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Nasce la ‘Carta del carcere e della pena’, un codice deontologico per giornalisti

mita94ROMA  –  Un ex detenuto non è più un “delinquente”. E se l’ignoranza della legge non è ammessa per nessun cittadino, tantomeno lo è per chi di mestiere scrive sui giornali. Perché anche chi vive dietro le sbarre, o ne esce grazie a una misura alternativa, o ha terminato di espiare la sua pena merita un’informazione corretta. Facile a dirsi, non sempre a farsi. Per questo è nata la “Carta delle pene e del carcere”: codice deontologico dedicato a chi scrive di imputati, condannati, detenuti, delle loro famiglie e del pianeta carcere in genere. La Carta, sottoscritta dagli ordini dei giornalisti di Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata, Liguria, Sardegna e Sicilia, manca ancora dell’approvazione da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine. Lo scopo, senza interferire con la libertà di cronaca, è quello di fissare qualche paletto alla cattiva informazione.

LA CARTA DI MILANO

La certezza della pena. Come la Carta di Treviso sui minori o la Carta di Roma sugli immigrati, la Carta delle pene (detta anche “Carta di Milano”) mira a fissare una sorta di decalogo per i giornalisti. Il nuovo codice deontologico, che verrà presentato il 15 marzo a Regina Coeli a Roma, nasce da un dibattito all’interno delle redazioni carcerarie sulla necessità di “informare gli informatori”: troppo spesso infatti chi scrive di carcere ignora cosa prevedono le leggi che regolano questa materia. La Carta afferma sostanzialmente che non è ammessa l’ignoranza della legge e sono leggi anche quelle che consentono a un detenuto di accedere a benefici e misure alternative. “La possibilità di riappropriarsi progressivamente della libertà non mette infatti in discussione la certezza della pena: semplicemente un giudice ha deciso un diverso modo di espiazione, con tutti i limiti previsti dalle misure alternative applicate”.

Il diritto all’oblio.
 La Carta invita anche a tenere presente che “il reinserimento sociale è un passaggio complesso che dovrebbe avvenire gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l’accesso al lavoro esterno, i permessi premio, la semi-libertà, la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova ai servizi sociali. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena” La Carta fa poi riferimento al diritto all’oblio. Una volta scontata la pena, l’ex detenuto che cerca di ritrovare un posto nella società non può essere indeterminatamente esposto all’attenzione dei media che continuano a ricordare ai vicini di casa, al datore di lavoro, all’insegnante dei figli e ai loro compagni di scuola il suo passato.

Il diritto di cronaca. La Carta ammette “ovvie eccezioni per quei fatti talmente gravi per i quali l’interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. Si pensi ai crimini contro l’umanità, per i quali riconoscere ai loro responsabili un diritto all’oblio sarebbe addirittura diseducativo. O ad altri gravi fatti che si può dire abbiano modificato il corso degli eventi diventando Storia, come lo stragismo, l’attentato al Papa, il “caso Moro”, i fatti più eclatanti di “Tangentopoli”. È evidente poi che nessun problema di riservatezza si pone quando i soggetti potenzialmente tutelati dal diritto all’oblio forniscono il proprio consenso alla rievocazione del fatto”.

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