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OPG, cibo avariato, muore detenuto 70 intossicati

Castiglione, le campionature degli alimenti e delle attrezzature sono già state mandate a Brescia Settanta ospiti colpiti da malesseri dopo la cena. L’autopsia sulla vittima non ha fatto chiarezza

ACERSettanta. Un quarto degli ospiti dell’Opg. È questo il numero dei detenuti che si sono sentiti male dopo la cena di martedì alla mensa dell’ospedale psichiatrico di Castiglione. Tra questi c’era Christian Ubiali, trentunenne bergamasco morto al Poma tre ore dopo il ricovero. L’autopsia, disposta dalla Procura di Mantova, non avrebbe fatto definitiva chiarezza sul decesso, avvenuto, sembrava, dopo una diagnosi di occlusione intestinale. Il magistrato si limita a confermare che saranno necessari «ulteriori accertamenti».

Sotto accusa, per ora, c’è proprio la cena consumata martedì sera alla mensa dell’Opg, in seguito a cui settanta ospiti hanno accusato malori e dissenteria. Di questi dodici hanno manifestato sintomi più seri. Il più grave di tutti era Ubiali, trasportato d’urgenza al pronto soccorso del Poma, con la diagnosi di occlusione intestinale provocata da un probabile volvolo.

Tutti avrebbero mangiato del pesce che, a questo punto, forse era avariato.

È questo il sospetto della Procura che ha già disposto accertamenti. È stata eseguita una campionatura che attraverso l’Asl è stata inviata al laboratorio di sanità pubblica di Brescia per le analisi tossicologiche. Sono stati eseguiti prelievi sia sulle scorte di pesce che sono rimaste nei frigoriferi sia nelle cucine in particolare sulle attrezzature che sono state utilizzate per preparare la cena di martedì. Le indagini epidemiologiche dovranno identificare le eventuali fonti inquinanti o rintracciare la presenza di tossine. Un attacco batterico che potrebbe essere stato letale per Christian Ubiali, già debilitato per problemi passati di tossicodipendenza.

La Tac, a cui era stato subito sottoposto mercoledì a mezzogiorno al Poma, non aveva confermato la diagnosi dell’occlusione. Ubiali però continuava a lamentarsi dei dolori violentissimi che partivano dallo stomaco.

Per questo era stato disposto il trasferimento nel reparto di chirurgia. In attesa di essere spostato era stato sistemato su una barella. Ad un certo punto era diventato tachicardico e un’infermiera lo aveva accompagnato fuori per permettergli di accendere una sigaretta.

Al rientro, prima che i medici della chirurgia fossero riusciti a prenderlo in consegna per portarlo in reparto, aveva smesso di vivere, tre ore dopo il ricovero.

Originario di Osio di Sotto, un paese del Bergamasco, Ubiali aveva una doppia diagnosi di tossicodipendenza e problemi psichici che aveva convinto i giudici che l’internamento in un ospedale psichiatrico giudiziario fosse la soluzione migliore per lui dopo aver escluso la possibilità di un percorso riabilitativo in famiglia.

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Cibo avariato in carcere La Procura apre due indagini

resizerNiente più cibo avariato ai detenuti del carcere. La direzione della casa circondariale di Montorio, il garante dei detenuti, l’Ulss 20 e ora anche la Procura: tutti in campo per difendere il diritto delle persone che si trovano recluse a mangiare alimenti di qualità. E ora c’è anche l’inchiesta aperta dalla procura di Verona. Dopo l’appello lanciato da Margherita Forestan, la garante dei detenuti, la procura ha infatti aperto due procedimenti per far luce sul servizio di fornitura del cibo, il cosiddetto «vitto» e «sopravvitto». Ogni giorno, infatti, varcano i cancelli di Montorio decine di casse di frutta e verdura, carne e pacchi con altra merce ma spesso, secondo quanto rivelato dalla stessa Forestan, si tratta di prodotti avariati o dall’oscura provenienza. Capita, infatti, che i detenuti siano costretti a gettare gli alimenti nel cestino e ad acquistare a proprie spese altro cibo attraverso il “sopravvitto”, gestito sempre dalla stessa azienda toscana vincitrice dell’appalto per la fornitura dei generi alimentari per la cucina (di cui al momento non è stato fornito il nome). «È snervante dover controllare ogni cosa che arriva, non si può lavorare in questo modo: può capitare che qualche prodotto non sia perfetto, ma dev’essere una tantum, non la prassi», commenta la garante dei detenuti. «Se invece non ci sono verifiche quotidiane, il rischio è che nei piatti finisca di tutto: fortunatamente la direzione è molto sensibile a questo problema». E infatti la questione è stata più volte oggetto di segnalazioni, ma ciò non sarebbe servito a far cambiare modus operandi alla società. Così nei mesi scorsi, il servizio Igiene dell’Ulss 20 è stato incaricato di effettuare alcuni prelievi sul cibo fornito ai detenuti e dalle verifiche sarebbe emerso che effettivamente i prodotti erano avariati: gli ispettori dell’Ulss hanno, dunque, depositato due denunce in Procura. A occuparsi delle indagini è ora il pm Elisabetta Labate. Inoltre, il procuratore capo Mario Giulio Schinaia ha segnalato il problema anche a Roma, alla Direzione generale dell’amministrazione penitenziaria, per far presente la situazione della casa circondariale di Montorio, simile con tutta probabilità a quella di altre carceri italiane. Nell’ottica di contenere le spese, infatti, talvolta gli appalti vengono affidati a imprese, che poi non sono in grado di garantire gli standard qualitativi previsti dal bando. Un tema caldo, se si considera che l’appalto della Direzione regionale delle carceri, con sede a Padova, per il servizio di fornitura del cibo a Montorio sta per scadere e che nelle prossime settimane verrà indetto il nuovo bando per l’assegnazione. L’auspicio di tutti è che i criteri siano più rigidi e che il prossimo fornitore si impegni a rispettarli.

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