13 agosto 2013 – La prima protesta l’8 agosto. Spiega l’onorevole Serena Pellegrino (Sel): “I detenuti, visto il caldo torrido di questo periodo e le condizioni bestiali in cui sono rinchiusi normalmente, hanno chiesto di poter stazionare nelle aree aperte anche al termine del Ramadan. Al diniego senza appello si è aggiunta una reazione inusitata da parte della polizia”. Ieri nuova protesta contro le dure restrizioni della struttura.
Si chiamano Cie, sono i centri di identificazione ed espulsione, e vennero introdotti a seguito dell’inserimento della Legge Turco-Napolitano sull’immigrazione. L’articolo 12, per l’esattezza, spiega: “Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del ministro dell’Interno, di concerto con i ministri per la Solidarietà sociale e del Tesoro”.
La norma lascia intendere che si tratti di aree dedite comunque alla solidarietà e all’ospitalità temporanea. In realtà però gli ospiti dei Cie non sono altro che detenuti e vi possono rimanere anche un anno e mezzo. Come tali non fanno alcun rumore, salvo quando si ribellano per le estreme condizioni in cui sono costretti a vivere.
E’ accaduto così che nel Cie di Gradisca d’Isonzo lo scorso 8 agosto, giorno in cui terminava il ramadan, i migranti abbiano rifiutato di fare rientro nelle camerate nell’orario previsto. La ragione è molto semplice e l’ha spiegata l’onorevole Serena Pellegrino (Sel) che ieri ha fatto visita alla struttura: “I detenuti, visto il caldo torrido di questo periodo e le condizioni bestiali in cui sono rinchiusi normalmente, hanno chiesto di poter stazionare nelle aree aperte anche al termine del Ramadan. Al diniego senza appello si è aggiunta una reazione inusitata da parte della polizia: le forze dell’ordine in assetto anti sommossa hanno cominciato a lanciare lacrimogeni e ad usare i manganelli. Alcuni dei rinchiusi si sono sentiti male, non riuscivano a respirare; allora i compagni hanno spaccato uno dei vetri che limita le cosiddette vasche, nel tentativo di uscire da quella vera e propria camera a gas; ne è seguita una violenta colluttazione”.
Racconta l’associazione “Tenda per la Pace e i Diritti”: “La presenza di almeno due persone con documentati problemi d’asma ha reso questa gestione della situazione ancora più problematica, perché essendo lo spazio in cui è avvenuto il lancio di lacrimogeni molto piccolo (e in parte, come già detto, delimitato da vetri antisfondamento), l’aria si è resa pericolosamente irrespirabile in brevissimo tempo. In particolare una delle due persone incontrate, che fa uso di Ventolin per curare l’asma (documentata da alcune carte dell’Ospedale di Gorizia in data 18 e 30 luglio 2013), lamenta di essere svenuta per l’assenza d’aria durante l’intervento delle forze dell’ordine. Molti detenuti hanno inoltre denunciato di aver ricevuto diversi colpi di manganello, alcuni lamentando (ed esibendo) fratture alle dita delle mani sommariamente fasciate nell’ambulatorio del centro. Durante gli scontri è stato sfondato uno dei vetri in plexiglas, che già ieri era stato prontamente sostituito”.
Ma la repressione dell’8 agosto non è stata l’unica. Ieri pomeriggio, infatti, quattro detenuti sono saliti sul tetto dell’edificio per protestare contro le eccessive misure restrittive imposte: dal 2011 persiste il divieto di possedere i cellulari, provvedimento d’urgenza prorogato modificando il regolamento interno della struttura (che invece ne consente il possesso, come avviene in tutti i CIE d’Italia), i detenuti non possono uscire dai cortili su cui si affacciano le camerate in cui dormono dalle 8 alle 10 persone se non a gruppi di due o tre, la mensa non è accessibile per evitare assembramenti (e potenziali rivolte). “Con il calare della sera – racconta l’associazione – la situazione è degenerata, in molti si sono uniti alla protesta dei quattro (tra le venti e le trenta persone e il centro attualmente ne ospita 67), che si è fatta ancora più forte quando è partito il lancio di lacrimogeni (ben udibile anche al di fuori della struttura)”.
“In pochi minuti – prosegue la testimonianza – al centro hanno fatto ingresso diverse camionette dei carabinieri e della polizia, un pullman dell’esercito e una camionetta dei vigili del fuoco. Chi si trovava al di fuori ha prontamente allertato il 118 (sapendo che all’interno ci sono almeno due persone con documentati problemi d’asma), che si è rifiutato di intervenire perché la richiesta non proveniva dall’interno. Solo l’intervento telefonico dell’Onorevole Pellegrino sulla Questura di Gorizia ha sbloccato la situazione e in pochi minuti anche un’ambulanza ha avuto accesso al centro”. Tuttavia l’esito non è stato felice: due persone infatti sono precipitate dal tetto dell’edificio: in un caso le condizioni del detenuto sono molto gravi, nell’altro non destano preoccupazioni.
Stamattina i detenuti sono scesi dal tetto – dicendosi pronti a trattare con le forze dell’ordine – grazie all’interessamento della parlamentare e chiedendo in cambio la rimozione del divieto di possedere telefoni cellulari e il diritto ad accedere agli spazi ora vietati della struttura. Il Prefetto di Gorizia non si è detto disposto a trattare. la situazione, dunque, è in fase di stallo.