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Badante in carcere per tre anni da innocente: nessuna certezza sul pagamento dell’indennizzo

timthumbDi Vincenza Foceri – In carcere da innocente per tre lunghi anni, dopo essere stata ritenuta l’assassina dell’anziana alla quale faceva da badante. E’ questa la triste odissea di Vasilisca Adriana Jacob, arrestata dopo la morte della signora per cui lavorava. Nel 2009 è arrivata la condanna a quattordici anni di detenzione dalla Corte d’Assise di Frosinone per il presunto omicidio dell’ottantenne ma poi la stessa donna è stata assolta con formula piena dalla Corte di Appello nel 2011. Ma intanto, sulle sue spalle, sono passati ben 970 giorni dietro le sbarre da innocente.

La donna per cui lavorava, morte nel gennaio del 2008 è deceduta per cause naturali. Lo ha provato una perizia sulla salma in una fase avanzata del processo. Ciò che questo documento medico ha dimostrato con chiarezza è chel’anziana è morta perchè il suo cuore ha smesso di battere e le cause sono da attribuire alla vecchiaia. Le fratture, riscontrate sulla defunta, invece, erano legate alla caduta conseguente al fatidico malore. Adesso il problema è il risarcimento dovuto alla donna. Non vi è certezza sul fatto che la badante possa essere ripagata di quei lunghi giorni in carcere senza colpa. Nonostante la sua vicenda sia finita anche in un’interrogazione parlamentare, presentata dalla deputata radicale Rita Bernardini, negli scorsi mesi il ministero non si è ancora espresso. L’avvocato della romena che ha subito un terribile errore giudiziario è Giacomo Tranfo che, in un articolo apparso su Il Messaggero di Roma, ha dichiarato: “A fronte di un provato errore giudiziario – ha spiegato il legale della signora Jacob – ritengo grave il tentativo del ministero dell’Economia di trovare una giustificazione per non pagare quanto dovuto alla mia assistita”.


Assolto dopo 21 anni di carcere chiede 69 milioni allo Stato

Giuseppe Gulotta, muratore di Certaldo  fu arrestato a 18 anni con l’accusa di aver ucciso due carabinieri ad Alcamo Marina. L’assoluzione è arrivata il 13 febbraio scorso nel processo di revisione

megafono “Chi mi ridarà la mia vita perduta?”, aveva detto Giuseppe Gulotta il 13 febbraio 2012. Quel giorno la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva pronunciato la sua sentenza: innocente, dopo 21 anni, 2 mesi, 15 giorni e sette ore di carcere. Giuseppe Gulotta, 50 anni, muratore di Certaldo, era stato arrestato a 18 anni, prelevato e portato nella caserma dei carabinieri di Alcamo (Trapani) e sospettato dell’omicidio di due militari. Ad un anno di distanza dalla sentenza che lo ha assolto, dopo 21 anni di carcere, Gulotta ha chiesto 69 milioni di euro al ministero di Grazia e Giustizia. “La riparazione dell’errore giudiziario – spiega l’avvocato Pardo Cellini – va commisurata alla durata dell’espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivanti dall’ingiusta condanna”.

Una condanna che ha segnato la vita del muratore di Certaldo, che nel 1976, accusato dell’assassinio, insieme a due complici, dei due carabinieri Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, venne picchiato e seviziato per ore finché non confessò quello che non aveva fatto. Poi Gulotta ritrattò, ma fu condannato, ugualmente, al carcere a vita nel 1990.
Tanti anni di carcere, e poi la revisione del processo scattata dopo le dichiarazioni di un ex ufficiale dei carabinieri che nel 2007 raccontò che le confessioni di Gulotta e degli altri erano state ottenute attraverso torture.


Niki Aprile Gatti: il nuovo “tassello” mancante

La menzogna non può durare per sempre, e soprattutto quelli che si credono invincibili, potenti perché coperti dallo Stato, dovrebbero ben sapere che quest’ultimo non è mai “buono”, non si fa scrupoli, non possiede l’anima e ne coscienza. Lo Stato, in qualsiasi forma sia (o dittatoriale, democratico o in forma diretta), per determinati meccanismi decide ad un certo punto di non coprirli più. I motivi possono essere molteplici: un passo falso, un riequilibro degli assetti (e molto spesso, non sempre, le inchieste giudiziarie servono proprio per quello visto che anche la Magistratura è un Potere dello Stato), un cambiamento di linea o semplicemente una lotta tra “bande”.

Sapete che sono oramai ben quattro anni che ci si sta occupando della maledetta storia della morte di Niki Aprile Gatti. Un giovane informatico che lavorava presso una società di San Marino. Si chiamava OSCORP e fu coinvolta, assieme ad altre società e loschi personaggi, in un’inchiesta condotta dalla Procura di Firenze: l’operazione Premium.

Ad oggi non si sa che fine abbia fatto: da una parte abbiamo la chiusura a riccio dei coinvolti(ovviamente) e dall’altra abbiamo la Procura di Firenze che non ha fatto trapelare nulla e la cosa è alquanto fuori dal normale visto che di solito, se pensassimo alle altre inchieste massmediatiche, sappiamo tutto. Perfino cose che non dovrebbero interessarci visto che è puro gossip per distrarre le masse.
Sappiamo solo che Niki Aprile Gatti, nel lontano giugno del 2008, fu ritrovato a soli quattro giorni dall’arrestoimpiccato nel bagno della sua cella. Secondo il Magistrato che ha archiviato tutto, non ci sono dubbi: con il suo peso di più di 90 kg (era anche alto), avrebbe utilizzato un solo laccio delle scarpe per impiccarsi.
Inutile che i familiari abbiano denunciato le innumerevoli contraddizioni come le testimonianza dei due detenuti che erano in cella con Niki (una cella super controllata perché erano detenuti con problemi di autolesionismo). Inutile aver denunciato l’avvenuto furto (c’è un processo in corso ad Avezzano) nell’appartamento di Niki a San Marino e a pochi giorni dell’arresto. E c’è da chiedersi anche il perché della non avvenuta perquisizione del materiale informatico.
Ma come, arrestano Niki e non gli hanno nemmeno sequestrato il computer? Se pensassimo agli arresti degli anarchici nelle ultime assurde operazioni! Hanno sequestrato perfino i chiodi pur di trovare un pretesto per accusarli di terrorismo. Ma c’è una novità importante, e qui ritorniamo alla falsa convinzione di “onnipotenza” dei tanti personaggi coinvolti direttamente o indirettamente in questa maledetta storia.

San Marino, lo si sapeva da tempo, è un luogo diriciclaggio di denaro sporco che avviene tramitesocietà finanziarie che pullulano come funghi. E’ un luogo dove le banche, ad esempio, servivano per depositare i fondi neri del SISDE (gli ex servizi segreti italiani), dove le mafie (in particolar modo la ‘ndrangheta e la camorra) portano il loro sporco denaro. E dove i politici (come da noi) ne sono le marionette e tramite ricatti e intimidazioni ne rimangono coinvolti. In tutte le inchieste come la Premium, il caso Eutelia, la “Telecom-Fastweb” e via discorrendo ci sono sempre San Marino e Londra.
Sì, avete capito bene, la capitale dello Stato inglese sempre presa ad esempio dai vari nuovi reazionari e legalitari come l’osannato Travaglio (ove i politici si dimettono anche per una stupidaggine, dice sempre quest’ultimo) è un’altra oasi per i criminali organizzati in combutta con la finanza e società telefoniche (questo è uno dei migliori business).
Ora si dirà che questo è un problema di legalità e i paradisi fiscali appartengono ad una finanza criminale. Niente di più falso.

In realtà sono organismi politici perfettamente “legali” nei quali vengono ammassati i fondi, il denaro accumulato dalle criminalità organizzate insieme a Banche, imprenditori senza scrupoli e vari Istituti finanziari. Non esiste il capitalismo pulito: questo è un ossimoro e non lo si combatte tramite la “legalità”. Ritorniamo a San Marino e a Niki Aprile Gatti perché il nesso con quello che ho appena detto c’è, esiste.
A Niki, mentre era in cella di isolamento, fu recapitato un telegramma (all’insaputa dei familiari), ove in maniera fredda gli si consigliava di cambiare avvocato: una donna avvocatessa che era dipendente dello studio legale di un facoltoso avvocato di Bologna. Il titolare di questo studio è un uomo sul quale, nel passato, aleggiavano sospetti riguardo la sua condotta come difensore dei familiari delle vittime della Strage di Bologna. Secondo un’informativa di un giudice, pare che avesse intrattenuto rapporti con alcuni esponenti dei servizi segreti (fonte). Il suddetto avvocato era anche Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società finanziaria di San Marino (la SOFISA) che aveva rapporti anche con l’OSCORP (la società coinvolta nell’inchiesta Premium).
In questi giorni a San Marino c’è stata per la prima volta una commissione parlamentare sui rapporti criminalità organizzata e politica. Ma non solo, si sono occupati anche del ruolo delle società finanziarie e hanno parlato della FINCAPITAL laddove intratteneva rapporti con esponenti della camorra (qui potrete scaricare il documento della commissione).
Pochi giorni dopo, la Banca centrale di San Marino mette sotto commissariamento la società finanziaria SIBI, nome cambiato della originaria SOFISA. Sì, la società del cui Cda il noto avvocato di Bologna era Presidente.

Vogliamo conoscere il motivo del commissariamento. Cosa c’era di poco chiaro? E soprattutto confidiamo sui nuovi amministratori affinché facciano chiarezza su una storia cupa e piena di muri di gomma come la morte di Niki Aprile Gatti.
Non ho finito, avevo parlato di Londra. Non la dimentico. Tutto legale per carità (sopra ho spiegato bene questo concetto non a caso), ma è curioso vedere che l’avvocato abbia aperto, recentemente, una società proprio a Londra: la SOSISA UK LTDNon proprio originale come nome, visto che ricorda l’ex SOFISA, appena commissariata. 
Fonte: agoravox.it