tardo pomeriggio, nella Casa di Reclusione di Padova, due detenuti hanno immobilizzato un agente di polizia penitenziaria di servizio per poter picchiare un altro ristretto: il risultato è stato che il poliziotto è stato inviato al Pronto soccorso per la sospetta frattura del polso e il detenuto per diverse ferite alla testa”. È quanto rende noto Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria.
Fonte: androkonos