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Nuovi schiavi? Carcerati inglesi costretti a cucire abiti per l’esercito

ggIl Governo inglese ha rivelato ieri un progetto per introdurre piani forzosi nelle carceri. Si tratta – così riportano le agenzie d’Oltremanica, che attribuiscono la frase a esponenti dello stesso governo – di “insegnare il valore del duro lavoro” (hard work), risparmiando. In sostanza, i prigionieri dovrebbero lavorare in laboratori di manifattura per realizzare tute, giacche, sacchi a pelo, tende e indumenti per l’esercito

Tempi di magra, per chi cerca lavoro. Per chi è in carcere, però, le cose sembrano andare diversamente. Il lavoro, qui, rischia di diventare forzato
Una sorta di luogo comune, diffuso tra decisori e opinion makers, si sta facendo largo. La logica, in sostanza, è questa: un detenuto è un costo per la società, di conseguenza è giusto che lavori, ripagando la società delle spese. Continue reading


Il lavoro in carcere “vaccino contro la recidiva”… ma solo il 21% dei detenuti è occupato

cordatesaSu una popolazione carceraria di oltre 66 mila detenuti solo il 21,2 per cento lavora (13.208 persone). Di questi sono uno sparuto numero, circa duemila, quelli che riescono ad ottenere un’occupazione al di fuori delle mura degli istituiti penitenziari. In percentuale sono però le donne quelle più attive, pur essendo il 4,5 per cento del totale dei detenuti, (circa tremila).
Eppure il lavoro in carcere è una “vaccinazione” contro il rischio di recidiva: se sono circa il 60 per cento i detenuti che tornano a delinquere, per quelli occupati mentre stavano scontando la pena, il rischio si dimezza (recidiva di circa il 30 per cento).
Lo sottolinea a Redattore Sociale il capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) Giovanni Tamburino, a margine della presentazione oggi a Roma del progetto Sigillo (vedi Continue reading