“Questo non è un carcere ma un lager creato per spersonalizzare il detenuto non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società. Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi”. Sono le parole di trentacinque detenuti del carcere di Oristano – Massama “Salvatore Soro” che hanno fatto pervenire una lettera all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” rappresentando la realtà nella struttura penitenziaria inaugurata alla fine di novembre e già sottoposta a pesanti lavori di restauro.
CAGLIARI – “Qui – viene precisato dai firmatari della missiva – si trovano persone che devono scontare 10 giorni, alcuni mesi o qualche anno insieme ad altre che hanno alle spalle oltre 35 anni di reclusione. Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli. Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento. Insomma è vero che il carcere è aperto da poco tempo ma noi non abbiamo colpa e non abbiamo chiesto noi il trasferimento a Oristano. E’ assurdo infine – conclude la lettera – che non si possano acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvive allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”.
“Le nuove strutture penitenziarie hanno necessità – osserva la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris – di un opportuno periodo di rodaggio durante il quale testare i dispositivi di sicurezza e quelli relativi alla vita comune come le cucine, le docce, i servizi igienici, i dispositivi elettrici e l’organizzazione interna con un numero adeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria e di operatori. Per mettere in moto e gestire una struttura così complessa e delicata sono necessarie progettualità e gradualità che poco si conciliano con un’assurda approssimazione che crea soltanto gravi difficoltà. La pretesa urgenza di aprire la struttura per rimediare ai danni del sovraffollamento e della vetustà del carcere di piazza Mannu ha determinato gravi disagi non solo ai detenuti e a tutti gli operatori ma anche ai familiari dei ristretti doppiamente penalizzati dalle difficoltà per raggiungere un carcere costruito volutamente in una zona isolata. La macchina quindi non funziona e nascondere la realtà non giova”.
Fonte: sardegnaoggi.it