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Cibo avariato in carcere La Procura apre due indagini

resizerNiente più cibo avariato ai detenuti del carcere. La direzione della casa circondariale di Montorio, il garante dei detenuti, l’Ulss 20 e ora anche la Procura: tutti in campo per difendere il diritto delle persone che si trovano recluse a mangiare alimenti di qualità. E ora c’è anche l’inchiesta aperta dalla procura di Verona. Dopo l’appello lanciato da Margherita Forestan, la garante dei detenuti, la procura ha infatti aperto due procedimenti per far luce sul servizio di fornitura del cibo, il cosiddetto «vitto» e «sopravvitto». Ogni giorno, infatti, varcano i cancelli di Montorio decine di casse di frutta e verdura, carne e pacchi con altra merce ma spesso, secondo quanto rivelato dalla stessa Forestan, si tratta di prodotti avariati o dall’oscura provenienza. Capita, infatti, che i detenuti siano costretti a gettare gli alimenti nel cestino e ad acquistare a proprie spese altro cibo attraverso il “sopravvitto”, gestito sempre dalla stessa azienda toscana vincitrice dell’appalto per la fornitura dei generi alimentari per la cucina (di cui al momento non è stato fornito il nome). «È snervante dover controllare ogni cosa che arriva, non si può lavorare in questo modo: può capitare che qualche prodotto non sia perfetto, ma dev’essere una tantum, non la prassi», commenta la garante dei detenuti. «Se invece non ci sono verifiche quotidiane, il rischio è che nei piatti finisca di tutto: fortunatamente la direzione è molto sensibile a questo problema». E infatti la questione è stata più volte oggetto di segnalazioni, ma ciò non sarebbe servito a far cambiare modus operandi alla società. Così nei mesi scorsi, il servizio Igiene dell’Ulss 20 è stato incaricato di effettuare alcuni prelievi sul cibo fornito ai detenuti e dalle verifiche sarebbe emerso che effettivamente i prodotti erano avariati: gli ispettori dell’Ulss hanno, dunque, depositato due denunce in Procura. A occuparsi delle indagini è ora il pm Elisabetta Labate. Inoltre, il procuratore capo Mario Giulio Schinaia ha segnalato il problema anche a Roma, alla Direzione generale dell’amministrazione penitenziaria, per far presente la situazione della casa circondariale di Montorio, simile con tutta probabilità a quella di altre carceri italiane. Nell’ottica di contenere le spese, infatti, talvolta gli appalti vengono affidati a imprese, che poi non sono in grado di garantire gli standard qualitativi previsti dal bando. Un tema caldo, se si considera che l’appalto della Direzione regionale delle carceri, con sede a Padova, per il servizio di fornitura del cibo a Montorio sta per scadere e che nelle prossime settimane verrà indetto il nuovo bando per l’assegnazione. L’auspicio di tutti è che i criteri siano più rigidi e che il prossimo fornitore si impegni a rispettarli.

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Nel carcere di Montorio solo quattro educatori per ottocento detenuti

DIRTY DANCING. Nel carcere provinciale di Cebu, nelle Filippine, ogni quarto sabato del mese succede qualcosa di straordinario: i cancelli si aprono, centinaia di persone vengono fatte entrare nel cortile, e qui passano il pomeriggio assistendo allo spettUn numero crescente di reclusi con sentenze definitive (pari al sessanta per cento degli 820 complessivi), e la quasi totale assenza dei magistrati di sorveglianza. Il tutto condito da un sovraffollamento che, con celle da due popolate in quattro e carenza di docce, non dà pace ai galeotti di Montorio. È questo il dato rilevato dal senatore radicale Marco Perduca che ieri, dopo la precedente visita del ferragosto del 2009, ha nuovamente messo piede nella struttura penitenziaria scaligera. Lasciando la poltrona a Roma, Perduca invita i futuri colleghi a «individuare le leggi che hanno creato questo stato di cose», considerando la necessità di un’amnistia e di varie riforme, ma partendo anche dall’utilizzo delle pene alternative già prevista dalla legge. «Due terzi dei reclusi a Verona sono stranieri, soprattutto di lingua araba», fa notare il senatore, sottolineando la necessità di specifici corsi di mediazione culturale per agenti ed educatori, a loro volta ridotti all’osso da prepensionamenti e mancanza di fondi. «Nella struttura ci sono solo quattro educatori per oltre ottocento detenuti, il che vanifica il loro ruolo di anello di congiunzione tra la direzione e i reclusi, alimentando frustrazioni, episodi di autolesionismo e tensioni». Ad agevolare un po’ le cose e distendere il clima, per fortuna, ci sono le occasioni di lavoro, rivolte a circa 120 persone. «La garante dei detenuti e la direzione stessa sono molto attente a potenziare l’offerta di lavoro interna, che aiuta anche a garantire un minimo di autosostentamento agli stranieri». Gli stessi che, per altro, sono i più penalizzati nella possibilità di beneficiare dei domiciliari negli ultimi diciotto mesi di pena da scontare. «Trovare un alloggio idoneo per gli stranieri non è sempre facile. Ma a Verona manca anche la presenza in carcere dei magistrati di sorveglianza che potrebbero agevolare tale passaggio per chi è recluso nella nuova sezione riservata ai cosiddetti dimittendi». Maggiore attenzione, per il senatore in uscita, andrebbe riservata anche al circuito dei giovani adulti, ossia quei cento ragazzi tra i diciotto e i venticinque anni che necessitano di un trattamento diverso, a partire da una maggiore istruzione scolastica. «Gli studi si fermano alle medie, ma non bastano. Si parla di corsi di scuola alberghiera, che agevolerebbero la ricerca del lavoro in uscita dal carcere, ma per ora sono ancora inesistenti».

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